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L'ultima lezione di Stefano Rodotà

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«la Repubblica» 31 marzo 2018

L'ultima lezione di Stefano Rodotà

Roberto Esposito

«Per vivere occorre un'identità, ossia una dignità. Senza dignità l'identità è povera, diventa ambigua, può essere manipolata». Il nuovo libro, postumo, di Stefano Rodotà, Vivere la demo- crazia, appena pubblicato da Laterza, può essere letto come un ampio e appassionato com- mento a questa frase di Primo Levi. Tutti e tre i termini evocati da Levi — identità, dignità e vi- ta — s'incrociano in una riflessione aperta ma anche problematica, che ha fatto di Rodotà uno dei maggiori analisti del nostro tempo. Composto da saggi non tutti rivisti dall'autore, scom- parso lo scorso giugno nel pieno del suo lavoro, il libro ci restituisce il nucleo profondo di una ricerca che definire giuridica è allo stesso tempo esatto e riduttivo. Esatto perché il diritto co- stituisce l'orizzonte all'interno del quale Rodotà ha collocato il proprio lavoro. Riduttivo perché ha sempre riempito la propria elaborazione giuridica di contenuti storici, filosofici, antropologici che ne eccedono il linguaggio. Rodotà ha posto il diritto, da altri irrigidito in formulazioni astratte, a contatto diretto con la vita. E non con la vita in generale, ma con ciò che è diventa- to oggi la vita umana nel tempo di una tecnica dispiegata al punto da penetrare al suo interno, modificandone profilo e contorni.

Ma cominciamo dalle tre parole prima evocate, a partire dall'identità. Come è noto a chi si oc- cupa di filosofia, l'interrogazione sul significato della nostra identità attraversa l'intera storia del pensiero, trovando un punto di coagulo decisivo nell'opera di John Locke.

Cosa fa sì che il vecchio riconosca sé stesso nel ragazzo, e poi nell'adulto, che è stato nono- stante i tanti cambiamenti che ne hanno segnato l'aspetto e il carattere? La risposta di Locke è che a consentire alla coscienza di sperimentarsi identica a se stessa in diversi momenti dell'esi- stenza è la memoria. Ma tale risposta bastava in una stagione in cui natura, storia e tecnica costituivano sfere distinte e reciprocamente autonome. Una condizione oggi venuta meno. Nel momento in cui politica e tecnica hanno assunto il corpo umano a oggetto del proprio operato tutto è cambiato. Sfidata dalle biotecnologie e immersa nel cyberspazio, l'identità umana si è andata dislocando su piani molteplici, scomponendosi e ricomponendosi in maniera inedita.

È precisamente a questa mutazione antropologica che Rodotà rivolge uno sguardo acuminato.

A chi appartiene il nostro futuro? — egli si chiede con Jaron Lanier (La dignità ai tempi di inter- net, Il Saggiatore) — quando l'identità non è più forgiata da noi stessi, ma modificata, e anche manipolata, da altri? Si pensi a come è cambiato il ruolo del corpo in rapporto alla nostra iden- tificazione. Dopo essere stato centrale, al punto che sulla carta d'identità comparivano, insieme alla foto, colore di occhi e capelli, il corpo è stato in qualche modo soppiantato dalle tecnologie informatiche — password, codici, algoritmi. Per poi tornare, una volta tecnologizzato, come oggetto di attenzione da parte delle agenzie di controllo.

Impronte digitali, geometrie della mano, iride, retina, per non parlare del DNA.

Tutto ciò quando la chirurgia plastica è in grado di cambiare i nostri connotati. E qui entra in gioco il secondo termine del libro, la dignità, assunta non in maniera generica, ma come un ve- ro principio giuridico. Che ha già trovato spazio nella nostra Costituzione e poi nella Dichiara- zione universale dei diritti dell'uomo. Ma ciò non basta, se si vuol passare dal tempo dell'homo aequalis a quello dell'homo dignus. Il richiamo alla dignità, che è stato un lascito importante del costituzionalismo del Dopoguerra diventa, per Rodotà, un elemento costitutivo dell'identità personale.

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Naturalmente a patto che il concetto stesso di "persona" spezzi il guscio giuridico di matrice romana, per incarnarsi nel corpo vivente di ogni essere umano, senza distinzione di etnia, reli- gione, provenienza.

Anche la questione, largamente discussa, dei beni comuni va inquadrata in questo orizzonte storico, misurata alle drastiche trasformazioni che stiamo vivendo. Solo in questo modo anche il terzo termine in gioco — la vita — può diventare oggetto di una biopolitica affermativa.

Rodotà ne offre un esempio illuminante.

Nel 2013 la Corte suprema dell'India ha stabilito che il diritto di una casa farmaceutica di fissa- re liberamente il prezzo di un farmaco di largo consumo è subordinato al diritto fondamentale alla salute di chi ne ha bisogno. Che prevale sull'interesse proprietario.

Come è noto, a partire dall'entrata in vigore del Codice civile napoleonico, il principio della pro- prietà è stato sostituito a quello, rivoluzionario, di fraternità, anteponendo la figura del proprie- tario a quella del cittadino. Che non sia arrivato il momento di riattivare la fraternità ricucendo il filo, spezzato, dell'uguaglianza?

La raccolta di saggi postuma del grande giurista scomparso, ora in libreria, è una summa delle sue riflessioni sul tema dei diritti nell’era digitale: sfida che si vince solo ritrovando un legame tra identità, dignità e vita

La domanda fondamentale è: a chi appartiene il nostro futuro, se ciò che siamo viene manipo- lato da altri?

Ma è cruciale anche la questione dei beni comuni: il cittadino deve contare di più del proprieta- rio

IL LIBRO

Stefano Rodotà, Vivere la democrazia, Laterza, Roma-Bari marzo 2018 (pagg.151)

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