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CAPITOLO 4 GLI EFFETTI DEL DIVORZIO: L’AFFIDAMENTO DEI FIGLI

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CAPITOLO 4

GLI EFFETTI DEL DIVORZIO:

L’AFFIDAMENTO DEI FIGLI

1. La famiglia nel divorzio

Esaminandola dal punto di vista psico-sociale la famiglia separata dei nostri giorni può considerarsi come una vera e propria struttura familiare, visto che la fine del legame coniugale non è più da considerarsi come un evento eccezionale o sporadico della relazione ma, al contrario, come una realtà molto nota alla società contemporanea.

Separazione e divorzio sono complessi processi di transizione che vedono il loro inizio nella decisione, consensuale o anche unilaterale, di dividersi e che, attraverso il succedersi di “tappe” più o meno difficili, terminano idealmente quando i due ex partner superano l’eventuale stato di litigiosità riappropiandosi di una vita di relazione equilibrata che gli permette di esercitare in modo collaborativo la loro funzione genitoriale, nel caso in cui siano presenti dei figli.

Con la separazione ha inizio un percorso di riorganizzazione delle relazioni che coinvolge, oltre alla famiglia nucleare, anche quella allargata. La famiglia separata, infatti, non si struttura sulla base del solo rapporto di coppia bensì su due distinti sistemi parentali: quando tra i due ex coniugi i rapporti si sono sufficientemente ristabiliti, sino a poter garantire forme civili di collaborazione in merito alle questioni relative l’allevamento, l’educazione, l’istruzione e, in generale, la crescita dei

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76 figli, i due sistemi parentali esercitano i ruoli e le funzioni genitoriali in

modo adeguato, nella maggioranza dei casi grazie anche all’aiuto delle rispettive famiglie di origine di ciascun partner 1.

La separazione è un processo dalla doppia valenza: da una parte introduce elementi di rottura in quanto viene meno il sottosistema coniugale e tutte le relazioni ad esso collegate, dall’altra parte porta con sé elementi di continuità nel caso in cui dall’unione siano nati dei figli (perché il sottosistema genitoriale e le sue funzioni permangono in ogni caso).

Le discussioni pubbliche tra i coniugi riguardo al divorzio si concentrano, di solito, sulle questioni legali, finanziarie e sociali ad esso legate, più raramente su quelle emotive o riguardanti il benessere dei figli. In queste occasioni, difatti, risulta facile perdere di vista le responsabilità legate al ruolo genitoriale, responsabilità che rimangono tali a dispetto della rottura del legame coniugale.

I bambini sono a rischio quando i loro genitori non sono in grado di gestire le proprie emozioni e perdono di vista i propri doveri; in queste situazioni i minori rischiano di perdere il loro più grande diritto: l’opportunità di essere bambini2.

Non c’è momento più difficile di quello della separazione per essere sia genitori che bambini; nonostante tutto, però, non è detto che i figli di coppie separate rimangano segnati a vita o siano destinati ad essere adulti infelici al contrario, molti di loro acquistano forza emotiva e sviluppano un buon grado di resilienza.

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M. Malagoli Togliatti (a cura di), Affido congiunto e condivisione della genitorialità. Un contributo alla discussione in ambito

psicogiuridico, Milano, FrancoAngeli, 2002, p. 8

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77 Di sicuro, i figli affronteranno meglio il divorzio se i genitori si

impegneranno a lavorare cooperativamente per affrontarlo e limitare al minimo il loro coinvolgimento nei conflitti personali riguardanti questioni del tutto estranee ai bambini. In sintesi, ciò che risulta essenziale per il bene dei figli sono le modalità di gestione del conflitto, in una qualche misura sempre presente, e delle emozioni legate ad esso da parte dei genitori e, ancora, la loro capacità di portare avanti le funzioni genitoriali anche durante il processo di separazione e divorzio. Più il rapporto sarà collaborativo, più i figli ne gioveranno e meno risentiranno della rottura familiare.

2. Dall’affido esclusivo all’affido condiviso: la Legge n. 54 del 2006

La cessazione della coabitazione a seguito della rottura del legame determina, come effetto principale, il problema dell’affidamento dei figli.

La legge sul divorzio, la n.898 del 1970, prevedeva una forma di affidamento esclusivo ad uno dei genitori. Secondo tale norma spettava al Tribunale competente a pronunciare il divorzio disporre a quale dei due genitori affidare il figlio; lo stesso Giudice era competente anche per decidere la misura e le modalità con cui il genitore non affidatario doveva contribuire al mantenimento, all’istruzione e all’educazione della prole.

L’affidamento esclusivo prevedeva, inoltre, che l’esercizio della potestà sui figli spettasse al solo genitore affidatario. Nella stragrande

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78 maggioranza dei casi il genitore affidatario ritenuto più idoneo era la

madre.

A partire dalla metà degli anni Settanta, in concomitanza con il passaggio da una regolazione del divorzio fondata sulla sanzione ad una centrata sul divorzio come rimedio al fallimento dell’unione, si è assistito ad un cambiamento nel modo di intendere l’interesse del minore. Legislatori, giudici e operatori sociali hanno iniziato a valorizzare l’idea per cui il benessere del minore si realizza nella continuità di rapporti significativi con entrambi i genitori e con il loro coinvolgimento nella cura e nell’educazione dei figli anche in situazioni di crisi coniugale.

Questa nuova rotta di pensiero, con il passare del tempo, è andata sostituendosi all’idea di genitore psicologico che aveva dominato le interpretazioni dell’interesse del minore negli anni Cinquanta e Sessanta, periodo in cui si privilegiava il mantenimento del rapporto tra il figlio e il genitore con il quale aveva stabilito un legame psicologico maggiormente significativo e stabile3. Nonostante l’idea del genitore psicologico si ispirasse ad un ideale di neutralità in riferimento al genere, nella realtà dei fatti i figli venivano ancora affidati quasi sempre alle madri.

In seguito, la Legge 74 del 1987 dispose che il Giudice, in alternativa all’affidamento esclusivo, quando favorevole all’interesse del minore, poteva pronunciarsi a favore di un affidamento congiunto o alternato. L’affidamento congiunto è quell’istituto per cui, a seguito di separazione o divorzio, i figli minori della coppia intrattengono un rapporto paritario

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79 con entrambi i genitori, i quali continuano ad esercitare in comune la

potestà genitoriale anche quando uno solo di essi coabita con il figlio. Con la legge 54 del 2006 “Disposizioni in materia di separazione dei

genitori e affidamento condiviso dei figli”, con la quale si è modificato

anche l’articolo 155 del Codice Civile, si è radicalmente mutato il predetto assetto normativo in tema di affidamento dei figli a seguito di procedure di separazione o divorzio, sancendo in modo definitivo il passaggio da un regime monogenitoriale ad uno bigenitoriale.

La nuova norma si riferisce chiaramente alla valutazione prioritaria circa la possibilità di un affidamento condiviso, lasciando come scelta residuale quella dell’affidamento esclusivo ad uno dei genitori che può ritenersi valida solo nel caso in cui il giudice, in sede di decisione, determini e renda note quelle che sono le eventuali situazioni ostacolanti un provvedimento di affidamento condiviso.

In tal modo il precedente apparato viene completamente capovolto: da un sistema monogenitoriale di affidamento dei figli che comprimeva i diritti del genitore non affidatario negandogli l’esercizio della potestà ed escludendolo dalle scelte importanti sulla vita e l’educazione del proprio figlio, si è passati ad un sistema bigenitoriale che tutela il diritto del minore a ricevere cura, educazione e istruzione da entrambi i suoi genitori, che continuano a mantenere l’esercizio diretto della potestà. Così recita l’articolo 155 del Codice Civile, modificato a seguito dell’introduzione della legge 54/2006:

‹‹ …… anche in caso di separazione personale dei genitori il figlio minore ha il diritto di mantenere un rapporto equilibrato e

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continuativo con ciascuno di essi, di ricevere cura, educazione e istruzione da entrambi e di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale ››

L’affido condiviso è oggi la forma di affidamento dei figli ritenuta preferibile dal legislatore e che si differenzia in modo sostanziale dal precedente affido congiunto: mentre quest’ultimo prevedeva, per la sua applicabilità, un totale accordo tra il padre e la madre, per l’affido condiviso è sufficiente la disponibilità ad assumersi la propria responsabilità genitoriale nei confronti dei figli nel rispetto delle reciproche competenze e possibilità. La nuova normativa prevede, inoltre, che solamente le decisioni più importanti vengano prese obbligatoriamente in modo congiunto, mentre per il resto sarà competenza del giudice valutare se la conflittualità esistente nella coppia permette un effettivo esercizio congiunto della potestà oppure se sia meglio assegnare a padre e madre compiti distinti rispetto ai figli, sia per quel che riguarda l’aspetto educativo che quello meramente economico. Tuttavia, non è stata esclusa in via definitiva l’eccezione dell’affido esclusivo ad un solo genitore quando il comportamento dell’altro sia contrario all’interesse del minore.

Nonostante tutto, però, ancora oggi in Italia la modalità di affido esclusivo risulta essere molto applicata e il più delle volte si predilige ancora la madre come genitore affidatario. Questa tipologia di affidamento si rifà ad un ideale (ancora molto radicato nel tessuto sociale contemporaneo italiano) di famiglia di tipo tradizionale, dove la donna

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81 accudiva e custodiva i figli e il marito, capo della famiglia, si occupava

del mantenimento economico della stessa.

Tale modalità di affidamento, con il passare del tempo, causa un notevole allentamento del legame tra il figlio e il genitore non affidatario, quasi sempre il padre.

Fortunatamente, però, si sta facendo strada la convinzione per cui è indispensabile adoperarsi affinché anche dopo la separazione, si mantengano vivi e continuativi i legami tra figlio e genitore non affidatario, anche quando la modalità di affidamento in essere è quella esclusiva4.

A questo proposito sono diversi gli studi che hanno dimostrato che il bambino, anche se piccolo, nell’eventualità di non poter continuare a vivere i suoi legami affettivi all’interno del suo nucleo familiare , rischia di andare incontro a disagi psichici anche seri se non viene soddisfatto il suo bisogno di continuità nei rapporti con ambedue le figure genitoriali anche dopo la separazione. Proprio la consapevolezza di questo bisogno ha permesso l’introduzione dell’affido condiviso come modalità di affidamento preferibile in via primaria.

3. L’affido condiviso e la nuova frontiera della bigenitorialità

La Legge 54/2006 mette in evidenza l’esigenza di mantenere un rapporto equilibrato tra i genitori, tra i genitori e il figlio e tra questo e gli ascendenti paterni e materni; esigenza che ha ispirato i legislatori

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M. Malagoli Togliatti (a cura di), Affido congiunto e condivisione della genitorialità. Un contributo alla discussione in ambito

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82 nell’introduzione di questa nuova norma. Questa stessa esigenza trova

rispondenza anche a livello internazionale, nel panorama comunitario, in materia di “responsabilità genitoriale” (Regolamento CEE n. 2201/’03 in vigore dal 1/03/2005) e nella Convenzione di New York del 20/11/1989 sui diritti del fanciullo, ratificata dall’Italia con la Legge n. 176 del 19915.

In quest’ottica, quindi, si parla di affidamento condiviso come forma prioritaria di condivisone delle responsabilità e dell’esercizio della potestà, interpretando l’affido esclusivo come un fatto eccezionale da applicare solamente nei casi in cui quello condiviso si rilevi pregiudizievole per il benessere del minore.

Spetta al Giudice competente per la pronuncia della separazione, del divorzio o dello scioglimento e relativa cessazione degli effetti civili del matrimonio decidere se applicare l’affidamento condiviso oppure quello esclusivo, in questo caso deve dichiarare a quale dei genitori affidare il figlio minore e specificare i motivi della sua decisione. Il tutto sempre nell’esclusivo interesse morale e materiale della prole6.

Nell’emanare il provvedimento di affido il Giudice può anche tenere conto dell’accordo tra le parti e quindi delle decisioni o richieste dei genitori, anche se poi il provvedimento finale potrà discostarsi dalle stesse. I coniugi, infatti, accordandosi in caso di separazione o divorzio consensuale oppure davanti al Giudice nel caso di procedimento giudiziale, hanno facoltà di esprimere le proprie preferenze circa il

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M. Bacciconi et al., Il nodo dell’affido condiviso nei percorsi di separazione ad alta conflittualità. Aspetti problematici e possibili

interventi corettivi, ONVD, Dipartimento di Medicina e Sanità Pubblica- Medicina legale e Medicina del lavoro - Università di

Verona, 2010, p.4 6

Della Casa Franco et al., Spallarossa M. Rosa (a cura di), Famiglia e servizi. Il minore, la famiglia e le dinamiche giudiziarie, Milano, Giuffrè editore, 2001, p. 278

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83 genitore presso il quale il figlio andrà a convivere, anche se il Giudice

non sarà vincolato da tali richieste in sede di decisione.

L’affido condiviso, di base, conferisce ad entrambi i genitori l’esercizio congiunto sia della potestà che dell’amministrazione, inclusa quella sugli aspetti patrimoniali, ma contempla anche la possibilità di esercitare la potestà in modo disgiunto, cosicché ciascun genitore sia responsabile in toto quando i figli sono con lui. Rispetto all’affidamento congiunto, che prevedeva sempre la completa cooperazione e l’accordo tra i genitori, l’affido condiviso disgiunto può essere applicato anche nei casi di conflitto, in quanto suddivide in modo equilibrato le responsabilità genitoriali e la permanenza presso ciascun genitore, mantenendo inalterata la genitorialità di entrambi.

Al fine di prevenire eventuali problemi di educazione contraddittoria, sono consigliate consulenze pedagogiche per un monitoraggio periodico. Alla luce di quanto detto sinora, si possono identificare alcuni dei principali aspetti positivi di questa nuova norma7:

a) il diritto sancito dei minori alla bigenitorialità, diritto che rappresenta il principio cardine della riforma e sul quale deve basarsi ogni decisione del Giudice;

b) la formulazione del diritto dei minori alla biparentalità, principio innovativo che stabilisce il diritto del minore a continuare a coltivare, in ogni caso, i suoi rapporti con il sistema allargato di

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M. Bacciconi et al., Il nodo dell’affido condiviso nei percorsi di separazione ad alta conflittualità. Aspetti problematici e possibili

interventi corettivi, ONVD, Dipartimento di Medicina e Sanità Pubblica- Medicina legale e Medicina del lavoro - Università di

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84 riferimento, cioè con gli ascendenti e i parenti sia materni che

paterni;

c) l’affermazione della pari dignità dei genitori nella condivisione delle responsabilità per l’esercizio congiunto della potestà e dell’amministrazione.

Con l’introduzione di questo istituto si richiede ai padri e alle madri di impegnarsi per superare le proprie conflittualità al fine di raggiungere una genitorialità cooperativa e consensuale, che permetta di ridurre al minimo eventuali future problematiche dei loro figli. Alla stregua di ciò è previsto che la permanenza del minore presso ciascun genitore venga suddivisa nel modo più equilibrato possibile anche grazie ad un progetto

educativo genitoriale che i due ex coniugi dovranno elaborare e

presentare al Giudice in allegato all’istanza di separazione. Tale progetto è un presupposto indefettibile dell’affidamento condiviso, in primo luogo perché permette al minore di continuare a vivere con ciascuno dei genitori, indipendentemente dai rapporti che intercorrono tra loro e nel modo più equilibrato possibile, in secondo luogo perché in questo modo la coppia dimostra di saper distinguere tra relazione di coppia e relazione genitoriale, superando l’ottica conflittuale insita solitamente nell’affidamento dei figli, con grande senso di responsabilità verso di loro.

L’applicazione di questo istituto richiede senza ombra di dubbio un buon livello di collaborazione tra i coniugi, difficilmente, infatti, si potrà mettere in pratica in una situazione di divorzio ostile.

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85 L’affidamento condiviso, in sintesi, pone tra i suoi obiettivi quello di

attribuire pari diritti e responsabilità ad entrambi gli ex partner, promuovendone la collaborazione e la cooperazione in ogni aspetto riguardante la vita dei figli. Le scelte ordinarie verranno prese dal genitore dove il minore è collocato, pur dovendo sempre tenere conto anche del parere dell’altro: condivisione, infatti, non significa che le scelte dovranno per forza essere prese congiuntamente con l’altro genitore ma semplicemente condivise, cioè senza il dissenso dell’altro. Per quel che riguarda, invece, le scelte straordinarie è necessaria la congiunta volontà, non solo la condivisione.

4. La cogenitorialità: una realtà veramente possibile?

Il nuovo panorama normativo proposto dalla Legge 54/2006, introducendo la cultura del “legame parentale condiviso” ha posto le famiglie, e soprattutto i coniugi impegnati ad affrontare la transizione della separazione e/o del divorzio, di fronte ad una nuova sfida. Con questa normativa, infatti, il legislatore ha voluto attribuire maggior centralità alla funzione genitoriale piuttosto che a quella coniugale ormai erosa, e ha sancito la parità tra le due figure genitoriali e l’importanza della continuità dei legami genitori/figli anche dopo la separazione coniugale.

Il fulcro centrale di questo nuovo orientamento è l’ideale della

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86 genitori attraverso una gestione coordinata della funzione genitoriale,

fondata su una base minima di accordo e collaborazione tra i due.

Una genitorialità condivisa consente un miglior adattamento dei figli, in quanto favorisce il mantenimento dei rapporti con entrambi i genitori e riduce il rischio di far sentire i figli inseriti all’interno del conflitto coniugale, contribuendo anche ad una maggior stabilità del contesto di vita e di sviluppo del minore.

Le modifiche introdotte con la Legge 54/2006 hanno suscitato sin dal principio reazioni contrastanti. Da una parte si sono manifestate le grandi aspettative nei confronti dell’introduzione della nuova norma e di tutti i principi innovativi che portava con sé, dall’altra parte, invece, si sono schierati coloro che nutrivano dubbi e riserve radicali in merito all’effettiva applicazione della stessa.

Coloro che sostenevano la legge la presentavano come il raggiungimento di un grande traguardo a seguito di un difficile confronto durato anni sui temi del diritto alla bigenitorialità dei minori e della tutela dei diritti di entrambi i genitori ad esercitare pienamente la propria funzione anche dopo la separazione. Tutti gli aspetti positivi della norma, ai quali abbiamo già fatto ampio riferimento, vengono presentati dai suoi sostenitori come una conquista in grado di influenzare le future generazioni di genitori.

Dall’altra parte, invece, troviamo coloro che nutrivano, e nutrono tuttora, forti perplessità e manifestavano obiezioni sul piano dei contenuti. In particolare si riferiscono ai principi qualificanti la nuova norma: in riferimento alla bigenitorialità questi sottolineano come la sua novità si riduca solamente all’enunciazione formale di un principio senza, però,

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87 predisporre alle sue spalle un valido apparato per la sua applicazione (ad

esempio indicando gli strumenti giuridici capaci di permettere la realizzazione dei rapporti tra il minore e i parenti del genitore non convivente); per quel che riguarda l’affidamento condiviso in sé per sé contestano che la norma lo presenta, sì, come il mezzo prescelto per preservare la bigenitorialità, giustificando quello esclusivo solo quando l’altro “è contrario all’interesse del minore”, ma non specifica in alcuna maniera su cosa si debba basare il Giudice nella sua scelta anzi, gli lascia un ampio raggio di autonomia8. A tal proposito è importante tenere conto dei numerosi fattori culturali preesistenti nel tessuto sociale che, anche se in buona parte superati, non sono del tutto scomparsi e, perciò, in grado di influire sulla decisione del Giudice. In questo senso coloro che sostengono questa tesi preferirebbero maggiori indicazioni da parte del legislatore.

Dal testo della norma, inoltre, trapela una sorta di atteggiamento di superficialità in riferimento alle situazioni di litigiosità pregresse alla rottura coniugale: si parla di “genitorialità cooperativa” senza tenere conto che gravi situazioni di tensione tra gli ex coniugi rischiano di rendere estremamente complicata l’apertura di un dialogo sereno tra essi o, comunque, di renderlo un procedimento lungo e impervio.

E’ parere dei critici, e in buona parte anche di chi scrive, che a monte di una civile separazione dalla quale far derivare un buon percorso di affido condiviso dovrebbe esistere un discreto livello di maturità genitoriale da parte dei due partner. Purtroppo, non sempre tale maturità è presente

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M. Bacciconi et al., Il nodo dell’affido condiviso nei percorsi di separazione ad alta conflittualità. Aspetti problematici e possibili

interventi corettivi, ONVD, Dipartimento di Medicina e Sanità Pubblica- Medicina legale e Medicina del lavoro - Università di

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88 nella realtà dei fatti mentre il testo normativo sembra darla per scontata:

spesso, infatti, risulta essere carente, se non del tutto assente e comunque messa in pericolo da sentimenti di affermazione della propria forza attraverso il “possesso” del figlio.

A tal proposito, alcuni autori hanno avanzato delle perplessità circa l’opportunità di disporre l’affidamento condiviso in casi di alta conflittualità genitoriale sostenendo la teoria per cui tale istituto, promuovendo maggiori contatti tra gli ex coniugi, darebbe loro maggiori possibilità di perpetrare le battaglie e le litigiosità pregresse, contribuendo a peggiorare una situazione già di per sé precaria. Altri, ancora, sono dell’idea che la frequenza con la quale i genitori si incontrano renderebbe più probabile che i minori restino invischiati in situazioni conflittuali per loro certamente dannose9.

Si ritiene corretto sottolineare che le ricerche in questo senso sono molto poche e che gli studiosi critici in tale direzione sono in netta minoranza. È indubbio, però, che la normativa sull’affido condiviso ha operato una semplificazione, se non addirittura una negazione in certi frangenti, della complessità insita in alcune situazioni di rottura del nucleo familiare, dove appare quasi un’utopia avere una comunicazione serena e cooperativa tra i coniugi nella prima fase di una separazione.

A questo punto appare doveroso osservare la realtà dei fatti al fine di comprendere l’effettiva applicazione della norma, a prescindere dalle critiche esposte.

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M. Malagoli Togliatti (a cura di), Affido congiunto e condivisione della genitorialità. Un contributo alla discussione in ambito

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89 Secondo i dati a nostra disposizione, sino al 2005 l’affido esclusivo dei

figli minori alla madre è stata la tipologia di affidamento più applicata. La custodia paterna si è mostrata residuale.

A partire dal 2006, con l’introduzione della nuova normativa, la quota di affidamenti concessi in esclusiva alla madre si è ridotta drasticamente a favore dell’affidamento condiviso. Nel 2009 le separazioni con figli in affidamento condiviso sono state l’86%, contro il 12,2% di quelle con figli affidati esclusivamente alla madre10.

Il ricorso all’affidamento condiviso, naturalmente, è legato anche alla scelta del rito con cui si conclude il rapporto: tale tipologia viene adottata nel 90,2% delle separazioni consensuali contro il 62,8% di quelle giudiziali. Nei divorzi tale differenza appare meno netta: 71,9% di affidamenti condivisi nei divorzi conclusi con rito consensuale e 60,5% per quelli conclusi con rito giudiziale11.

Dunque, nella realtà dei fatti, il principio dell’affidamento condiviso pare non essere seriamente ostacolato dalla conflittualità dei genitori.

5. I figli nel divorzio

La ricerca psicologica sul divorzio ha contribuito notevolmente alla diffusione dell’affidamento condiviso. Molte ricerche, infatti, hanno dimostrato che il mantenimento dei contatti con entrambi i genitori contribuisce ad attenuare nei bambini l’ansia e vissuti di abbandono, il timore di rifiuto e di perdita di un genitore nonché gli eventuali timori di

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Istat, Separazioni e divorzi in Italia, Anno 2009, Statistiche Report, pubblicato il 7 luglio 2011

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90 essere loro stessi la causa della separazione. In più, tale forma di

continuità con lo stile di vita precedente la separazione fornisce ai minori la possibilità di usufruire di tutte e due i modelli genitoriali12. Ancora, la possibilità di incontri frequenti con entrambi i genitori costituisce un freno alla denigrazione del genitore non residente da parte dell’altro, evitando l’insorgenza nel bambino di atteggiamenti ostili e comportamenti disturbati verso il sesso di appartenenza del genitore non convivente, con problematiche che spesso si evidenziano in età adolescenziale13.

Molti, ancora, sono gli studi che hanno sottolineato come il divorzio possa rappresentare un evento dalle conseguenze positive per tutti i membri della famiglia quando porta alla riduzione dei conflitti e se i rapporti tra i genitori sono caratterizzati da cooperazione.

Questi studi disegnano il divorzio come un processo principalmente psicologico. Oltre al divorzio dal punto di vista giuridico, che mette fine al solo legame coniugale, infatti, vi sono anche altri compiti di sviluppo che la ex coppia si trova costretta ad assolvere: elaborare un divorzio psichico che gli permetta di effettuare una separazione tra relazione coniugale ed i suoi eventuali conflitti, ridefinire i confini coniugali e quelli familiari e scindere la relazione coniugale da quella genitoriale, che permane e che deve essere gestita in modo cooperativo14.

12

M. Malagoli Togliatti (a cura di), Affido congiunto e condivisione della genitorialità. Un contributo alla discussione in ambito

psicogiuridico, Milano, FrancoAngeli, 2002, p. 21

13

M. Malagoli Togliatti (a cura di), ibidem, p. 21 14

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91 Nelle ricerche sul divorzio gli studiosi non si sono concentrati solamente

sulla rottura del rapporto coniugale in sé per sé, ma anche, e soprattutto, sulle conseguenze che questa può avere sui figli che restano, loro malgrado, coinvolti nel processo.

Tra coloro che si sono impegnati nello studio degli effetti del divorzio vi sono correnti di pensiero differenti: chi sostiene che il divorzio devasti in modo quasi definitivo la vita dei bambini e chi, al contrario, sostiene sia solamente una delle numerose sfide che la vita pone, con un impatto emotivo insignificante sulla vita dei bambini. In verità la realtà è molto più complessa di come può apparire.

Sono molti i bambini che soffrono a causa del divorzio dei propri genitori ma, allo stesso tempo, la maggior parte di loro mostra di possedere una notevole capacità di resilienza e di acquistarne di nuova affrontando questo ostacolo15. Con ciò non si vuole negare che il divorzio rappresenti un evento potenzialmente dannoso per i bambini coinvolti, ma il più delle volte sono i comportamenti errati messi in atto dagli adulti di riferimento a provocare danni piuttosto che il processo in sé per sé. A questo proposito risulta fondamentale impegnarsi il più possibile per tenere fuori i bambini dalle liti degli adulti evitando i cosiddetti “processi di triangolazione”, nei quali i due genitori coinvolgono il figlio per dirottare la tensione che si è creata tra loro. Nei casi di divorzio ostile questo processo assume toni pesanti quando il figlio viene implicato come fosse un intermediario tra i genitori in guerra, oppure viene tirato da una parte

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92 e dall’altra e coinvolto in lotte di potere e richieste di lealtà da parte

dell’uno o dell’altro genitore16.

E’ giusto che i bambini continuino ad essere amati e a sentirsi amati da entrambi i genitori senza essere messi nelle condizioni di doverne scegliere uno piuttosto che l’altro. Devono poter continuare ad avere una vita il più possibile serena e essere bambini in tutto e per tutto, senza sentirsi responsabili e dover sopportare il carico dei problemi dei genitori.

I due ex coniugi non possono concedersi il lusso di venire travolti completamente dalle emozioni perché hanno comunque un ruolo da mantenere e delle responsabilità da portare avanti in quanto genitori. Dagli studi è emerso che vi sono diverse variabili capaci di influenzare le reazioni dei figli coinvolti nel processo

In primo luogo abbiamo la variabile dell’età.

Gli studi hanno dimostrato che più i figli sono piccoli e più rischiano di risentire negativamente della separazione dei genitori. Per loro la difficoltà maggiore da affrontare è relativa alla frattura dell’unità familiare identificata nell’unione del padre e della madre.

Certi bambini vivono l’esperienza di una relazione tumultuosa tra il padre e la madre come una minaccia alla propria sicurezza, in questo senso la perdita della coppia genitoriale costituisce una delle principali cause della loro sofferenza. Per un bambino la famiglia è l’unica cosa che ha posseduto e per questo rappresenta tutto il suo mondo17. Per questo

16

Froma Walsh, La resilienza familiare, Milano, Raffaello Cortina Editore, 2008, p. 123 17

Di Sauro Rosario, Bertiè Stefania, La genitorialità. Percorsi di crescita e fattori di rischio psicopatologico,Roma, Aracne editrice, 2006,p. 39

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93 motivo, specie quando i bambini coinvolti sono molto piccoli e più

vulnerabili, l’allontanamento di uno dei genitori può essere vissuto come irreversibile, dando origine a vissuti di perdita e di abbandono.

Altri studi, invece, hanno dimostrato che le difficoltà vengono rilevate più spesso nel passaggio tra la tarda infanzia, la preadolescenza e la media adolescenza, periodi di transizione particolarmente problematici. In queste fasi i ragazzi si troverebbero ad affrontare contemporaneamente la transizione dal corpo e dalla mente infantile verso il corpo e la mente adulta e quella del divorzio dei genitori, in cui si trovano per forza di cose coinvolti18.

La variabile dell’età è importante anche perché incide sullo sviluppo cognitivo: crescendo il bambino acquista maggiore capacità di giudizio e maggiori possibilità di decidere autonomamente in merito alla propria collocazione o in riferimento ad un’eventuale alleanza con l’uno o l’altro genitore. Dal canto loro, i genitori si comportano in modo differente in relazione all’età dei figli: più questi sono grandi e più tendono a cercare di creare in loro dei conflitti di lealtà chiedendogli, ad esempio, alleanza o appoggio o, ancora, comunicando loro aspetti negativi dell’altro genitore, in modo da metterlo in cattiva luce ai suoi occhi. In questo caso lo sviluppo cognitivo andrebbe a rappresentare non tanto un guadagno per i figli quanto, piuttosto, un moltiplicatore di problemi19.

Anche il genere non è un dettaglio da trascurare.

18

V. Cigoli, Psicologia della separazione e del divorzio, Bologna, Il Mulino, 1998, p. 25

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94 Diverse sono le teorie dei ricercatori, una delle più accreditate fa

riferimento alla “theory sex-role” di Ambert20. Secondo tale teoria i conflitti di lealtà risultano essere più frequenti quando i figli vivono con il genitore di sesso opposto: i figli affidati al padre appaiono meno ribelli e con maggiore autostima rispetto ai ragazzi che vivono con la madre, mentre le ragazze che vivono con il padre mostrano livelli più alti di aggressività e problemi comportamentali.

Comunque sia, la transizione dalla famiglia unita a quella divorziata risulta essere più difficile per i maschi perché privati dei modelli identificatori relativi al proprio sesso.

Tra i figli di genitori separati i sentimenti più ricorrenti risultano essere: la rabbia, perché vorrebbero rivedere di nuovo insieme i propri genitori; l’aggressività verso uno dei genitori che può essere conseguenza di false verità riferite dall’altro: l’ansia per la costante minaccia di perdita della sicurezza e il senso di impotenza rispetto alla situazione; il senso di colpa per il timore di essere responsabili della separazione dei genitori.

6. La mediazione familiare

L’impostazione introdotta dalla nuova disciplina dell’affidamento condiviso tende a salvaguardare le relazioni del figlio con ambedue le figure genitoriali, nella speranza che egli possa vivere con minore senso di perdita la disgregazione familiare.

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95 Il problema centrale, in questa situazione, è quello di cercare di ridurre al

minimo la conflittualità, il più delle volte esistente tra i genitori. Questa risulta essere una problematica di fondamentale importanza se si pensa che in molti casi tale conflittualità impedisce ai coniugi di cooperare nella gestione delle funzioni genitoriali, facendogli perdere di vista il loro unico vero fine: il benessere fisico e psichico dei loro figli.

La crisi della stabilità familiare, dunque, può portare difficoltà psichiche sia nei coniugi che nei figli di separati, involontari attori del processo di transizione e spesso oggetto di coalizioni o di attacco nella discordia genitoriale.

E’ proprio nel fine di recuperare un dialogo e un rapporto cooperativo tra i genitori che vede la sua ragion d’essere la mediazione familiare. Il suo principale obiettivo è quello di aiutare i due ex coniugi a passare da una situazione conflittuale ad una di consenso attraverso un accordo che possa promuovere l’affido condiviso o anche altre modalità di affidamento, e che consenta ai genitori di esercitare le proprie responsabilità parentali in un clima di cooperazione e di mutuo rispetto21. Questo strumento altro non è che un intervento professionale offerto alla coppia quando i partner stanno decidendo di separarsi o hanno già avviato una rottura del legame e necessitano di uno spazio per pensare alla riorganizzazione familiare.

Secondo la definizione data dalla Charte Europeénne de la formation dés mediateurs familiaux, per mediazione familiare si intende:

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Della Casa Franco, Dogliotti Massimo, Ferrando Gilda, Figone Alberto, Mazza Galanti Francesco, Spallarossa M. Rosa(a cura di), Famiglia e servizi. Il minore, la famiglia e le dinamiche giudiziarie, Milano, Giuffrè editore, 2001, p. 282

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96

‹‹ … un processo nel quale un terzo con una preparazione specifica è sollecitato dalle parti ad intervenire per affrontare le questioni conflittuali connesse con la riorganizzazione familiare

in vista o a seguito della separazione coniugale …››22

Sostanzialmente la mediazione familiare viene usata come strumento di regolazione dei conflitti coniugali, in modo da evitare la via del contenzioso e, quindi, una separazione e/o un divorzio giudiziale. Si sottolinea che tale strumento non si è posto come alternativa ad altri tipologie di consultazione, tant’è vero che viene valutata positivamente la cosiddetta mediazione interdisciplinare, che prevede la successione di sedute con un legale e con un mediatore di formazione psicosociale, in modo da poter affrontare temi diversi nei singoli incontri23.

In Italia sono stati aperti diversi servizi pubblici di mediazione familiare, il più delle volte presso consultori familiari o nei centri per le famiglie, ai quali si appoggia anche la magistratura.

Gli obiettivi della mediazione come mezzo di accompagnamento nella transizione familiare sono orientati a permettere alla coppia di sviluppare una maggiore capacità di ascolto, una maggiore tolleranza verso l’indecisione e di prendere decisioni e rispettarle nel tempo.

Affinché i coniugi raggiungano tali obiettivi la mediazione si avvale di un terzo neutrale e qualificato: il mediatore familiare. La sua funzione è quella di aiutare i due ex partner a gestire le difficoltà emotive e organizzative scaturite con la frattura del legame coniugale, al fine di

22

V. Cigoli, Psicologia della separazione e del divorzio, Bologna, Il Mulino, 1998, p. 47

23

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97 raggiungere un’intesa soddisfacente per tutti i membri della famiglia, in

particolar modo per i figli.

In questo senso, la mediazione familiare rappresenta sì un aiuto nei confronti della famiglia, ma per prima cosa è un intervento preventivo rispetto al rischio di disagio dei minori.

Il mediatore familiare non risolve i conflitti, bensì cerca di mettere le parti in condizione di uscire da una situazione di stallo facendogli acquisire o riscoprire la loro abilità di problem-solving.

Essendo uno strumento ricco di potenzialità, si ritiene necessario che il legislatore lo inserisca non più solo come possibilità suggerita, bensì come un passaggio obbligatorio dei processi di separazione e divorzio, soprattutto in vista dell’attuazione di un affidamento di tipo condiviso. Ed é essenziale che qualunque sia la decisione presa dalla coppia in sede di mediazione, questa sia rispettata anche dal contesto giuridico.

Appare opportuno, dunque, considerare l’opportunità di un doppio binario per la risoluzione dei problemi legati al conflitto coniugale nella separazione: uno giuridico e uno emotivo-affettivo, entrambi da trattare in un unico contesto mediante il ricorso a figure multidisciplinari (psicologi, psicoterapeuti, assistenti sociali ….) che possano aiutare la famiglia ad individuare un nuovo assetto di vita. Perché la risoluzione dei conflitti, alla quale accenna spesso la giurisprudenza anche per quel che riguarda l’affido condiviso, avviene per via negoziale e si costruisce attraverso un processo di negoziazione che comprende soprattutto il registro degli affetti e cioè i bisogni, le vergogne, i timori e le speranze

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98 delle parti24. Processo che non può certo portarsi a termine in modo

soddisfacente solamente con mezzi legali.

7. Un caso particolare: l’affido familiare

La legge 898/1970 sul divorzio, all’art. 6 comma 8, prevede un’ulteriore modalità di affidamento dei figli: l’affidamento familiare.

“In caso di temporanea impossibilità di affidare il minore ad uno dei genitori, il tribunale procede all’affidamento familiare ….”

Dunque, nel caso in cui entrambi i genitori dovessero risultare inidonei ad occuparsi dei figli o se ne rifiutassero l’affidamento, il Giudice può disporre il collocamento presso un parente, previo consenso, oppure presso terzi non familiari. Un affidamento, cioè, ad un’altra famiglia, preferibilmente con figli minori, in grado di assicurargli il mantenimento, l’educazione, l’istruzione e le relazioni affettive di cui ha bisogno25. Naturalmente, si ricorre a questa soluzione solo nei casi più gravi di genitorialità carente (le percentuali di affidi familiari a seguito di problematiche nelle relazioni familiari risultano essere molto basse: l’8%) ; situazione questa che può essere conseguenza della conflittualità certamente scaturita dal processo di separazione, ma che molto spesso era presente anche prima (si tenga presente che nella maggioranza dei casi le

24

V. Cigoli, ibidem, p. 57

25

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99 cause del divorzio non sono relative a situazioni nate nel momento in cui

la coppia decide di dividersi, ma si riferiscono a problematiche già presenti nella relazione, magari rimasti latenti per lungo tempo e affrontate tutte insieme in seguito al manifestarsi di una causa scatenante).

Quello dell’affido familiare è un istituto molto presente nella realtà delle problematiche minorili e perciò ben conosciuto dai Servizi Sociali. E’ uno strumento che ha come fine principale quello di garantire una maggior stabilità emotiva ai bambini ed un incremento della loro capacità di adattamento e, in secondo luogo, punta ad aiutare le famiglie di origine a ricostruire la propria genitorialità.

L’affido familiare, istituito con la Legge 184 del 1983 poi riformata nel 2001, è un intervento che permette al minore di essere accolto in un’altra famiglia, diversa da quella di origine, a seguito di situazioni di inadeguatezza e di funzionalità genitoriali carenti, che nella maggioranza dei casi viene effettuato non all’interno di processi di aiuto e prese in carico che potrebbero condurre all’adozione di questo provvedimento in modo spontaneo attraverso il coinvolgimento diretto delle famiglie, bensì attraverso provvedimenti attivati coattivamente dall’autorità giudiziaria con tempi e bisogni che non sempre collimano con i processi di tutela. I principi basilari dell’affidamento familiare sono: in primo luogo la temporaneità, in quanto l’istituto non nasce come provvedimento definitivo ma con un tempo massimo di 24 mesi, con la possibilità di essere prorogato nel caso in cui il recupero della famiglia di origine richieda più tempo (tant’è che nel 57% dei casi l’affidamento dura molto di più dei 24 mesi previsti dalla legge, trasformandosi nel cosiddetto

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100 “affidamento sine die”). A livello nazionale oltre la metà degli affidi

divengono sine die: in certe zone dell’Italia le percentuali sono oltre l’80%. Bisogna prendere atto che solo un terzo dei minori in affido fa ritorno a casa propria.

Tra le cause più significative di questo fenomeno troviamo: l’uso tardivo dello “strumento” affido familiare, poiché troppo spesso viene lasciato come ultima spiaggia. Questo tergiversare il più delle volte fa sì che la situazione diventi irrecuperabile impedendo il successivo rientro del minore nella sua famiglia d’origine. Spesso accade che, una volta affidato il bambino alla famiglia prescelta, il lavoro con quella di origine vada a scemare drasticamente, facendo così perdere di vista uno degli obiettivi basilari dell’istituto stesso. Così facendo le probabilità che l’affido familiare si concluda positivamente diminuiscono drasticamente. Abbiamo, poi, la resistenza a pronunciarsi per l’adozione, situazione questa legata alla convinzione per cui il bambino sta bene solo con la propria famiglia. Con ciò non si vuole negare il fatto, ma si cerca solamente di dire che non sempre la famiglia d’origine può essere recuperata e, di conseguenza, è auspicabile un rientro del minore anzi, in certe situazioni questo farebbe più danni che altro. E’ consigliabile, dunque, non dilungare troppo i tempi: se la famiglia di origine risulta essere non più recuperabile è fondamentale pronunciarsi al più presto in favore dell’adozione, senza portare avanti inutilmente l’affido. Questo consiglio vale sia per i Servizi che per la Magistratura. In questo caso è anche opportuno valutare la possibilità di cambiare la famiglia affidataria, in quanto non è detto che quella disponibile per un affido temporaneo lo sia anche per un’adozione che, come sappiamo, non ha

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101 carattere di temporaneità: un conto è avere un “figlio” per qualche tempo

ed occuparsene nell’ottica di un suo ritorno alla propria famiglia, un altro è avere un figlio vero e proprio, soprattutto quando se ne hanno altri o magari l’età comincia ad essere più avanzata.

Altro principio base dell’affidamento familiare è l’importanza del mantenimento dei rapporti tra i minori affidati e la famiglia di origine, non solo per quel che riguarda i rapporti giuridici ma anche quelli di fatto. Ovviamente il mantenimento dei rapporti è figlio della logica della temporaneità: siccome si tratta di un intervento temporaneo è naturale che il minore mantenga rapporti con la propria famiglia, in vista di un suo ritorno all’interno del suo nucleo di origine.

Nella situazione trattata in questa sede, quindi, un affidamento familiare come conseguenza di conflittualità molto marcata nella coppia genitoriale a seguito di una separazione e/o divorzio, che mette in luce carenze genitoriali per le quali i genitori perdono di vista le responsabilità che comunque mantengono nei confronti dei propri figli, questa soluzione risulta essere presa con cautela e solo per situazioni di estrema gravità. Nei casi di separazione giudiziale dove non esiste accordo tra le parti, il giudice per tutelare e proteggere l’interesse del minore, in assenza di una valida alternativa, può decidere di valutare quella che è la realtà familiare avvalendosi di una consulenza tecnica d’ufficio (CTU) al fine di scegliere la soluzione affidataria più serena e adatta ai figli e garantirgli così un sano sviluppo psico-fisico.

Se dall’indagine risulta esserci una situazione di importante carenza genitoriale, non solo dal punto di vista emotivo ma anche da quello economico, e un ambiente poco sereno e accogliente per la crescita di un

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102 figlio,il Giudice può decidere per un affidamento familiare presso un

parente (se ritenuto idoneo) o presso un terzo non familiare, scelto avvalendosi dell’aiuto dei servizi sociali.

Per capire se i candidati siano o meno idonei all’affido è necessario conoscerli e per farlo gli operatori devono valutare diversi elementi. Innanzitutto è importante capire le motivazioni che spingono una coppia (in realtà l’istituto dell’affidamento familiare è aperto anche ai single) a candidarsi per l’affido. Possono essere di diverso tipo: perché la coppia è mossa da istanze di sensibilità, solidarietà e impegno sociale; perché spinta da un forte desiderio di genitorialità, magari non realizzato per problemi di natura personale e/o medica. Oppure ancora la coppia potrebbe essere molto sensibile verso problemi già vissuti da loro stessi e, per questo, spinti da istanze autoriparative (laddove questa istanza è riconosciuta non pervasiva e non crea problemi).

L’indagine conoscitiva compiuta dagli operatori sociali deve avvenire nel minor tempo possibile, di solito si compone di massimo cinque colloqui e una visita domiciliare - che hanno il fine di osservare l’interazione della coppia, l’interazione della coppia con gli eventuali figli presenti, la casa e i suoi spazi e l’eventuale conoscenza dei parenti – e si basa sulla ricerca di quelle che sono le caratteristiche dei “buoni genitori affidatari”, sondando sette aree di indagine:

1. la personalità di ciascun partner. Si deve riuscire a ricostruire la storia personale dei partner, mettendo insieme in modo critico le loro esperienze di vita, sia singole che di coppia. Nel fare ciò è importante tenere conto anche di “come” le persone

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103 raccontano le proprie storie, perché in tal modo si può capire

quanto una persona sia consapevole di quello che gli è successo e quanto sia coesa dentro di sé;

2. le competenze genitoriali, bisogna cioè capire che tipo di genitori sarebbero e quale stile di accudimento adotterebbero, le regole che imporrebbero, quale stile educativo porterebbero avanti e il livello di capacità di lettura dei bisogni del bambino; 3. la qualità della relazione di coppia;

4. l’estensione e l’effettiva esistenza di una rete relazionale e, quindi, i rapporti con la famiglia estesa (nonni materni e paterni) e con la rete amicale;

5. le motivazioni che hanno spinto la coppia a candidarsi per l’affido, comprese le aspettative che loro stessi nutrono nei confronti dell’affido stesso e la loro effettiva disponibilità; 6. il grado di preparazione all’affido. I genitori affidatari sono

chiamati a fare i genitori senza però esserli nella realtà e questo a volte può creare problemi in quanto implica , tra le altre cose, anche la disponibilità ad accogliere la famiglia di origine del bambino e a mantenervi rapporti. Ancora, la famiglia affidataria deve essere capace di fare “gioco di squadra”, cioè avere un rapporto di cooperazione con la famiglia d’origine, gli operatori dei Servizi Sociali e il Tribunale. Infine, deve essere preparata e capace di affrontare un eventuale “funzionamento alterato” del bambino;

7. la presenza di altri figli. Spesso le coppie candidate hanno già altri figli propri (anzi, la già citata Legge 184/1983 all’art.2,

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104 preferisce la presenza di figli minori nella famiglia affidataria)

e, quindi, è necessario capire se questi sono pronti e in grado di affrontare e sopportare la fatica e lo stress che, di certo, deriveranno dall’arrivo di un altro “figlio” in famiglia.

Durante tutto il periodo dell’affido, sia nella fase conoscitiva che in quella dell’affido vero e proprio, il Servizio rimane in gioco mantenendo rapporti similari con la famiglia affidataria e con quella di origine.

Riferimenti

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