V. Commento alla traduzione
You taught me language, and my profit on't
Is, I know how to curse. The red plague rid you
For learning me your language
(W. Shakespeare, The Tempest)
Prima di procedere all'analisi e commento del mio lavoro, occorre fare una premessa. La proposta di traduzione consiste in una selezione di pagine dell'opera di Clarke; purtroppo, per ragioni di limiti di lunghezza del testo originale previsti dal Regolamento tesi, non mi è stato possibile tradurla integralmente, ma solo le prime pagine.
Presi in considerazione elementi come la lunghezza del romanzo, lo stile particolare dell'opera e la mancanza di una divisione in capitoli, ho ritenuto opportuno tradurre le pagine iniziali, poiché la lettura di estratti provenienti da parti diverse del romanzo non avrebbe facilitato il lettore nella comprensione della storia e dell'opera. La narrazione, inoltre, è un flusso continuo, con costanti richiami ad antefatti della fabula e a personaggi introdotti nelle parti precedenti del romanzo.
Anche se per una percezione esaustiva del romanzo sarebbe opportuna la lettura integrale del testo, in questo capitolo mi sono posta l'obiettivo di evidenziare il rapporto tra l'opera e il contesto in cui Clarke l'ha scritta, partendo dall'analisi del linguaggio e dei maggiori tratti stilistici.
1. Introduzione: il creolo caraibico
La situazione linguistica nel bacino caraibico si contraddistingue per la sua complessità: infatti, la lingua varia non solo a seconda del luogo, ma anche in base all'appartenenza a una determinata comunità. Per quanto riguarda le isole anglofone, è stata tracciata una distinzione generale tra l'inglese caraibico standard e il creolo:1 la prima forma è l'inglese britannico con variazioni 1 Creolo, dallo spagnolo “criollo”, significa “nativo del luogo”: la parola è una corruzione di “criadillo”, a sua volta diminutivo di “criado”, che ha la connotazione di istruito o addomesticato, in opposizione a selvaggio o naturale. Usato inizialmente per riferirsi agli spagnoli nati nelle colonie e più in generale alle persone nate nelle colonie da genitori europei, la designazione viene estesa successivamente non solo ai bianchi, ma anche agli africani nati nelle piantagioni. Infine, il significato del termine si è espanso fino a includere il
derivanti dall'inglese americano; è considerato l'acroletto della regione, ossia la lingua colta impiegata nei contesti formali dalle istituzioni pubbliche e amministrative. Il creolo, che può considerarsi il basiletto, è un fenomeno molto complesso e radicato nel tessuto storico e sociale del territorio. Può essere associato al concetto di lingua franca, ossia una lingua con una grammatica semplificata e un lessico misto usata da gruppi di parlanti di lingua diversa per comunicare tra di loro.
Le società caraibiche sono state modellate da molti elementi. Tra questi, i più importanti sono la loro storia comune, in particolare la schiavitù e il commercio degli schiavi, la colonizzazione, la crescita dopo l'indipendenza e, infine, il processo di creolizzazione, ossia l'affermarsi di una cultura e lingua creole.
Il linguaggio ha avuto un ruolo fondamentale nel processo di colonizzazione da parte dei paesi europei, per via della sua capacità di creare un'identità dal punto di vista culturale all'interno di un gruppo di parlanti. Per questo motivo molti storici e critici, come Ashcroft, affermano la centralità del linguaggio nel tessuto sociale e culturale di una popolazione:
The unshakeable link between “our” language and us has made language not only the most emotional site for cultural identity but also one of the most critical techniques of colonization and of the subsequent transformation of colonial influence by post-colonized societes.2
La colonizzazione europea dei territori caraibici è stato un processo estremamente violento e distruttivo. Per mantenere le colonie sotto il pieno controllo, gli Europei attuano con rigore la politica di separazione sistematica dei membri di ciascun gruppo linguistico; inoltre, per ridurre le possibilità di
modo di vivere di questo gruppo e il suo linguaggio. 2 Bill, Ashcroft, op. cit., p. 1.
ribellioni, gli schiavi venivano costretti a usare la lingua dei proprietari delle piantagioni. La lingua creola, quindi, nasce come mezzo di comunicazione tra i padroni e gli schiavi; quando il creolo comincia a diffondersi, viene percepito come una distorsione, una perversione del modello della lingua europea del colonizzatore.
Per portare avanti la causa del progetto imperialista, gli Europei hanno costruito un sistema di svalutazione delle lingue e culture indigene; esse vengono considerate lingue incivili, pigre e semplificate e i governi coloniali e i missionari usano le idee di superiorità linguistica e culturale per giustificare la sostituzione delle lingue indigene con quelle europee. Questa svalutazione delle popolazioni native è una strategia attuata dagli imperi, che hanno l'obiettivo di configurare le colonie secondo il loro modello di società; di conseguenza, tutti gli aspetti negativi attribuiti alle nuove generazioni di creoli sono imputati alle debolezze e difetti ereditati dagli indigeni, mentre tutti gli aspetti positivi sono stati ereditati dagli europei civilizzati.
Pertanto, il linguaggio ha avuto un ruolo chiave nei Caraibi: le ideologie coloniali hanno perpetuato nei confronti delle lingue creole molti pregiudizi e hanno esercitato una costante valutazione negativa dell'“Altro” per incrementare il controllo e il potere. Il controllo sul linguaggio ad opera del centro imperiale veniva mantenuto attraverso la dislocazione dei linguaggi nativi e l'introduzione della lingua imperiale come standard a discapito delle altre varianti, denigrate come “impurità”. In altre parole, questo sistema costituisce uno strumento potente di controllo culturale.
Con l'affermazione delle letterature postcoloniali, gli scrittori comprendono che il controllo della lingua è uno degli aspetti primari dell'oppressione coloniale. Il linguaggio è potere: fornisce i termini con cui la realtà può essere costituita e conosciuta; il sistema di valori che esprime diventa il sistema su cui si fonda il discorso politico, economico e sociale. L'abitante indigeno e lo schiavo africano, alienati dal punto di vista economico e politico, sono stati
prima di tutto colonizzati linguisticamente: nella lotta per riconquistare la libertà e l'auto-determinazione, gli scrittori e intellettuali devono mettere fine alla preminenza della lingua coloniale, come afferma anche Rushdie “The language like much else in the newly independent societies, needs to be decolonized, to be remade in other images, if those of us who use it from positions outside Anglo-Saxon culture are to be more than artistic Uncle Toms.”3
In questa prospettiva quindi, il linguaggio non solo è una delle tecniche fondamentali di colonizzazione, ma anche uno strumento di trasformazione e di influenza coloniale da parte delle società post-coloniali. Usando le parole di Cavagnoli:
La lingua della narrativa postcoloniale è quindi sovente il risultato delle sofferenze inflitte dalla Storia. Ma è anche il risultato della tensione creatasi tra il desiderio di cancellare l'English del centro, e cioè un codice normativo, e la volontà di appropriarsi dello stesso da parte delle popolazioni locali.4
1.1 Creole continuum
Questa espressione indica un fenomeno linguistico caratteristico dell'area caraibica. Nelle colonie, la lingua europea era imposta come prima lingua, ma con il tempo è stata fortemente influenzata dalle lingue native degli abitanti. Le lingue creole hanno cominciato a diffondersi dalla metà del XVII secolo grazie ai vari spostamenti dei coloni inglesi e degli schiavi; con l'abolizione della schiavitù, ha inizio una grande migrazione di braccianti attraverso i territori, che ha contribuito alla diffusione del creolo a base inglese.
3 Om P., Juneja, op. cit., p. 135. 4 Franca, Cavagnoli, op. cit., p. 72.
Nel bacino caraibico le varietà linguistiche si dispongono lungo un'asse, un continuum appunto, ai cui estremi si trovano l'inglese caraibico standard, cioè la forma colta dell'inglese, usato dalle istituzioni amministrative e scolastiche, e il creolo. Tra questi due poli, si inseriscono un insieme di varietà di inglese con elementi creoli, con un livello di ibridazione più o meno marcato. Esse costituiscono le varietà mediane, che vengono utilizzate da tutti gli strati della popolazione.
Il creole continuum e le varietà linguistiche hanno un ruolo fondamentale nella letteratura delle singole società postcoloniali; infatti, gli autori postcoloniali utilizzano una lingua contaminata, poiché essa è il risultato dell'interazione di più culture presenti in un determinato territorio. Di conseguenza, anche la letteratura postcoloniale è fortemente creolizzata; inoltre, è importante sottolineare come sia stato messo in atto un processo che porta gli scrittori ad allontanarsi dal modello linguistico standard, ma anche ad appropriarsi di esso per esprimere l'unicità e originalità del loro mondo. Come sottolinea Cavagnoli:
[L']aspetto più interessante della scrittura postcoloniale è il modo in cui marca la differenza rispetto all'inglese della madrepatria. Pur usando la stessa lingua, gli autori postcoloniali tendono ad allontanarla dal centro e dalla forma imposta dal centro. Le marche di progressivo allontanamento dalla lingua standard, ottenute grazie all'impiego della
language variance, ne segnano la differenza e l'unicità. È l'insieme
delle marche distintive rispetto all'inglese standard ad aver dato origine alle varietà parlate nel mondo.5
Gli scrittori, quindi, usano il creole continuum come strategia narrativa, ricorrendo ad esempio al cambio di codice e alla trascrizione vernacolare, che permettono di realizzare un doppio risultato: l'abrogazione dell'inglese standard e
5 Ibidem, p. 80.
l'appropriazione di un inglese inteso come elemento costitutivo della cultura locale.
Anche in The Polished Hoe, Clarke usa il cambio di codice, usando una varietà di inglese più vicina allo standard per la voce del narratore e varietà locali per le voci dei personaggi. Di seguito vengono riportati degli esempi, partendo dall'inglese standard per passare poi alle varianti creole:
- “The lights clip from their brilliance; and for just one second, it is dark in the front-house, where they are; dark, as when, long ago, the wind would run through these same windows, and brush aside the flames from the mantles of the large acetylene lamps that have Home Sweet Home printed in white letters on their polished lampshades.” (p. 16)
- “I name Bennett. Granville Chesterfield Bennett Browne. But they calls me Benn, ma'am. My proper name is Bennett.” (p. 32)
- “You shouldda seen the three of us! Father. Mother. And child. And then, Wilberforce and me! jumping-round on the carpets in this front-house! Skinning our teet, and imitating the rhythms of dancing like if we were Amurcan Negroes. Doing a jig.” (p. 41)
- “‘I borrow these offa the Plantation,’ she told me the Friday, smiling and happy. ‘In other words, I steal them, Mary-girl!’ (p. 21)
- ‘I snap-on my right hand 'pon the fucker's wrist, and squeeze, Mr. Bellfeels say he say, and the fucker drop the watch in my left hand. With my right hand, I was choking the fucker. This is the same gold pocket watch you see me wearing all the time. My father watch.’ (p. 36)
2. Tratti generali del creolo a base inglese
In termini generali, la lingua inglese parlata nel bacino caraibico viene CIX
definita con l'espressione “inglese caraibico” (Caribbean English); tuttavia, si tratta di un termine molto approssimativo, che comprende in sé sia l'inglese che il creolo e nello specifico indica:6
• varietà regionali della lingua standard (ad esempio l'inglese giamaicano standard);
• forme localizzate di inglese;
• mesoletti che si collocano fra l'inglese e il creolo;
• varietà di inglese usate in nazioni in cui la lingua ufficiale o dominante è lo spagnolo (in particolare Portorico);
• varietà di creoli a base inglesi quali il creolese della Guyana o lo sranan del Suriname.7
Le varietà di inglese parlate nei Caraibi sono un esempio notevole di come le lingue emergono e si evolvono quando persone di culture diverse entrano a contatto. I creoli caraibici, infatti, nascono dalla mescolanza di lingue europee, africane e indigene. In generale, la maggior parte dei creoli si basa su una lingua superstrato, costituita da una lingua europea, soprattutto inglese, portoghese, francese, spagnolo e olandese. Queste lingue superstrato erano parlate dai gruppi dominanti del sistema coloniale e hanno fornito il lessico dei creoli.
Le persone deportate dall'Africa che arrivavano nel Nuovo mondo in schiavitù, venivano separate dalla loro comunità di origine e la trasmissione della lingua nativa era drasticamente interrotta; per questo motivo, gli schiavi facevano sempre più affidamento sul pidgin. I pidgin sono linguaggi elementari che emergono spontaneamente quando parlanti di due o più lingue diverse hanno
6 Oltre alla presente proposta di classificazione, si veda anche Hubert, Devonish, “Speaking the Caribbean: Turning Talk Into a Language in the Anglophone Caribbean”, in Klaus, Stierstorfer, (a cura di), Reading the Caribbean: Approaches to Anglophone Caribbean
literature and culture, Heidelberg, Universitätsverlag Winter, 2007, pp. 165-87.
7 Maria Luisa, Maggioni, Paola, Tornaghi, op. cit., p. 232.
necessità di comunicare tra di loro. Quando esso diventa abbastanza esteso da essere la lingua madre di una nuova generazione, inizia il processo di complicazione, cioè sviluppa una grammatica solida e completa e diventa una lingua pienamente elaborata.8 Pertanto, il creolo è una lingua che discende da un
pidgin che è diventato la lingua nativa di un gruppo di parlanti:
Creole has a jargon or pidgin in its ancestry; it is spoken natively by an entire speech community, often one whose ancestors were displaced geographically so that their ties with their original language and sociocultural identity were partly broken.9
2.1 Caratteristiche fonologiche
Le principali differenze tra l'inglese standard di paesi come Gran Bretagna, Canada e Stati Uniti e le varietà di inglese caraibico sono costituite da intensità, accento e tono. L'inglese caraibico viene in genere percepito come più rumoroso dell'inglese britannico e solitamente è accompagnato da una gestualità e mimica facciale molto più intensa e accentuata.10
I sistemi fonologici sono propri di ciascun paese; tuttavia, presentano alcuni tratti comuni, per esempio i suoni /ð/ e /θ/ vengono realizzati come /d/ e /t/, per cui them diventa dem, mentre i nessi consonantici finali vengono semplificati, per cui walking diventa walkin'.
8 Cfr. Hubert, Devonish, op. cit., pp. 169-70.
9 Marta, Viada Bellido de Luna, “The Use of English Lexified Creole in Anglophone Caribbean Literature”, in Dorsia, Smith, Raquel, Puig, Ileana, Cortés Santiago, (a cura di), Caribbean
without Borders: Literature, Language and Culture, Newcastle upon Tyne, Cambridge
Scholars Publishing, 2008, p. 43.
10 Cfr. Richard, Allsopp, Dictionary of Caribbean English Usage, New York, Oxford University Press, 1996, p. xliv.
2.2 Caratteristiche morfo-sintattiche
In linea di massima, morfologia e sintassi si fondano su quelle dell'inglese standard britannico, anche se presentano alcune caratteristiche grammaticali proprie del creolo, specie nella lingua orale informale.
A livello nominale, i due fenomeni che hanno maggior peso nella formazione delle parole sono la riduzione dei nessi consonantici e lo slittamento di funzione sintattica, cioè quando una parola viene usata con una categoria grammaticale diversa, per esempio un aggettivo usato come avverbio o un verbo usato come aggettivo.
I tratti più diffusi sono: l'omissione della flessione, soprattutto la marca del plurale; l'intensificazione di aggettivi e avverbi tramite la reduplicazione (per esempio little-little per piccolissimo); l'assenza dell'articolo indefinito a/an; l'uso non marcato dei pronomi soggetto e oggetto; l'inversione di soggetto e verbo nella costruzione delle interrogative (per esempio You going back?).
Infine, un'altra forma di intensificazione è la strategia del fronting: il verbo principale di un enunciato breve viene anticipato all'inizio dello stesso e poi viene ripetuto nella sua posizione canonica, per esempio Is write that little boy write and tell de fader; Is borrow she borrow it.11
A livello verbale, i principali fenomeni sono: mancanza dei marcatori della terza persona singolare; assenza della marca temporale, sia del futuro che del passato; omissione del verbo to be; mancanza della copula nei predicati; costruzione delle frasi interrogative come le affermative, che vengono distinte dall'intonazione; uso dei modali would e could al posto di will e can.
Un caso singolare è l'uso del passivo: infatti, molti verbi transitivi dell'inglese caraibico esprimono la connotazione del passivo nella forma base o nel participio presente (la -ing form). Quando un verbo transitivo esprime un'azione di cui il
11 Cfr. Ibidem, pp. xlvii-xlix.
soggetto, per motivi logici, non può essere l'agente, il verbo viene inteso al passivo e il soggetto della frase diventa l'oggetto dell'azione, per esempio The food eat è inteso come The food is/has been eaten, oppure The baby name already è inteso come The baby has already been named. Ciò significa che il passivo può essere determinato completamente dal tipo di soggetto e dal contesto e che, a livello lessicale, i verbi transitivi hanno un significato attivo o passivo a seconda del contesto della frase.12
Un altro tratto interessante sono i cambi morfologici nelle parole, come per esempio mek, tek, brek al posto di make, take, break; perdita del suffisso -ed (per esempio mash potatoes invece di mashed potatoes); uso del morfema «uh» negli aggettivi possessivi e nei pronomi (per esempio yuh per you/your, muh per my/me, duh per they/their).
Altre caratteristiche che possono essere considerate comuni ai vari creoli a base inglese sono: costruzioni con verbi seriali, caduta di gruppi consonantici a fine di parola, uso di particelle per marcare il verbo; uso della doppia negazione del verbo; cambi di categorie grammaticali (multi-funzionalità); assenza di marcatori per le forme definite e indefinite; infine, estensione di significato di alcune parole come le preposizioni.
2.3 Caratteristiche lessicali
Il lessico dell'inglese caraibico ha due fonti principali: le lingue africane e l'inglese regionale non standard, che costituiscono la base dei calchi semantici. Un'altra fonte è l'inglese standard, i cui vocaboli vengono ripresi con nuove connotazioni, come per esempio tea nell'inglese di molte isole ha il significato aggiuntivo di «bevanda calda».
Una componente importante del lessico è costituita dai regionalismi caraibici,
12 Cfr. Ibidem, pp. xlviii.
che nascono soprattutto dall'ambiente (flora e fauna), storia e cultura della zona. Le fonti principali dei regionalismi indicati da Richard Allsopp nel Dictionary of Caribbean English Usage sono:
• lingue amerinde (cashew, guava); • lingue africane (Anancy, cut-eye); • inglese arcaico (proven, stupidness); • dialetti britannici (cuffuffle, moffrey);
• Bibbia e Libro delle preghiere comuni (beforetime, bounden duty); • creolo (all-you, massa, pickney);
• lingua olandese (grabble, koker); • lingua francese (palette, crapaud); • creolo francese (J'ouvert, z'affaire); • lingua portoghese (bacalao, farine); • lingua spagnola (avocado, boledo); • lingue indo-europee/indic (douglah, roti); • lingua cinese (che-fa, washicongs); • inglese americano (drugstore, guys).13
Infine, un tratto molto comune nell'inglese caraibico è la multireferenzialità (in inglese multi-designation),14 ossia all'interno della stessa zona o gruppo di
parlanti un referente ha più nomi o designazioni; per esempio, nelle Barbados la pianta chiamata cerasee viene indicata anche con miraculous bush e sersee-bush.
13 Cfr. Ibidem, pp. l-li. 14 Cfr. Ibidem, p. liii.
3. L'uso del creolo nella letteratura
L'uso del creolo nella letteratura è un segno concreto del processo di decolonizzazione. Mentre l'impero aveva imposto una lingua metropolitana “standard” ai suoi subalterni, gli ex coloni tornano a usare le varietà di lingua inglese emarginata, “non standard”:
One of the main features of imperial oppression is control over language. The imperial education system installs a “standard” version of the metropolitan language as the norm, and marginalizes all “variants” as impurities. (…) Language becomes the medium through which a hierarchical structure of power is perpetuated, and the medium through which conceptions of “truth”, “order”, and “reality” become established. Such power is rejected in the emergence of an effective post-colonial voice.15
L'uso del creolo nella letteratura caraibica attesta la nuova visione di questa lingua e i nuovi ruoli a essa attribuiti nel contesto sociale e culturale del bacino caraibico. La letteratura postcoloniale caraibica, infatti, nasce dal fondamento per cui questo fenomeno letterario ha un qualcosa di unico, originario e nativo; il rifiuto o comunque l'uso variato dell'inglese costituisce il tentativo da parte degli scrittori di conferire una nuova dignità al mondo creolo. Si tratta di una reazione a una percezione errata e avvilente dei linguaggi creoli:
The notion that Creoles are simplified or exceptional languages has perpetuated the negative perception of Creoles. This linguistic interpretation tends to perpetuate a negative perception of Creole
15 Bill, Ashcroft, Gareth, Griffiths, Helen, Tiffin, The Empire Writes Back, London and New York, Routledge, 2002 (1989), p. 7.
languages because labeling them as exceptional places them outside the realm of natural languages.16
In particolare, gli scrittori postcoloniali cercano di trasmettere il messaggio che anche le lingue creole sono dotate di spessore letterario, cioè sono capaci di esprimere ricchezza e varietà e hanno lo stesso prestigio e ruolo delle lingue europee.
Inoltre, oltre a essere usato come arma di resistenza contro l'assimilazione all'egemonia europea, il creolo viene anche investito del ruolo di recupero delle origini: gli scrittori caraibici postcoloniali insistono sulla capacità unica delle lingue creole di saper esprimere tutta l'autenticità della loro eredità culturale. L'incorporazione del creolo nella letteratura, infatti, cambia e arricchisce il linguaggio in modo tale da riflettere le esperienze culturali caraibiche. Rispetto all'inglese standard, il linguaggio creolo è molto più efficace nel rendere le esperienze della cultura caraibica proprio perché esso è usato come forma di resistenza all'assimilazione nella metropoli e come sottile arma di opposizione.
L'uso del creolo nella letteratura, quindi, assume svariate funzioni, prime fra tutte il recupero e la definizione dell'identità caraibica. Di conseguenza, c'è spesso l'intento di celebrare l'essere caraibico, il desiderio di esprimere l'orgoglio di appartenere a questa realtà. L'uso del creolo nella scrittura decentra la prospettiva del lettore, costringendolo a uscire dal suo mondo per entrare in quello del narratore-autore. È un atto di sfida, afferma Bellido:
Books that include Creole and push the reader away from the standard are challenging; they make the reader stop and pay attention to the language, which contributes to understanding the rhythms of life in the islands, hence forcing the reader to pay attention to his/her cultural
16 Marta, Viada Bellido de Luna, op. cit., p. 46.
roots as well.17
Pertanto, collocare la voce del narratore al centro dell'attenzione è un segno della volontà di dare voce agli invisibili. Essi sono coloro ai quali è stato imposto il silenzio durante il colonialismo e sono stati separati dal proprio retaggio culturale, ai quali non è stato permesso di sviluppare una coscienza critica della realtà e sono stati abituati a identificarsi totalmente con la “madre patria” imperiale.
Il progetto di resistenza che tenta di sfavorire la lingua inglese del colonizzatore e ri-favorire la lingua inglese del colonizzato è stato al centro di un dibattito molto acceso, soprattutto negli anni Sessanta del secolo scorso, che ha posto la questione se il creolo sia o no un tratto distintivo della letteratura caraibica. La lingua, essendo portatrice dei valori di una cultura, nell'ambito della scrittura è in grado di dare una specifica connotazione a ogni fenomeno letterario.
Pertanto, molti teorici si sono chiesti quale lingua debba essere usata dagli scrittori anglofoni caraibici; la posizione più estremista rifiuta completamente l'inglese “standard” a favore del creolo nativo, argomentando che l'inglese è la lingua della dominazione coloniale e dell'imperialismo occidentale e perciò deve essere evitata. C'è poi una posizione meno radicale, che sottolinea il fatto che l'inglese, anche se è stata la lingua della conquista coloniale, è comunque la lingua franca per eccellenza e, in quanto tale, la sua padronanza comporta notevoli vantaggi economici, culturali, politici e linguistici.
With the rise to global prominence of the United States, English, as a social institution, has become a preeminent language of authority. Consequently, writers who write in English have been accused of being elitist, urbanized, stylistically difficult and catering mainly for overseas 17 Ibidem, p. 48.
audiences. The question many post-colonial writers have asked is: “Since the historical phenomenon of English as an instrument of control has being so powerful and effective, what is to stop us taking it over for our own purposes?” What stops many is the thought that the essence of “our” culture, and therefore of our identity, resides in “our” language. The assumption is that to write in a colonial language is to be “marginal, anomalous, illegitimate, suffering, schizophrenic, treacherous, alienated, hybrid, separated from the Mother...”18
3.1 Creolizzazione
L'estensione dell'uso del termine creolo a tutti gli ambiti della vita dei nativi ha innescato la riflessione sul fenomeno della mescolanza razziale, che viene indicato da molti teorici con il termine “creolizzazione”. Non esiste una definizione univoca, ma ne sono state date interpretazioni diverse; per esempio, Brathwaite parla della creolizzazione come di un processo dinamico che porta a riconsiderare la società non come una serie di gruppi separati culturalmente, ma come un insieme di unità che, anche se separate, sono comunque parti attive di un tutto. In questa dinamica tra le culture, è fondamentale la relazione con il luogo e la terra: la creolizzazione è un'azione culturale che si basa sullo “stimolo-risposta” degli individui al proprio ambiente e tra i gruppi culturalmente separati.19
José Martí e Nicolás Guillén introducono invece il concetto di criollismo blanco, inteso come l'interazione costante tra due o più componenti culturali con l'obiettivo inconscio di creare una terza identità culturale, ossia una nuova cultura indipendente, anche se radicata in elementi preesistenti.20
18 Bill, Ashcroft, op. cit., p. 101.
19 Cfr. Bill, Ashcroft, Gareth, Griffiths, Helen, Tiffin, op.cit., pp. 145-6.
20 Cfr. Maryse, Condé, “Créolité without the Creole Language?” (trad. di Kathleen M. Balutansky), in Kathleen M., Balutansky, Marie-Agnès, Sourieau, (a cura di), Caribbean
creolization. Reflections on the Cultural Dynamics of Language, Literature, and Identity,
Tutte queste teorie vengono elaborate con lo scopo di rovesciare la nozione di purezza culturale e razziale, cercando di sradicare le immagini negative dei nativi generate dalla supremazia europea e i pregiudizi fondati sulle dicotomie natura/cultura, selvaggio/civilizzato, e umano/subumano.
3.2 Il linguaggio: mezzo di controllo o simbolo culturale?
Molte delle discussioni sul linguaggio coloniale nelle teorie postcoloniali sono nate da una certa confusione tra il linguaggio inteso come mezzo di comunicazione e il linguaggio inteso come simbolo culturale. I linguaggi coloniali, infatti, sono stati il veicolo di un controllo culturale così intrusivo e pervasivo, che inevitabilmente nelle società postcoloniali si è diffuso il presupposto che il linguaggio sia intrinsecamente la chiave di tale controllo. Poiché la colonizzazione avviene soprattutto nel linguaggio e poiché il linguaggio stesso è così palesemente connesso al potere, l'identificazione del linguaggio con la cultura imperiale è stata spontanea e quasi inevitabile.Il colonialismo impose la lingua inglese ai colonizzati con una strategia cosciente di egemonia culturale; impose un modo di parlare che privilegiava certi tipi di distinzioni e rappresentazioni della realtà e sviliva gli altri. La lingua, strumentalizzata a questo modo, è stata associata così intrinsecamente alla realtà coloniale che alla fine è stata assimilata al modo di essere, all'identità culturale. Brathwaite individua l'origine di questo fenomeno nel tipo di istruzione impartita nelle colonie durante la dominazione europea: per lo scrittore, la lingua attua il controllo soprattutto e anzitutto attraverso i suoi contenuti culturali; non solo la letteratura è scritta nella lingua di una terra straniera, ma influenza anche il modo di fare esperienza della vita dell'individuo, in modi subdoli e nascosti.21
USA, University Press of Florida, 1998, pp. 105-6. 21 Cfr. Elizabeth, DeLoughrey, op. cit., pp. 269-70.
Paradoxically, in the Caribbean (…) the people educated in this system came to know more, even today, about English kings and queens than they do about our national heroes, our slave rebels — the people who helped to build and destroy our society (…) And in terms of what we write, our perceptual models, we are more conscious (in terms of sensibility) of the falling of the snow for instance — the models are all there for the falling of the snow — than the force of the hurricanes that takes place every year.22
Tuttavia, il fatto che il linguaggio sia stato, e forse sia ancora, un fattore determinante nell'imposizione dell'identità culturale, non significa che lingua e cultura siano necessariamente la stessa cosa. L'idea che il linguaggio incarni la cultura è fuorviante, poiché se si ammette che le parole hanno una qualche essenza culturale fondamentale non soggetta al cambiamento con l'uso, allora le letterature postcoloniali, che si fondano proprio su questo elemento, non avrebbero ragione di esistere.
Infatti, la chiave della resistenza postcoloniale risiede nel fatto che i parlanti hanno il potere di agire e di utilizzare i linguaggi coloniali al fine di modellare la loro identità. Con il tempo, gli scrittori postcoloniali si sono opposti al modo in cui il linguaggio è stato usato e rappresentato; esso, quindi, è stato non solo uno strumento di oppressione, ma anche un mezzo di radicale resistenza e trasformazione.
4. Processi di abrogazione e appropriazione
Il legame tra il linguaggio e l'uomo ha reso il linguaggio non solo l'ambito
22 E. Kamau, Brathwaite, op. cit., p. 19.
più evidente in cui individuare l'identità culturale, ma anche una tecnica fondamentale di colonizzazione e di trasformazione dell'autorità coloniale nelle società postcoloniali. Il controllo sul linguaggio da parte del centro imperiale è uno strumento potente di dominazione culturale e si realizza attraverso la dislocazione delle lingue native e l'instaurazione della lingua europea come “standard” a discapito delle altre varietà denigrate come “impurità”.
Il linguaggio, infatti, fornisce i termini con cui la realtà può essere costituita, ossia i nomi con cui il mondo può essere “conosciuto”; il sistema di valori che esprime diventa il sistema su cui si fonda il discorso politico, economico e sociale. “Language exists, therefore, neither before that fact nor after the fact but in the fact. Language constitutes reality in an obvious way: it provides some terms and not others with which to talk about the world”.23 I mondi esistono
attraverso i linguaggi e i loro orizzonti possono ampliarsi fintanto che i processi di innovazione linguistica, come i neologismi, e di uso immaginativo, come le metafore, permetteranno di ampliare gli orizzonti del linguaggio.
Pertanto, anche la lingua inglese è uno strumento con cui il mondo può essere costruito; un aspetto interessante del suo uso nella letteratura postcoloniale è il modo in cui esso costruisce anche la differenza, la separazione e l'assenza a partire dallo standard; la base su cui tale costruzione si fonda è l'abrogazione dei presupposti essenziali dello standard e la demolizione della centralità imperiale.24
4.1 Ri-collocazione del linguaggio
Nella prima fase della scrittura postcoloniale, gli scrittori sono costretti a cercare un'autenticità alternativa a quella imposta e supportata dall'egemonia imperiale; la cultura imperialista, infatti, proponeva un tipo di autenticità a cui gli
23 Bill, Ashcroft, Gareth, Griffiths, Helen, Tiffin, op.cit., p. 43. 24 Cfr. Ibidem, pp. 40-43.
scrittori non appartenevano, poiché essa era in costante contraddizione con la loro esperienza quotidiana di emarginazione.
Di conseguenza, le nozioni di centralità e “autentico” dovevano essere messe in discussione, sfidati e abrogati. Questo privilegiare i “margini” ha prodotto un orientamento delle teorie verso il pratico e verso il linguaggio, dato che entrambi i campi sono determinati dall'intreccio complesso di condizioni ed esperienze sociali.
La lingua, quindi, costituisce uno strumento che viene impiegato in vari modi per esprimere esperienze culturali diverse. Sostanzialmente, vengono attuati due processi distinti, ma complementari tra di loro: l'abrogazione e l'appropriazione. Il primo consiste nel negare la posizione privilegiata dell'inglese e implica il rifiuto del controllo dei mezzi di comunicazione da parte del potere coloniale centrale. Il secondo consiste nella presa di possesso e ricostituzione, attraverso nuovi usi, di quel linguaggio che fino ad allora era stato al centro della vita sociale e culturale delle ex colonie, così da inserire la propria esperienza culturale.25
4.2 Funzione metonimica del linguaggio
I processi di abrogazione e appropriazione avvengono soprattutto nella scrittura: la scrittura postcoloniale destituisce la centralità privilegiata dell'inglese coloniale sostituendolo, tutto o in parte, con le varianti inglesi. In altre parole, la variazione linguistica viene utilizzata per esprimere la differenza del contesto locale delle ex colonie, ma usando le stesse forme di identicità per consentire la comprensione da parte del lettore.
Nelle ex colonie, infatti, l'inglese è stato adottato come lingua nazionale; la nascita e lo sviluppo delle forme vernacolari in questi ambienti, altro non è che il
25 Cfr. Ibidem, pp. 37-38.
risultato dei processi di evoluzione e adattamento di questa lingua. In questo processo di trasformazione, l'inglese locale viene posto in opposizione all'egemonia centrale e mette in discussione continuamente il dominio dello standard. Anche se è un inglese che emerge dall'inglese “standard”, esso si configura come separato e distinto da quest'ultimo.
Gli usi della variante linguistica hanno una funzione importante, poiché evidenziano la differenza, ossia catturano quel momento metonimico tra la cultura indigena da una parte e quella imperialista dall'altra. In questo senso, la variante linguistica viene considerata metonimia della differenza culturale; anzi, lo stesso atto di introdurre la variante linguistica può essere visto come l'entrata metaforica della cultura locale nel testo inglese.26
4.3 Strategie di appropriazione
27Le strategie di appropriazione sono numerose e costituiscono il modo più efficace in cui l'inglese viene trasformato dagli scrittori postcoloniali; esse permettono di conquistare un pubblico globale e al tempo stesso di produrre una lingua culturalmente distinta e appropriata che si presenta come differente, anche se si tratta sempre della lingua inglese.
L'inserimento del creolo è stato cruciale per lo sviluppo del discorso letterario caraibico e ha contribuito ad attenuare il giudizio negativo nei confronti delle lingue creole.
L'uso del creolo nei testi postcoloniali è stato graduale e ha seguito alcune fasi di sviluppo: nella fase iniziale, le strategie principali erano la glossa e l'inserimento di parole creole nel testo; la presenza di queste parole serviva a
26 Cfr. Ibidem, pp. 50-58.
27 Ulteriori informazioni sul discorso delle strategie di appropriazione si trovano in The Empire
Writes Back (capitolo 2), Caliban's Voice (capitolo 9) e Il proprio e l'estraneo (capitolo 2),
citati in bibliografia.
inserire la cultura emarginata e disprezzata nel cuore di quella dominante, distruggendone così l'egemonia.
La glossa consiste nell'inserire la traduzione o un qualche tipo di spiegazione delle parole creole presenti nel testo e ha lo scopo di evidenziare la realtà costante della distanza culturale. È un esempio di intrusione autoriale e al giorno d'oggi viene considerata una strategia inadeguata, poiché la giustapposizione delle parole attuata in questo modo suggerisce l'idea che il significato di una parola sia il suo referente. Il problema con la glossa nei testi postcoloniali è che, nel complesso, troppi interventi esplicativi possono rendere la trama artificiosa e non scorrevole.
Una tecnica di fedeltà lessicale selettiva che mira a esprimere il senso di differenziazione culturale è l'uso di parole creole non tradotte nell'inglese standard e non accompagnate da alcun tipo di glossa; questa strategia è un chiaro significante del fatto che la lingua che permea il testo è una lingua “Altra”. In questo caso il linguaggio indica la differenza attraverso l'assenza, invece che con l'esperienza: l'assenza della spiegazione è anzitutto un segno di differenziazione.
In una seconda fase, nacque negli scrittori una sorta di dualismo: essi erano divisi tra il desiderio di esprimere in scrittura la ricchezza del creolo nativo e la praticità di usare la forma scritta standard del linguaggio lessicalizzato. Le strategie principali, in questo caso, erano l'uso del creole continuum, che consente di creare testi che rimangono fedeli all'ambiente culturale che li ha prodotti. Oppure, molti scrittori si sono cimentati nella creazione di una specie di interlingua, una lingua creata a tavolino che presenta una fusione di elementi di due o più linguaggi.
Nella terza fase, quella attuale, gli scrittori postcoloniali utilizzano forme d'espressione più aperte e creative, alternando tra lingua inglese locale e vernacolo. La tecnica maggiormente usata è il cambio di codice (in inglese code-switching), a cui si aggiungono le altre strategie appena descritte e l'uso di un'ortografia variata.
5. Strategie traduttive
Nell'affrontare la traduzione del testo, ho tenuto in considerazione alcuni principi teorici che mi hanno fatto da guida durante tutto il mio percorso. Anzitutto, è bene tenere a mente che la traduzione è un processo complesso e implica il passaggio tra due sistemi linguistico-culturali, che possono essere più o meno vicini. Per compiere tale spostamento, è necessario attuare un'operazione di adattamento; Katan ha parlato di cultural filter, ossia di meccanismi che orientano e strutturano la percezione, l'interpretazione e la valutazione del testo da tradurre. Questi meccanismi sono in parte generali e condivisi, patrimonio di schemi e strategie di gruppo, e in parte sono invece strumenti applicati dai singoli individui.28
Pertanto, in traduzione occorre prendere in considerazione non solo tutti i fattori contestuali dell'enunciazione, legati sia alla situazione comunicativa, ossia le coordinate spazio-temporali dell'enunciazione, sia all'evento comunicativo, cioè la realizzazione di uno scambio comunicativo che ha degli scopi precisi, ma anche avere accesso alla storia culturale che uno scambio sottende. Infatti:
Nelle comunicazioni tra parlanti di lingue e culture diverse, la mutua comprensione non si fonda soltanto sull'accessibilità del tessuto verbale dello scambio, ma anche sull'attenta osservazione di tutti i fatti extralinguistici rilevanti ai fini dello scambio stesso.29
La traduzione, quindi, prevede e richiede che prima di procedere all'atto traduttivo vero e proprio, il traduttore si soffermi anzitutto sul testo, sul suo autore e sul contesto in cui entrambi sono inseriti; il traduttore compie questa
28 Cfr. Charles, Barone, Silvia, Bruti, Marina, Foschi Albert, Valeria, Tocco, (a cura di), Dallo
stilo allo schermo. Sintesi di teoria della traduzione, Pisa, Pisa University Press, 2011, pp.
93-97. 29 Ibidem, p. 96.
analisi con lo scopo di fare una lettura critica del testo e “scommettere” sul suo significato:
[T]radurre significa interpretare, e interpretare vuol dire anche scommettere che il senso che noi riconosciamo in un testo è in qualche modo, e senza evidenti contraddizioni co-testuali, il senso di quel testo. Il senso che il traduttore deve trovare, e tradurre, non è depositato in alcuna pura lingua. È soltanto il risultato di una congettura interpretativa. Il senso non si trova in una no language's land: è il risultato di una scommessa.30
Quando si parla di letteratura postcoloniale, questi concetti e principi si sviluppano e ampliano, poiché si tratta di un ambito molto complesso e, talvolta, “distante” dal mondo del lettore italiano.
Le opere, prodotte in questo caso nelle ex colonie dell'impero britannico, mescolano e condensano non solo le lingue, ma anche i codici e le tradizioni. Gli autori provenienti da questi contesti, si sono appropriati della lingua dell'impero, e hanno rinnovato il lessico, modificato la sintassi e inserito nuove immagini e miti. Queste strategie di localizzazione linguistica e culturale sono state usate dagli scrittori postcoloniali per marcare la differenza e rappresentano uno degli aspetti più problematici nella traduzione dei loro testi. Come sottolinea Cavagnoli:
Quando si traduce i romanzi e i racconti degli autori postcoloniali di lingua inglese in italiano li si sottopone a una seconda traduzione poiché (…) lo scrittore li ha già tradotti dalla sua lingua madre in inglese; ha scelto quali aspetti trasporre della propria cultura — storia,
30 Umberto, Eco, Riflessioni teorico-pratiche sulla traduzione, in S., Nergaard (a cura di),
Teorie contemporanee della traduzione, Milano, Bompiani, 1995, p. 138.
religione, quadro giuridico, situazione sociale —, quali elementi culturospecifici lasciare nella lingua originaria e quali invece tradurre in inglese. Nelle scelte compiute, e nel modo in cui quelle scelte sono state fatte, spesso lo scrittore dà un'indicazione precisa al traduttore italiano su come tradurre a sua volta.31
Occorre che il traduttore che si confronta con questo tipo di testo anzitutto acquisisca una preparazione culturale specifica; successivamente, che riesca a cogliere e mantenere nel testo d'arrivo il rapporto di “tensione e integrazione esistente nell'originale fra il vernacolare e la koinè, tra la lingua soggiacente e la lingua di superficie”.32
In particolare, è necessario che il traduttore faccia attenzione a non seguire ciò che Antoine Berman definisce le tendenze deformanti che in passato hanno condizionato la traduzione nei paesi occidentali. Procedimenti testuali come il razionalizzare, l'esplicitazione, l'abbellimento, l'esotizzazione degli elementi vernacolari, la distruzione delle iterazioni, deformano l'originale e presentano al pubblico delle opere adattate o addomesticate, private di qualsiasi elemento esotizzante.33
È opportuno che il traduttore imposti il suo lavoro sull'analisi del testo fonte, facendo attenzione al ritmo, alla polisemia e agli aspetti linguistici della sintassi, lessico e fonetica. Egli compie uno sforzo di decentramento, obbligando il lettore a uscire dal suo mondo e a percepire l'elemento straniero in quanto tale. Allo stesso tempo, il traduttore ha un'attenzione particolare anche per la propria lingua, così da poter sfruttare le infinite possibilità che gli offre e osare negli usi non-canonici della lingua, come i neologismi.
Per tradurre la scrittura ibrida degli autori postcoloniali è necessario ricercare
31 Franca, Cavagnoli, op. cit., p. 64.
32 Antoine, Berman, La traduzione e la lettera o l'albergo della lontananza (Trad. di Gino Giometti), Macerata, Quodlibet, 2003, p. 55.
33 Cfr. Ibidem, pp. 44-56.
anche in italiano delle strategie di variazione linguistica che portino la lingua ad allontanarsi sempre più dalla norma della lingua scritta; per questo, una strategia può essere il fare ricorso ai tratti dell'italiano parlato o l'italiano neo-standard, considerando anche il fatto che molte varianti dell'inglese sono nate come linguaggi orali e sono state codificate in un secondo momento.34
Pertanto, la traduzione può essere intesa come il luogo in cui accogliere incondizionatamente il diverso da sé, realizzando così il fine etico dell'atto traduttivo, che secondo Berman consiste nell'accogliere lo Straniero in quanto Straniero.35
Nella mia traduzione ho cercato sì di rispettare lo Straniero, ma al contempo ho tentato di avvicinare il lettore al testo. La strategia che ho adottato è stata duplice: evitare di creare un senso di straniamento nel lettore e, al contempo, rispettare l'ambiente culturale del testo fonte. Nei paragrafi successivi, illustrerò le maggiori difficoltà incontrate durante il processo traduttivo, concentrandomi prima sugli aspetti linguistici, come fonologia, morfologia, sintassi, lessico e semantica; successivamente, prenderò in analisi gli elementi che producono una variazione diafasica. Infine, procederò all'osservazione delle funzioni dei riferimenti intertestuali inseriti dall'autore e del suo uso dei segni di interpunzione e altri elementi grafici.
6. Aspetti problematici del testo
6.1 Titolo
Il titolo del romanzo ha posto non poche difficoltà traduttive: la mia scelta, in
34 Cfr. Franca, Cavagnoli, op. cit., p. 81. 35 Cfr. Antoine, Berman, op. cit., pp. 13-21.
questo caso, è stata di mantenere la forma originale, cioè di non tradurlo, per vari motivi. Nell'inglese caraibico, la parola hoe è sinonimo di whore e pertanto l'espressione “the polished hoe” può essere intesa sia come “zappa lucidata”, sia come “puttana raffinata”.
Si crea così un doppio riferimento: da una parte, il titolo indica l'attrezzo agricolo usato da Mary-Mathilda per compiere il suo crimine e ha una forte carica metaforica, poiché rappresenta la vita del personaggio, il suo ambiente e la sua storia. Dall'altra, il titolo si riferisce a Mary-Mathilda stessa, poiché, in quanto amante del signor Bellfeels, è una prostituta che in cambio del suo sfruttamento e degli abusi subiti ha ottenuto una casa, beni di lusso e potere sugli abitanti del villaggio.
Il problema traduttivo nasce dal fatto che in italiano non c'è un doppio senso simile, ossia non esiste un termine che indichi al tempo stesso un attrezzo da lavoro e una prostituta; inoltre, è importante mantenere il riferimento, se non proprio alla zappa, comunque all'ambiente del lavoro agricolo, poiché è la metafore centrale di tutto il romanzo.
6.2 Fonologia
6.2.1 Trascrizione vernacolare
Per quanto riguarda l'aspetto fonologico, nel romanzo l'autore impiega il metodo della trascrizione vernacolare, ossia scrive le parole come si pronunciano, cercando di riprodurre la pronuncia nello scritto. Come detto in precedenza, si tratta di una strategia di appropriazione che molti scrittori postcoloniali adottano per cercare di riprodurre l'oralità e l'unicità della propria lingua.
Nella maggior parte dei casi, ho preferito “normalizzare” il testo, poiché, alterando a mia volta le parole italiane, avrei corso il rischio che fossero percepite come errori di tipografia dal lettore, con la conseguenza di ridicolizzare il testo fonte.
Alcuni esempi di trascrizione sono:
«thrildren» (pp. 12, 13, 22, 23, 24, 42, 43) invece di “children”; «barsters-at-law» (pp. 13, 24, 45) invece di “barrister-at-law;”
«Sin-David», «Sin-Peter» (pp. 18, 21, 22, 23, 32, 50, 54) invece di “Saint David” e “Saint Peter”;
«brek-off» (p. 21) invece di “break off”; «N'Eyetalian» (pp. 22, 30) invece di “Italian”;
«henging» (pp. 22, 23), «henged» (pp. 24, 32) invece di “hanging” e “hanged”;
«whirl» (p. 30) invece di “world”;
«vestigating» (pp. 37, 50), «vestigation» (pp. 37, 52), «vestigated» (p. 50) invece di “investigating”, “investigation” e “investigated”;
«centipees» (p. 39) invece di “centipede”; «sangwiches» (p. 45) invece di “sandwiches”; «Sersey» (p. 49) invece di “Jersey”;
«emigrade» (p. 51) invece di “emigrate”.
6.2.2 Semplificazione dei nessi consonantici
In questi casi, si tratta di una semplificazione di nessi consonantici tramite assimilazione o altri procedimenti, con l'intento di semplificare la pronuncia di
alcune parole ed espressioni che presentano sequenze di consonanti, a volte anche di vocali, più complesse. Anche in questo caso, ho scelto di non riprodurre la semplificazione, per le motivazioni illustrate nel paragrafo precedente.
«leff» (p. 14); «leff-back» (p. 22)
«stanning-up» (pp. 19, 20, 26) invece di “standing up”;
«George-the-Fiff» (pp. 44, 46, 47, 48) invece di “George the Fith”; «brekking-down» (p. 27) invece di “breaking down”.
6.3 Morfologia
La ricchezza della lingua usata da Clarke emerge in modo particolare dagli aspetti morfologici; sul piano traduttivo, non ho potuto riprodurli, poiché avrei corso il rischio di produrre una lingua sgrammatica e di ridicolizzare in questo modo la parlata dei personaggi.
Pertanto, sono ricorsa ad alcuni tratti dell'italiano parlato: per esempio, ho cercato di limitare l'uso del congiuntivo; ho usato il che polivalente (“Ché il signor Bellfeels ha avuto la faccia tosta di portare a Ma' le stesse pulp-eddoes e patate dolci per cui ha sparato a Pounce”), le forme afeteriche dei dimostrativi (“Ste cose le ho preso in prestito dalla piantagione”) e le costruzioni del parlato come “è che...” (“In altre parole, è che le ho rubate”).
In altri casi, sono ricorsa a forme nominali desuete, indicate tra virgolette, che mi hanno permesso di produrre una forma contratta, (“una prova non più necessaria di un caso che è stato “vestigato””)
6.3.1 Tratti nominali
Sul piano morfologico, il testo presenta i seguenti tratti che sono propri del linguaggio creolo e del linguaggio orale-informale.
- Troncamento di un gruppo di suoni all'inizio, in mezzo o alla fine della parola: «'bout» (pp. 11, 24, 39), «ma'am» (per tutto il testo), «'cause» (p. 14), «cause» (pp. 22, 26), «O'going-church» (p. 18), «Lot o' history» (p. 22), «lectricity» (p. 27), «'nomination» (p. 32);
- Doppia forma del comparativo di maggioranza, o uso di forme alternative per esso: «Furtherest» (p. 11), «more better» (pp. 18, 31, 32), «more brighter» (p. 20), «more faster» (p. 25), «more farther» (p. 31), «more strong» (p. 35), «more younger» (pp. 39, 43), «more lighter» (p. 44), «more higher» (p. 44);
- Omissione del suffisso -ed negli aggettivi: «But, at least, he came back with his ambition fullfill» (p. 13), «You may be a poor, only-child of a poor confuse mother...» (p. 30), «A man wasn't a man unless he could dance on that Aquatic Club floor, wax to a vexatious perfection!» (p. 45);
- Omissione dei marcatori del plurale nei sostantivi: «If it wasn't so black outside, you could look through that window you sitting beside, and see the North Field I refer to, vast and green and thick with sugar cane» (pp. 14-15);
- Contrazioni di due o più parole: «gimme» (p. 19) al posto di “give me”, «tummuch» (p. 22) al posto di “too much”, «couldda» (p. 28) al posto di “could have”, «shouldda» (pp. 41, 46) al posto di “should have”;
- Pronomi oggetto e soggetto non marcati: «All of we» (p. 27), «Me smelling him» (p. 39), «Him giving-off» (p. 39);
- Uso dell'aggettivo al posto dell'avverbio: «People in those days used to dance so formal and lovely» (p. 43);
- Ripetizione di aggettivi come strategia di intensificazione: «Bold and strong and deep-deep» (p. 14), «It was dark-dark, earlier tonight» (p. 14), «Mr. Bellfeels
looked so tall (…) that I had to hold my head back, back, back, to look in his face» (p. 19), «hard-hard-hard like deal board» (p. 46), «Sersey bush, that Gran boiled thick-thick until it came like tar» (p. 49).
6.3.2 Tratti verbali
Una delle maggiori difficoltà traduttive, sia nella fase d'interpretazione che in quella di traduzione, sono gli usi del verbo cui ricorre l'autore. L'ampia discrepanza tra la lingua dell'autore e l'inglese standard britannico ha costituito un ostacolo notevole per la comprensione della narrazione e del messaggio del testo.
In particolare, la mancanza di marcatori temporali rende il discorso narrativo sempre incerto e il lettore non è mai sicuro del tempo narrativo in cui sono avvenuti i fatti descritti. Ciò può essere attribuito sia alla strategia letteraria del flusso di coscienza, sia alla tradizione orale che sta alla base della letteratura caraibica: da una parte il lettore viene immerso nei pensieri del narratore e dei personaggi che mescolano ricordi passati ed eventi recenti con il presente. Dall'altra, l'autore ha cercato di dare un carattere di oralità alla narrazione, di impostare un ritmo che richiami la tradizione dello story-telling, propria degli schiavi e, in seguito, delle classi sociali più povere.
I tratti principali da segnalare sono:
- Assenza di marcatori temporali, e in particolare l'omissione del suffisso -ed nel participio passato: «My names I am christen with» (p. 11), «I want attach» (p. 11), «(…) with all that book-learning retain in his head» (pp. 12-13), «Wilberforce went to the best schools in this Island of Bimshire. (…) He travel to countries like Italy, France, Austria and Europe; and when he return-back here to this Island, he start behaving more like a European» (p. 13), «(…) had the other thrildren survive» (p. 13), «Sargeant say that you say» (p. 15), «all we
know is what you say when you call» (p. 15), «they henged a slave, after they give him forty lashes» (p. 24);
- Omissione del verbo be e dell'ausiliare: «(…) in case you never been so close» (p. 12), «The Factory grinding canes» (p. 12), «He going burst his blasted brain!» (p. 13), «I learning a lot o' history from you» (p. 22), «Golbourne born so» (p. 24), «But never a Sunday pass that you didn't see Pounce (…)» (p. 26), «Or if somebody that I know dead» (p. 32), «But I enjoying listening to you talk about the history (…)» (p. 37);
- Mancata flessione del verbo e uso non standard della marche di persona: «Sargeant pick me to proceed him» (p. 37), «Sargeant, as you know, have the pressure» (p. 37), «I doesn't drink milk at all» (p. 38), «Occasionally, I takes something strong. Like at a wedding, or when Sargeant invite me at him» (p. 38), «Gift is funny things» (p. 38), «His majesty dance with all the Bimshire ladies» (p. 46);
- Uso della doppia negazione del verbo: «(…) and no moon wasn't shining» (p. 15), «And nobody didn't know how she got there?» (p. 22), «We didn't have no concentration camps» (p. 27), «(…) nobody didn't torture nobody» (p. 27);
- Uso dei modali “would” e “could” al posto di “will” e “can”: «That would give you (…) the lay of the land and of things» (p. 12), «If there are footsteps, those would be my prints in the ground» (p. 14), «You could axe me any question» (p. 31), «On Sundays, when the sun cool-off a bit, you could find me in the Church Yard» (p. 42).
- Cambi di categoria grammaticale, come per esempio il verbo «marrieding» (p. 44) dal verbo “to married” che appartiene all'inglese caraibico.
6.4 Sintassi
6.4.1 Ordine dei costituenti
Dal punto di vista sintattico, la difficoltà maggiore che presenta il testo è costituita dall'ordine delle parole nel periodo marcato rispetto a quello dell'inglese standard britannico, che può dare adito a interpretazioni errate del periodo e quindi del testo. Di seguito si riportano alcuni esempi:
«Lovely English names I named my two dead thrildren with» (p. 13); «Sargeant soon will be here» (p. 15);
«Henging from the tamarind tree, in broad daylight the next day Sunday morning, they found Clotelle» (p. 23);
6.4.2 Omissione del soggetto
L'omissione del soggetto è un esempio di forme ellittiche presenti nel testo. Non si tratta tanto di un elemento linguistico proprio dell'inglese caraibico, quanto di una strategia linguistica applicata dall'autore per conferire al testo una marca di oralità; nella lingua inglese, infatti, l'omissione del soggetto è un fenomeno molto comune nel linguaggio parlato e informale. Di seguito si riportano alcuni esempi tratti dal romanzo:
«Is so, Sargeant tell me to write down your Statement» (p. 15);
«Well-mannered? Would doff his cloth hat to the littlest, most humble person» (p. 26);
«Is time he find a woman to spend his life with.» (p. 44).
6.4.3 Riformulazione sintattica
Alla difficoltà data dall'ordine sintattico marcato dell'inglese caraibico, si aggiunge la differenza tra le strutture sintattiche della lingua italiana e quella inglese; ciò mi ha portato, in alcuni casi, a operare una serie di interventi, come l'eliminazione o la sostituzione di alcuni elementi linguistici, il riposizionamento delle frasi all'interno del periodo e di elementi all'interno della frase e il cambio di categoria grammaticale dei termini.
Si riportano due casi significativi:
- «And to pass a grinding-stone dip in car-grease, along the blade, since September the fifteenth last-gone; September, October, November just-pass, is three months; and every day for those months, night after night as God send, more than I can call-to-mind.» (p. 14)
Traduzione: «Dal quindici di settembre scorso, ho passato lungo la lama una cote immersa nel grasso lubrificante per auto; sono passati tre mesi, settembre, ottobre, novembre; e l'ho fatto ogni giorno di quei mesi, ogni sera che Dio ha messo in terra, più di quante riesco a ricordare.»
In questo caso, per rendere il periodo più comprensibile, ho anticipato le sequenze “Dal quindici di settembre scorso” e “sono passati tre mesi”; poi ho cambiato il modo del verbo principale “ho passato” e, infine, ho aggiunto il predicato “l'ho fatto” nell'ultima proposizione.
- «Henging from the tamarind tree, in broad daylight the next day Sunday morning, they found Clotelle, just as Mr. Darnley Alexander Randall Bellfeels, and Mistress Bellfeels, and the two girl-thrildren, Miss Euralie and Miss Emonie, was stepping down the verandah of the Plantation Main House, to cross the gravel path, to get in the Austin-Healey motor-car, the chauffeur holding the door open for them to get in, to be driven to attend Matins at Sin-Davids Anglican
Church, 'leven-o'clock-in-the-morning; butting and bounding the schoolhouse building where you went to Elementary School.» (p. 23)
Traduzione: «Hanno trovato Clotelle che penzolava dal tamarindo, il giorno dopo, in pieno giorno, la domenica mattina, proprio quando il signor Darnley Alexander Randall Bellfeels e la signora Bellfeels e le due bambine, la signorina Euralie e la signorina Emonie, stavano uscendo dalla veranda della Main House, per attraversare il vialetto di ghiaia e salire nella Austin-Healey, mentre l'autista teneva lo sportello aperto per farli salire, per andare alla chiesa anglicana di Sin Davids — che confina con l'edificio della scuola dove hai fatto le elementari — e partecipare al mattutino, alle undici.»
Il periodo è molto lungo e complesso, per questo motivo ho seguito l'ordine sintattico non marcato e ho messo la principale all'inizio; poi ho separato la sequenza “to be driven to attend” in due subordinate coordinate e ho inserito la proposizione finale in un inciso.
6.5 Lessico
L'aspetto più interessante del lessico consiste nel fatto che sia piuttosto essenziale e ridotto; non ho registrato una grande variazione sinonimica, molti aggettivi e nomi vengono ripetuti e usati più volte nel corso della narrazione. Questa caratteristica può essere ricondotta al carattere di oralità: nelle tradizioni orali, infatti, un tratto diffuso è la ripresa e ripetizione di parti narrative o di parole con lo scopo di compensare la mancanza di un testo scritto. Inoltre, tale tecnica facilita la memorizzazione della storia da parte del narratore e la comprensione di chi ascolta, il quale, sentendo più volte le stesse parole, è in grado di seguire meglio la narrazione.
Tuttavia, un lessico essenziale non significa povero; infatti, come tutta la scrittura postcoloniale che utilizza i linguaggi vernacolari, il testo è ricco di
elementi propri dell'inglese caraibico, che gli conferiscono vivacità e unicità.
6.5.1 Culturemi
I culturemi sono termini culturalmente vincolati, ossia termini a cui è associato un dato aspetto che è proprio di una determinata cultura o di un gruppo specifico di culture e non di altre. Non c'è una definizione univoca del concetto di culturema, poiché si tratta di un fenomeno che è stato individuato e sviluppato solo negli ultimi decenni nell'ambito dei cultural studies e translation studies.
In questa tesi, per l'individuazione e analisi dei termini culturospecifici si è fatto riferimento allo studio di Martínez El otoño del pingüino: análisis descriptivo de la traducción de los culturemas. L'autrice parte dalla definizione attribuita a Vermeer, secondo il quale il culturema è “a social phenomenon of a culture X that is regarded as relevant by the members of this culture and, when compared with a corresponding social phenomenon in a culture Y, is found to be specific to culture X”.36 Martínez, ripercorrendo gli studi di Hans J. Vermeer e
Christiane Nord,37 ridefinisce il concetto partendo dalla premessa secondo cui i
culturemi esistono solo nel processo di traduzione tra due culture concrete e, pertanto, non vanno considerati come elementi propri di una cultura, ma come la conseguenza di un trasferimento culturale. Dato che il culturema funziona in base al contesto in cui è inserito, l'autrice dà questa definizione:
[E]ntendemos por culturema un elemento verbal o paraverbal que
36 Martínez, Lucía Molina, El otoño del pingüino: análisis descriptivo de la traducción de los
culturemas, Castellón de la Plana, Publicaciones de la Universitat Jaume I, 2006, p. 66.
37 Nord riprende e amplia la definizione di Vermeer, specificando che, poste a confronto due culture, un fenomeno può essere considerato culturospecifico se si verifica in una particolare forma o funzione solo in una delle due culture prese in esame. Quindi, non è il fenomeno in sé a essere proprio di una cultura, ma la sua manifestazione; infatti, esso potrebbe verificarsi in entrambe le culture o in altre.
posee una carga cultural específica en una cultura y que al entrar en contacto con otra cultura a través de la traducción puede provocar un problema de índole cultural entre los textos origen y meta.38
Martínez propone una suddivisione dei culturemi in quattro categorie:39
1) AMBIENTE NATURALE: flora, fauna, fenomeni atmosferici, paesaggi naturali, paesaggi creati dall'uomo, toponimi;
2) PATRIMONIO CULTURALE: riferimenti fisici e ideologici tipici di una cultura, comportamenti culturali, patrimonio storico-culturale; cultura religiosa e cultura materiale, realia folklorici e mitologici, personaggi reali o fittizi, avvenimenti storici, conoscenze religiose, festività, credenze popolari, folklore, opere e movimenti artistici, cinema, musica, balli, giochi, monumenti emblematici, luoghi noti;
3) CULTURA SOCIALE: abitudini e convenzioni sociali, ossia trattamento di cortesia, modo di mangiare, vestire, parlare, valori morali, forme di saluto, gestualità, distanza fisica tra gli interlocutori; organizzazione sociale, ossia sistemi politici, legali, educativi, organizzazioni, professioni, sistema di valuta, calendario, sistemi di misurazione.
4) CULTURA LINGUISTICA: traslitterazione, proverbi, espressioni idiomatiche, metafore generalizzate, nomi propri con significati accessori aggiunti, associazioni simboliche, interiezioni, insulti, blasfemie.
38 Martínez, Lucía Molina, op. cit., p. 79. “Si definisce culturema un elemento verbale o paraverbale che, in una cultura, possiede una carica culturale specifica e quando viene a contatto con un'altra, attraverso la traduzione, può causare dei problemi di tipo culturale tra il testo di partenza e il testo d'arrivo” (traduzione mia).
39 Per un quadro più completo sui tipi di culturemi cfr. il capitolo 5 di Martínez.
Durante il processo traduttivo, ogni qual volta mi sono trovata davanti un culturema, ho cercato di tenere a mente il contesto in cui erano inseriti e di chiedermi quale fosse la loro funzione nel testo. In molti casi, ho scelto di lasciare le parole invariate, ossia non tradotte, per vari motivi: il loro significato si comprende dal contesto o l'autore ha inserito una glossa; le parole o espressioni invariate hanno la funzione di esprimere l'autenticità e la vivacità non solo della lingua, ma anche del mondo caraibico, per questo non mi è sembrato opportuno utilizzare equivalenti, poiché il testo avrebbe perso quel senso di alterità che sta alla base dei testi postcoloniali.
Va specificato che il senso di straniamento non deve andare a discapito della comprensione e leggibilità del testo; per questo ho cercato di limitarlo all'ambito lessicale, “normalizzando” invece la sintassi e la morfologia, rendendole il più possibile standard. Per non lasciare il lettore completamente da solo, ho creato un piccolo glossario in cui viene fornita una breve definizione dei termini rimasti invariati. Del resto, l'uso degli apparati paratestuali è ormai una formula praticata da molti traduttori.
In altri casi, ho tradotto i culturemi con un equivalente appropriato, oppure ho utilizzato alcune strategie di adattamento come addizioni, sottrazioni e alterazioni, poiché il loro significato non era deducibile dal contesto e, se non fossero stati tradotti, non avrebbero svolto la funzione metaforica o semantica che hanno nel testo fonte.
Ambiente naturale
Data l'importanza dell'elemento naturale e paesaggistico nel romanzo, ho ritenuto opportuno lasciare invariati i termini; sono stati distinti tra nomi di piante e nomi di coltivazioni.
Nomi di piante: ho lasciato invariati «dunks» (p. 22), «nigger-peppers» (p.
29), «sour-sop» (p. 49), «puh-paw» (p. 49) e «sugar-apple» (p. 49).
Per i seguenti culturemi ho preferito rendere più chiaro il loro significato, attraverso addizioni o sostituzioni con termini noti nella lingua d'arrivo:
«Guinea grass» (p. 22) “erba Guinea”;
«Khus-Khus grass» (p. 22) “erba Khus-Khus”; «sersey bush» (p. 49) “mirtillo Jersey”;
«Christmas bush» (p. 49) “pianta Christmas”; «miraculous bush» (p. 49) “pianta miracolosa”; «lignum vitae bush» (pp. 49, 52) “albero della vita”;
Nomi di coltivazioni: ho lasciato invariato «yam» (p. 15) e «eddoes» (pp. 15, 22).
L'espressione «ground provisions» (p. 15) è stata resa con “tutte quelle piante” poiché si tratta di un nome collettivo che indica le piante coltivate che crescono sotto terra, in particolare i tuberi (cassava, yam, eddoes, patate dolci, ecc.).
In questo gruppo rientra anche il culturema «arrows» (p. 13) che è stato tradotto con “frecce”. L'uso di questo termine è particolare: infatti, l'autore crea un gioco di parole tra “arrow” dell'inglese standard, che significa freccia, e “arrow” dell'inglese caraibico, che indica lo stelo delle canne da zucchero.
Patrimonio culturale
In questo caso ho fatto particolare attenzione ai culturemi riguardanti i piatti tipici poiché Clarke è molto legato alla tradizione culinaria delle sue origini, sia per un fattore affettivo e sia perché la considera una componente di prestigio del