CAPITOLO 6: LA SCUOLA
E IL GIOCO COME RISORSE PER FAVORIRE
“L'INCLUSIONE”
Le difficoltà del mondo della disabilità sono visibili a tutti: come citato nei primi capitoli, non solo nell'ambiente di tutti i giorni (barriere architettoniche ecc..), ma soprattutto a livello di relazione con gli altri.
Durante la fase di crescita, questi ragazzi trovano difficoltà in molti contesti, ma uno dei primi step che sicuramente dovranno affrontare è entrare nel mondo della scuola.
Ogni giorno che passa è sempre più difficile, anche nel mondo degli adulti, accettare il diverso, i limiti di una persona; la perfezione deve essere parte di tutti, il prototipo umano non accetta “il diverso”.
Un ente universale che dovrebbe accettare chiunque è sicuramente la scuola: purtroppo la storia ci insegna che anche qui per creare “il modello perfetto” non era certo l'ideale quello di includere persone “diversamente abili”.
Qualcuno potrebbe pensare che l'entrata di un alunno che presenta delle diversità nei comportamenti, atteggiamenti, movimenti, nel suo carattere, può portare a un disequilibrio all'interno di quella che, per tutti, è un sistema perfetto; l'alunno diverso dovrà confrontarsi con un sistema poco flessibile, soprattutto quando si parla di 30 anni fa.
Il problema sussiste quando all'interno della scuola si trovano bambini o anche insegnati che non accettano il diverso.
Per quanto riguarda la psicologia del bambino, è un mondo molto complicato perchè, se da una parte all'inizio abbiamo il rifiuto, le prese in giro, le offese, dall'altra con il passare del tempo, può innescarsi un meccanismo di accettazione del bambino diversamente abile attraverso un atteggiamento di completa indifferenza: il diverso viene completamente isolato nei suoi giochi, “non è capace per cui non può giocare”.
Mentre altre volte si innesca un “meccanismo di protezione”: mi è capitato molte volte, soprattutto quando insegnavo educazione fisica nei bambini nelle scuole, di vedere il bambino proteggere il suo compagno incapace di compiere determinati giochi ed aiutarlo per esempio prendendolo per mano durante un'attività motoria, o comunque cercare di incitarlo a renderlo partecipe all'attività di gruppo. É veramente bello quando si crea la
giusta affinità tra i compagni; a volte anche il cosidetto “bullo”, il bambino che si diversifica dagli altri per i suoi atteggiamenti estremamente vivaci e poco amichevoli, si protrae in protezione del compagno “speciale”, lui è il più forte e deve proteggere io più debole.
Mentre per quanto riguarda la figura dell'insegnante, è fondamentale nel tema dell'inclusione scolastica: se quest'ultima manca di un atteggiamento positivo, se tende a non coinvolgere l'alunno speciale nelle attività ed escluderlo dal gruppo della classe, per lui si aggiunge un'ulteriore difficoltà.
E' necessario mettere in grado l'insegnante di accettare la sua (in)disposizione ad accogliere le diversità, poiché può diventare escludente a seconda del mondo con cui concepisce o mette in pratica l'inclusione.21
Sono molti i casi dove l'insegnante trova difficoltà ad accettare queste persone, mentre è ritenuta ottima con i bambini “normali”: a volte semplicemente non è preparata ad affrontare una situazione diversa della solita routine, altre volte invece è proprio lei stessa che non riesce ad accettare qualcuno che non riesca ad eseguire i compiti assegnati.
Fortunatamente adesso le cose stanno migliorando perchè nelle scuole è stata riconosciuta la figura dell'insegnante di sostegno per questi bambini speciali.
L'entrata in vigore di queste figure, hanno sicuramente aiutato il mondo istituzionale ad aprire molte più porte nel mondo della diversità.
Il mondo si è evoluto, molti stupidi pregiudizi si sono placati e la scuola comincia adesso ad aprire le porte: questi bambini vengono chiamati “alunni speciali”.
“L'educazione inclusiva si trasforma in un'eccezionale alternativa di insegnamento solo se nella scuola vengono introdotti i giusti adeguamenti.22”
Infatti dobbiamo tener conto che, quelle che possono sembrare banalità, in realtà sono indispensabili per il percorso dell'alunno speciale: analizzare cosa devono imparare, il come e quando; domande importanti per poter stabilire un programma ideale e personalizzato. L'idea perfetta, appunto, è proprio quella di poter inserire dei piani individualizzati per ogni tipo di alunno speciale, con priorità alle attività a cui risponde meglio e sono più produttive e spronarli a quelle in cui trovano più difficoltà; vi sono poi dei contenuti minimi come l'alfabetizzazione o lo sviluppo delle capacità di ragionamento logico-matematico, che
devono essere insegnati gradualmente per poter garantire l'esercizio della cittadinanza. Prestare attenzione, osservarli è essenziale: dobbiamo capire che per loro anche il semplice sfogliare un libro, o tenere una matita tra le dita è un traguardo enorme; l'insegnante quindi non dovrà mai lasciarli soli e non dovrà mai stancarsi, ma complimentarsi ogni volta che il suo corpo risponde alle esigenze richieste.
Dovrà avere una visione completa dell'alunno, conoscerlo, capire quali sono i suoi limiti, i suoi atteggiamenti, le sue paure e difficoltà, stimolarlo a fare sempre meglio: il dialogo e il contatto sono fondamentali per far si che l'alunno speciale si fidi di te.
“La scuola deve integrare tutti gli alunni, a livello sociale che di programma curricolare, indipendentemente dal fatto che siano o no portatori di disabilità (..); l'insegnamento inclusivo deve proporre una pratica pedagogica che promuova l'inserimento di tutti gli individui nelle scuole, le quali devono soddisfare tutti i tipi di necessità e bisogni, indipendentemente dalla disabilità, dallo status socioeconomico o dall'origine culturale dei loro utenti.”23
Se andiamo ad analizzare lo scritto, il tutto ruota intorno al termine Socializzazione: è una tappa fondamentale per ognuno di noi, soprattutto nell'età bambina.
Nella mia piccola esperienza ho notato che alcuni insegnanti rifiutano di modificare i loro insegnamenti, poiché credono che lavorare con gli alunni “speciali” sia un compito riservato esclusivamente ad un gruppo ristretto di esperti; altri, invece, partecipano attivamente alla creazione di condizioni favorevoli.
La scuola, in collaborazione poi con la famiglia, è promossa come istituzione per promuovere lo sviluppo infantile.
Come tutti possiamo immaginare, uno degli strumenti per promuovere l'inclusione scolastica e la socializzazione è il gioco.
Se prendiamo alcune citazioni dai vocaboli o dai libri le definizioni di gioco sono:
“Qualsiasi attività a cui si dedicano adulti e bambini a scopo di svago e anche per esercitare il corpo e la mente.”24
oppure “Competizione di vario tipo tra due o più persone, basata su regole, il cui esito dipende dall'abilità o dalla sorte.”25
o “Attività, disciplina, competizione sportiva”26
svago”: questo è lo scopo, utilizzare il gioco come svago, divertimentoe socializzazione. Già nell'antichità il gioco era considerato un'attività caratteristica sia per i bambini che per gli adulti: feste, momenti di svago a cui partecipavano tutti insieme; già qui era considerato un fenomeno sociale alla quale tutti prendevano parte.
Il gioco per il bambino è un modo per esprimere se stesso, i propri sentimenti: dentro di lui si crea un universo a parte, dove tutta la sua fantasia/immaginazione viene tirata fuori; gli permette di fare esperienza di molte situazioni nuove e nell'ambiente, un'attività libera spontanea, responsabile dello sviluppo fisico, morale e cognitivo.
Per poter coincidere le due facce, scuola e gioco, è proprio attraverso quest'ultimo che possiamo far in modo che le relazioni diventino più facili e lasciare da parte le etichette attribuite sia dai compagni, dalle maestre che dai professionisti coinvolti nell'educazione. Rafforzando le attività ludiche a scuola, possiamo rafforzare il processo di socializzazione e di inclusione dei diversamente abili.
L'attività ludica può avere diverse facce ed inserita a scuola in diverse modalità: dall'intervallo, alle attività mirate come la lezione di educazione fisica, allo spazio all'aperto. Grazie al gioco, il bambino accresce la sua autostima, la fiducia in se stesso, entra in contatto con altri gruppi sociali e anche con il mondo del diversamente abile: sarà un modo per scoprire, conoscere una realtà diversa e nello stesso tempo, riuscire ad accettarlo.
E' ottimo per migliorare la convivenza con l'altro: qui il bambino dovrà confrontarsi, dovrà riuscire a condividere i suoi giochi con il compagno, quindi si sviluppa anche il senso di fiducia, di generosità, di altruismo.
Nel mondo del diversamente abile il gioco è tutto: ogni movimento che dovranno affrontare, viene sempre visto come attività ludica e reso più divertente grazie all'utilizzo dei Grandi e Piccoli attrezzi, soprattutto di quest'ultimi: palloni, birilli, palline da tennis (ecc..)
Il gioco è un mezzo di ritrovo, di scambio di pensieri, parole ed un inizio per l'approccio con l'altro: anche questo fattore lo possiamo mettere come oggetto di inclusione.
Potrà essere banale ma è proprio l'istituzione scolastica che deve mirare a far si che il gioco sia un elemento per socializzare: quale altro posto è migliore se non qui, con bambini di età
---23 “Imparare a includere” Isabel C. Hierro Parolin ed. Erickson 24/25/26: www. dizionari.corriere.it
diverse che si ritrovano uniti sotto lo stesso tetto.
La visione globale del bambino cambia: adesso non è più lui e il piccolo cerchio familiare, ma è il mondo che deve affrontare e tutte le sue diversità; quale mezzo migliorare per scoprirlo se non “giocando”.
La difficoltà delle persone diversamente abili non si ritrovano solo nella scuola: la vita è un continuo affronto, un cammino: nel lavoro, nello sport ecc..
Il mondo della disabilità è vasto, ma esistono quelle persone che pur avendo un deficit riescono comunque a svolgere il loro dovere: basti pensare a chi è affetto da disprassia, goffaggine, alcuni ritardi mentali lievi. Forse alcuni di loro non possono svolgere alcuni compiti manuali o altri non possono svolgere lavori di calcolo, ma sicuramente qualcosa per loro c'è.
La scuola è il primo ambiente dove il bambino conosce gli altri e per gli alunni speciali possiamo dire che è il primo step dove potrebbe essere giudicato per il suo aspetto o per le sue movenze.
E' per questo che inserire la parola “gioco” nella scuola è un modo per permettere di mettere tutti sullo stesso piano, di interagire con l'altro in maniera spontanea, condividere e non essere giudicato.
Il gioco potrebbe essere racchiuso anche nelle ore di ginnastica, dove un semplice percorso che ricrea gli schemi motori di base è un modo divertente per stare con gli altri.
“Per promuovere l'inclusione non esistono delle prescrizioni, un metodo o una regola. Esiste un principio, che è quello secondo cui tutti hanno diritto di
appartenere, ossia, di far parte di un gruppo
”
27Abbattiamo queste barriere mentali, abbandoniamo tutti quei pregiudizi e quella società che non ammette il diverso; ancora oggi molte sono le discriminazioni, le offese, le minacce che ogni giorno queste persone devono affrontare. L'obiettivo quindi e la vera necessità è che la scuola diventi sempre più inclusiva, accogliendo ogni tipologia di bambino con condizioni fisiche, intellettuali, sociali, diverse, bambini con un contesto familiare difficile, bambini soli e di strada, bambini di varie etnie.
In Italia fortunatamente l'integrazione degli alunni con disabilità nella scuola è un punto di forza: la piena inclusione degli alunni speciali è un obiettivo che si persegue attraverso una intesa e articolata progettualità ed attraverso le risorse del territorio.
Sono tante le Associazioni, le Istituzioni, gli Enti che stanno lottando per poter integrare tutte queste persone speciali e facilitare la loro vita: basta navigare sul web un po scrivendo la frase “inclusione diversamente abili”, che si può notare la vasta gamma di siti che trattano proprio di questo argomento.
CONCLUSIONI
Nel concludere questa tesi volevo innanzitutto ringraziare i ragazzi che mi hanno permesso di poter svolgere questo lavoro: Nicola e Matteo. Mi hanno accolta benissimo, hanno accettato di farsi fotografare mentre svolgevano il loro abituale allenamento.
La loro situazione, soprattutto quella di Nicola, è davvero difficile e a volte anche i professionisti e soprattutto i familiari che li stanno accanto ogni giorno, possono abbattersi e non trovare una via d'uscita: ma è grazie ai loro sorrisi, alle piccole soddisfazioni che ci regalano ogni giorno e la loro costanza che ci permettono di andare avanti, di dare una speranza a loro che, solo con gli occhi, ti trasmettono il loro affetto.
Io sono stata fortunata perchè Nicola e Matteo sono due ragazzi aperti e ho potuto stringere un piccolo rapporto con loro, soprattutto con Matteo dato che ha una minore disabilità: abbiamo parlato, scherzato e lavorato con lo spirito giusto.
Invece, parlando con il mio professore, altri casi sono estremamente difficile da trattare: i ragazzi sono violenti, non rispondono alle richieste e tendono a chiudersi in se stessi.
Il mio ringraziamento va anche a tutte quelle persone che ogni giorno, soprattutto i volontari, si dedicano a queste persone: ho avuto modo di poter vedere una piccola parte di questa attività e secondo il mio parere non tutti sono dotati del dono di poter lavorare con queste persone.
Bisogna avere pazienza, empatia ma soprattutto tanta speranza: i risultati non si ottengono all'istante, ma il lavoro deve essere graduale e ben strutturato, guidato da professionisti. Dobbiamo spronare le famiglie a portare questi ragazzi in palestra, non solo per il beneficio che ne ritraggono facendo tutti gli esercizi descritti, ma soprattutto perchè trovano figure nuove, volti nuovi e possano interagire con gli altri, mettersi a confronto ed imparare a loro volta. Non solo la palestra è un luogo di incontri, ma anche tutte le attività extra come recitazione o altri corsi sono molto consigliati per uscire dalla loro routine e divertirsi con gli altri.
Parlando poi delle conclusioni della stesura di questa tesi, il nucleo su cui dobbiamo porre più attenzione è la parte pratica: gli esercizi cui si sottopongono Nicola e Matteo, ed altri come loro ogni giorno, sono finalizzati al progressivo miglioramento delle condizioni fisiche dei soggetti. Tutti i movimenti presi in considerazione come la presa, circonduzioni con le braccia, estensioni/flessioni degli arti inferiori, equilibrio ecc sono fondamentali su
gran parte delle disabilità motorie.
Non lasciamo che queste persone passino il loro tempo, 24 ore su 24, su una sedia a rotelle: diamo loro modo di muoversi, scoprire, rischiare, divertirsi con spazi ritagliati apposta per loro. Lasciamo, soprattutto nel mondo dei bambini, si instauri il cosidetto “spirito di gruppo”: l'accettazione dell'altro, i rapporti interpersonali e lasciare che il bambino normale comprenda il suo compagno “speciale”.
Muoversi, muoversi, muoversi... qui si ha la possibilità di racchiudere ed unire i due mondi: il mondo “abile” e il mondo “diversamente abile” perchè è proprio grazie alla ginnastica che entrambi si incontrano, uno deve insegnare all'altro.
Nelle mie ultime righe, vorrei dare un messaggio a tutte quelle persone che ancora, nonostante i progressi fatti negli ultimi decenni, non riescono ad accettare il diverso e li trattano semplicemente come portatori di deficit, sia fisico che mentale: cercate di vedere le cose da un'altra prospettiva, di calarsi nei panni di quella persona e percepire cosa possano provare queste persone ad essere umiliate cosi. Loro sono più intelligenti di quanto possa sembrare, percepiscono e capiscono quando sono accettati o meno.
La loro vita sarà sempre dura, ogni giorno sarà sempre duro, ma almeno dovrebbero essere circondante da persone mature, e capire che se purtroppo non hanno la capacità di parlare, il loro affetto lo trasmettono con il sorriso.