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MIELE DI TIMO Cristina Toniolo

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Academic year: 2022

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MIELE DI TIMO

Cristina Toniolo

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Si erano appena sistemati a tavola quando sentirono un'auto entrare nel cortile e una portiera chiudersi con violenza. Beatrice era curiosa di vedere quel ragazzo, ma dava la schiena alla porta e non poteva girarsi, così restò in attesa di conoscere l'ultimo membro di quella famiglia che aveva catturato, fin dal primo momento, tutta la sua simpatia. Sentì passi sicuri avanzare verso il tavolo, sentì una voce decisa e calda salutare tutti e poi lo vide, proprio lì, davanti ai suoi occhi, che si stava sedendo al suo fianco mentre Viktoria faceva le presentazioni.

E Beatrice non riuscì a credere a ciò che vedeva, mentre porgeva la mano allo stesso ragazzo che non le aveva tolto gli occhi di dosso, per un solo attimo, in quella lunga notte trascorsa all'aeroporto.

– Ma guarda che coincidenza – stava dicendo Giuliano, – tu eri in aeroporto ad Atene con noi. Avendo saputo chi eri potevamo fare il viaggio insieme.

– Siamo stati beffati dallo stesso ritardo. Spero non abbiate avuto una brutta impressione della Grecia dopo aver trascorso la notte su delle poltrone di plastica.

Beatrice si sentiva annientata, non riusciva a parlare, non riusciva a respirare e faticava anche a mangiare, cosa molto strana per una come lei che amava assaggiare qualsiasi novità si trovasse nel piatto. Alla ragazza sembrava di poter percepire i suoi occhi neri accarezzarle la pelle, il suo calore scaldarle il braccio, quando la sfiorava, e la sua vicinanza attizzare la fiamma che le ardeva nell'anima inquieta. Ma lui non le aveva ancora rivolto la parola e sembrava non considerarla neanche, mettendola ancora di più a disagio. Forse era imbarazzato anche lui per tutte le occhiate che si erano scambiati in aeroporto, pensò la ragazza facendosi forza e ricominciando a parlare e a sorridere. Con uno sforzo, tirò fuori un po' di coraggio e si girò verso di lui. Sicura di non essere notata, lo osservò meglio. Doveva ammettere che era proprio carino, con i lineamenti fini, anche se la bocca poteva apparire un po' troppo grande quando rideva, il naso piccolo e dritto, i capelli scuri che faceva ricadere lunghi sul collo e che lui continuava a ricacciare indietro dalla fronte. Ma quello che catturò maggiormente l'attenzione di Beatrice fu la sua voce, calda e ben modulata, e il suo modo di fare, sicuro e spavaldo.

Quando andarono a sedersi in giardino per bere il caffè notò, con immenso piacere, che lui continuava a farle scivolare gli occhi addosso, anche se stava attento che nessuno se ne accorgesse.

Lei avrebbe voluto che quella serata non finisse mai. Mai, come durante quella cena, aveva trovato affascinanti discorsi sulle strutture alberghiere e mai, come quella sera, aveva sentito che, forse, anche quel mondo che lei aveva maledetto costantemente per tutta la sua vita, poteva avere qualcosa da offrire.

– Quanto ti fermerai qui? – le chiese Christophe quando la conversazione cadde su argomenti troppo noiosi da seguire.

– Per tutta l'estate. Tornerò a casa per l'inizio dei corsi, in ottobre – rispose, con un sorriso, cercando di mascherare un'evidente agitazione.

– Vedrai che non ti annoierai, l'isola offre molto e, se ti stanchi di questo piccolo scoglio, ci sono molti collegamenti sia per le altre isole che per il continente.

– Anche se oggi ho trascorso tutto il giorno in piscina, non mi piace molto starmene ferma a prendere il sole quindi, credo seguirò il tuo consiglio e andrò alla scoperta della tua terra – gli rispose, rilassandosi e cominciando a prendere confidenza con lui e con tutte le altre persone che le stavano intorno.

– Peccato che tu sia qui proprio nei mesi in cui c'è la calca di stranieri. Questi posti danno il meglio di sé al di fuori dalla stagione turistica, anche se ormai questa dura per gran parte dell'anno.

– Se ti va, domani passo a prenderti e andiamo insieme alla sua galleria – si intromise Viktoria porgendo il caffè al figlio e alla ragazza che sembrava pendere dalle sue labbra.

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disse Beatrice con vero interesse.

– Va bene – acconsentì Christophe. – Potete venire verso le undici così pranziamo insieme. Che ne dite? – chiese il ragazzo rivolto alle due donne.

– Allora siamo d'accordo – il sorriso, che si fece largo sul bel volto di Viktoria, dimostrava tutta la fierezza nei confronti del figlio, anche se davanti al marito doveva mentire affermando che avrebbe preferito vederlo lavorare con lui e con il fratello.

Quando arrivò il momento dei saluti, per Beatrice era ancora troppo presto. Usciti dalla grande casa bianca, molte luci della città si erano affievolite fino a spegnersi del tutto suggerendo che era proprio arrivato il momento di andare a dormire in una notte che sarebbe stata, sicuramente, insonne.

Beatrice non la smetteva un momento di parlare anche se, più che parlare, si trattava di un chiacchiericcio sconclusionato e allegro. Era a pranzo con Giuliano, appena tornato da Atene, e lui la guardava come se avesse avuto di fronte un'estranea che si voleva far passare per la sorella. Si sentiva così felice quel giorno anche se, quando si era svegliata, Christophe era già sparito lasciandole solo un bigliettino con scritto che aveva un appuntamento ma che sperava di vederla per cena.

Quando Christophe, verso le sei e mezzo, aveva lasciato Beatrice era andato direttamente alla galleria e non a casa. Non aveva voglia di incontrare qualcuno della sua famiglia, non in quel momento. Ma, verso le otto, aveva ricevuto una telefonata che lo esortava a rincasare subito; stranamente, la madre era stata così misteriosa che una forte inquietudine si era impossessata di tutto il suo essere. Era molto affezionato alla madre, molto di più di quanto lo fosse al fratello e al padre, forse perché loro due erano molto simili e lui sapeva che lei lo capiva veramente mentre restava un'incognita per gli altri membri di quella famiglia. E sentire quello strano tono, nella sua voce, lo aveva fatto allarmare e correre subito da lei.

Quando entrò nel cortile di casa sua, passò davanti al salotto e sentì due voci di donna, una era quella della madre ma, l'altra, parlava troppo piano perché lui riuscisse a capire chi fosse.

Con il volto ancora illuminato dalle sensazioni che la notte, appena trascorsa, gli aveva regalato, entrò con aria allegra nella stanza. Non ci volle molto alla madre per capire cosa passasse per la testa del figlio e le ci volle ancora meno per vedere sfumare, in quel volto che tanto assomigliava al suo, quella parvenza di felicità. Dal fondo della stanza, una ragazza alta quasi quanto lui e flessuosa come una modella, dai capelli lunghi e neri come la notte, si girò e restò un momento a guardarlo dritto negli occhi con un'aria di sfida mista a paura.

– Che ci fai qui? – le chiese, Christophe, senza neanche salutare la madre.

– Dobbiamo parlare – furono le uniche parole che la ragazza riuscì a dire, cercando di tenere un tono autoritario.

– Io vi lascio da soli – intervenne Viktoria girandosi per uscire dal salotto. – Mi ha fatto piacere rivederti Alexia – e la salutò con un cenno della mano prima di andarsene.

Alexia fece alcuni passi nella direzione di Christophe, ma lui si allontanò bruscamente. Si capiva che la ragazza era turbata per il discorso che ci sarebbe stato da lì a poco tra di loro e si capiva che non sapeva proprio da che parte cominciare.

– Fermo, non scappare – Alexia lo raggiunse e gli mise a posto il risvolto della manica della camicia.

Christophe si fermò e le permise di risistemargli la manica; la ragazza ci stava mettendo una dolcezza che non dimostrava spesso. Sentendo il cuore martellarle in gola, Alexia cercò di farsi nuovamente coraggio e aprì la bocca, ma ancora una volta non le uscì

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alcun suono. Incapace di guardare negli occhi l'uomo che stava immobile, a pochi passi di distanza da lei, con aria di sfida, quello stesso uomo con cui aveva condiviso momenti di intimità e che, in quel momento, le sembrava un perfetto estraneo, fissò lo sguardo sulle mani, che non trovavano pace, e tentò, ancora una volta, di trovare le parole giuste da dire.

– Mi dispiace, se non fosse stato importante non sarei venuta a casa tua e non ti avrei fatto cercare da tua madre, ma io devo parlarti. Le ultime due settimane sono state spaventose, con tutto quello che è successo, e con te che mi eviti.

– Avevo avuto l'impressione che fossi tu quella che voleva rompere – le disse, con tono freddo, Christophe.

– Come avrei potuto continuare la nostra relazione se tu non ti facevi vedere quasi mai, se quando stavamo insieme non mi rivolgevi la parola. Ma ti sei reso conto di quanto freddo e distante eri diventato?

– Anche tu eri d'accordo che avevamo bisogno di una pausa, o sbaglio? – Christophe aveva alzato così tanto il tono della voce che Alexia fece un passo indietro, allarmata. – O ti sei dimenticata che mi avevi detto che volevi passare l'estate, da sola, ad Atene?

Alexia si sentì stringere lo stomaco e provò un intenso desiderio di toccarlo, ma non ci riuscì; gli occhi gelidi di lui non le permettevano di avanzare neanche di un passo. Cosa avrebbe dato perché lui l'abbracciasse. Aveva creduto che dopo quella breve separazione, e con la possibilità di perderla, l'interesse per lei si sarebbe riacceso in quello che aveva sempre considerato come il suo futuro compagno di vita. Ma aveva fatto male i suoi conti e adesso non sapeva proprio come sbrogliare quella matassa che era diventata la sua esistenza.

– C'è una cosa importante che ti devo dire – cominciò a sussurrare la ragazza, tenendo ancora la testa bassa per evitare di guardarlo negli occhi.

– E allora dilla – le urlò contro, spazientito, Christophe. – Dilla e facciamola finita perché questa tragedia comincia a infastidirmi.

Vedendo che nessuno dei suoi progetti su quell'incontro si sarebbe mai realizzato, Alexia respirò a pieni polmoni e buttò fuori quella realtà che lei stessa faticava ancora ad accettare.

– Sono incinta.

Il silenzio cadde nella stanza. Solo il rumore degli alberi, scossi dal vento, rendeva quella calma apparente meno penosa. E in un attimo Christophe si rese conto di come i sogni, che aveva condiviso quella notte con Beatrice, fossero diventati assurdi e irrealistici.

Christophe era stranamente tranquillo, non parlava ne si muoveva, ma respirava piano, quasi volesse raggiungere un livello ancora più alto di calma prima di decretare il suo destino. Anche Alexia era immobile, aspettava che fosse lui a dire qualcosa, a fare qualcosa, a rompere quel momento carico di tensione. Lui non provava più niente per lei già da molto tempo, ma gli aveva fatto comodo continuare con quella farsa, farsi vedere in giro insieme e portarsela a letto quando ne aveva voglia. Ma adesso si trovava con le spalle al muro di fronte alle sue responsabilità. Però, lui, non le voleva quelle responsabilità, non in quel momento e non con quella donna.

– Cosa intendi fare? – le chiese asciutto, quando recuperò la facoltà di parlare e con voce più calma.

– Io lo voglio tenere, anche perché pensavo che fossimo ancora una coppia – il tono confuso di lei rendeva la spiegazione ancora più patetica. – Non ci siamo mai lasciati in modo chiaro, abbiamo sempre litigato molto, ci siamo presi e mollati così tante volte …

– Va bene – Christophe le si allontanò di qualche passo, anche il suo profumo gli dava fastidio.

Alexia, vedendo che lui si era calmato del tutto e che non avrebbe avuto il coraggio

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sorridendo per la prima volta da quando lo aveva visto entrare nella stanza, gli disse:

– Ora non abbiamo più scuse per litigare, in un certo senso siamo costretti ad andare d'accordo. Vedrai che andrà tutto bene. Abbiamo parlato così tanto di sposarci e vivere insieme che adesso abbiamo un motivo più che serio per non rimandare più.

Pensa a come sarà felice tua madre quando saprà che avrà un nipote. E poi, per tutti quelli che ci conoscono, era come se noi fossimo una coppia stabile da secoli – cercò di dire, ridendo, Alexia anche se non riusciva a capire cosa stesse passando per la testa di Christophe.

Beatrice non si stava divertendo. Aveva deciso di uscire con Alessandra e altre amiche, ma tutto quel parlare di vestiti e di ragazzi la stava annoiando a morte. Era già da un mese che aveva fatto ritorno in Italia e aveva trascorso così tante ore a confessarsi con Alessandra che le sembrava di aver messo a nudo, di fronte all'amica, tutta la sua anima.

L'intromissione di altre due ragazze, in un sabato pomeriggio che, usualmente, dedicavano alla passeggiata in centro loro due da sole, la stava irritando. Mentre le ragazze non perdevano un solo attimo per riempirlo di parole futili e vuote, Beatrice ripensò ad Alessandra e alla loro amicizia. Da quando era tornata, e dopo tutto quello che le aveva raccontato, non aveva trovato la solita partecipazione calorosa da parte della compagna d'infanzia. Se non si fosse ripetuta, tante volte, che era solo la sua immaginazione avrebbe detto che si trattasse, per lo più, di una fredda soddisfazione verso il suo dolore. C'era qualcosa che non andava in Alessandra e Beatrice era disposta a fare di tutto per scoprirlo. Sentiva che Alessandra si stava allontanando da lei, anche se non ne capiva il motivo.

Quando aveva ripreso gli studi, Beatrice si era resa conto di essere molto cambiata nei loro confronti. Se, fino a giugno, aveva fatto l'indispensabile per passare gli esami, adesso era scattata una molla che la spingeva a fare di più, una molla che la riempiva di ambizione e di desiderio di primeggiare in qualcosa. Ma c'era una nuova sensazione che si era impadronita di lei, quella di studiare non tanto per obbligo ma perché le piaceva imparare e, ancora di più, le piaceva l'idea che un giorno, grazie a tutta quella fatica, sarebbe stata padrona della sua vita e sarebbe stata lei quella a dettare le regole.

Con il passare dei mesi i riconoscimenti arrivarono, i voti si fecero sempre più alti così come il suo orgoglio e la sua soddisfazione. Con il passare dei mesi, Beatrice si accorse che non era cambiata solo dentro ma anche fuori. Tutto quel dolore, e tutto il lavoro che stava facendo, l'avevano portata a mangiare molto meno facendole perdere diversi chili. Adesso si che le piaceva l'immagine che le rimandava lo specchio, l'immagine di una ragazza snella e ben proporzionata, una che faceva girare molte teste e che riscuoteva molte adulazioni. Beatrice era soddisfatta del suo aspetto e si sentiva bene quando prendeva bei voti ma la notte, quando se ne stava con gli occhi aperti a fissare il soffitto perché non riusciva a dormire, era sempre Christophe che le tornava in mente e il profondo dolore, che ancora provava quando pensava a lui, le toglieva il respiro.

Era passato quasi un anno da quella sera di giugno, una sera speciale in cui, un bel ragazzo, le aveva accarezzato il corpo con lo sguardo. E la cosa l'aveva colpita nel profondo perché non si era mai sentita bella, perché il suo corpo era troppo paffuto, perché non credeva di meritarsi tanto, ma la sensazione che aveva provato in quei momenti, la sensazione di essere ammirata, non l'avrebbe mai dimenticata. Da quando era tornata dalla Grecia, non aveva più avuto un ragazzo. Quando Nicola aveva cercato di contattarla lei gli aveva fatto capire, senza tanti giri di parole, che la sua vita aveva preso una strada diversa, una strada in cui non c'era posto anche per lui. Era stata dura con lui, anche troppo, ma non poteva tenersi accanto quel bravo ragazzo senza amarlo, lui si meritava di meglio. Era meglio così, per tutti e due.

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– Ciao Ale. Che ne dici se ci vediamo oggi pomeriggio, possiamo andare in piscina – propose all'amica, parlandole al telefono, come facevano quasi tutti i giorni.

– Mi piacerebbe, ma oggi pomeriggio non posso, devo restare a casa con mio fratello – le rispose sconsolata Alessandra. – Sai quanto mi piaccia fare la baby-sitter a quel cretino di mio fratello, ma mia madre mi ha incastrata. Mi dispiace.

– Tranquilla – le rispose Beatrice, sapendo bene che Alessandra non trascorreva volentieri il suo tempo con il fratello tredicenne, – ci sentiamo domani e cerca di non divertirti troppo.

– Contaci – le rispose ridendo Alessandra.

Ma Beatrice non aveva voglia di stare in casa e decise che sarebbe stato meglio uscire da sola piuttosto che aspettare lì, tutto il pomeriggio, che arrivasse l'ora di cena.

Aveva studiato abbastanza per quella settimana e adesso sentiva proprio il bisogno di fare una pausa.

Dopo essersi vestita, si trovò un po' indecisa se andare a zonzo per la città o al centro commerciale, anche se lì l'aria condizionata avrebbe dato un po' di sollievo alla passeggiata. Ma lei aveva bisogno di aria, così decise che poteva anche soffrire un po' il caldo e si diresse verso il centro. Aveva appena imboccato la lunga via pedonale, quando notò una figura che le era familiare. Guardò meglio e si rese conto che si, aveva ragione, quella era proprio Alessandra che stava uscendo da un negozio. Beatrice affrettò il passo, nella sua mente vedeva già il volto felice dell'amica mentre le raccontava di come era riuscita a scaricare il fratello alla madre ma, subito dopo aver fatto un passo, notò che dietro ad Alessandra c'era Chiara, quella ragazza di cui aveva parlato male tante volte e che adesso sembrava venerare come un'antica dea. Beatrice si sentì come paralizzata:

per la seconda volta, in un anno, una persona che lei amava, l'aveva tradita. E, in un attimo, le tornarono alla mente le parole che giravano sul suo conto ma a cui lei non aveva mai dato peso: che Alessandra si fosse stancata di esserle amica perché lei era diventata troppo sicura di sé, troppo studiosa e, cosa che le premeva di più, troppo bella per poterla frequentare in quanto avrebbe finito per metterla in ombra. Quando aveva iniziato a sentire quelle voci non ci aveva dato molto credito, loro due erano cresciute insieme e la considerava come una sorella, e poi a lei non era mai importato che Alessandra fosse più brava o più bella, a lei importava solo della loro amicizia e della loro complicità. E così sarebbe dovuto essere anche per Alessandra ma, evidentemente, si era sbagliata su tutta la linea.

Con l'incredulità di chi viene colpito direttamente al cuore e con la testa che le girava dallo smarrimento, fece in modo che Alessandra non la vedesse e tornò verso casa.

Doveva calmarsi, forse non era niente di tutto quello che gli amici comuni avevano insinuato, insinuazioni magari dettate dalla cattiveria di vedere una vera amicizia. Ma Beatrice doveva scoprire come stavano le cose, ne aveva bisogno. Non le avrebbe permesso di tradirla e di farla franca, non le avrebbe permesso di giocare con i suoi sentimenti. Verso le otto, e con una scusa plausibile, prese il telefono e la chiamò.

– Ciao Ale. Com'è andata con tuo fratello? – le chiese, fingendo di non averla vista nel pomeriggio.

– È stato uno strazio, come al solito – le rispose, fingendosi annoiata, Alessandra.

Beatrice si sentì mancare la terra da sotto ai piedi. Era ancora disposta a perdonarla, bastava che le avesse detto che, all'ultimo momento, la madre l'aveva liberata da quell'incombenza e che aveva incontrato quella ragazza in centro. Ma no, Alessandra si ostinava a mentire e questo Beatrice non poteva perdonarglielo. Un forte senso di nausea si impadronì dello stomaco della ragazza, ormai era finita, aveva perso anche quel brandello di calore che la vita le aveva concesso.

– Per domani dobbiamo cambiare programma – riprese, dopo un po', Alessandra, – non credo di riuscire a liberarmi, mia madre questa volta non vuole lasciarmi in pace.

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Beatrice ma lei, con una forza che non credeva di possedere, seppe frenarla insieme alla voglia di urlare, all'amica, che sapeva tutto sulle sue bugie, – fatti sentire in settima – e chiuse subito la conversazione.

Ma quando Beatrice venne a sapere che Alessandra aveva trascorso il giorno dopo in piscina con Chiara, perché si sa che più si vuole tenere nascosta una cosa e più questa preme per uscire allo scoperto, decise che non poteva più considerarla sua amica. Due giorni dopo Alessandra le telefonò e, come se nulla fosse accaduto, le propose di fare qualcosa insieme. Con una risoluzione che le straziò il cuore e senza fornire alcuna spiegazione, Beatrice colse l'occasione per allontanarla dalla sua vita.

Quel tradimento aveva lasciato un segno profondo in Beatrice. Anche se non disse mai nulla a nessuno, di quello che era accaduto, le parole false di Alessandra non le davano tregua e la perseguitavano ogni volta che prendeva in mano il telefono, ogni volta che andava nei luoghi che avevano frequentato insieme, ogni volta che sentiva il bisogno di confidarsi con qualcuno che non fosse suo fratello.

Ormai non le restava altro da fare che buttarsi completamente nello studio. I risultati erano più che eccellenti e avrebbe dovuto provare una grande soddisfazione per sé stessa ma, anche nel giorno che sarebbe dovuto essere uno dei più belli della sua vita, quello della laurea, non riuscì a sentirsi felice. Tutti ridevano, tutti sorridevano imbambolati dalla gioia ma lei no, l'unica emozione che riuscì a provare fu un profondo senso di disagio che la accompagnò per tutto il giorno. Anche quando il padre le si avvicinò per dimostrarle la sua approvazione, Beatrice non provò la gioia che avrebbe dovuto riempirle il cuore in un momento come quello, un momento che aveva aspettato fin da quando aveva cominciato ad andare all'asilo. L'unica cosa che riusciva a provare era solo rabbia, delusione e frustrazione.

Quella sera, trovandosi finalmente da sola in camera, scoppiò in lacrime; era da quando Christophe le aveva detto che non le importava niente di lei che non piangeva veramente. Ma quella sera aveva bisogno di piangere, piangere per quella che stava diventando, piangere per quella che non era potuta diventare, piangere per un uomo che non l'aveva voluta ma che lei non riusciva a dimenticare, piangere per il peggiore dei tradimenti, quello di un'amica.

Non ci volle molto ad Emanuele per capire come funzionava quel gancetto testardo che teneva insieme tutta la gonna. Lo slacciò con dita abili e sentì scivolare il tessuto leggero fino ai piedi della moglie. Le sue mani erano calde mentre si facevano più audaci;

lei ricambiò le carezze del marito, lo fece avvicinare al letto, gli diede una spinta e lo fece scivolare sul materasso.

Ma Emanuele non era uno di quelli che amava giocare, lui era più uno di quelli che seguiva le regole, uno che viveva con un copione in mano dal quale non si sarebbe mai scostato di molto. Lui era dolce e tutto quello che faceva, o diceva, lo dimostrava. E, anche se tutta quella dolcezza era stupenda, non si poteva certo dire che fosse eccitante.

Bastò un attimo a Beatrice per capire che nulla sarebbe cambiato, che il copione non sarebbe mai stato riscritto e che tutti quei gesti meccanici, sempre uguali a sé stessi, per quanto conditi di tenerezza, non riuscivano più ad accendere nessuna scintilla in lei. Anzi, erano riusciti a spegnere anche quel po' di fuoco che aveva covato fin dall'inizio di quella serata. E così lei si lasciò andare a ripetere una scena che ormai era arrivata alla monotonia, cercando di essere partecipe in un gioco che non la divertiva più. E, quando sentì il respiro di Emanuele farsi regolare, sgattaiolò in bagno e pianse come una bambina. Tutta quella frustrazione non la faceva respirare, tutto quel freddo che sentiva dentro non la faceva ragionare. Dentro di sé, una rabbia furiosa la stava facendo soffocare. Rabbia contro sé stessa per non avere il coraggio di dire no a quella farsa;

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rabbia contro Emanuele perché non si accorgeva che tra loro era tutto finito. Non che all'inizio della loro storia fossero state scintille, anche se un po' di fuoco in più c'era stato però, l'unica responsabile di quella situazione, era lei perché non si era resa conto, subito, che quella non era la storia che avrebbe voluto.

E, nel momento di maggior sconforto, le tornarono alla mente le mani di Christophe e quello che aveva provato. Disgustata da sé stessa, per il paragone che stava facendo, aprì l'acqua fredda e se la gettò in faccia: la pelle era così calda che non voleva raffreddarsi. Sentiva la fronte farsi sempre più infuocata, quasi fosse stata in preda ad una febbre divorante, il cuore non la smetteva di aumentare il ritmo battendole, violentemente, contro il petto. Era così che si doveva sentire un animale in trappola, un animale ferito e incapace di lottare per la sua libertà. Tendendo chiusi gli occhi, cercò di ricacciare le lacrime, quelle stesse lacrime che finirono con l'annebbiarle completamente la vista lasciandola stordita e disperata, seduta sul bordo di una vasca da bagno senza sentire il freddo del marmo che le si insinuava nella carne.

Non si rese conto di quanto tempo fosse rimasta in bagno e quando fosse tornata in camera. Raggiunto il letto, si distese il più lontano possibile da Emanuele e restò immobile vedendo le ore passare lente. Quella notte non riuscì a chiudere occhio. Una campana, con i suoi sette rintocchi, le donò un po' di sollievo e, quando lui l'attirò a sé, per augurarle il buongiorno, lo lasciò fare non avendo più alcuna forza per reagire. Fu solo quando si trovarono seduti al tavolo della colazione che lui la guardò dritta negli occhi e le chiese:

– Ma stai bene? Hai gli occhi rossi e gonfi e delle occhiaie nere e profonde.

– Ho solo mal di testa e non ho dormito bene stanotte – mentì, Beatrice, sapendo che lui non avrebbe indagato oltre. – Vedrai che dopo una bella dose di caffeina e un po' d'aria fresca andrà meglio. Programmi, per oggi? – chiese, sicura che cambiare discorso lo avrebbe distolto dalle sue condizioni.

Emanuele dimenticò subito la faccia emaciata della moglie e cominciò a snocciolare i suoi piani per la giornata. Ma lei percepiva a malapena le sue parole, sentendosi sola come mai si era sentita in vita sua, una solitudine acuita dal vuoto in mezzo ad un'infinità di parole inutili.

Improvvisamente Beatrice scattò in piedi, si scusò e corse in camera. Sentiva le lacrime che le inondavano gli occhi con la forza di un torrente in piena e, mai, avrebbe permesso ad Emanuele di vederla in quello stato. Ma, anche se lui l'avesse vista in quello stato, cosa le avrebbe detto? Di sicuro avrebbe imputato quello sfogo al suo mal di testa e non avrebbe mai ipotizzato che ci potesse essere dell'altro. Se solo lui si fosse soffermato a guardare un po' in profondità, forse ci sarebbe potuta essere ancora una speranza per loro.

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