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DIRITTO TRIBUTARIO Parte SPECIALE

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Academic year: 2022

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DIRITTO TRIBUTARIO – Parte SPECIALE

CAPITOLO 22

SISTEMA delle IMPOSTE sul REDDITO Le DUE IMPOSTE REDDITUALI

Irpef ed Ires hanno importanza fondamentale nel sistema tributario.

Assicurano un elevato gettito, la platea dei soggetti passivi è molto estesa, ma sorgono diversi problemi nella gestione dei due tributi.

CONCETTO GIURIDICO di REDDITO

La nozione di reddito fatta propria dal legislatore fin dal t.u. del 1877, in campo tributario, è frutto di un compromesso. È un concetto ibrido. Il reddito è una ricchezza novella, esso si sostanzia in un incremento patrimoniale che si può concepire solo in termini di valore e perciò dev’essere in denaro.

“Reddito è l’aumento di valore, concretamente determinabile in denaro che si verifica nel patrimonio di una persona” Giannini A.D. Il reddito assunto a oggetto dell’imposta relativa è un accrescimento del patrimonio della persona. Questo quid novi è misurabile in denaro ed è suscettibile di essere convertito in denaro mediante appropriati atti di scambio sul mercato. Il testo unico n. 645/1958 fornì la definizione del concetto di reddito, delineandone i connotati essenziali e senza introdurre modificazioni di rilievo rispetto alla normativa precedente.

Il reddito è un’entrata costituita, indifferentemente, da una somma di denaro o da un bene in natura (traducibile in denaro) che viene ad aumentare il patrimonio del reddituale. Codesto accrescimento può consistere in un aumento numerico degli elementi attivi che compongono il patrimonio, in una diminuzione degli elementi passivi ovvero in un maggior valore di scambio acquisito da taluni elementi che già compongono il patrimonio. In quest’ultimo caso trattiamo la materia delle plusvalenze, anche se non tutte le plusvalenze hanno natura reddituale.

Non rientrano nel patrimonio la posizione sociale e le qualità morali, intellettuali, culturali ecc…

della persona. Non sono reddito i benefici o servizi che il proprietario trae dall’uso dei propri beni poiché essi non danno luogo ad un accrescimento del reddito. Se il proprietario invece di utilizzarli direttamente li cede in locazione a terzi verso corrispettivo torna a sorgere il reddito in senso giuridico. Non partecipano alla formazione del reddito quegli introiti che rappresentano, per il percipiente, la mera refusione di una perdita patrimoniale sofferta in precedenza, salva la ipotesi in cui la perdita abbia già concorso, quale elemento passivo, alla determinazione del reddito, perché in tal caso il ricavo procedente dal risarcimento dà luogo alla sopravvenuta insussistenza di una passività e al conseguente suo recupero alla tassazione quale sopravvenienza attiva. Il risarcimento da danno emergente non è mai reddito perché in tale forma di reintegrazione patrimoniale manca la ricchezza novella. Se gli eventi causativi di tali consistono in un’invalidità permanente di natura psichica, l’esclusione dei relativi risarcimenti dall’ambito reddituale è espressamente prevista dall’art. 6, comma 2, del t.u. 917/1986.

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Reddito come incremento al netto delle spese di produzione, determinazione forfettaria delle spese deducibili e il diniego di deducibilità

L’incremento di ricchezza, per diventare parametro dell’imposta, deve essere netto. Ogni legge fiscale non si limita ad affermare che il reddito netto è il parametro dell’imposta, ma detta anche un sistema di regole giuridiche per disciplinare la determinazione di tale elemento. La legge non colpisce l’incremento netto, ma un incremento che essa, alla stregua di regole sue proprie, considera netto. Il reddito fiscale non coincide col reddito contabile o con il reddito economico. Le imposte reddituali si commisurano ad un’entità che rappresenta un incremento del patrimonio del soggetto al netto delle spese di produzione, determinate però alla stregua di disposizioni più o meno razionali particolareggiatamente indicate dal legislatore, ispirate alla tutela della “ragion fiscale”.

REDDITI EFFETTIVI, NOMINALI e SVALUTAZIONE MONETARIA

Il DISTACCO del reddito dalla sua FONTE

Il reddito da fonte mobiliare non può essere costituito che da una nuova ricchezza, prodotta da capitale, o da lavoro, o dall’uno e l’altro insieme e che si sia distaccata dalla sua causa produttiva.

La nostra legge intende tassare incrementi di valore concreti; la novella ricchezza che ancora non si sia distaccata dalla sua fonte, diventando autonoma, è ancora reddito potenziale.

La CAUSA o FONTE del reddito

Idea che tra il reddito e la fonte sussista un rapporto “causa-effetto”. Il reddito non è mai il frutto esclusivo di una sola causa. Il minimum di efficienza causale che l’operazione compiuta dal soggetto deve presentare rispetto all’acquisto della novella ricchezza è che codesta operazione deve configurarsi come conditio sine qua non del risultato. L’efficacia condizionalistica è il minimo necessario perché il risultato medesimo sia imputato al soggetto e l’arricchimento sia suscettibile di tassazione con l’imposta sul reddito. Una volta accertato che l’operato del soggetto ha

“condizionato” il conseguimento della novella ricchezza, non occorre altro per ritenere esistente il reddito fiscale.

I redditi maturati in capo al DE CUIUS e percepiti dall’EREDE

Redditi per i quali sia già stata svolta l’attività professionale generatrice dei redditi medesimi e maturato il diritto all’acquisizione della ricchezza, ma non sia ancora avvenuta la materiale percezione della stessa a causa dell’intervenuta morte dell’avente diritto. Si provoca uno scollamento tra il produttore del reddito (de cuius) e il soggetto tassato per tale reddito (erede).

La morte del soggetto passivo prima dell’effettiva percezione della ricchezza rende impossibile una tassazione coerente con i principi ispiratori del sistema delle imposte sui redditi. Il presupposto per la tassazione non si è perfezionato nei confronti del de cuius, ma non si è perfezionato neppure in capo agli eredi, i quali percepiscono il reddito materialmente ma non hanno in alcun modo contribuito a produrlo. L’arricchimento degli eredi non avrebbe natura reddituale, essendo a titolo gratuito.

ART. 7, comma 3, testo unico: norma che dispone che in caso di morte dell’avente diritto i relativi redditi sono tassati separatamente nei confronti degli eredi e legatari che li hanno percepiti.

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Essendo questi ultimi soggetti sia ad Irpef che ad imposta successoria, l’attenuazione della duplicazione del prelievo è affidata solo alla deduzione dell’imposta sul reddito.

CAPITOLO 23

L’IMPOSTA sul REDDITO delle PERSONE FISICHE

La qualificazione dei fenomeni rilevanti ai fini reddituali si collega alle definizioni delle sei categorie di reddito, individuate dal tipo di fonte produttiva che le caratterizza:

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redditi FONDIARI

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redditi di CAPITALE

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redditi di LAVORO DIPENDENTE

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redditi di LAVORO AUTONOMO

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redditi d’IMPRESA

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redditi DIVERSI.

La disciplina di ciascuna categoria contiene un autonomo sistema di regole, ove si individuano i fatti da cui discendono componenti positivi e negativi del reddito ed i criteri per quantificarli.

Determinato il reddito complessivo lordo è consentito sottrarre a questo determinate somme (deduzioni) allo scopo di tener conto di determinate spese (oneri deducibili), giudicate dal legislatore necessarie oppure meritevoli di agevolazione. Si giunge cosi al reddito complessivo netto cui sono applicate le aliquote.

PROFILI TERRITORIALI della fattispecie imponibile

La soggettività passiva Irpef è attribuita alle persone fisiche, siano esse residenti o meno in Italia.

Diversa è nell’un caso o nell’altro la disciplina della base imponibile. Per le persone fisiche residenti nel territorio dello Stato concorrono al reddito complessivo sia i redditi prodotti in Italia, sia quelli prodotti all’estero. Per evitare una doppia imposizione l’art. 165 t.u.i.r. accora, a fronte dei tributi pagati all’estero, un credito d’imposta. L’art. 2 t.u.i.r. considera residente in Italia a questi fini chi per la maggior parte del periodo d’imposta sia iscritto alle anagrafi della popolazione residente, oppure abbia nel territorio dello Stato il domicilio, oppure la residenza. La “residenza fiscale”

sussiste dunque anche per chi mantenga in Italia per almeno 183 giorni l’iscrizione anagrafica o il centro dei suoi rapporti economici, sociali o familiari, o l’effettiva abitazione principale. La cittadinanza italiana non rileva dunque come criterio di collegamento ai fini della tassazione, onerando il soggetto della prova dell’effettivo trasferimento di residenza o domicilio. Di “residenza fiscale” si parla anche per soggetti diversi dalle persone fisiche, per i quali rileva la presenza in Italia per la maggior parte del periodo di imposta, alternativamente, della sede legale, della sede dell’amministrazione o dell’oggetto principale.

In capo ai soggetti passivi non residenti nel territorio dello Stato sono tassati solo i redditi prodotti in Italia, in quanto derivanti da un’attività o da un bene che si consideri quivi localizzato. Per “stabile

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organizzazione” si intende la “sede fissa d’affari per mezzo della quale l’impresa non residente esercita in tutto o in parte la sua attività sul territorio”.

REDDITO e RAPPORTI FAMILIARI

Contraria agli art. 3,31 e 53 Cost. la disciplina del c.d. cumulo dei redditi familiari laddove comportava l’imputazione al marito anche dei redditi della moglie e la negazione a questa della soggettività passiva. È venuta meno la scelta della famiglia come unità impositiva ai fini Irpef. Tale regime era incostituzionale perché comportava l’imputazione al marito di arricchimenti giuridicamente altrui e perché discriminava a danno delle famiglie legittime in quanto il prelievo era maggiore di quello complessivamente applicato sullo stesso ammontare di imponibile globale a soggetti tassati distintamente. Per cui ciascuna persona fisica è soggetto passivo ed è tassata solo sui redditi da essa posseduti. È disposto dall’art. 4 t.u.i.r. che siano imputati per metà a ciascun coniuge i redditi di beni oggetto di comunione legale, mentre in caso di comunione convenzionale vale la quota con essa stabilita; i proventi dell’attività separata di un coniuge sono però imputati solo a questo. Esistono delle detrazioni per oneri di famiglia concesse a chi abbia familiari a carico.

La TASSAZIONE “per TRASPARENZA” dei redditi prodotti in forma associata

L’art. 5 t.u.i.r. disciplina alcuni casi in cui il reddito è prodotto mediante un’organizzazione di più soggetti, stabilendo che il risultato, pur quantificato in modo unitario in capo a detta organizzazione, sia poi imputato, anziché a quest’ultima, pro quota ai soggetti che vi partecipano e tassato in capo ad essi anche se non sia stato effettivamente distribuito. “Trasparenza” dell’organizzazione nel senso che essa ai fini delle imposte personali sui redditi non è soggetto passivo e dunque non fa da

“schermo” alle persone partecipanti ad essa. Essa è uno dei modi per risolvere il problema della doppia imposizione sugli utili societari. Il legislatore ha scelto di rimediare alla duplicazione tassando le società di capitali sui loro utili, quali soggetti passivi Ires, e considerando imponibile in capo ai soci solo una certa percentuale dei dividendi da essa ricevuta.

La trasparenza si applica in ogni caso per i redditi prodotti dalle società di persone residenti nel territorio dello Stato. La misura in cui il reddito è imputato a ciascun socio è proporzionale alla sua quota di partecipazione agli utili. L’imputazione ai soci pro quota vale anche per le perdite della società o associazione professionale.

L’IMPRESA FAMILIARE e le CFC

Un’imputazione per trasparenza del reddito è prevista pure per le imprese familiari, anche se non si tratta di impresa collettiva, mai un’impresa individuale in cui collabora i familiari del titolare. È imputato ai familiari il reddito di tale impresa, in proporzione alle loro quote di partecipazione agli utili, purché essi prestino nella medesima, in modo continuativo e prevalente, la loro attività di lavoro. Il massimo imputabile è il 49% del reddito dichiarato e sono previsti vari requisiti formali.

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SEZIONE II

BASE IMPONIBILE e LIQUIDAZIONE dell’IMPOSTA

PERIODO D’IMPOSTA

Il periodo d’imposta ai fini Irpef è l’anno solare e ad ogni anno corrisponde un’autonoma obbligazione tributaria. Ogni elemento della fattispecie imponibile deve essere imputato ad un determinato periodo secondo il principio di cassa o di competenza. Per determinare a base imponibile occorre individuare gli elementi rilevanti ai fini dei singoli redditi e quantificarli secondo le regole della categoria di appartenenza. L’art. 9 t.u.i.r. stabilisce alcune regole generali per la determinazione di corrispettivi, proventi, spese ed oneri in valuta estera e di quelli in natura. Se il contribuente è titolare di più cespiti (o fonti) della stessa categoria, va calcolato il risultato complessivo netto dei medesimi per determinare il reddito di ciascuna categoria.

Le perdite derivanti da partecipazioni in s.n.c. o s.a.s. o dall’esercizio di imprese commerciali in regime di contabilità ordinaria o da s.r.l. trasparenti sono computabili in diminuzione, ma solo dai relativi redditi, e l’eventuale eccedenza è deducibile dai rispettivi redditi dei periodi successivi.

Il reddito complessivo lordo risulta dunque dalla somma dei redditi di categoria. Da esso sono esclusi i proventi esenti, ovvero soggetti a tassazioni sostitutive dell’Irpef; sono esclusi anche i redditi assoggettati a tassazione separata giacché si applicano ai medesimi aliquote appositamente determinate, diverse da quelle gravanti sul reddito complessivo netto.

DEDUZIONI e DATRAZIONI per ONERI EFFETTIVI e DEDUZIONI per carichi di famiglia

In conformità al carattere personale dell’imposta, assumono rilievo non solo le spese di produzione dei redditi tassati, ma anche una serie di esborsi tassativamente individuati dal legislatore in quanto necessari per un’esistenza dignitosa del contribuente e della sua famiglia, ovvero meritevoli di incentivazione in considerazione dello scopo perseguito. Il contribuente può dedurre l’ammontare del reddito complessivo lordo, di alcune spese; a fronte di altre può detrarre dall’imposta complessiva lorda una certa percentuale, ovvero una somma fissa. Rileva il periodo di sostenimento della spesa. Tra gli oneri deducibili rientrano anche certi costi di produzione di redditi non considerati nella disciplina della relativa categoria. In vari casi sono previsti limiti massimi entro cui si può fruire della deduzione o detrazione.

A fronte degli oneri di famiglia, l’art. 12 t.u.i.r. accorda detrazioni in cifra fissa, diverse secondo che si tratti del coniuge o dei figli o altri familiari e delle condizioni di questi.

L’IMPOSTA LORDA e l’IMPOSTA NETTA

Il reddito complessivo netto risultante dopo le deduzioni è la base imponibile. Ad essa si applicano aliquote progressive per scaglioni, ottenendo così l’imposta complessiva lorda. Da questa vanno operate le detrazioni di cui si è detto, nonché le detrazioni previste in misura differenziata a fronte del possesso di determinati tipi di reddito, con importi decrescenti in ragione del livello di reddito complessivo, fino a venir meno oltre una certa soglia. Dall’applicazione delle detrazioni risulta l’imposta complessiva netta.

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SCOMPUTO dei crediti d’imposta e delle R.ACC.

Dall’imposta netta si scomputa anzitutto il credito d’imposta sui redditi prodotti all’estero. L’art. 22 t.u.i.r. prevede inoltre lo scomputo dei versamenti effettuati dal contribuente a titolo di acconto Irpef e delle ritenute di acconto operate sui redditi concorrenti al reddito complessivo o tassati separatamente.

Se tali importi superano l’imposta netta e quindi il contribuente è in posizione di credito verso l’Erario, si può scegliere se chiedere il rimborso dell’eccedenza o compensarla con altri obblighi di versamento.

I REDDITI soggetti a TASSAZIONE SEPARATA

Per alcuni proventi, tassativamente individuati, è prevista la liquidazione dell’Irpef con un tasso ad hoc, tramite la “tassazione separata”. Si tratta in genere di somme maturate nel corso di più anni e conseguite in un solo periodo. La tassazione separata mitiga la progressività dell’Irpef escludendo quei redditi dal reddito complessivo ed assoggettandoli ad un’aliquota apposita.

I redditi per cui l’art.17 prevede la tassazione separata sono riconducibili alla cessazione di un’attività, ovvero ad eventi non ordinari riferibili ad anni precedenti.

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SEZIONE III I REDDITI FONDIARI

Redditi fondiari sono quelli inerenti ai terreni e ai fabbricati situati sul territorio italiano, che sono o devono essere iscritti in catasto con attribuzione di rendita. Non vi rientrano quelli degli immobili non iscrivibili in catasto così come quelli derivanti da usi differenti da quelli previsti dalle rendite.

I redditi fondiari sono imputati a chi possiede l’immobile a titolo di proprietà, enfiteusi, usufrutto o altro diritto reale, in proporzione alla durata del possesso nel periodo d’imposta. Il reddito agrario in caso di affitto per usi agricoli è imputato all’affittuario, ed in caso di contratti associativi agricoli agli associati.

Si distingue un catasto dei terreni ed un catasto dei fabbricati, così i redditi fondiari si articolano in:

I. Redditi dei terreni, impiego agricolo. Distinti in:

A. Reddito dominicale, rappresentativo della parte del prodotto lordo conseguibile dal possessore che si limiti ad affittare il fondo.

È imputato al possessore, a titolo di proprietà o altro diritto reale, di un terreno accatastato come agricolo. Nel caso in cui il terreno non venga coltivato per un’intera annata agraria, il reddito dominicale è ridotto al 30%; inoltre esso si considera inesistente se per eventi naturali sia perduto almeno il 30% del prodotto ordinario del fondo.

B. Reddito agrario, remunerativo del lavoro di organizzazione dell’impresa e del capitale d’esercizio, ottenibile dall’imprenditore agricolo che coltivi un fondo senza possederlo; se l’attività agricola è svolta dal possessore stesso gli sono imputati entrambi i redditi, se è svolta da un affittuario, questi è tassato solo sul reddito agrario.

Il reddito agrario è la parte del reddito medio ordinario dei terreni imputabile al capitale d’esercizio e al lavoro di organizzazione impiegati, nei limiti delle potenzialità del terreno, nell’esercizio di

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attività agricole svolte su di esso. Il legislatore ha così definito le attività fiscalmente agricole che sono: quelle dirette alla coltivazione del terreno e alla silvicoltura; quelle di allevamento di animali con mangimi ottenibili per almeno un quarto dal terreno; quelle di produzione di vegetali mediante strutture fisse o mobili, anche provvisorie e quelle dirette alla manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione e valorizzazione di prodotti rientranti nelle categorie individuate con decreto ministeriale, che siano ottenuti prevalentemente dalla coltivazione del terreno medesimo o dall’allevamento di animali.

Qualsiasi “coltivazione” del terreno rientra per definizione nell’agraria, mentre per l’allevamento, il limite in cui questo si può considerare “sfruttamento del terreno” è fissato con riferimento ai mangimi astrattamente ottenibili. La produzione di vegetali mediante strutture può anche solo sfruttare il terreno come mera base d’appoggio di vasi, vasche ecc… purché si svolga su un terreno accatastato come agricolo e rispetti il limite del doppio della superficie di esso occupata dalla produzione. Il superamento dei suddetti limiti quantitativi comporta la qualificazione come reddito d’impresa del reddito relativo alla parte eccedente.

II. Redditi dei fabbricati, attribuiti ai possessori di costruzioni iscritte al catasto dei fabbricati, che le impieghino direttamente per sé o le cedano in uso a terzi.

Reddito dei fabbricati è quello medio ordinario ritraibile da ciascuna unità immobiliare urbana, intesa come costruzione stabile o porzione di essa suscettibile di reddito autonomo. Non si considerano comunque produttivi di reddito i fabbricati destinati esclusivamente all’esercizio del culto e quelli per cui siano in corso di validità provvedimenti per restauro, risanamento o ristrutturazione, purché l’unità non sia comunque utilizzata. Non producono reddito autonomamente i fabbricati rurali appartenenti al possessore o affittuario del fondo e destinati agli impieghi di cui all’art. 42 t.u.i.r.. Non danno luogo a reddito fondiario autonomo, in quanto contribuiscono a produrre un reddito di altra categoria, gli immobili strumentali per l’esercizio di arti e professioni e quelli relativi ad imprese commerciali. Sono “relativi” all’impresa individuale sia gli immobili alla cui produzione o al cui scambio è diretta l’attività, sia quelli strumentali purché indicati nell’inventario.

Si distinguono immobili strumentali:

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“per destinazione”, utilizzati dal possessore esclusivamente per l’esercizio dell’attività di impresa o lavoro autonomo;

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“per natura”, relativi ad imprese commerciali ed insuscettibili di una diversa utilizzazione senza radicali trasformazioni.

Le rendite dei fabbricati sono determinate in base a tariffe d’estimo, stabilite in via generale per ogni categoria e classe di costruzioni, ovvero mediante stima diretta, in caso di fabbricati a destinazione speciale o particolare (opifici industriali).

L’art. 41 t.u.i.r. stabilisce che le abitazioni diverse da quella principale, utilizzate come residenze secondarie o comunque tenute a disposizione hanno una rendita aumentata di un terzo, onde disincentivare il mantenimento di immobili siffatti fuori del mercato.

Si è detto dell’esonero da Irpef per i fabbricati non locati, correlato alla soggezione ad Imu. Se l’immobile è locato e il canone di locazione ridotto del 5%, per tenere conto delle forfettariamente delle spese, supera la rendita catastale, è in tale misura che si determina il reddito del fabbricato, altrimenti è la rendita catastale a concorrere alla base imponibile. Il prelievo si fonda sul canone risultante dal contratto anche se non percepito, almeno finché il rapporto non sia risolto o si concluda il procedimento di convalida di sfratto per morosità: in tal caso al contribuente spetta un

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credito d’imposta per l’Irpef versata sui canoni di cui nel procedimento giurisdizionale si sia accertato il mancato versamento.

SEZIONE IV

I REDDITI DI CAPITALE

Il legislatore deve tenere conto delle diverse caratteristiche delle molteplici e sempre nuove forme di investimento offerte dagli operatori finanziari. Si fanno rientrare tutti i proventi delle varie forme di impiego di capitale o tra i redditi di capitale o tra i redditi diversi. Nei redditi di capitale rientrano i frutti dell’investimento, mentre rientra fra i redditi diversi l’eventuale eccedenza del prezzo ricavato dalla cessione del titolo da cui sono prodotti, rispetto al costo sostenuto per acquisirlo.

I redditi di capitale si possono ripartire in due sottotipi, con discipline differenti:

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Interessi ed altri proventi derivanti da mutui e da altri rapporti di finanziamento;

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Proventi derivanti dalla partecipazione in società di capitali o altri soggetti passivi Ires.

Regole generali della categoria sono:

1. Tassazione al “lordo” dell’importo risultante dal titolo;

2. Imputazione al periodo di imposta in cui il reddito è percepito (principio di cassa). Gli interessi derivanti da mutui si presumono percepiti, salvo prova contraria, alle scadenze e nella misura pattuite per iscritto;

3. Attrazione al regime del reddito d’impresa dei proventi rientranti nell’elencazione dei redditi di capitale, ma percepiti nell’esercizio di attività commerciale o da società commerciali o enti commerciali.

Vari redditi di capitale sono soggetti a ritenuta a titolo d’imposta o ad imposte sostitutive.

L’applicazione di detti regimi sostituti (con aliquote del 12,5% e del 27%) rappresenta una rilevante deviazione dai principi di personalità e progressività dell’Irpef. A partire dall’1/1/2012 si è ricondotto al 20% il tasso delle ritenute ed imposte sostitutive su interessi, premi ed altri redditi di capitale, nonché sui redditi diversi di natura finanziaria, riducendo la disparità creata dal precedente divario tra l’aliquota del 27% gravante sui proventi di depositi e conti correnti bancari e quella del 12,5%

prevista per la maggior parte degli altri redditi soggetti a quei regimi.

Regime del “risparmio gestito”: applicabile, su opzione del contribuente, in caso di affidamento in gestione ad un intermediario finanziario abilitato di una massa patrimoniale non relativa all’impresa.

Esso comporta l’applicazione di un’imposta sostitutiva del 20% al risultato netto della gestione maturato nel periodo d’imposta, mentre l’eventuale risultato negativo è deducibile dai risultati della medesima gestione fino al quarto periodo successivo.

I proventi derivanti dalla PARTECIPAZIONE in società

Sono redditi di capitale gli utili derivanti dalla partecipazione al capitale o al patrimonio di società ed enti soggetti all’imposta sul reddito delle società. La restituzione dei conferimenti effettuati dai soci non rappresenta un reddito, ma una vicenda di natura patrimoniale. Le somme ricevute sono

“utili”, e quindi reddito, solo per la parte eccedente il prezzo pagato per acquisire le azioni o quote annullate. Ciò vale anche rispetto alla distribuzione di riserve e fondi costituiti con entrate

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assimilabili ai conferimenti, cioè non sovrapprezzi di emissione delle partecipazioni o interessi di conguaglio, con versamenti a fondo perduto o in conto capitale. Dette distribuzioni peraltro comportano riduzione del costo fiscalmente riconosciuto delle partecipazioni di chi le riceve. Il regime degli utili da partecipazione è esteso ai frutti di titoli e strumenti finanziari che si considerano similari alle azioni. Il trattamento dei dividendi è esteso anche alle remunerazioni dei contratti di associazione in partecipazione con soggetti Ires.

Le società di capitali sono strumenti per produrre ricchezza per i loro soci ed è necessario un coordinamento tra la tassazione sugli utili applicata in capo alle stesse e quella applicata ai soci per la percezione della ricchezza già colpita. Per le società di persone residenti in Italia la doppia imposizione è evitata imputando gli utili direttamente ai soci, senza colpirli in capo alla società.

Quanto agli utili derivanti dalla partecipazione a soggetti passivi Ires, prima del 2004 la doppia imposizione era eliminata riconoscendo ai soci di società di capitali ed enti commerciali un credito d’imposta sui dividendi, commisurato al prelievo applicato sugli utili in capo alla società. Dal 2004 si è abbandonato il credito d’imposta e si distingue a seconda che il provento derivi o no da partecipazioni qualificate, ossia che rappresentino, se si tratta di titoli negoziati in mercati regolamentati, una percentuale di diritti di voto nell’assemblea ordinaria superiore al 2% ovvero una partecipazione al capitale od al patrimonio superiore al 5%; se si tratta di altre partecipazioni, le soglie sono rispettivamente del 20% e del 25%.

Agli utili derivanti da partecipazioni non qualificate si applica una ritenuta a titolo d’imposta del 12,5%.

I redditi di capitale derivanti da partecipazioni qualificate concorrono invece all’imponibile per il 49,72% del loro ammontare. La doppia imposizione è cosi attenuata, anche se non eliminata come avveniva col credito d’imposta, poiché il prelievo a carico del socio si aggiunge a quello in capo alla società.

SEZIONE V

I REDDITI DI LAVORO DIPENDENTE

L’art. 49 t.u.i.r. definisce redditi di lavoro dipendente quelli che derivano da rapporti aventi per oggetto la prestazione di lavoro alle dipendenze e sotto la direzione di altri, è caratteristica fondamentale il “vincolo di subordinazione”. Sono redditi di lavoro dipendente anche le pensioni di ogni genere. L’art. 50 t.u.i.r. elenca una serie di redditi assimilati dal legislatore a quello di lavoro dipendente, esempio sono le attività di collaborazione coordinata e continuativa. Altri redditi assimilati, a prescindere da un’attività lavorativa, sono: borse di studio, assegni, premi o sussidi per fini di studio o addestramento professionale, assegni periodici alla cui produzione non concorrono attualmente né capitale né lavoro (compresi quelli corrisposti al coniuge a seguito di separazione e altri…).

Onnicomprensività del reddito di lavoro dipendente e tassatività delle esclusioni

Il reddito di lavoro dipendente è formato da “tutte le somme e valori in genere, a qualunque titolo percepiti nel periodo d’imposta, anche sotto forma di erogazioni liberali, in relazione al rapporto di lavoro”. Tale reddito non è pertanto limitato ai corrispettivi di prestazioni lavorative, a quanto abbi natura di compenso o provenga dal datore di lavoro, ma include ogni arricchimento il quale sia in relazione causale con il rapporto di lavoro e non rientri nelle tassative ipotesi di esclusione. I casi di esclusione dal reddito sono previsti dall’art. 51 t.u.i.r. e alcuni esempi ne sono le somme trattenute

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a fronte di spese per oneri deducibili e le erogazioni per spese sanitarie deducibili, le somministrazioni di vitto da parte del datore di lavoro, o in mense…

INDENNITÀ RISARCITORIE e RIMBORSI SPESE

Non sono reddito le forme aventi la funzione di reintegrare una perdita patrimoniale. Vi è l’indeducibilità delle spese di produzione del reddito, corollario ne è la tassatività delle somme riconosciute ai lavoratori a titolo di rimborso spese. La giustificazione di ciò è l’impossibilità pratica di controllare effettività ed inerenza delle spese di produzione di cui fosse consentita la deduzione analitica a ciascun lavoratore, nonché l’imputazione al datore di lavoro dei costi di organizzazione dell’attività.

SEZIONE VI

I REDDITI DI LAVORO AUTONOMO

Ai sensi dell’art. 53 t.u.i.r. sono redditi di lavoro autonomo quelli derivanti da arti o professioni, ossia dall’esercizio per professione abituale, anche in forma associata, di attività di lavoro autonomo, diverse da quelle produttive di redditi d’impresa. “Arti e professioni” sottintende la natura

“intellettuale” dell’attività. L’art. 55 qualifica come redditi d’impresa quelli derivanti da prestazioni di servizi non rientranti nell’art. 2195 c.c., qualora l’attività sia organizzata in forma d’impresa, implica che per rientrare nella categoria dei redditi di lavoro autonomo il reddito debba essere prodotto da un lavoro intellettuale del titolare, e non essenzialmente dalla gestione da parte sua di un’organizzazione per la fornitura di servizi (si pensi al medico titolare di una casa di cura, che pur svolgendo le attività tipiche della professione tragga i suoi guadagni principalmente dai servizi resi dai suoi subordinati e collaboratori).

Gli altri requisiti implicano l’autonomia rispetto ai committenti e l’abitualità, intesa come stabilità e sistematicità dell’esercizio, ossia ripetizione nel tempo degli atti ad esso inerenti. Tra i redditi assimilati a quelli di lavoro autonomo ci sono:

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i proventi derivanti dall’utilizzazione economica di opere dell’ingegno, brevetti industriali…

purché conseguiti dall’autore o inventore e fuori dell’esercizio di imprese commerciali;

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gli utili attribuiti agli associati in partecipazione, quanto vi sia solo apporto di lavoro;

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le partecipazioni agli utili spettanti ai promotori e ai soci fondatori di società di capitali;

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le indennità per le cessazioni dei rapporti di agenzia.

La determinazione della BASE IMPONIBILE nel reddito di lavoro autonomo

Il reddito di lavoro autonomo è determinato per sommatoria di componenti positivi e negativi secondo il principio di cassa. Componenti positivi sono i compensi in denaro o in natura, comprendenti i rimborsi di spese addebitate al committente (salvo quelle anticipate dal professionista in nome e per conto di questi). Inoltre, vi sono le plusvalenze dei beni strumentali, se realizzate mediante cessione a titolo oneroso o risarcimento per perdita o danneggiamento, nonché i corrispettivi percepiti a seguito di cessione della clientela. Sono deducibili le spese inerenti allo svolgimento dell’attività. Le spese di acquisizione di beni strumentali sono deducibili nell’esercizio

Riferimenti

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56 Va inoltre osservato che sin dalla previgente versione della norma, ove pure si limitava il beneficio della prededucibilità all’ottanta per cento dell’ammontare del credito,

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