• Non ci sono risultati.

Finalmente una svolta?

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2022

Condividi "Finalmente una svolta?"

Copied!
20
0
0

Testo completo

(1)

Questo numero esce stra- ordinariamente a 20 pagine per poter dare conto almeno delle principali notizie sul Giorno del Ricordo. Sono tan- te e significative. Di quelle, ancor più numerose, a carat- tere locale riferiremo sul nu- mero di marzo, ed anzi esor- tiamo i lettori che non lo aves- sero già fatto ad inviarci dei resoconti. Possiamo già dire che, salvo qualche immanca- bile nota stonata, il bilancio è indiscutibilmente positivo e confortante. Per la prima vol- ta, a pronunciare uno degli interventi alla cerimonia uffi- ciale alla Camera è stata una

esule di seconda generazione: la nostra Lucia Bellaspiga.

Nell’editoriale precedente avevamo auspicato che il 10 Febbraio si “ricordassero” anche i debiti dell’Italia verso gli esuli istriani, fiumani e dalmati. Siamo stati esauditi. Infatti, dopo anni, la Presidenza del Consiglio dei Ministri ha ricon- vocato il Tavolo di concertazione per affrontare tutte le pro- blematiche che li riguardano. Alla riunione del 12 febbraio, coordinata dal capo del Dipartimento per il Coordinamento amministrativo della Presidenza del Consiglio Elisa Grande, hanno preso parte rappresentanti dei Ministeri degli Esteri, dell’Economia e delle Finanze, dei Beni e delle Attività Cultu- rali e del Turismo, della Regione Friuli Venezia Giulia, non- ché di tutte le associazioni della diaspora, che già alla vigilia avevano dimostrato unità d’intenti respingendo compatta- mente sia i baratti sia le proposte di utilizzare i milioni di dolla- ri dovuti da Slovenia e Croazia all’Italia per altre finalità.

Il sottosegretario agli Esteri Benedetto Della Vedova, pre-

sente all’inizio della seduta romana, ha assicurato che il Go- verno intende «ricominciare a lavorare» con tutti i soggetti portatori di interessi, pur «sapendo che il tema ha mille ragio- ni per essere non semplice». «Sta emergendo sempre più – ha chiarito – una volontà politica comune di arrivare a una soluzione della vicenda complessiva che faccia tesoro delle condizioni positive che si sono create, senza nasconderci le difficoltà e le differenze di sensibilità o di valutazione. Ma, se ci diamo un metodo di lavoro, alla fine arriveremo a una ri- sposta seria, sapendo che non sarà mai definitiva».

Il presidente di FederEsuli Antonio Ballarin ha elencato in modo sintetico le 12 principali richieste del nostro mondo, il- lustrandole poi direttamente o affidando tale compito ad esponenti di altri sodalizi. I funzionari ministeriali sono inter- venuti con precisazioni o richieste di chiarimenti. Il tema più discusso è stato quello più spinoso: l’Accordo di Roma del 18 febbraio 1983, violato da Slovenia e Croazia. Non si è invece fatto cenno alla ventilata Fondazione. Al termine di questa ri- cognizione preliminare, Elisa Grande ha riconvocato il Tavolo per lunedì 2 marzo annunciando che intanto la Presidenza del Consiglio avrebbe approfondito i 12 temi in appositi in- contri con i Ministeri competenti. Per agevolarne la disamina, le associazioni trasmetteranno un dossier dettagliato. L’in- tento è di rivedersi poi ogni 15 giorni in sotto-tavoli specifici per confrontarsi nel merito e trovare soluzioni condivise.

Dunque il ghiaccio si è finalmente rotto. Si è individuato un metodo e un percorso. Non possiamo che gioirne, poiché si tratta di un inatteso salto di qualità. Sarà una vera svolta?

Paolo Radivo

Fondata a Pola il 29.07.1945 – Organo dell’Associazione «Libero Comune di Pola in Esilio» – Redazione: Via Malaspina 1, 34147 Trieste– Direttore responsabile: Paolo Radivo – Telefono e fax 040.830294 – Sito web: www.arenadipola.it – Quote associative annuali per l’Italia e l’Europa: 30, per le Americhe 60, per l’Australia 66, da versare o sul conto corrente postale n. 38407722 intestato a L’Arena di Pola, Via Malaspina 1, 34147 Trieste, o tramite bonifico bancario intestato a Libero Comune di Pola in Esilio, Via Malaspina 1, 34147 Trieste, codice IBAN dell’UniCredit Agenzia

Padova Moro: IT 10 I 02008 12105 0000 10056 393, BIC: UNCRITM1N97 – Le copie non recapitate vanno restituite al CPO di Trieste per la restituzione al mittente previo pagamento resi L’ARENA DI POLA – Registrata presso il Tribunale di Trieste n. 1.061 del 21.12.2002 Anno LXXI 3.378 – Mensile n. 2 del 15 FEBBRAIO 2015

TAXE PERÇUE TRIESTE TASSA RISCOSSA ITALy

POSTE ITALIANE SPA – SPEDIzIONE IN ABBONAMENTO POSTALE –

D.L. 353/2003 (convertito in Legge 27/02/2004 n° 46), art. 1, comma 2, DCB TRIESTE

Iniziativa realizzata

con il contributo del Governo italiano ai sensi della Legge 72/2001 e successive proroghe

10 Febbraio 10 Febbraio

LETTERA APERTA AI NOSTRI CONNAZIONALI DI POLA

Ritornare a Pola: come e perché LETTERA APERTA AI NOSTRI CONNAZIONALI DI POLA

Ritornare a Pola: come e perché

Mailing List Histria: Dignano ha ospitato il 14° raduno e il 12° concorso letterario Finalmente una svolta? Assassinato

William Klinger

Il 31 gennaio scorso, nel Parco Astoria di New york, il 49enne Alexander Bonich, traduttore e storico di origini istriane residente nella Grande Mela, ha ucciso il 42enne William Klinger, affermato storico fiumano residente con moglie e due figli a Gradisca d’Isonzo. I due avevano passato la mattinata assieme nel Queens. Tra loro era scoppiato un litigio, proseguito nel parco. Bonich ha di- chiarato che, dopo le 12.30, Klinger avrebbe tentato di prendere una vecchia pistola infilata nella propria cintura.

Bonich gli avrebbe intimato di consegnargliela. Di fronte al rifiuto, gliel’avrebbe strappata di mano e lo avrebbe in- seguito ordinandogli di fermarsi. Ma «la pistola» avrebbe sparato e Klinger sa-

rebbe caduto. Bonich avrebbe poi sparato di nuovo. Klinger però non possedeva pistole e non sapeva sparare.

Più verosimilmente, ha cercato di allontanarsi, Bonich gli ha intimato invano di fermarsi, ha estratto una pistola e gli ha sparato una prima volta alle spalle feren- dolo al collo e poi una seconda alla nuca, freddandolo.

Il corpo è stato ritro-

vato alle 14.15 circa e trasportato all’ospedale Elmhurst del Queens, dove è stato accertato il decesso in seguito a due colpi d’arma da fuoco alla testa. Bonich ha ammes- so di essere andato a casa a cambiarsi vestiti e scarponi, che ha poi gettato nella spazzatura, mentre avrebbe lan- ciato nell’East River il revolver d’antiquariato, le pallottole inutilizzate e i bossoli. La polizia è risalita a lui poiché nel visto di ingresso Klinger aveva scritto che nel suo sog- giorno americano avrebbe risieduto nell’appartamento di Bonich, vicino al Parco Astoria. Il video di una telecamera di sorveglianza e alcuni scontrini trovati nelle tasche della vittima hanno confermato l’identità dell’omicida, arrestato in casa il 2 febbraio e comparso il 3 febbraio davanti alla Corte criminale del Queens, che lo accusa di omicidio di secondo grado, possesso illegale di un’arma e distruzio- ne di prove. Rischia 25 anni di carcere. Intanto gli è stata confermata la detenzione e negata la cauzione.

Klinger era giunto a New york il 24 gennaio per tenere una conferenza all’Hunter College, dove Bonich gli aveva promesso di procurargli un lavoro. Aveva soggiornato da un amico di origini croate a Ridgewood fino al 28 genna- io, quando si era trasferito da Bonich. Questi ha dichiara- to di aver raggiunto con Klinger un accordo secondo il quale avrebbe acquistato per lui una casa a New york in cambio di un immobile nel Nord-est d’Italia. La polizia ha trovato tra gli effetti personali della vittima assegni per 68mila euro e il prospetto di un appartamento nel quartie- re Astoria. Il reo confesso ha sostenuto di aver chiesto a Klinger in una lettera la mattina del 31 gennaio di tornare in Italia per completare la compravendita. Ma Klinger non intendeva vendere la casa di Gradisca dove viveva con la famiglia. Pochi mesi fa aveva venduto quella di Fiume ereditata dalla nonna e con parte di tali proventi aveva effettuato un primo bonifico a Bonich prima di partire. Vo- leva trasferirsi con la famiglia a New york per dedicarsi interamente alla ricerca storica. A tal fine aveva chiesto e ottenuto da Autovie Venete un’aspettativa dal 1º febbraio.

Nato a Fiume il 24 settembre 1972 da madre italiana e padre di origini austriache, il poliglotta William Klinger aveva studiato nelle scuole italiane della città. Poi si era laureato a Trieste, si era specializzato alla Central Euro- pean University di Budapest e aveva conseguito il dotto- rato allo European University Institute di Firenze. Ha scritto numerosi articoli e saggi specie sulla storia di Fiu- me e della Venezia Giulia prima del 1945, ma era diven- tato famoso per i suoi lavori anticonformisti su Tito, la Ju- goslavia e l’OzNA. Per conto del Libero Comune di Pola in Esilio aveva redatto un saggio sulla strage di Vergarol- la, presentato il 17 maggio 2014 all’Hotel Brioni di Pola.

Anche Alexander Bonich è poliglotta, appassionato di storia e nativo di Fiume, ma con la passione per le armi (meglio se antiche) e le uniformi militari. Nel biglietto da visita si qualifica come «Alex Rudolf De Dominicis - Bo- nich, specialista del Dipartimento americano di Giusti- zia». Per dissidi con il padre, di Orsera, ha assunto il co- gnome della madre, di Sbandati nell’entroterra parentino, con cui aveva vissuto negli USA e che ora risiede a Ca- podistria. Tornato a Fiume, dove aveva frequentato per un anno la Scuola media superiore italiana, si era laurea- to all’Hunter College di New york e aveva poi conseguito la laurea magistrale all’Università di Malta e un dottorato di ricerca all’Università del Litorale di Capodistria.

12 febbraio, Presidenza del Consiglio: un momento dell’affollata ma proficua e promettente riunione del Tavolo Governo-Esuli (foto di Giuseppe Bramucci).

Staffette

Quando, nel lontano 1961, feci parte di una squadra nazionale di atletica leggera e, in una gara di staffetta 4x400, ricevetti il testimone da Salvatore “Tito” Morale, allora primatista mondiale dei 400 metri ad ostacoli, l’or- goglio, l’emozione, lo slancio furono grandi.

Quando, nel più vicino 2013, ricevetti il testimone da Argeo Benco, della staffetta faceva parte Silvio Mazzaro- li, colui «che è stato l’artefice – secondo le parole di Tito

“Lucio” Sidari – della rinascita del Libero Comune di Pola in Esilio, iniziatore ed autore indiscusso del riavvicina- mento fra polesani esuli e rimasti». Lucio ricorda «il 12 aprile 2006, quando, emozionato, telefonai al generale Silvio Mazzaroli... per avere ragguagli sulle linee di azio- ne del Libero Comune di Pola in Esilio... e mi rispose in modo tanto serio e convincente che subito chiesi di en- trare nel Libero Comune di Pola in Esilio e fui accolto».

Io ricordo una riunione del Consiglio, a Milano, a cui fui invitato come osservatore e durante la quale Silvio Maz- zaroli fu altrettanto convincente, cosicché ne è scaturito, in tempi oggettivamente molto brevi, l’impegno a cui so- no stato chiamato.

Un’altra staffetta si è conclusa con successo: Salvatore Palermo è stato per lunghi anni il regista di un lavoro sco- nosciuto ai più ma indispensabile per tenerci legati dal fi- lo dell’“Arena di Pola”. La sua tenacia nell’aggiornare l’anagrafe dei soci, nell’inseguire i reprobi, nel curare il rinnovamento sono stati il collante che tuttora ci tiene uniti. Ora il suo bagaglio di esperienza e di organizzazio- ne è stato trasmesso a Luca Tedeschi, ma non andrà di- sperso perché la sua opera di tutore continuerà genero- sa.Silvio e Salvatore sono stati un architrave e una colon- na, e mi perdonate questa deformazione professionale, di una costruzione solida, bella, utile qual è il mondo della diaspora polesana. “Firmitas, venustas, utilitas” è il sigillo dell’architettura: a loro va la riconoscenza mia e di tutti noi e il ringraziamento per quanto hanno fatto per l’Arena di carta e per l’Arena di pietra.

Tullio Canevari

Riavviato il Tavolo Governo-Esuli

Diritti umani, beni e scuola al centro della discussione

Si è svolta oggi in un clima disteso e costruttivo presso il Segretariato Generale della Presidenza del Consiglio dei Ministri la tanto attesa riunione del Tavolo di Concer- tazione tra il Governo e le Associazioni degli Esuli Istria- ni, Fiumani e Dalmati.

Il Governo ha chiarito di non aver preso alcuna decisio- ne circa l’eventuale ritiro dei milioni di dollari dovuti, in solido, da Slovenia e Croazia all’Italia quale indennizzo per tutti i beni espropriati dell’ex zona B. Su tale aspetto vi sarà un approfondimento giuridico finalizzato alla tute- la delle legittime aspettative degli esuli interessati.

L’eventuale incasso dovrà comunque essere contestuale alla verifica dell’attuazione dell’Accordo di Roma del 1983, anche in riferimento alla questione dei “beni in libe- ra disponibilità”.

Le Associazioni degli Esuli hanno inoltre esposto le lo- ro principali istanze, tra cui: l’indennizzo “equo e definiti- vo”, il recupero delle salme degli infoibati nelle attuali Croazia e Slovenia, la consegna della medaglia d’oro all’ultimo gonfalone di zara italiana, la proroga di dieci anni per la presentazione delle richieste di conferimento delle medaglie ai parenti degli infoibati, e l’inserimento, nelle linee guida didattiche per le scuole, delle sofferenze patite dagli esuli a causa delle violazioni dei diritti umani.

Ha aperto l’incontro il Sottosegretario agli Esteri, Bene- detto Della Vedova. Per la Regione Friuli Venezia Giulia era presente l’Assessore Gianni Torrenti, il quale si è fat- to garante degli interessi delle Associazioni degli Esuli circa la questione dei beni.

Alla riunione hanno inoltre partecipato: Antonio Ballarin e Giuseppe de Vergottini - Federazione delle Associazio- ni degli Esuli Istriani, Fiumani e Dalmati; Renzo Codarin e Davide Rossi - Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia; Manuele Braico e Bruno Liessi - Associazio- ne delle Comunità Istriane; Lucio Toth - Associazione Dalmati Italiani nel Mondo / Libero Comune di zara in Esilio; Guido Brazzoduro - Libero Comune di Fiume in Esilio; Tullio Canevari e Paolo Radivo - Libero Comune di Pola in Esilio; Massimiliano Lacota ed Enrico De Cristo- faro - Unione degli Istriani.

Roma, 12 febbraio 2015.

Federazione delle Associazioni degli Esuli Istriani, Fiumani e Dalmati Unione degli Istriani - Libera Provincia dell’Istria in Esilio

Lo storico fiumano William Klinger a Pola il 17 maggio 2014 (foto di Luca Tedeschi).

(2)

2 GIORnO DEL RICORDO

L’AREnA DI POLA n. 2 del 15 FEBBRAIO 2015

Alla Camera la cerimonia

solenne

Il 10 febbraio 2015 la cerimonia ufficiale solenne del Giorno del Ricordo ha avuto luogo, per la prima volta, alla Camera dei Deputati. non però nell’Aula, impegnata con i lavori parlamentari, bensì nella Sala della Regina, gremitissima. Sono intervenuti il presidente di FederE- suli Antonio Ballarin, la giornalista di “Avvenire” e consi- gliera del Libero Comune di Pola in Esilio Lucia Bellaspi- ga, il sottosegretario agli Affari esteri e alla Cooperazio- ne internazionale Benedetto Della Vedova, il ministro all’Istruzione, Università e Ricerca (MIUR) Stefania Gian- nini e la presidente della Camera Laura Boldrini. Ha fatto da valente cerimoniera la stessa Lucia Bellaspiga.

All’incontro hanno preso parte fra il pubblico il presi- dente della Repubblica Sergio Mattarella, il presidente del Senato Pietro Grasso, alcuni parlamentari, altre auto- rità, i rappresentanti delle associazioni degli esuli istria- ni, fiumani e dalmati, il presidente dell’Unione Italiana e deputato della nostra minoranza in Croazia Furio Radin, nonché le scolaresche (con i relativi insegnanti) vincitri- ci del concorso didattico sul confine orientale promosso dal MIUR. Per il Libero Comune di Pola in Esilio c’erano il sindaco Tullio Canevari, il consigliere Antonio Incani e l’assessore e consigliere Andrea Manco.

Trascriviamo di seguito le allocuzioni dei relatori.

Antonio Ballarin

Quest’anno la ricorrenza del Giorno del Ricordo delle Foi- be e dell’Esodo degli Italiani dall’Istria, da Fiume e dalla Dal- mazia coincide con due grandi eventi del secolo scorso: l’en- trata in guerra nel primo Conflitto Mondiale e la fine della se- conda Guerra Mondiale.

L’entrata in guerra dell’Italia nel 1915 diede seguito all’an- nessione dell’Istria, del Quarnaro e di parte della Dalmazia. A cavallo tra il ’14 ed il ’18 molta nostra gente di lingua italiana, suddita dell’Impero austro-ungarico, venne deportata nei la- ger di internamento oppure arruolata a forza nelle truppe da destinare ai fronti più sanguinosi. Molti altri diedero prova di grande attaccamento ad una Nazione italiana, non propria patria per ragion politica ma per appartenenza ideale, storica e culturale, offrendo l’esempio coraggioso dei volontari giu- liano-dalmati nelle forze armate italiane.

Settant’anni fa, invece, aveva termine il devastante secon- do conflitto mondiale. Dopo la fine di questa guerra e nei de- cenni successivi nelle zone dell’Adriatico Nord-Orientale si consumava un dramma a lungo deliberatamente taciuto: la pulizia etnica, operata dalle armate di Tito della popolazione autoctona di lingua italiana presente, da secoli, nella Vene- zia-Giulia, nell’Istria, nel Quarnaro e nella Dalmazia.

Per quella delicatissima area geografica, il Trattato di Pace siglato a Parigi il 10 febbraio del ’47 non stabiliva il ritorno ad un periodo di serenità e di prosperità, ma, nell’indifferenza di ogni Governo europeo, segnava la data di un periodo di fero- cia disumana in tempo di pace.

Le conseguenze di tali violenze furono catastrofiche: mi- gliaia di persone trucidate brutalmente, lo svuotamento del 90% dei territori di storico insediamento e, per centinaia di migliaia di profughi, la condanna ad una vita di stenti e sacri- fici.

Vennero semplicemente annullati i diritti umani più elemen- tari per una generazione intera, per una classe di persone che si sentiva davvero parte di una comunità nazionale, ma che non fu riconosciuta come tale.

La “questione adriatica”, dunque, si trova al centro degli eventi che segnarono l’entrata in guerra dell’Italia nella Prima Guerra Mondiale e la sua sconfitta nella Seconda. E sempre la “questione adriatica” ha segnato, giusto quarant’anni fa, il recente passato altrettanto nefasto: la firma del Trattato di Osimo del ’75, imposto al governo italiano da pressioni stra- niere, ma che fu interpretato dagli esuli giuliano-dalmati e da buona parte dell’opinione pubblica come un’ennesima cen- sura della nostra stessa esistenza.

In tutte queste tragiche vicende le violazioni dei fondamen- tali diritti umani subite dalla nostra gente furono molteplici.

Furono violati i diritti circa l’autodeterminazione dei popoli e della loro forma di governo (Carta Atlantica, yalta, Statuto delle Nazioni Unite ed Helsinki), così come il diritto alla vita, garantito per «i gruppi umani, nazionali, religiosi, politici»

(Nazioni Unite sul Crimine di Genocidio).

Furono violati i diritti stabiliti dall’articolo 9 della Dichiara- zione dei Diritti dell’Uomo che vieta l’arbitrario arresto, la de- tenzione o l’esilio forzato.

Furono violati i dritti previsti dal Trattato di Pace di Parigi, ribaditi anche dalla Convenzione Europea per i Diritti dell’Uo- mo, dove veniva esplicitamente dichiarato che i beni e gli in- teressi dei cittadini italiani residenti nei territori ceduti avreb- bero dovuto essere rispettati.

Non venne osservata la Dichiarazione di Vancouver del ’76 (Report Habitat I), che prevede «il ritorno delle persone alle loro case».

L’articolo 28 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo sancisce che «ogni individuo ha diritto ad un ordi- ne sociale ed internazionale nel quale i diritti e le libertà enunciati […] possano essere pienamente realizzati».

Per questo diritto, ampiamente profanato, gli esuli ed i loro discendenti ancora oggi intendono “fare memoria” ed impe- gnarsi per il pieno rispetto della propria dignità, con azioni che vanno dalla richiesta della consegna, non ancora avve- nuta, della Medaglia d’Oro al Valor Militare al Gonfalone della città di zara (capoluogo di provincia d’Italia più distrutto du- rante la seconda Guerra Mondiale), all’esplicita inclusione dell’argomento “Trattato di pace e sue conseguenze per l’Ita- lia” nei programmi ministeriali di storia. Così come riteniamo opportuno che nelle celebrazioni del 2 giugno sia citata, nei discorsi ufficiali celebrativi di quell’evento, il sacrificio della popolazione della Venezia-Giulia come uno dei fatti significa- tivi della costruzione dell’Italia repubblicana. Infatti, gli accor- di siglati sulla nostra pelle hanno imposto, con le nostre pro- prietà private costruite nel corso di generazioni, il pagamento dei danni dovuti dall’intero Paese alla ex-Jugoslavia. E per segnare un atto di onestà in questa tormentata storia ancora non conclusa, noi continueremo a chiedere e ad impegnarci per quel “giusto ed equo indennizzo”, morale e materiale, senza il ristoro del quale, per una parte di società civile, ver- rebbe una volta di più sfregiata la nozione stessa di giustizia ed umanità.

Lucia Bellaspiga

La mia prima volta a Pola, da bambina, è il ricordo di mia madre che piange aggrappata a un cancello. Un’immagine traumatica, che allora non sapevo spiegarmi. Eravamo là in vacanza, il mare era il più bello che avessi mai visto, le pinete profumate: perché quel pianto?

Al di là di quel cancello una grande casa che doveva esse- re stata molto bella, ma che il tempo aveva diroccato. Alle fi- nestre i vetri blu, «erano quelli dell’oscuramento» mi disse mia madre, eppure la seconda guerra mondiale era finita da trent’anni. Tutto era rimasto come allora. La finestra si aprì e una donna gentile, con accento straniero, capì immediata- mente: «Vuole entrare?», chiese a mia madre. Solo adesso comprendo la tempesta di sentimenti che doveva agitare il suo cuore mentre varcava quella soglia e rivedeva la sua ca- sa, la cucina dove era risuonata la voce di mia nonna, le ca- mere in cui aveva giocato con i fratelli.

Sono passati molti anni prima che io capissi davvero: la scuola certo non ci aiutava, censurando completamente la tragedia collettiva occorsa nelle terre d’Istria, Fiume e Dal- mazia, e d’altra parte molti dei testimoni diretti, gli esuli fuggi- ti in massa dalla dittatura del maresciallo Tito e dal genocidio delle foibe, rinunciavano a raccontare, rassegnati a non es- sere creduti. Ciò che durante e dopo la II guerra mondiale era accaduto in decine di migliaia di nostre famiglie restava un incubo privato da tenere solo per noi perché al resto degli italiani non interessava. Eppure era storia: storia nazionale…

Anche i miei cari sparsi per l’Australia mi sembravano quasi irreali, figure fantastiche che immaginavo mentre, imbarcati sulla nave “Toscana”, lasciavano Pola per sempre, via verso l’ignoto.

Ogni ritorno porta con sé un dolore, così per molti anni a Pola non tornammo più. Ma dentro di me intanto lavorava il richiamo delle origini, cresceva il desiderio che ogni donna, ogni uomo ha di sapere da dove è venuto. Così, come tanti miei coetanei, ho iniziato a ripercorrere l’esodo dei nostri pa- dri in senso inverso. Intanto il Novecento è diventato Duemi- la, l’Europa una casa comune sotto il cui tetto abitano popoli un tempo nemici, e i giovani oggi, da una parte e dall’altra, sognano un mondo nuovo, segnato dalla pace e dal progres- so condiviso. E noi? I figli e nipoti dell’esodo, noi nati “al di qua”, che ruolo abbiamo in questo mondo che cambia ma che non deve dimenticare? Tocca a noi, dopo il secolo della barbarie, tenere alta la memoria non per recriminazioni o vendette, ma perché ciò che è stato non avvenga mai più.

Se il perdono, infatti, è sempre un auspicio, la memoria è un dovere, è la via imprescindibile per la riconciliazione: non è vero che rimuovere aiuti a superare, anzi, la storia dimostra che il passato si supera solo facendo i conti con esso e da esso imparando.

Sono trascorsi settant’anni da quando 350mila giuliano- dalmati sopravvissuti agli eccidi comunisti abbandonarono con ogni mezzo la loro amata terra, sperimentando la trage- dia dello sradicamento totale e collettivo. La maggior parte di loro è morta senza avere non dico giustizia, ma almeno il sa- crosanto diritto di veder riconosciuto il proprio immane sacri- ficio. Chiedo in prestito le parole al presidente emerito Gior- gio Napolitano: «La tragedia di migliaia di italiani imprigionati, uccisi, gettati nelle foibe assunse i sinistri contorni di una pu- lizia etnica», ha detto nel 2007, rompendo dopo 60 anni la cortina del silenzio. «Il moto di odio e di furia sanguinaria»

aveva come obiettivo lo «sradicamento della presenza italia- na da quella che era, e cessò di essere, la Venezia Giulia».

Ma soprattutto gli siamo grati per il mea culpa pronunciato a nome dell’Italia: «Dobbiamo assumerci la responsabilità dell’aver negato la verità per pregiudizi ideologici».

Un altro grande passo sulla via della verità è stato compiu- to proprio qui alla Camera il 13 giugno scorso, quando per la prima volta dopo 68 anni si è commemorata (e riconosciuta) la strage di Vergarolla, 28 ordigni fatti esplodere sulla spiag- gia di Pola, oltre cento vittime tra adulti e bambini. Era l’ago- sto del 1946, già in tempo di pace, si tratta quindi della prima strage della nostra Repubblica, più sanguinosa di piazza Fontana, più della stazione di Bologna, eppure da sempre nascosta. Con Vergarolla fu chiaro che la sola salvezza era l’esilio.

L’esilio… Proviamo a immaginare il momento del distacco definitivo: uscire dalla casa dove sei sempre stato e non per tornarci la sera, no: mai più. Tiri la porta e delle chiavi non sai che fare: chiudere? A che serve? Domani stesso nelle tue stanze entrerà gente nuova, che non sa nulla della vita vissu- ta là dentro. Ti porti dietro quello che puoi, poche cose, ma ciò che non potrai portare con te, che mai più riavrai, è la scuola che frequentavi, le voci degli amici, un amore che ma- gari sbocciava, il negozio all’angolo, l’orto di casa, i volti noti, il tuo mare, il campanile… persino i tuoi morti al cimitero.

Addio Pola, addio Fiume, addio zara. I racconti sono spes- so uguali: in una gelida giornata di bora, in un silenzio irreale rotto solo dai singhiozzi, la nave si staccava dalla riva che era sempre più lontana. Da laggiù la tua casa, la tua stessa fine- stra diventavano già quel dolore-del-ritorno che mai sarebbe guarito.

Da che cosa si scappava? Dai rastrellamenti notturni, dalle foibe, dai processi sommari. Dai massacri perpetrati in quelle regioni d’Italia dai partigiani jugoslavi nell’autunno del 1943 e di nuovo dal maggio del 1945, cioè quando il mondo già fe- steggiava la pace. Se nel resto d’Italia il 25 aprile a portare la Liberazione erano gli angloamericani, nelle terre adriatiche facevano irruzione ben altri “liberatori”. E iniziava il terrore.

Da Gorizia e Trieste fino giù a zara dei colpi alla porta con il calcio del fucile preannunciavano l’ingresso dei titini e il rapi- mento dei capifamiglia, centinaia ogni notte. Poi sparirono anche le donne, persino i ragazzini: «Condannato», si legge sulle carte dei processi farsa, in realtà fucilati a due passi da

casa o gettati vivi nelle foibe, tanti nel mare con una pietra al collo.

Da questo si fuggiva. Ma dove? In un’Italia povera e da ri- costruire, anche solo un parente in una città lontana era l’an- cora di salvezza, a Milano, La Spezia, Ancona, Venezia, Ro- ma, Taranto… Sorsero villaggi giuliano-dalmati, quartieri di esuli, ma anche campi profughi, più di 100 in tutta Italia, ex manicomi, ex carceri, caserme dismesse, dove le famiglie si trovarono scaraventate in un nuovo incubo. Pensate, pensia- mo cosa significhi: comunità spezzate, tessuti sociali frantu- mati, improvvisamente non più i colori della propria terra ma miseri accampamenti dove restarono per anni, le coperte appese a fare da parete tra una famiglia e l’altra. Qualcuno impazzì, qualcuno, svuotato della propria identità, si tolse la vita, molti morirono di crepacuore (così morì mia nonna). Al loro arrivo, presero loro le impronte digitali, come fossero de- linquenti.

Fascisti! Così erano chiamati, solo poiché fuggivano da un regime comunista, e il grave equivoco resta ancora oggi in- cancrenito in residue forme di ignoranza, che il Giorno del Ricordo vuole dissipare: gli italiani della Venezia Giulia usci- vano da un’Italia che era stata fascista, esattamente come gli italiani di Roma, Trento, Napoli… I nostri nonni e genitori era- no stati antifascisti o fascisti esattamente come tutti gli altri italiani. Si usciva tutti, indistintamente, dalla stessa guerra persa. Nelle foibe furono gettati maestri di scuola, impiegati, carabinieri, medici, artigiani, operai, imprenditori… tutti, pur- ché italiani o avversi alla nuova dittatura. E quanti tra questi erano stati antifascisti!

Ma c’è poi un secondo enorme equivoco in cui ancora oggi incorre chi non conosce la storia: «Di che vi lamentate? – di- cono – L’Italia ha perso la guerra, era giusto che pagasse».

Vero, ma tutta l’Italia era stata sconfitta, eppure per saldare i 125 milioni di dollari, debito di guerra dell’intera nazione, il governo utilizzò le case, i negozi, i risparmi di una vita soltan- to dei giuliano-dalmati. Promettendo indennizzi poi mai ero- gati. Se dunque noi oggi qui abbiamo le nostre case, se Mila- no, Palermo, Torino, Bari sono ancora Italia, è perché i giulia- no-dalmati hanno pagato per tutti. Le loro vite hanno riscatta- to le nostre. Vogliamo almeno dire grazie? Vogliamo che al- meno si sappia e che si studi a scuola?

E intanto che cosa succedeva al di là dell’Adriatico, dove poche migliaia di italiani erano rimasti per vari motivi, per non lasciare la propria casa, per non separarsi dai loro vecchi, perché fiduciosi nel nuovo regime comunista, o invece per- ché dallo stesso regime non ottenevano il permesso di parti- re? Accusati dagli esuli di essere comunisti e dagli jugoslavi di essere italiani quindi fascisti, a loro volta patirono una sorta di esilio in casa loro.

E con questo torno alla domanda iniziale: che ruolo abbia- mo oggi tutti noi, i nati dopo l’esodo sulle due sponde dell’Adriatico?

Due ruoli principalmente. Il primo: difendere una verità an- cora non del tutto condivisa. Ma in questa opera di civiltà riu- sciremo solo con il sostegno forte e incondizionato delle Isti- tuzioni. Se infatti l’essere qui, oggi, alla presenza delle mas- sime cariche dello Stato legittima senza se e senza ma la nostra Storia, atti di vandalismo morale contro la nostra me- moria sono sempre in agguato (basti accennare all’ammini- stratore locale che pochi mesi fa, proprio in un anniversario storico per gli esuli e per l’Italia intera, ha ufficialmente esal- tato Tito come liberatore delle nostre genti).

Secondo nostro ruolo è vegliare perché il Giorno del Ricor- do non diventi col tempo un retorico appuntamento celebrato per dovere o una sorta di lamentoso amarcord, ma sia testi- monianza sempre viva. Cito al riguardo due storie esemplari, tra le tante che ho incontrato nel mio lavoro di giornalista.

Giorgia Rossaro Luzzatto, goriziana, nella cui famiglia si in- trecciano i drammi del Novecento: il padre ucciso dai parti- giani di Tito, la nonna deportata ad Auschwitz dai tedeschi, uno zio assassinato alle Fosse di Katyn, due cugini morti nei gulag sovietici. A 92 anni va per le scuole, voce irrinunciabile, perché i ragazzi sappiano. E Sergio Uljanic, che ha vissuto tutta l’infanzia, sette anni, nei campi profughi di Gorizia, Bari, Bagnoli e Torino. Nato il 16 settembre del 1947, è l’ultimo esule di Pola: il giorno prima gli inglesi avevano consegnato le chiavi della città agli jugoslavi.

A Trieste nel Magazzino 18 restano le masserizie degli esuli. Ma nelle case di ognuno di noi c’è un Magazzino 18 personale, e anche io ho il mio. E’ un grande specchio dalla casa di Pola, partito anche lui con l’esodo, e mi piace pensa- re che su quella superficie si riflettevano i volti dei miei nonni, di mia madre bambina, delle persone di cui mi parla sempre.

In un certo senso nessuno li potrà cancellare, sono rimasti là dentro, invisibili, ma come dice Saint-Exupéry nel Piccolo Principe «l’essenziale è invisibile agli occhi». Loro sono il no- stro essenziale, non dimentichiamo di onorarli.

Grazie.

Benedetto Della Vedova

E’ un vero onore intervenire oggi a nome del Governo nel Giorno del Ricordo. E lo è sia istituzionale che personale.

Dopo decenni di silenzio sul dramma della popolazione au- toctona italiana nella costa orientale dell’Adriatico, da secoli abitante di quelle terre e di quelle città, la legge approvata 11 anni or sono, istituendo questa importante solennità civile nazionale, ha aperto la strada per affrontare una delle pagine più tristi della storia europea e nazionale del dopoguerra.

Una strada che stiamo ancora percorrendo. Le atrocità, le cui vittime sono stati innocenti italiane ed italiani, bambini ed an- ziani, impongono anzitutto un doveroso saluto alle persone presenti in quest’aula, che direttamente o in quanto discen- denti hanno sofferto sistematiche violazioni dei diritti umani.

E’ per me un saluto carico di emozione. Proprio un mese fa ho infatti visitato a Trieste (ed è la prima volta che un membro di Governo faceva quella visita) il Magazzino 18, luogo sim- bolico dell’esodo dei 350.000 che dovettero lasciare le loro case per sfuggire al terrore, alle violenze, alle minacce o semplicemente per lasciare un paese in cui il rispetto dei di- ritti umani della minoranza autoctona italiana, dall’istruzione al lavoro, era nella sostanza negato. Molti italiani furono co- stretti a restare o decisero – come ci è stato detto – per molti motivi di restare.

Era il tempo in cui l’Europa era divisa. Alcide De Gasperi, in sede di Conferenza di pace, presentò alla Jugoslavia la pro-

(3)

L’AREnA DI POLA n. 2 del 15 FEBBRAIO 2015

GIORnO DEL RICORDO 3

Premiati i vincitori del concorso scolastico

Tra l’intervento del ministro Stefania Giannini e quello della presidente della Camera Laura Boldrini, la cerimo- niera Lucia Bellaspiga ha chiamato entrambe sul palco della Sala della Regina, insieme al presidente della Re- pubblica Sergio Mattarella, per la premiazione degli stu- denti vincitori del concorso nazionale relativo al Giorno del Ricordo, promosso dal Ministero dell’Istruzione, Uni- versità e Ricerca nell’ambito delle iniziative intraprese dal Gruppo di Lavoro “MIUR - Associazione degli Esuli” per l’anno scolastico 2014-2015. Il tema generale di quest’an- no era: La Grande Guerra e le terre irredente dell’Adriati- co orientale nella memoria degli italiani.

Per il primo ciclo, dal titolo Storie familiari della grande guerra, hanno ricevuto il primo premio i rappresentanti della classe III B della Scuola secondaria di I grado “Isaia Ascoli” di Gorizia per il progetto Lo scrigno di Nina Sauro.

A ricevere il secondo premio sono stati invece i rappre- sentanti della III C dell’Istituto comprensivo 53 “Gigante- Neghelli” di Napoli, per il progetto Un ragazzo partito per il fronte.

Per il secondo ciclo, dal titolo Interventismo e neutrali- smo, l’irredentismo, la questione adriatica e la Grande Guerra tra Storia e pubblica memoria, hanno ricevuto il primo premio i rappresentanti dell’Istituto di istruzione superiore “Bernocchi” e dell’Istituto di istruzione “Dell’Ac- qua”, ambedue di Legnano (Milano), per il progetto Gli ir- redenti giuliani e dalmati nella Grande Guerra. Hanno in- vece ricevuto il secondo premio ex aequo i rappresentan- ti della V C dell’Istituto di istruzione superiore “Virgilio” di Mercato S. Severino (Salerno), per il progetto Versailles e la Vittoria Mutilata, e i rappresentanti delle V A e B dell’Istituto di istruzione superiore - Liceo scientifico “Don Giovanni Minzoni” di Argenta (Ferrara), per il progetto Storie di protagonisti.

La cerimonia si è conclusa con il concerto dei Maestri Francesco Squarcia alla viola e Aleksandar Valenčić al pianoforte, che hanno eseguito tre brani: Andante canta- bile di Giuseppe Tartini, Ave Maria di Astor Piazzolla e Czárdás di Vittorio Monti.

In tarda mattinata si era svolta nella sede del MIUR una cerimonia per la consegna delle menzioni d’onore ine- renti il concorso scolastico nazionale.

posta di stipulare un accordo per la protezione delle rispettive minoranze, ma la risposta fu negativa, con l’argomentazione che la Jugoslavia era uno Stato democratico che tutelava in egual misura tutti i suoi cittadini.

Quella era l’epoca, quelle erano le ideologie, quella era l’Europa della cortina di ferro. E forse, quando oggi dibattia- mo su cosa sia oggi il vecchio continente, su quali sfide e quali prospettive di unità, libertà e crescita lo investono, do- vremmo aver sempre chiara nella mente che il primo moven- te dello storico processo d’integrazione intrapreso negli anni

’50 dello scorso secolo era ed è ancora la pace e la conviven- za reciproca di tutti i popoli europei.

La visita al Magazzino 18 ha evocato in me anche il silen- zio insopportabile calato per decenni su questa tragedia umana e nazionale. Credo che il richiamo anche a quello che la scuola può fare su questo sia un richiamo della testimo- nianza commovente che abbiamo ascoltato, un richiamo molto forte che sono sicuro verrà sempre più ascoltato. Una testimonianza diretta delle sofferenze provocate da questo silenzio, oggi semplicemente inimmaginabile, che rese pos- sibile una rimozione dalla memoria collettiva delle vicende storiche delle foibe e dell’esodo istriano, fiumano e dalmata.

La violazione dei diritti umani ai danni della minoranza au- toctona italiana durò per un lunghissimo periodo dal ’43 agli anni ’50, se non addirittura fino alla caduta del comunismo, e in un’area che si estende dal confine orientale dell’Italia fino alla Dalmazia, fino alla comunità piccola ma presente in Mon- tenegro. E’ stata quindi una rimozione molto lunga, a cui il Giorno del Ricordo, nella ricorrenza della stipula degli accor- di di pace dopo il Secondo conflitto mondiale nel ’47, ha mes- so fine.

Istituito nel 2004, anno peraltro dell’ingresso nell’Unione Europea della Slovenia (seguita anni dopo dalla Croazia), il Giorno del Ricordo rappresenta la riscoperta di questi episodi storici non più in chiave di contrapposizione tra ideologie che hanno diviso l’Europa per decenni, ma nell’ottica di un recu- pero della storia e della complessità delle vicende del confine orientale affinché, anche con l’avvicendarsi delle generazio- ni, tali sofferenze non si ripetano più sul suolo europeo. Per questo sono convinto che l’istituzione del Giorno del Ricordo abbia aperto una strada, ma che ancora tantissimo vi sia da fare per rendere giustizia anche di questo silenzio.

E’ proprio in questa prospettiva di rilancio del dialogo col mondo dell’esodo che dopodomani presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri si terrà un primo incontro a livello tecni- co dopo vari anni tra il Governo, la Regione Friuli Venezia Giulia e le associazioni degli esuli istriani, fiumani e dalmati.

Ne sono particolarmente lieto perché l’incontro è frutto di un dialogo intenso intrattenuto dal Governo e dalla Regione Friuli Venezia Giulia con le associazioni degli esuli. Uno – non l’unico – dei risultati che sarà possibile conseguire – que- sto è il mio vivo auspicio – è proprio quello della realizzazione di una sezione dedicata all’esodo all’interno del Museo del Vittoriano. Attraverso questo importante tributo alla memoria di quelle sofferenze si darebbe la giusta dignità a quella tra- gedia nazionale consumatasi non con una guerra, ma attra- verso quella che è stata una delle più gravi sofferenze patite da una minoranza autoctona in Europa nel dopoguerra. Non è stata l’ultima in ordine cronologico, come i decenni succes- sivi hanno purtroppo testimoniato.

L’Europa – è storia recente, ma anche cronaca – non è an- cora un continente completamente pacificato. Oggi i paesi coinvolti nelle vicende di allora sono membri dell’Unione Eu- ropea e la tragedia di quegli anni è diventata – forse, ma do- vrà continuare a divenire – parte integrante della nostra identità comune di europei. Abbiamo il dovere di non dimenti- care, di preservare la memoria attraverso questa ricorrenza e le altre iniziative per proteggere e rafforzare i valori di pace e di rispetto dei diritti umani che rappresentano la costituzione sostanziale dell’Europa di oggi. Preservare in modo onesto e partecipe la memoria di quella ferita, che una lunga rimozio- ne ha lasciato non rimarginata, rappresenta oggi anche il modo migliore per rispondere ai risorgenti nazionalismi che, attorno e dentro i confini europei, minacciano la pacifica sta- bilità, grazie alla quale gli Stati usciti divisi e lacerati dal Se- condo conflitto mondiale si sono incamminati insieme lungo il sentiero della crescita e del progresso civile.

Stefania Giannini

Questa è una Giornata che fa parte di un processo comune a molti Paesi europei che hanno protetto – io direi – con la solennità della legge tutti quei crimini contro l’umanità che sono più esposti al peggiore dei rischi: quello dell’oblio, della dimenticanza. E lo Stato italiano ha voluto che non solo il Giorno della Memoria della Shoah, che abbiamo celebrato, ricordato qualche settimana fa in questa stessa sede (nell’Au- la della Camera dei Deputati), rimanesse vivo in un Paese che ha commesso anche il tragico errore delle leggi razziali.

Lo Stato, il nostro Stato ha istituito, come è stato già ricorda- to, nel 2004 questo Giorno del Ricordo delle foibe e dell’eso- do giuliano. Ecco, questo è un giorno che evoca una pulizia etnica atroce e ideologica che ha visto morire, fuggire, di- sperdersi migliaia di nostri concittadini europei cacciati, ucci- si e perseguitati da altri nostri concittadini europei (perlome- no questa è la nostra lettura di oggi) proprio mentre la Secon- da guerra mondiale stava per cedere il passo a quel sogno che oggi è realtà, quel sogno che oggi viviamo, quel sogno che oggi i nostri ragazzi con normalità nella vita quotidiana ritengono essere la loro realtà. E’ il sogno di un’Europa di pace, di un’Europa senza confini, di un’Europa che dobbia- mo a tre signori: De Gasperi, Adenauer e Schuman, che par- landosi in tedesco e pensando in cattolico hanno permesso alla più grande società democratica, laica, pluralista di tutti i tempi di svilupparsi e di crescere in questa parte del mondo.

Ecco: in questo ricordo, che non è solo tributo doveroso alla memoria, come è stato anche ricordato, ma che è cono- scenza che deve diventare coscienza condivisa della nostra società, le scuole, le università, il mondo della ricerca è pre- sente, per liberare una generazione da un negazionismo che è tanto sottile quanto insidioso. Tanto insidioso da poter far diffondere una falsa credenza, cioè che quei massacri che sono stati molto ben descritti negli interventi che mi hanno preceduto siano stati e continuino ad essere una vicenda tragica che riguarda il confine orientale del paese, una regio- ne transfrontaliera, e che il lento recupero dell’unità naziona-

le sia una cosa che continua a riguardare un pezzo di Paese e non tutto il Paese. Ecco: io non credo che sia così. Credo che la scuola, l’università, la ricerca siano sempre in prima fi- la, o meglio forse in prima linea, per insegnare che le trage- die del Paese sono tragedie condivise, sono tragedie di tutti, e che tutti ne portiamo una responsabilità grave. Grave pro- prio nel senso pieno, etimologico di questa parola. Una re- sponsabilità che è fatta di conoscenza, di memoria e di soli- darietà.

E a me pare che quell’art. 3 della Costituzione che ci è mol- to caro dia anche alla scuola, all’università e al mondo della conoscenza e della ricerca un compito certamente non esclusivo, ma sicuramente decisivo, quando dice in partico- lare: «E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impe- discono il pieno sviluppo della persona umana». Ecco:

quell’articolo parla anche di noi, che abbiamo la missione forse più importante: quella di educatori. Parla di quei circa 10-11 milioni di italiani che tutte le mattine vanno in classe, vanno in un’aula universitaria, vanno in un laboratorio, vanno in un conservatorio, e che sono lì per fare due cose semplici e fondamentali: imparare e insegnare. E parla anche di que- sto giorno, parla anche di quel concorso che abbiamo pro- mosso, che abbiamo dedicato insieme a tutte le associazioni, alle istituzioni, ai liberi comuni, che il Ministero ha voluto ave- re l’onore di avere accanto a sé in questa circostanza. E questo è un concorso che ha incoraggiato i nostri ragazzi di tutta Italia a riflettere anche su un altro fatto molto importante:

il 1915, sulle settimane che hanno trasformato un Paese neutralista in Paese interventista, e sul significato di quella che per loro e per tutti noi è la Grande Guerra, che poi è stata sorgente di due lunghi periodi devastanti per la storia euro- pea: quello che è durato trent’anni e che ha portato il nostro Paese alla fine ad essere quello che è oggi, cioè uno Stato fiero di poter guardare dall’alto delle sue istituzioni, di queste istituzioni, libere e forti, di cui il Capo dello Stato è ancora una volta l’emblema e la sintesi. E poi quello durato 75 anni (quin- di 40 anni in più) che ha permesso all’Europa dell’Est di riu- nirsi alla grande famiglia europea, quella che per voi ragazzi è la dimensione naturale, direi esclusiva, della vostra vita quotidiana, che è ponte di pace verso le Russie, il Medio Oriente, il Nord Africa, l’Atlantico. Insomma: tutto il resto del mondo.

Non posso concludere questo breve intervento di saluto senza notare, senza rilevare insieme a tutti presenti che que- sta è la prima volta in cui il Governo ed anche il Ministero con esso che ho l’onore di servire La accolgono in questa sede, che è la sede in cui Lei stessa nell’aula oggi occupata da im- portanti votazioni di parlamentari ha portato la responsabilità della politica. E sono bastati veramente pochi giorni perché milioni e milioni di italiani e di italiane l’abbiano accolta come rappresentante di quella unità nazionale, come portatore di quel coraggio severo di cui noi sentiamo il bisogno per riparti- re. Quello stesso coraggio severo che si accompagna all’en- tusiasmo, all’energia che i nostri ragazzi hanno messo nella partecipazione a questo concorso come a tutte quelle iniziati- ve che cerchiamo di prendere nella convergenza ideale delle nostre istituzioni, perché appunto non siano queste solo oc- casioni di tributo a una memoria doverosa, ma siano occasio- ni in cui si alimenta una conoscenza che diventa coscienza.

Laura Boldrini

Permettetemi innanzitutto di ringraziare tutti i relatori che con i loro interventi hanno espresso compiutamente le ragio- ni ideali e morali che rendono viva e attuale questa “Giornata del ricordo”. Un ringraziamento particolare voglio rivolgere al Presidente Antonio Ballarin e, tramite lui, a tutte le Associa-

zioni degli esuli Istriani, Fiumani e Dalmati. L’Italia vi deve molto perché con il vostro instancabile impegno avete impe- dito che venisse cancellata definitivamente la memoria dell’orrore del quale rimasero vittime migliaia di uomini, don- ne e bambini. Perché un Paese che nasconde la verità non può mai essere un Paese libero e democratico.

Ringrazio voi, ragazze e ragazzi, per aver partecipato atti- vamente al concorso bandito meritoriamente anche quest’an- no dal Ministero dell’Istruzione e gli insegnanti che hanno coordinato le vostre attività. Sono certa che indagare su que- sta pagina così drammatica della storia del nostro Paese e del popolo italiano abbia rafforzato in voi la convinzione che occorra costruire un futuro in cui non ci sia il minimo spazio per la violenza, per l’odio e la sopraffazione.

Quando nel marzo del 2004 prima la Camera e poi il Sena- to approvarono a larghissima maggioranza la legge 92 che istituiva la “giornata del ricordo”, il Parlamento realizzava uno dei suoi atti più elevati e significativi, colmando, finalmente, un debito di riconoscenza verso la memoria delle migliaia di italiani che rimasero vittime di una violenza cieca e brutale.

L’articolo uno della legge definisce in modo chiaro quali sono i suoi intenti: «La Repubblica riconosce il 10 Febbraio quale “Giorno del ricordo” al fine di conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell’esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dal- mati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale».

Il Novecento non è stato soltanto lutti e tragedie. E’ stato anche il secolo in cui tanti popoli si sono liberati dal coloniali- smo, in cui si sono affermati e diffusi diritti sociali e civili, in cui hanno fatto irruzione in tutto il mondo da protagonisti i movi- menti delle donne e giovanili. Ma hanno pesato come un macigno sulla vita di milioni di persone le due guerre mondia- li, la ferocia delle dittature, le contrapposizioni ideologiche della guerra fredda.

A pagare per tutto questo, insieme a milioni di esseri uma- ni, ci sono stati anche i principi di verità e di giustizia. Sulle foibe, in particolare, è calato un muro di silenzio. Si è voluto nascondere e si è preferito non parlare. Perché questa scel- ta? Lo ha spiegato bene l’allora Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, che tanto si è impegnato nel dare valore alle celebrazioni del 10 febbraio, nel suo discorso del 2007 che Lucia Bellaspiga ha poco fa ricordato. Disse allora Gior- gio Napolitano che dobbiamo assumerci la responsabilità di

«aver negato, o teso ad ignorare, la verità per pregiudiziali ideologiche e cecità politica, e dell’averla rimossa per calcoli diplomatici e convenienze internazionali». Pregiudiziali ideo- logiche insieme a calcoli diplomatici. Ecco che cosa ha impe- dito che si parlasse delle foibe e dell’esodo cui furono co- strette tante famiglie di italiani, in quella che è stata definita una vera e propria “pulizia etnica” – una definizione che è un altro macigno – perpetrata dalle autorità Jugoslave.

Non mancano certo le testimonianze, e ne abbiamo ascol- tate anche oggi, in grado di raccontare quanto fu poi difficile per gli esuli inserirsi con dignità e sicurezza nel nostro Pae- se. Il loro arrivo è stato circondato per anni da una coltre di diffidenza e perfino di fastidio. Ma hanno resistito, con impe- gno e con tenacia, contribuendo alla crescita del nostro, del loro Paese.

Si, care amiche e cari amici, anche le vostre mani hanno fatto l’Italia, anche il vostro ingegno ha fatto del nostro Paese una importante realtà produttiva e culturale. Pure per questo le istituzioni della Repubblica vi sono grate.

Molti anni dopo gli eventi che oggi stiamo ricordando, nel 1992, i territori della ex Jugoslavia furono insanguinati da un altro terribile conflitto. La guerra dei Balcani causò circa due- centomila morti e oltre due milioni di persone – tra sfollati e rifugiati – dovettero lasciare le loro case. Un’emergenza umanitaria di enormi proporzioni in cui, in diverse circostan- ze, io stessa mi sono trovata ad operare. Vent’anni fa, nel Novembre del 1995, venivano firmati gli accordi di Dayton e quella guerra ebbe fine. Ma le sue conseguenze si fanno sentire ancora oggi, tanto continua ad essere difficile il ritorno di migliaia di persone nelle loro abitazioni e nelle loro terre.

Anche ricordando questi avvenimenti vorrei rivolgermi a voi, care ragazze e cari ragazzi. Dobbiamo imparare a trarre de- gli insegnamenti da ogni evento della storia, anche dai più terribili.

Che cosa ci insegna, allora, la tragedia delle foibe? Ci inse- gna innanzitutto, a mio avviso, che le dittature hanno dentro di sé il germe avvelenato della violenza e della sopraffazione.

E questo vale, nel caso degli eventi che stiamo ricordando oggi, sia per la dittatura fascista che per la dittatura comuni- sta jugoslava. La libertà e la democrazia sono dunque un bene prezioso che non è dato per scontato una volta per tut- te, ma va difeso e rinnovato ogni giorno. Ci insegna che le prime e le più numerose vittime delle guerre sono le popola- zioni civili, sono persone innocenti e non belligeranti. Anche per questo, come ha ricordato il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, nel bel discorso di insediamento, «Garanti- re la Costituzione significa ripudiare la guerra e promuovere la pace». Ci insegna che chi fugge da guerre, dittature e per- secuzioni va accolto sempre, ieri come oggi, con spirito di solidarietà e di inclusione, nel rispetto del diritto internaziona- le. Ci insegna infine che quell’Europa, nel cui cuore hanno vissuto le più feroci dittature e i conflitti più sanguinosi, è oggi un grande spazio comune e una grande opportunità di pace.

L’Unione Europea, che ha l’Italia tra i paesi fondatori, oggi annovera tra i suoi membri anche la Slovenia e la Croazia.

Questo vuol dire che i giovani italiani, sloveni e croati posso- no oggi condividere la stessa identità europea e i suoi valori di libertà e di democrazia. Quando il 12 ottobre del 2012 fu assegnato il Premio Nobel per la Pace all’Unione Europea, qualcuno commentò con una certa perplessità, con scettici- smo, quella decisione. E invece io penso che sia stato un giusto riconoscimento perché proprio grazie al processo di integrazione europea sono stati assicurati decenni di pace laddove per secoli hanno imperato conflitti e devastazioni.

Ecco perché l’Europa rappresenta soprattutto per voi giovani un grande risultato e una grande speranza.

Il 10 Febbraio è dunque una giornata di ricordo. Ma è so- prattutto un monito, per il presente e per il futuro. Un monito contro l’intolleranza, contro tutte le guerre, contro le dittature e contro ogni tentativo di nascondere la verità.

Grazie.

(4)

4

L’AREnA DI POLA n. 2 del 15 FEBBRAIO 2015

A Trieste la cerimonia commemorativa del Giorno del Ri- cordo, promossa dal Comune, dalla Provincia e dal Comitato per i Martiri delle Foibe, ha avuto luogo il 10 febbraio al Sa- crario di Basovizza. La partecipazione è stata numerosa. Ac- canto alle autorità civili, militari e religiose, c’erano circa 250 alpini, i rappresentanti delle associazioni degli esuli, di quelle combattentistiche e d’arma, della Lega Nazionale e dell’Unio- ne Italiana, una Compagnia allievi della Scuola Militare “Nun- ziatella” di Napoli, nonché scolaresche di Trieste e Latina.

Nel piazzale i presenti si sono disposti a quadrilatero. Nume- rosi erano i gonfaloni e i labari esposti.

Dopo l’accesso dei medaglieri nazionali dell’Associazione Nazionale Alpini e dell’Arma di Cavalleria, del gonfalone della Città di Trieste decorato di Medaglia d’oro al valor militare e del gonfalone della Città di Muggia decorato di Medaglia d’ar- gento al valor militare, un picchetto in armi della Scuola mili- tare “Nunziatella” di Napoli si è schierato a fianco del monu- mento per rendere gli onori militari e procedere all’alzaban- diera insieme alla Sezione di Trieste dell’Associazione Na- zionale Alpini al suono dell’Inno di Mameli. Una volta letta la motivazione della Medaglia

d’oro al valor militare conces- sa alla Città di Trieste, sono state deposte quattro corone:

una della Regione Friuli Ve- nezia Giulia, del Commissa- riato del Governo della Re- gione Friuli Venezia Giulia, del Comune e della Provincia di Trieste, una di FederEsuli e Unione degli istriani (per la prima volta), una della Lega Nazionale e una del Comune di Latina. Un trombettiere ha suonato il Silenzio.

Sono state quindi conse- gnate le medaglie concesse dal Presidente della Repub- blica ai familiari di alcuni in-

foibati in base alla legge 92/2004: alla memoria di Giovanni Battista Acanfora (finanziere prelevato dalla caserma triesti- na di Campo Marzio nel maggio 1945), Pietro Basilisco (inge- gnere rovignese gettato nella foiba di Terli il 5 ottobre ’43), Mario Carlini (capitano della Guardia di Finanza deportato nel maggio ’45 dalla caserma di Campo Marzio in Jugosla- via), Lidia Ravasini (trucidata il 14 settembre 1946 con il fi- danzato Giusto Trevisan nella Valle di San Bartolomeo pres- so Muggia), Giuseppe Crosilla (artigiano di Sanvincenti pre- levato il 17 marzo ’44), Giacomo Paoli (fabbro di Parenzo gettato nella foiba di Surani il 4-5 ottobre ’43) e Giusto Matani (militare di Pistoia prelevato da Trieste il 4 maggio ’45).

In seguito il vescovo di Trieste mons. Giampaolo Crepaldi ha celebrato una messa in suffragio di tutti gli infoibati. Du- rante l’omelia ha condannato le «violenze inaudite e l’odio sconsiderato delle ideologie etniche e di classe» che subiro- no allora tanti nostri «fratelli e sorelle». Quelle ferite sono

«ancora aperte e dolorosissime». Il Giorno del Ricordo «ri- guarda il passato, ma soprattutto il presente e il futuro», per- ché occorre essere vigili e costruire pace, giustizia, compren- sione e fraternità, dicendo no a chi vuole imporre la propria verità con la violenza. «Il vero martire – ha affermato – è quello che si lascia uccidere». Il Coro della Sezione ANA di Trieste ha accompagnato la funzione religiosa.

Sono state quindi lette la Preghiera per gli Infoibati dell’ar- civescovo mons. Antonio Santin e due poesie dell’esule An- namaria Muiesan: Indelebili presenze e C’è un tempo….

Nel suo discorso ufficiale il sindaco di Trieste Roberto Co-

solini ha affermato che la legge sul Giorno del Ricordo «è riu- scita a rafforzare la nostra conoscenza storica e insieme a rinsaldare la nostra comunità intorno ai valori della cittadi- nanza democratica e a un più ampio sentimento di fratellan- za europea». «Le tragedie che colpirono le nostre terre a quel momento – ha proseguito – sono state identificate come parte dell’intera nazione italiana, capitoli integranti della sua storia nazionale: in particolare le foibe e l’esodo degli italiani dall’Istria, da Fiume e dalla Dalmazia, vicende terribili diretta- mente collegate a una guerra cui l’Italia partecipò dalla parte sbagliata e ai disegni annessionistici del comunismo jugosla- vo. Pagine che furono, per troppo tempo, da un lato messe sotto silenzio a causa di opportunismi e calcoli politici agli occhi di oggi davvero sterili e angusti, e dall’altro rimosse dalla coscienza collettiva della Nazione, uscita traumatizzata dall’esperienza della guerra».

«Si è trattato – ha aggiunto – di un’acquisizione di consa- pevolezza sicuramente incoraggiata dal clima che, sul finire degli anni Novanta del secolo scorso, scomparso il mondo della Guerra fredda con le sue divisioni fisiche e psicologi-

che, ha permesso alle culture politiche del nostro Paese – che proprio in quelle divisioni avevano trovato ampia linfa per scontrarsi aspramente – di convenire che su determi- nati snodi della storia nazio- nale non ci si divide; che le memorie sono distinte ed è bene restino tali in civile e proficua dialettica, ma che la storia è una; ed è su di essa che si basa in misura consi- stente il sentimento dell’unità nazionale. E, infine, che dalla storia italiana la tragedia del- le foibe e il dramma dell’eso- do non si possono e non si devono espungere».

«Nel celebrare questa ricorrenza, anno dopo anno, colmia- mo dunque – ha affermato Cosolini – un vuoto nella coscien- za morale e storica della Patria, e insieme contribuiamo al rafforzamento in noi tutti, cittadini italiani, del senso di appar- tenenza alla Patria europea. Questo perché la storia delle nostre regioni è un episodio, e nient’affatto marginale, della storia dell’Europa nel ventesimo secolo: una storia comples- sa in cui violenze e sopraffazioni si sono succedute e acca- vallate come risultato cosciente e apertamente ricercato di ideologie totalitarie fondate su un progetto di esclusione, di- scriminazione e persecuzione».

«Queste terre, le nostre comunità, hanno pagato un prezzo pesantissimo – ha sostenuto il sindaco – alla cieca violenza dei totalitarismi, e la nostra Trieste ne è stata lungamente segnata. Oggi siamo qui per ricordare, per rivolgere un dove- roso omaggio a chi ha pagato con la vita e per stringerci at- torno a chi ricorda con doloroso affetto le vittime. Siamo qui per testimoniare l’attualità dell’impegno contro ideologie e forze che facciano della violenza e della sopraffazione dell’uomo sull’uomo la loro ragion d’essere, qualunque sia la loro origine. Il Ricordo è più vero e forte se accompagnato dalla testimonianza attuale di valori fondamentali e costituen- ti il nostro vivere civile: libertà, rispetto, tolleranza».

Il presidente del Comitato per i Martiri delle Foibe e della Lega Nazionale Paolo Sardos Albertini ha rivolto un saluto specie ai giovani, i quali potranno garantire continuità al ricor- do. Dopo l’uscita dei gonfaloni decorati e dei medaglieri na- zionali una delegazione si è recata alla Foiba di Monrupino.

GIORNO DEL RICORDO GIORNO DEL RICORDO

Pietro Grasso: «Una memoria da coltivare tutto l’anno»

Al Museo di Trieste una Cucina istriana

Il 12 febbraio l’Istituto Regionale per la Cultura Istriano- fiumano-dalmata ha presentato nell’istituendo Civico Museo della Civiltà Istriana, Fiumana e Dalmata di Via Torino 8 a Trieste l’Archivio del CLN dell’Istria e ha dato ufficiale avvio ai lavori di allestimento del museo presen- tando la sala dedicata alla “Cucina istriana”.

Il prezioso archivio, depositato dall’Associazione delle Comunità Istriane presso l’IRCI, comprende centinaia di migliaia di documenti, suddivisi in 250 unità archivistiche e disposti in 22 metri lineari di scaffalature. Le serie prin- cipali sono tre: gli atti di segreteria (domande varie per assistenza, lettere informative, trasmissione di dati ana- grafici, corrispondenza con associazioni assistenziali); le dichiarazioni giurate rilasciate dai profughi istriani; le cir- ca 80.000 schede con i dati identificativi di ogni singola persona che chiese il rilascio del certificato di profugo.

Tali schede stanno venendo sistemate dalla Cooperativa degli Archivisti-Paleografi, cui l’IRCI ha affidato il riordino dell’archivio. Il pubblico può essere ammesso alla con- sultazione al primo piano della sede di Via Torino.

Il CLN dell’Istria sorse l’11 gennaio 1946 a Trieste da nuclei di esuli antifascisti. «Al CLNI – si legge in una scheda predisposta dall’IRCI – il governo italiano affidò due compiti. Il primo, quello di sostenere la popolazione italiana in Istria e, dopo l’entrata in vigore del trattato di pace, nella zona B del Territorio libero di Trieste, com- piendo opera di contropropaganda ed aiutando anche materialmente persone, comunità e categorie (come gli insegnanti) particolarmente esposte alla repressione da parte del regime comunista jugoslavo. Il secondo, quello di coordinare l’assistenza agli esuli a Trieste intervenen- do in diversi campi: rilascio di documenti, sistemazione abitativa, aiuti alimentari, ecc.. L’importanza di tale fun- zione ed il protrarsi delle situazioni di emergenza fecero sì che il CLNI proseguisse la sua attività fino al 1967».

All’evento sono intervenuti la presidente dell’IRCI Chia- ra Vigini, l’assessore comunale alla Cultura Paolo Tassi- nari e l’assessore regionale alla Cultura Gianni Torrenti. Il direttore dell’IRCI Piero Delbello ha poi condotto i pre- senti nella saletta del pianoterra dove è stata ricostruita una cucina istriana con alcune semplici masserizie pro- venienti dal Magazzino 18 del Porto Vecchio. Il pezzo forte è una vecchia cappa, restaurata e contornata da tazze, brocche, macinini, mestoli ed altri oggetti tradizio- nali. Al di sotto si trova un tipico fogolèr, dotato di vari at- trezzi, come pentole e attizzatoi. Nel resto della cucina sono stati posizionati armadietti, sedie, scagni, una tavo- la, uno spaker e, racchiusi in teche protettive, arnesi vari e quaderni con ricette istriane.

Intanto però è riesplosa la polemica sull’allestimento del museo. Ai primi di febbraio il presidente di FederEsuli Antonio Ballarin ha scritto una pacata lettera alla presi- dente dell’IRCI Chiara Vigini per comunicarle che le as- sociazioni aderenti, nonché l’Unione degli Istriani e Coor- dinamento Adriatico Museo «desiderano supportare il la- voro svolto dall’IRCI mettendo in campo le personalità di più alto livello tecnico-scientifico che il nostro mondo è in grado di esprimere, al fine di contribuire fattivamente nei contenuti che verranno comunicati dall’opera museale».

«Per questo motivo – concludeva Ballarin – ti chiedo di poter organizzare a breve un incontro tra il gruppo tecni- co che stiamo predisponendo ed i professionisti che si stanno occupando dell’allestimento del Museo, in modo da poter valutare congiuntamente il progetto nel suo in- sieme e contribuire in maniera adeguata». Nessun espo- nente delle associazioni degli esuli è infatti incluso nella Commissione per il Museo della Civiltà Istriana, compo- sta da tre membri dell’IRCI e tre designati dal Comune.

«La commissione – ha risposto la Vigini – non può che rammaricarsi per il fatto che una simile disponibilità si manifesti solo ora, in maniera quindi assai tardiva e prati- camente a cose fatte, mentre ben più utile sarebbe stata negli anni passati durante la lunga fase di preparazione del progetto di allestimento, cui nessuno aveva posto mano fino all’istituzione della commissione medesima.

Com’è noto, tale progetto è già stato approvato lo scorso anno dai competenti organi dell’IRCI e di conseguenza trasmesso all’amministrazione comunale di Trieste, cui spetta la competenza esclusiva della gestione dei lavori, che avvengono grazie a un finanziamenti comunale e che sono già entrati nella fase esecutiva». «Rimettere ora in discussione il progetto già adottato – ha aggiunto – significherebbe interrompere le opere già avviate, per- dere il contributo del Comune di Trieste, assumersi la re- sponsabilità (anche in sede legale) dello spreco delle ri- sorse pubbliche già utilizzate e rinviare sine die la realiz- zazione del museo». Ma «la commissione è convinta che i soggetti ai quali verrà affidata la gestione del museo sa- ranno fortemente facilitati nel loro lavoro dal confronto con gli esperti che la Federazione delle Associazioni de- gli esuli e l’Unione degli istriani riterranno di indicare».

Cerimonia alla Foiba di Basovizza

E’ stata inaugurata il 9 febbraio nella sala “Carlo Sbisà” di Via Torrebianca 22 a Trieste la mostra delle opere degli stu- denti del Liceo Artistico “Enrico e Umberto Nordio” parteci- panti alla seconda edizione del progetto didattico Vivere nella Storia, promosso dall’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia (ANVGD) - Comitato Provinciale di Trieste nell’ambito del Giorno del Ricordo per diffondere nelle scuole medie superiori della provincia la conoscenza della storia, dei costumi e degli eventi delle popolazioni istriane, fiumane e dalmate di lingua e cultura italiana, con particolare riguardo a foibe ed esodo. I lavori pervenuti erano 79, di cui 74 indivi- duali e 5 di gruppo. 15 stu-

denti hanno svolto lavori di gruppo, mentre 16 lavori so- no stati eliminati. All’allesti- mento hanno collaborato i docenti del “Nordio” Renzo Grigolon, Manuela Cerebuch e Luigi Leaci insieme a Fede- rica Cocolo e Marco Relli (ANVGD Trieste). L’evento è in collaborazione con l’Asso- ciazione delle Comunità Istriane, FederEsuli, l’Univer- sità Popolare di Trieste (UPT), il Centro di Documen- tazione Multimediale della cultura giuliana, istriana, fiu- mana e dalmata (CDM), l’As-

sociazione Linea Azzurra e il Libero Comune di Pola in Esilio, ed ha il patrocinio del Comune di Trieste.

La sala di Via Torrebianca era gremita di studenti del “Nor- dio” accompagnati dai loro insegnanti. A tagliare il nastro inaugurale è stata una studentessa insieme al presidente nazionale e provinciale dell’ANVGD Renzo Codarin, il quale ha ringraziato il dirigente scolastico reggente, i docenti e gli studenti del “Nordio”, oltre che gli altri sodalizi co-promotori, esprimendo soddisfazione per il fatto che la scuola si occupi delle tematiche degli esuli. Codarin ha reso noto che si sta lavorando affinché la premiazione dei lavori partecipanti al prossimo concorso abbia luogo il 10 febbraio 2016 a Roma.

Manuele Braico, presidente dell’Associazione delle Comu- nità Istriane e vicepresidente dell’UPT e di FederEsuli, si è complimentato con i ragazzi auspicando che i vincitori possa- no essere premiati nell’aula del Consiglio comunale.

La prof.ssa Cerebuch ha portato i saluti del dirigente scola- stico reggente prof. Teodoro Giudice, coordinatore dei lavori, sottolineando l’apertura del Liceo artistico “Nordio” al territo- rio e l’immediata concretizzazione esterna dei lavori didattici avvenuta partecipando a questo concorso.

Il presidente dell’UPT Fabrizio Somma, che ha messo a disposizione la sala espositiva dell’ente, ha rilevato come questa mostra si collochi nell’ottica di condivisione del Giorno del Ricordo da parte di giovani che, a Trieste come in altre parti d’Italia, nulla c’entrano per ragioni anagra- fiche con foibe ed esodo.

E’ seguita la proiezione di un breve audiovisivo raffigu- rante immagini d’epoca di vi- ta familiare e rurale in Istria, foto dell’esodo e di vittime delle foibe, nonché immagini attuali (offerte da Gianfranco Abrami) con un sottofondo di musiche composte ed ese- guite da Marco Relli, con vo- calizzazioni di Federica Co- colo (che ha anche curato il montaggio) e la recita di una po- esia da parte dell’attrice Mara Svevo.

La mostra è stata visitabile dall’11 al 14 febbraio. Anche i visitatori hanno potuto partecipare alla valutazione dei lavori esposti indicando al massimo tre opere tramite dei gommini adesivi. Il 14 febbraio si è riunita un’apposita giuria di esperti.

La cerimonia di premiazione si svolgerà a metà marzo.

L’11 febbraio un centinaio di studenti della Scuola media

“Italo Svevo” di Trieste, accompagnati da due docenti e dal presidente Braico, hanno visitato con vivo interesse la mo- stra annunciando infine di voler partecipare anche loro il prossimo anno. In precedenza erano stati al Magazzino 18.

Studenti triestini dipingono l’esodo

La Cucina istriana allestita in Via Torino 8.

Alcuni dei dipinti in mostra.

10 febbraio: fra le quattro corone deposte davanti alla Foiba di Basovizza c’è, per la prima volta, quella unitaria di tutte le associazioni degli esuli.

Riferimenti

Documenti correlati

Sono convinto che nelle nuove generazioni sia radicato il valore dell'unità nazionale, e insieme il valore dello Stato unitario come presidio irrinunciabile nell'era del mondo

Credo che questo sarà uno stimolo e un aiuto, ma molto rimane da fare in Parlamento, e anche nel Paese e nel dibattito pubblico, culturale e civile, a cui sono

› totale importo lavori: 4.765.306,83 euro È stata inaugurata ufficialmente lo scorso giugno, con una grande festa alla quale hanno partecipato anche le cinquanta candidate alla

Al Presidente della Federazione Nazionale degli Ordini dei Tecnici Sanitari di Radiologia Medica e delle professioni sanitarie tecniche, della riabilitazione e della prevenzione.

chi Le scrive rappresenta l’Associazione Nazionale Medici Fiscali INPS (ANMEFI) che raccoglie centinaia di medici che da oltre trent’anni di collaborazione con l’Istituto

In tal caso, ad esse, e all'insediamento delle nuove Camere, sarebbe succeduta senza soluzione di continuità la convocazione del Parlamento in seduta comune per l'elezione del

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI NAPOLI FEDERICO II SEGRETERIA DIREZIONE GENERALE allegato al DD/2017/951 del 12/10/2017.. che gli siano richieste in ordine al comportamento proprio e

In questo spirito e nella considerazione che l’INAIL con la sua attività concorre fattivamente alla maturazione di una più diffusa sensibilità ai temi della salute e della