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Perché servire e come servire

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Academic year: 2022

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Perché servire e come servire

Discorso di S.N. Goenka

a Dhammagiri, Igatpuri, India, 1986/giugno. Estratto.

Perché esiste il servizio - Servire, per il proprio ed altrui bene - Come servire? - La relazione tra servitore e studente - Qualche esempio concreto – Il

comportamento - Causa ed effetto – Per servitori e studenti, le stesse regole - I confini del ruolo

Conclusioni

Miei cari volontari nel Dhamma, qualche parola sulle ragioni e le modalità del servizio.

Esso non è un’opportunità per avere vitto e alloggio, per trascorrere piacevolmente il tempo in un ambiente confortevole; e neppure per sottrarsi alle responsabilità della vita. Il Dhamma non è evasione, fuga dalle responsabilità quotidiane. In un centro di meditazione, offrendo servizio, apprendete come applicare il Dhamma alla vita: vi potete esercitare e confrontare nei vostri rapporti con gli studenti e gli altri servitori, allenandovi a rimanere equanimi.

Perché esiste il servizio

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Chi ha praticato Vipassana durante uno o più corsi e ne ha verificati i benefici con l’esperienza;

e si è reso conto del modo disinteressato con cui operano gli organizzatori del corso, gli insegnanti e i servitori nel corso, prova spontaneamente il sentimento della gratitudine. Si chiede allora come sdebitarsi verso chi ha reso possibile che incontrasse il Dhamma e i suoi benefici.

Insegnanti, organizzatori e servitori non accettano nessun compenso materiale; quindi, l’unico modo di “ripagare” il debito di gratitudine è di collaborare a che la ruota dell’insegnamento rimanga in moto. “Come sono stato servito disinteressatamente, possa anch’io servire disinteressatamente chi arrivi al centro per ricevere il Dhamma”. E’ con questa nobile motivazione che va offerto il servizio.

Man mano che il meditatore di Vipassana procede sul sentiero, si libera dai vecchi condizionamenti di egocentrismo e inizia a occuparsi degli altri. Si rende conto della sofferenza intorno a lui di giovani e vecchi, uomini e donne, neri e bianchi, ricchi e nullatenenti. Comprende di essere egli stesso un infelice come gli altri e che, in contatto col puro Dhamma, ha cominciato a liberarsi della propria sofferenza.

Si rende conto che anche altri, venuti in contatto col Dhamma in un corso di Vipassana, hanno iniziato a svincolarsi dalla loro infelicità e a godere di gioia, pace e armonia reali; e ne gioisce.

Come conseguenza, desidera aiutare sempre più persone; con la pratica di Vipassana, la mente si riempie di compassione e si desidera dare una mano, affinché anche gli altri si liberino dall’infelicità.

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Per insegnare sono necessarie una maturazione e una specifica formazione, ma tutti i meditatori possono svolgere molte altre mansioni di volontariato, duranti i corsi e nell’associazione che li organizza.

Servire, per il proprio ed altrui bene

Grazie alla pratica di Vipassana, s’inizia a sperimentare la legge di natura. Secondo questa legge, ogni volta che io danneggio gli altri con le mie azioni fisiche e/o vocali, io stesso sono punito e penalizzato: divento simultaneamente infelice.

Ogni volta che aiuto e servo gli altri, con la stessa legge di natura, sono ricompensato: mi sento felice e in pace con me stesso.

Servendo gli altri, servo me stesso; dando una mano agli altri, do una mano a me stesso: sviluppo i miei parami (qualità positive, n.d.r.), e con delle qualità più forti posso procedere nel Dhamma con maggiori sicurezza e fermezza. Il servizio reso agli altri è servizio a me stesso, perchè l’aiuto dato agli altri va anche a mio vantaggio. L’aver verificato questa legge di natura porta a servire volentieri, a condividere con gioia la nobile missione di aiutare gli altri a sbarazzarsi delle loro sofferenze.

Come servire?

E’ la motivazione che conta. Per quanto si tratti di una nobile missione, se la motivazione non è corretta, i risultati non possono essere buoni.

Se si serve col desiderio di ottenere qualcosa - non

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necessariamente qualcosa di materiale, ma per esempio qualche apprezzamento, del prestigio, una posizione di rilievo nel centro - o se ci si aspetta che gli altri si accorgano del nostro lavoro e lo apprezzino, l’intenzione non è pura. Ed è l’intenzione quella che conta: i risultati di ogni nostra azione fisica e vocale dipendono dalla motivazione di base.

Servire in modo inappropriato, non giova né agli altri né a se stessi; e servire male, danneggia se stessi e gli altri. Se il servizio ci porta a gonfiare il nostro io, va a nostro danno. Può anche succedere che si entri a far parte di una squadra di servitori del Dhamma senza aver capito nulla, e che quindi lo si faccia a proprio e altrui danno.

La relazione tra servitore e studente

Il servitore del Dhamma non è un poliziotto o un carceriere, e gli studenti non sono come delinquenti o detenuti; il servitore è invece una figura solidale con gli studenti, pur facendo rispettare regole e disciplina. Se uno studente viene meno a una regola, il servitore non dovrà avere l’atteggiamento del poliziotto o del carceriere, ma agire con un’attitudine comprensiva: l’infrazione di una regola è commessa per ignoranza e/o agitazione. Il buon servitore del Dhamma è indulgente: “E’ un mio prossimo che soffre. Come posso aiutarlo a liberarsi della sua infelicità?”. E l’aiuto non è certo una punizione o toni e linguaggio aspri, colorati di collera o astio, che attizzano il “fuoco”

della sofferenza in atto. L’aiuto sono parole

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rasserenanti che esprimano solidarietà e amorevolezza. Per quanto grave possa essere lo sbaglio commesso, il servitore non deve replicare con un atteggiamento ugualmente sbagliato:

quando tratta con i meditatori, dovrebbe sempre sorridere.

Qualche esempio concreto

Può accadere che uno studente esca dalla sala di meditazione nel bel mezzo di una seduta di Anapana, o durante la seduta di Vipassana di forte determinazione. Qualche volta – non spesso, per fortuna – ho visto un servitore immaturo e inesperto che, con espressione arcigna, correva dietro a quella persona. Con quale atteggiamento entrerà in relazione? … Non farà che buttare fuoco su fuoco. Serve compassione, invece. Se uno studente abbandona la sala, malgrado le istruzioni di rimanervi per tutta la seduta, ci sarà una ragione. E’ giusto, quindi, andargli dietro, ma non come poliziotti o carcerieri. Uscite con lui dalla sala, e rivolgetevi a lui con calma e un sorriso: “C’è qualcosa che posso fare per te? Sai che non è il momento di uscire dalla sala, perciò se l’hai fatto è perchè hai qualche difficoltà o necessità. Dimmi come posso aiutarti”. Così si comporta il volontario che voglia aiutare davvero.

Se lo studente è uscito senza rendersi ben conto di quello che faceva, capirà di aver sbagliato, se ne ritornerà tranquillamente in sala e riprenderà a meditare. Se invece ha un problema ve lo dirà, e proverete ad aiutarlo.

Un altro esempio. Il servitore seduto nella sala di meditazione, si accorge che qualcuno lascia penzolare la testa o ha la schiena curva. Non salta

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dallo studente scuotendolo e dicendogli di tener su la testa o raddrizzare la schiena. Aspetta qualche minuto, anche cinque: è molto probabile che lo studente abbia un dolore a schiena o collo e che si sia curvato temporaneamente, per attenuarlo.

Perciò il servitore rimane in osservazione e, se dopo cinque minuti, vede che continua a tenere schiena o collo curvati, si reca da lui con tutta calma e, sorridendo, pieno di compassione, gli ricorda a bassa voce di raddrizzarsi. Questo modo di fare non disturberà lo studente, che volentieri aderirà all’invito.

Se invece, si assume un’aria di riprovazione o si usa un tono aspro o lo si scrolla, lo si offende e gli si rovina la meditazione. Perciò ci vuole attenzione: ogni atto richiede un’attitudine di benevolenza.

Se in sala qualcuno è privo di conoscenza, aspettate per qualche minuto. Può darsi che la metta dell’insegnante lo aiuti a riprendersi, rialzarsi e a ricominciare a meditare. Aspettate quindi per cinque minuti; dopo di che, se non succede nulla e lo studente è oggetto di disturbo per gli altri, con l’aiuto di uno o due servitori, trasportatelo in un’altra stanza, con discrezione.

Con accuratezza e amorevolezza, qualcuno attenda che riprenda conoscenza, per poi riaccompagnarlo in sala.

Se in sala, qualcuno comincia a russare, non indugiate, ma sempre con molta discrezione, dolcezza e tatto – recatevi da lui e svegliatelo, per evitare il disturbo agli altri. Lo stesso vale per movimenti scomposti che creano trambusto tra gli altri studenti: non esitate, ma accompagnate lo studente fuori dalla sala - sempre con affabilità e comprensione, non certo con avversione e astio.

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Anche quando dovrete esprimervi con fermezza, fatelo senza ferire, senza avversione.

Se per errore avete usato parole aspre, osservate quanto vi ci vuole per rendervene conto e per ricominciare a sorridere, in modo che in voi si facciano strada amore e compassione verso quella persona. Osservate con quale tempestività cercate un’occasione per riavvicinarla e rivolgerle, sorridendo, parole di amichevolezza e comprensione; in modo che il vostro maldestro intervento non lasci strascichi e lo studente riprenda a meditare con rinnovato entusiasmo.

La vostra attitudine e il vostro atteggiamento sono importanti, perché possono aiutare oppure ostacolare la pratica dello studente. Abbiate quindi molta attenzione e il dovuto tatto.

Il comportamento

Rendetevi conto che ogni vostra azione è importante, perchè sotto lo sguardo degli studenti.

Osservano con attenzione il comportamento di insegnanti, organizzatori e servitori. Considerano i volontari come studenti con esperienza, e se vi colgono tensione, nervosismo o durezza, si chiederanno che razza di tecnica sia, dubitando da subito dei risultati. Se gli studenti vedono atteggiamenti irritati o arcigni, non potranno che scoraggiarsi. Viceversa, se vedono persone calme, cordiali e disponibili, che si comportano con amorevolezza, saranno incoraggiati a procedere in questo cammino con ardore e assiduità.

Dal vostro comportamento ogni studente valuta la tecnica: avete quindi una grande responsabilità. Ogni vostra azione compiuta in terra di Dhamma dovrebbe suscitare nella mente

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dei nuovi arrivati devozione e fiducia nel Dhamma, e rafforzarle negli studenti già praticanti. Se il modo di agire è tale da scalzare fiducia e devozione già esistenti, e non contribuisce a generarle in chi ancora non le possiede, sarà molto dannoso – sia per studenti, sia per voi stessi.

Causa ed effetto

In qualsiasi luogo, un’azione meritoria dà infallibilmente buoni risultati; in terra di Dhamma questi risultati sono ancora maggiori. In qualsiasi luogo, un’azione cattiva dà conseguenze spiacevoli e amare; in una terra consacrata al Dhamma, i suoi frutti saranno molto più amari.

Non accettate ciò che vi dico per fede: è qualcosa di pragmatico e logico. In terra di Dhamma, se servite bene, motivati da amore, compassione, benevolenza, contribuite a creare e a rafforzare in quel luogo buone vibrazioni di Dhamma. Come conseguenza, migliaia di studenti ora e in futuro se ne avvantaggeranno. Qualsiasi vostra azione, determinata da una motivazione malsana, inquina l’atmosfera di questo luogo, arrecando danno agli studenti presenti e futuri.

Se le vostre motivazioni e azioni sono a beneficio altrui, anche voi ne siete avvantaggiati.

Contribuite a migliorare l’atmosfera, adoperandovi per gli studenti che arrivano per ricevere il Dhamma.

Per servitori e studenti, le stesse

regole

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Così come vi aspettate dai nuovi arrivati l’osservanza di precetti e disciplina, anche voi, come volontati, dovete osservarli! Parlate soltanto lo stretto indispensabile, con gentilezza e disponiblità. Ogni vostra azione dovrebbe essere irreprensibile. Quando servite, osservare tutti e cinque i precetti; se ne infrangete uno, danneggiate l’atmosfera del centro, nuocendo agli altri.

Meditate almeno tre volte al giorno per un’ora, per mantenervi idonei a servire. Se vi ritrovate con mente agitata e negativa, incapace di funzionare convenientemente, interrompete il servizio e partecipate al corso come meditatori: per prima cosa, dovete servire voi stessi. Se non siete in grado di aiutare voi stessi, se non vi siete sufficientemente irrobustiti nel Dhamma, non potete aiutare gli altri. Uno zoppo non può sostenere un altro zoppo, un cieco non può guidare un cieco. Date una mano a voi stessi, innanzitutto, assicurandovi di avere la forza sufficiente per rendere un servizio appropriato.

I confini del ruolo

Non dimenticate che siete studenti, anche quando servite al corso. Se uno studente vi espone le sue difficoltà nella meditazione, non date consigli sulla tecnica, ma indirizzatelo all’insegnante. Lasciate sia l’insegnante a rispondere alle domande riguardanti la pratica.

Non avete il ruolo e la responsabilità dell’insegnante, e neppure del manager (il responsabile degli aspetti pratici-organizzativi duranti il corso). Sottoponete al manager ogni questione riguardante lo svolgimento pratico del

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corso e lasciate che sia lui ad agire di conseguenza, senza ingerenze da parte vostra.

Potete aiutare e anche dare suggerimenti, ma senza pretendere che siano accettati, altrimenti fate del danno a voi stessi. Date la vostra opinione, le decisioni competono a chi ne ha assunto la responsabilità. Se vi causa agitazione il fatto che un vostro suggerimento non sia stato accettato, significa che avete bisogno di dedicarvi all’apprendistato in Dhamma. Il ruolo del servitore è diverso da quello del manager e dell’insegnante, e non prevede impartisca direttive. Aspettarsi che i propri suggerimenti siano accettati, perchè dati in buona fede e perché ci si considera persona molto saggia, significa pretendere qualcosa, mentre siete qui, invece, per servire e per apprendistato. “Qui mi alleno mentalmente a servire senza aspettarmi nulla in cambio, con la sola intenzione di far sì che sempre più persone che arrivano a meditare si dedichino fruttuosamente al Dhamma. Voglio essere un buon esempio anche per chi già si dedica al Dhamma, perché la loro dedizione sia rafforzata. Tutto questo per il bene loro e mio”.

Conclusioni

Rendetevi conto che imparare il Dhamma servendo si tratta di un apprendistato impegnativo.

Richiede tatto e cautela, nel vostro stesso interesse. Fate attenzione a non nuocervi: fate bene attenzione a non ingrandire il vostro io. Siete al centro per imparare: con tutta l’umiltà possibile, continuate ad imparare mentre servite gli altri, senza aspettarvi mai niente in cambio.

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Auguro a tutti voi servitori di rafforzarvi nel Dhamma. Apprendete come comportarvi nelle vicissitudini del mondo, allenandovi a far fronte alle situazioni in un centro. Apprendete come accrescere la vostra benevolenza, il vostro amore e la vostra compassione per gli altri. Crescete nel Dhamma.

Possiate tutti gustare la vera pace, la vera serenità, la vera felicità.

Pubblicato in Notiziario Associazione Vipassana Italia, Cinisello Balsamo, 1987.

Revisione a cura di Biblioteca Vipassana, 2009.

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