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L’archiviazione e la diffusione di una tecnica coreica. Tracce dal Fondo Gianni Secondo

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Academic year: 2021

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L’archiviazione e la diffusione di una tecnica coreica.

Tracce dal Fondo Gianni Secondo161

L’arte della danza, sintesi di pratiche e rappresentazioni,è il risultato, da un lato della formalizzazione in strutture delle azioni fisiche, dall’altro, della costruzione di simboli che inevitabilmente il corpo determina162. Le pratiche

nel corso del tempo si sono organizzate in sistemi – le tecniche – che attraverso paradigmi fisici hanno dato luogo a corpi con caratteristiche riconoscibili e, contemporaneamente, ad altrettanti linguaggi stilistici. La corporeità ha, pertanto, un ruolo preminente sia nella costruzione della tecnica, sia soprattutto nella sua archiviazione e diffusione. In virtù della relazione che i paradigmi fisici instaurano con il corpo, su cui imprimono una traccia indelebile, sarà possibile, infatti, individuare proprio nel corpo danzante il supporto privilegiato per l’archiviazione del sapere pratico della danza.

La trasmissione delle tecniche coreiche è avvenuta nel tempo primariamente per mezzo di insegnamenti tramandati da maestro ad allievo. Attraverso tali processi di incorporazione sono venuti a costituirsi dei veri e propri archivi corporei. Tuttavia, se da un lato il corpo inteso come corpo-archivio, ha rappresentato lo strumento più immediato di trasmissione dei tratti caratteristici di ciascuna tecnica, dall’altro, la cosiddetta “retorica dell’effimero”163 – che assegna all’arte della danza il triste destino di esaurirsi

nel momento in cui termina l’atto performativo – ha imposto, nei processi di trasmissione, un limite ai corpi-archivio, destinanti anch’essi per ragioni

161

Questo saggio rientra in un più ampio lavoro di ricerca di dottorato in corso presso l'Univer-sità di Torino sul ruolo degli archivi coreici torinesi (tutor Alessandro Pontremoli). L’obiettivo primario della ricerca sarà quello di provare a ricostruire un’ideologia della danza torinese, partendo proprio dalle tracce d’archivio e comparandole con i prodotti della critica e della storio grafia coeva. Nel caso specifico del Fondo Gianni Secondo il lavoro sarà incentrato sul con -fronto fra gli articoli del giornalista e critico su «Stampa Sera» e alcuni documenti presenti nel fondo.

162

Cfr. Pontremoli, Alessandro, Danza e Rinascimento, Macerata, Ephemeria, 2011, p. 13.

163

Per un quadro preciso della cosiddetta “retorica dell’effimero” cfr. Franco, Susanne – Nor-dera, Marina, Ricordanze. Memoria in movimento e coreografie della storia, Torino, UTET Università, 2010, pp. XVII-XIX.

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fisiologiche a non perdurare nel tempo. La ricognizione delle tracce lasciate dal corpo danzante è resa possibile dai documenti d’archivio che permettono la ricostruzione dell’oggetto proprio della danza alla luce di un’ontologia della traccia164. Imprimere nella memoria attraverso la scrittura permette, dunque, di

accompagnare e completare la trasmissione orale. Quando la distanza nel tempo, infatti, ci allontana dalla traccia manifesta – lasciata sul corpo da una tecnica – la ricostruzione ed il recupero di un sapere pratico e, in secondo luogo, una sua possibile trasmissione, possono essere attuati solamente da quegli oggetti, come i documenti d’archivio, che ne perpetuano l’esistenza. I fondi d’archivio coreici rappresentano così una fonte imprescindibile nell'ambito della ricerca degli studi in danza165.

Questo saggio si propone di rintracciare nel Fondo Gianni Secondo166 della

Biblioteca Nazionale Universitaria di Torino alcuni dei principali documenti che hanno un valore rilevante nello studio delle tecniche e offrire così una panoramica sui diversi sistemi di trasmissione. Partendo dal presupposto che lo studioso dinnanzi all’archivio inevitabilmente mette in opera dei «criteri di selezione e organizzazione»167, l’analisi è stata rivolta a quei documenti del

Fondo che affrontano nello specifico le tecniche coreiche, provando a ricostruire ed “organizzare” quindi cronologicamente l’evoluzione storica‒ ‒ delle pratiche didattiche coreiche nel secondo dopoguerra. Tutti i testi presi in esame qui di seguito appartengono al Fondo Gianni Secondo e trattano prevalentemente l’insegnamento della danza classico-accademica. Per la loro disseminazione geografica, tali documenti permettono un’ampia ricognizione delle tecniche, ma soprattutto delle metodologie didattiche dei principali centri di formazione coreutica.

Il testo più antico tra quelli presi in esame è il Traité de danse academique scritto nel 1949 da Serge Lifar168 in cui vengono descritti gli elementi

164

L’ontologia della traccia recupera l’oggetto della danza che secondo un’ontologia della pre -senza era da considerarsi assente.

165 Sebillotte, Laurent, La fioritura postuma delle opere ovvero l’orizzonte dell’archivista, tra produzione e

analisi dell’archivio, in Franco, Susanne – Nordera, Marina (a cura di), Ricordanze, cit., p. 16.

166 Gianni Secondo (1925-2011) è stato un giornalista e critico di danza. Collezionista e

bibliofi-lo, ha donato, poco prima di morire, la sua preziosa biblioteca alla Biblioteca Nazionale Univer-sitaria di Torino.

167

Franco, Susanne – Nordera, Marina (a cura di), Ricordanze, cit., p. 5.

168

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fondamentali della tecnica classico-accademica. A partire dalle posizioni delle braccia e dei piedi169 e dai primi basilari rudimenti tecnici il trattato offre una

panoramica sulla tecnica accademica seguendo la consueta successione dei passi prima alla sbarra e poi al centro. Da un punto di vista della didattica della danza l’apporto di Lifar alla principale istituzione francese di cui fu direttore‒ dal 1930 al 1944 e dal 1947 al 1958 fu determinante nell’ottica di un vero e‒ proprio processo di riforma. Il trattato è, infatti, una sintesi delle sue teorie e delle sue iniziative, come prova l’appendice che correda il libro e che contiene il testo della conferenza tenuta da Lifar il 18 dicembre 1947 in occasione della inaugurazione de L’Académie chorégraphique au Théâtre National de l’Opéra, in cui viene marcata l’importanza della relazione tra teoria e prassi nella composizione coreografica.

L’unico manuale di tecnica moderna presente nel fondo e che fa riferimento al periodo preso in esame è il testo The Jooss-Leeder method di Jane Winearls170.

Pubblicato nel 1958, questo manuale presenta un’analisi dettagliata del metodo di insegnamento elaborato dagli allievi di Rudolf Laban, Kurt Jooss e Sigurd Leeder. Dopo un’introduzione dei principi di movimento fondanti (tension, relaxation, strength e weight), vengono illustrate nel testo le posizioni di base del corpo e i principali movimenti. Si tratta di un metodo che parte dal presupposto che la danza moderna abbia il compito di sviluppare «the personality of each dancer through the training, by creative improvisation and composition»171. Ciò che contraddistingue questo sistema è l’introduzione di

nuovi elementi stilistici come Dynamic, Design, Improvisation e Composition. L’ultima parte del testo è dedicata, appunto, alla relazione che si instaura tra improvvisazione e composizione: «Improvisation is the raw material from

quel che concerne l’attività di coreografo presso l’Opéra di Parigi cfr. Guest, Ivor, Le Ballet de l’Opéra de Paris, Paris, Théâtre National de l’Opéra-Flammarion, 1976, pp. 171-212. Per una bre-ve panoramica, inbre-vece, sugli studi teorici di Lifar cfr. Laurent, Jean - Sazanova, Julie, Serge Lifar. Renovateur du Ballet Français, Paris, Buchet-Chastel,1960, pp. 213-216 e p. 249.

169 Lifar aggiunse alle cinque canoniche posizioni dei piedi la “sesta” (i piedi uniti tra loro in

po-sizione parallela) e la “settima”(un piede davanti all’altro nella popo-sizione parallela con i talloni alzati e le ginocchia flesse).

170 Jane Winearls (1908-2001), danzatrice ed insegnate di danza, ha studiato con Rudolf Laban,

Mary Wigman, Kurt Jooss e Sigurd Leeder. Studiosa di danza ha approfondito il metodo Jooss-Leeder e intrapreso la carriera accademica presso l'Università di Birmingham. Cfr Adamson, Andy, Jane Winearls. Britain’s first full-time university - lecturer in dance, in «The Guardian», 16

novem-bre 2001.

171 Winearls, Jane, Modern dance: the Jooss-Leeder method, London, Black, 1968, p. 75.

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which Composition grows»172. In questo senso la tecnica diventa uno

strumento fondamentale per plasmare il corpo e renderlo pronto a molteplici sollecitazioni creative.

L’esperienza della trattatistica coreica nel secondo dopoguerra in Italia è testimoniata dal testo del 1970 di Marcella Otinelli173, Come nasce una danzatrice.

Trattato pedagogico della danza italiana da Carlo Blasis a Marcella Otinelli, che si propone come sigillo di una tradizione didattica che affonda le sue radici nell’opera di Carlo Blasis. Il manifesto programmatico di questo trattato è chiaro sin dalle prime righe:

Dopo venti anni di esperienza didattica e sulla scorta di una preziosa documentazione che risale al 1910, lasciatami dalla mia Maestra174 ritengo giunto il momento di scrivere un trattato di danza che mi auguro sia di buona guida per i giovani e per quanti desiderino conoscere a fondo le origini e gli sviluppi della danza italiana nella sua forma più pura.175

L’intento è quello di voler suggellare una tradizione didattica che attraverso l’operato di Teresa Battaggi lega la Otinelli a Blasis, così come emerge dalla conclusione delle note biografiche in appendice al testo dove è la stessa Otinelli a promuovere Teresa Battaggi quale discendente diretta di Carlo Blasis e alla cui memoria si propone di dedicare il trattato per «immortalarla nella storia della danza italiana»176. Il trattato presenta il programma accademico strutturato

in tre corsi inferiori, dedicati alla corretta impostazione fisica del danzatore, tre corsi intermedi, che hanno come obiettivo lo sviluppo del movimento e dell’espressività coreografica, ed infine due corsi superiori, dedicati al perfezionamento dei virtuosismi tecnici.

172 Ivi, p. 119.

173 Marcella Otinelli, formatasi sotto la guida di Teresa Battaggi presso la scuola di ballo del

Teatro dell’Opera di Roma, nel 1944 ha intrapreso contemporaneamente l’attività di danzatrice e di insegnante di danza. Nel 1952 si è trasferita a Venezia dove ha fondato il Centro di Danze Classiche. Cfr. Testa, Alberto, Storia della danza e del balletto, Roma, Gremese, 2005, pp. 188-189.

174 Teresa Battagi, danzatrice milanese formatasi sotto la guida di Raffaele Grassi, ha intrapreso

presto una carriera internazionale raccogliendo apprezzamenti insieme alla sorella Placida. Nel 1937 viene chiamata a Roma a dirigere la scuola di ballo presso il Teatro dell’Opera. Cfr. Alba -no, Roberta – Scafidi, Nadia – Zambon, Rita, La danza in Italia, Roma, Gremese, 1998, pp. 61-62.

175 Otinelli, Marcella, Come nasce una danzatrice: trattato pedagogico della danza italiana da Carlo Blasis

a Marcella Otinelli, Roma, Istituto grafico tiberino, 1970, p. 7.

176

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Meno sistematica è l’impostazione che la danzatrice ed insegnante Anne Woolliams177 dà al suo testo Ballettsaal del 1973, in cui, prendendo spunto dal

titolo, accompagna il lettore in un viaggio all'interno di una sala prove, illustrando la vita del danzatore dalla formazione sino alla carriera professionale. La formula del racconto non deve trarre in inganno. Il testo rappresenta, infatti, una preziosa testimonianza della attività didattica della scuola di ballo del Teatro di Stoccarda, nonché dell'attività della omonima compagnia diretta da John Cranko.

Un altro testo che offre una panoramica sulla didattica della danza italiana è Invito alla danza classica: secondo il metodo Basarova-Miei della scuola russa contemporanea, in uso al teatro Bolshoi di Mosca che Egilda Cecchini178 scrive nel

1974. La ferma convinzione che muove il suo operare è che «la danza prima di essere una un'esibizione ad alto livello, cioè arte, è "ars", tecnica, rigorosa, che esige disciplina e controllo di sé e che quindi comporta un sicuro valore educativo»179. Dopo aver riscontrato, durante il periodo di approfondimento in

Russia, l'efficienza dei risultati ottenuti dagli allievi della scuola del Teatro Bolshoi, Egilda Cecchini decide di orientare le sue ricerche verso lo studio del metodo Basarova Miei, che, come racconta lei stessa:

mi impressionò subito favorevolmente, poiché comprende sia la teoria relativa ai primi tre corsi di danza classica, consistente in una minuziosa analisi dei singoli movimenti di determinate parti del corpo umano, sia le norme per l’attuazione pratica della teoria stessa.180

177 Anne Wooliams (1926-1999) è stata una danzatrice ed insegnante inglese. Ha sviluppato la

sua metodologia didattica negli anni Sessanta presso la Folkwang Hochschule di Essen sotto la guida di Kurt Jooss. Dal 1963 al 1976 è stata maître presso lo Staatstheater di Stoccarda ed ha contributo allo sviluppo della scuola diretta da John Cranko. Prima di ritirarsi ha assunto la di -rezione dell’Australian Ballet nel 1976 e della compagnia di danza del Teatro dell’Opera di Vienna nel 1993. Cfr. Koegler, Horst, Dizionario Gremese della danza e del balletto, Roma, Greme-se, 2011, p. 548. Per un quadro generale sulla nascita di una scuola di formazione coreutica na-zionale in Germania Cfr. Liechtenhan, Rudolf. La Germania e la Svizzera, in Basso, Alberto (a cura di), Musica in scena. Storia dello spettacolo musicale, vol. V: L’arte della danza e del balletto, Torino, UTET, 1995, p. 590.

178 Egilda Cecchini, formatasi presso l’Accademia Nazionale di Danza, ha approfondito i suoi

studi coreici in Russia Intrapresa l’attività di docente, ha insegnato per diversi anni in tre scuole (a Padova, Abano e Mestre) autorizzate dal ministero della pubblica istruzione, divenendo un punto di riferimento nel panorama della danza veneta.

179

Cecchini, Egilda, Invito alla danza classica: secondo il metodo Basarova-Miei della scuola russa contem-poranea, in uso al Teatro Bolscioi di Mosca, Milano, International edition, 1974, p.7.

180 Ivi, p. 13.

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Il testo sicuramente più sistematico fra tutti è quello del maestro russo Asaf Messerer181, Classes in classical ballet del 1975, che raccoglie gli esempi di una

lezione tipo per ciascuno degli otto anni di studio. La precisione e la minuziosità con cui ciascun esercizio è trattato rendono il testo uno strumento prezioso nell’ambito della didattica della tecnica accademica. Pur nella sua sistematicità il testo lascia ampio spazio nell’introduzione al racconto autobiografico di Messerer che, portando alla luce momenti della sua esperienza di danzatore ed insegnante, definisce le linee guida della sua didattica182. Questo metodo sistematico si fonda su un profondo rigore logico

che sta alla base della costruzione dei singoli esercizi, come nota lo stesso Messerer: «In a ballet class, logic must prevail as it does in the lectures of university professors [...]. From beginning to end, a ballet class must be conducted in correct proportions, succession, and progression of the selected exercise»183.

Un particolare interesse suscita il testo di Joan Lawson184, I principi della

danza classica, per il suo innovativo approccio metodologico. Prendendo spunto da concetti base di anatomia e biomeccanica185, Lawson individua sette principi

fondamentali della tecnica accademica: l’impostazione del corpo, la rotazione, il piazzamento, le leggi dell’equilibrio, le regole fondamentali della tecnica, il trasferimento del peso e la coordinazione. L’esperienza di anni di insegnamento presso la scuola del Royal Ballet a Londra ha permesso a Lawson di sperimentare questa metodologia, il cui presupposto consta nello strutturare

181

Asaf Messerer (1903-1992) è stato un danzatore, coreografo ed insegnante russo. Formatosi presso la scuola di ballo del Teatro Bolshoi di Mosca è stato solista nello stesso teatro ed in se -guito insegnate e coreografo.

182 Una metodologia che trae origine dalle teorie esposte da Agrippina Vaganova nel suo testo

programmatico del 1934, e che, attraverso la rielaborazione degli insegnamenti di Alexander Gorsky e Vasily Tikhomirov, si concretizza mettendo a frutto l’esperienza di insegnamento di Messerer all’interno della scuola del Teatro Bolshoi di Mosca. Cfr. Roslavleva, Natalia, Era of the Russian ballet, London, Gollancz, 1966, pp. 213-214.

183

Messerer, Asaf, Classes in classical ballet, New York, Doubleday & Company, 1975, p. 23.

184

Joan Lawson (1907-2002) è stata una danzatrice ed insegnante inglese. Cfr. Stratyner, Cohen – Naomi, Barbara, Biographical dictionary of dance, New York, Schirmer books, 1982, p. 532. Ha svolto per lungo tempo l’attività di docente presso la scuola del Royal Ballet, pubblicando saggi di carattere coreico. Cfr. Lawson, Joan, Classical ballet: its style and technique, London, Black, 1960; Lawson, Joan, The teaching of classical ballet: common faults in young dancers and their training, London, Black, 1973; Lawson, Joan, Teaching Young Dancers: Muscular Co-ordination in Classical Ballet, Lon-don, Black, 1975.

185

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l’insegnamento della tecnica in riferimento ad un solo dei principi. L’innovazione di questa proposta didattica, che si discosta dalle altre, sta nel cercare di adattare la tecnica alle caratteristiche degli allievi e alle necessità contingenti di ciascun corso, partendo da uno dei principi fondamentali e non da un programma stabilito.

Un altro testo che si avvale dell’esperienza autobiografica è quello che Suki Schorer186 dedica nel 1999 alla tecnica elaborata da George Balanchine. Il testo

si propone di illustrare alcuni tratti stilistici come, ad esempio, la particolare posizione della mano:

one of the most distinctive formal elements of Balanchine’s rethinking of the hand is the thumb. [...] He wanted the thumb to come out from the palm in the first joint, then curve in toward the tip of the middle finger in its second joint. Held this way, the thumb was visible most of the time.187

Accanto agli elementi tecnici caratteristici, sono i racconti della Schorer che più colpiscono e che permettono di ricostruire l’estetica formalista di Balanchine, anche attraverso aneddoti che inseriscono il pensiero del maestro in un contesto socio-culturale ben riconoscibile.

Da questa breve mappatura si evince, in primo luogo, il fatto che la pratica prende forma non solo da azioni corporee, ma anche da discorsi. Ciascuno scritto, infatti, riporta in modo diverso e secondo procedure differenti la trascrizione di quelli che Joëlle Vellet chiama i discorsi situati, ovvero quei discorsi che «accompagnano o condizionano la trasmissione» e che diventano «uno strumento per organizzare i saperi in memoria»188. Questa organizzazione

di sapere in memoria segue processi e strutture diversi che vanno dai trattati ‒ nei quali il discorso riporta le indicazioni procedurali di esecuzione dei singoli movimenti a testi di carattere più divulgativo. Pur nella loro sistematicità il‒ ‒ caso del testo di Messerer è emblematico i trattati non mancano, però, di‒ note introduttive che attraverso la narrazione autobiografica “situano” il discorso della tecnica nella esperienza pratica di insegnamento attraverso un

186 Suki Schorer (1939), danzatrice e insegnante americana che da anni promuove la

metodolo-gia didattica elaborata da George Balanchine. Cfr. Stratyner, Cohen – Naomi, Barbara, Biograph-ical dictionary of dance, cit., p. 800.

187

Schorer, Suki, Suki Schorer on Balanchine technique, New York, Alfred A. Knopf, 1999, p. 56.

188 Vellet, Joëlle, I discorsi tessono con i gesti le trame della memoria, in Franco, Susanne – Nordera,

Marina, Ricordanze cit., p. 332.

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processo di esemplificazione che in alcuni casi degenera, però, nell’autoreferenzialità. Una metodologia didattica non può, tuttavia, prescindere dall’esperienza pratica e da quei processi che hanno determinato il suo costituirsi in tecnica ed è per questo motivo che tali note permettono di risalire alle teorie estetiche fondanti, definendone contemporaneamente i relativi principi pedagogici. I testi di carattere più divulgativo e narrativo non offrono quelle indicazioni precise per una ricostruzione della tecnica, ma rappresentano un prezioso spunto di analisi teorica ed estetica, dal momento che mettono in luce il contesto socio-culturale che ha contribuito al divenire di una pratica.

In secondo luogo, attraverso quella che Derrida definisce violenza di filtraggio189, è stato possibile operare una selezione dei documenti ed una

organizzazione di essi secondo un criterio cronologico, tracciando in questo modo l’evoluzione delle pratiche didattiche e delle diverse procedure di trasmissione, in riferimento ad un corpus di oggetti definito. Quel che resta ancora sconosciuto è il ruolo che tale corpus possa aver rivestito negli studi di Secondo. Il fondo, purtroppo, non ricrea la collocazione originaria dei documenti nella biblioteca del critico torinese. Non è pertanto dato sapere se essi costituissero già un sottoinsieme o semplicemente fossero inseriti nella collezione senza un preciso criterio. Dalle testimonianza della curatrice del Fondo, la dottoressa Franca Porticelli, che ha preso in carico il trasferimento del materiale dalla casa privata di Gianni Secondo alla Biblioteca Nazionale di Torino, risulta che i testi fossero custoditi in due grandi scaffali e su di un tavolo senza un particolare ordine. Non si evincerebbe, dunque, una volontà di organizzare il materiale da parte del critico e quindi di attribuire ai documenti relativi le tecniche un ruolo particolare.

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