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Come fare l orto in città

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Come fare l’orto in città

Autore: Edizioni Simone | 15/11/2015

Piante coltivate in città o sul balcone: esposizione della luce, vento, inquinamento e auto.

L’orto urbano non è un posto dove limitarsi a coltivare pomodori, zucchini e insalate. È molto di più. È uno spazio di resistenza, un luogo dove ritrovare se stessi, un modo per riconnettersi con lo scorrere del tempo e con la natura. E soprattutto non va trattato come uno spazio di produzione. Il concetto di

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produzione pura, applicato in agricoltura, ha infatti prodotto alcuni degli effetti da cui stiamo cercando di scappare: alimenti che contengono residui tossici, ambienti che sono stati distrutti, riduzione della biodiversità e delle possibilità di scelta. Se noi trattassimo le nostre piante da orto solo come fornitori di un prodotto (il peperone, il gambo di sedano) adotteremmo la stessa filosofia. E per forzare ogni singola pianta a produrre oltre alle sue possibilità, non c’è altra strada che usare concimi chimici e pesticidi.

Una rete benefica: l’esposizione dell’orto

C’è un’altra opzione, che non per forza porta a scarsi raccolti. Se concepiamo l’orto come un piccolo ecosistema, ovvero come un insieme di organismi animali e vegetali che interagiscono tra loro e con l’ambiente che li circonda, che formano una rete all’interno della quale si scambiano risorse e informazioni, potremo ottenere molti risultati: produzione abbondante, piante più sane e in grado di badare a se stesse, maggiore diversità e bellezza, connessione con l’ambiente naturale circostante (che come abbiamo già notato non manca neppure in città).

Per capire come inserire il nostro orto ecosistemico nell’ambiente cittadino, è indispensabile osservare a lungo il luogo in cui ci troviamo e cercare di capirne le caratteristiche. L’esposizione a sud, per esempio, garantisce alte temperature e un’ottima luminosità. È la posizione migliore per anticipare i raccolti. Ma un balcone a sud potrebbe anche essere messo in ombra per molte ore da una parete vicina. Se non osserviamo davvero la situazione nella quale ci troviamo, potremmo commettere errori. Un balcone a nord potrebbe essere ritenuto più sfortunato, ma se è aperto davanti e anche sui lati (est-ovest) la situazione cambia drasticamente,

perché la luce arriva comunque abbondante.

Elementi in gioco

In generale, quattro-sei ore di luce diretta (da qualsiasi parte provenga) sono il minimo necessario per ogni pianta da orto. Va tenuto però conto che frutti e radici hanno bisogno di più luce, mentre le foglie sono meno esigenti. Cavoli, cavolfiori e broccoli, piselli, bietole, cavoletti, barbabietole, ravanelli, spinaci, e insalate verdi si

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posso coltivare anche in posizioni ombrose. Inoltre, se coltiviamo le insalate sul balcone a sud, le foglie potrebbero essere cotte dall’eccesso di calore, e in questo caso vanno previste delle ombreggiature. Si possono realizzare con teli, ma anche mettendo le piante sotto ad altre, di dimensioni maggiori (legnose: agrumi, rose;

erbacei: lantana, viburno; annuali: girasole, canapa).

Un altro elemento che può influire sulla buona riuscita dell’orto è il vento. Il vento che spira in spazi aperti, non è quello che arriva sul nostro balcone. Va controllata quindi la direzione prevalente, e anche le correnti. In questo caso andranno previsti dei frangivento, che possono essere realizzati con arbusti o piante alte (legnosi: abelia, berberis, buddleia, forsizia, ibisco, bambu; erbacei: artemisia, malva; annuali: mais). Infine vanno controllate le precipitazioni: per esempio se c’è una tettoia, va visto fino a che punto protegge. E in alcuni casi può essere utile mettere le piante al riparo e non esposte a tutte le precipitazioni.

Isola di calore

C’è poi da considerare che il clima urbano è molto diverso da quello della campagna circostante. Negli anni Ottanta una serie di studi scientifici hanno confermato un fenomeno di cui molti si erano accorti: all’interno della città la temperatura è sempre maggiore. Ora è ormai stato confermato che in molte città può essere fino a 4 gradi centigradi più alta di quella della campagna. Non solo. In città la pioggia è più forte, quasi come se cadesse tutta di un colpo, ma anche i venti sono più forti e in generale ci sono maggiori contrasti. Perché avviene tutto ciò? Perché la città è una struttura creata con materiali artificiali, che riflettono e assorbono la luce del sole in modo molto diverso dal terreno. Il cemento e il vetro, amplificano la radiazione solare, l’asfalto assorbe calore, e lo rilascia durante la notte. La scarsità di aree verdi contribuisce nettamente al fenomeno: le piante infatti, durante la notte, effettuano l’evapotraspirazione, un processo che assorbe calore dall’ambiente circostante. Non a caso, se andiamo in un parco di sera, sentiamo più fresco. Gli edifici poi causano un effetto canyon, che contribuisce a deviare e rinforzare il vento, e a intrappolare le masse d’aria scaldate dall’asfalto.

Anche l’assenza di vie d’acqua o laghi è un altro fattore determinante: l’acqua ha il potere di assorbire il calore e di mitigare le temperature. Va tenuto poi conto che gli impianti di condizionamento, che sottraggono calore in casa, lo ributtano all’esterno, facendo aumentare la temperatura. Negli ultimi anni il numero di

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impianti di refrigerazione presenti in Italia, ha superato quelli di riscaldamento, e di conseguenza il consumo di energia è cresciuto. In città infine c’è molta più polvere:

viene prodotta dalle fabbriche e dai mezzi meccanici. La polvere può diventare il nucleo di aggregazione che fa si che l’umidità si trasformi in precipitazione. Questo è il motivo per cui spesso la pioggia in città è più violenta e con gocce più grosse, rispetto alle aree limitrofe.

Un ambiente difficile

In generale il problema di coltivare in città si potrebbe riassumere in questo modo: l’ambiente cittadino è un ambiente estremo, non facile, che richiede grande capacità di adattamento. Le piante, in natura, sono molto resilienti, ovvero sono capaci di assorbire i traumi e di trovare il modo di vivere nelle nuove condizioni. Ma in città, dove la situazione cambia troppo spesso e i traumi sono continui, lo sforzo richiesto è molto alto. Per questo risultano più fragili. Ma non solo: le piante infatti sopravvivono meglio se non sono isolate e coltivate come individui, perché in natura non lo sono. Allo stato selvatico, che deve comunque essere il nostro punto di riferimento, crescono infatti sempre insieme ad altre e formano delle comunità che si autoproteggono. È questo l’elemento principale di differenza dei metodi di coltivazione sinergici e di permacoltura. Nell’agricoltura industriale e intensiva le piante sono coltivate a file di individui, su zolla nuda, in gruppi monospecifici. Tutto il contrario di quello che farebbe star bene un vegetale, ovvero la coabitazione in un fazzoletto di terra di molte specie, che scambiano tra loro elementi nutritivi, informazioni, ormoni, batteri.

Inquinamento in città

Uno dei problemi principali di chi coltiva in città è la paura di curare ortaggi che poi avvelenano chi li mangia. In realtà non è così. Attualmente nelle città l’aria asfissia i nostri polmoni, non il nostro stomaco. Ciò è dovuto infatti alle polveri sottili. Ma le polveri, se si depositano sulla verdura, possono essere rimosse con un lavaggio.

Inoltre la loro presenza è consistente solo a 20-50 metri di distanza dal punto di emissione. Nel caso si fosse più vicini, si possono coprire le piante con del tessuto non tessuto. Anche gli ossidi di azoto e altri gas emessi dalle macchine, che rendono difficile la nostra respirazione, non solo non sono dannosi per le piante,

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ma vengono metabolizzati. Non è sempre stato così, e ancora siamo vittime dell’eredità degli anni passati: il piombo che una volta era contenuto nelle benzine infatti era altamente tossico e si depositava sia sui vegetali che sul terreno. E lì purtroppo rimaneva per sempre. Come ha recentemente dimostrato una ricerca del Dartmouth College, Vermont (Usa), il piombo si muove molto lentamente: si sposta di appena sette centimetri in 17 anni. Dunque è ancora tutto lì. Viene infatti intrappolato nei colloidi del suolo. Dal 1992 la marmitta catalitica è diventata obbligatoria e non sono state più prodotte automobili alimentate a benzina con piombo. Ma la vecchia benzina “rossa” è stata venduta ed è diventata fuorilegge solo nel 2002. Il che significa che chi aveva automobili vecchie ha continuato a usarla.

Il problema sono le auto

Il terreno aperto dunque è ancora inquinato. Una recente ricerca sull’inquinamento negli orti di città (Environmental pollution, 2012, How healthy is urban horticulture in high traffic areas?) ha rivelato che il traffico urbano è la principale causa della presenza di tracce di metalli nelle verdure. Il principale problema, conferma lo studio, è dovuto al terreno, ma per fortuna non tutte le aree presentano gli stessi rischi: il 67% degli ortaggi con valori di piombo superiori ai limiti di legge si trovavano infatti a meno di 10 metri dalla strada. Viceversa, fra gli ortaggi coltivati a più di 10 metri di distanza o con una barriera protettiva in mezzo, la percentuale degli sforamenti scendeva al 37-38%. La presenza di grandi edifici o di larghe masse di vegetazione fa da barriera e riduce nettamente le tracce dei metalli. I frutti (sono frutti anche i pomodori) accumulano molti meno inquinanti della verdura. Sono elementi da tenere in considerazione. Un’attenzione va posta anche alla qualità dell’acqua di irrigazione: le acque reflue presenti in città contengono spesso solventi o tracce di pesticidi, che inevitabilmente andrebbero a inquinare poi anche la terra buona che abbiamo messo nei contenitori. È meglio usare l’acqua potabile, oppure, preparando delle taniche per la raccolta, l’acqua piovana.

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