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PROCEDURE E PROTOCOLLI D INDAGINE NELLA PREVENZIONE PATRIMONIALE ANTIMAFIA. Il procedimento di prevenzione antimafia.

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PROCEDURE E PROTOCOLLI D’ INDAGINE NELLA PREVENZIONE PATRIMONIALE ANTIMAFIA.

Il procedimento di prevenzione antimafia.

- Funzione, fondamento giuridico e presupposto delle indagini preliminari alla proposta della misura di prevenzione: l’ indizio di appartenenza ad associazione mafiosa o similare.

- Soggetti attivi del procedimento: le autorità competenti ad avanzare la proposta di applicazione della misura patrimoniale.

Le indagini patrimoniali.

- Oggetto delle indagini economico-patrimoniali: la distinzione tra indagini patrimoniali obbligatorie e indagini patrimoniali

“discrezionali”.

- Organi procedenti: poteri ed eventuali preclusioni a cui le autorità competenti vanno incontro nello svolgimento delle indagini patrimoniali.

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Le speciali indagini.

Il problema della prova della provenienza illecita dei beni e la sproporzione fra il patrimonio e i redditi legittimamente prodotti.

Le indagini nei confronti del coniuge, dei figli e dei conviventi durante l’

ultimo quinquennio: la presunzione della disponibilità per l’ indiziato dei beni appartenenti ai familiari.

La c.d. “ disponibilità indiretta ” dei beni: l’ interposizione fittizia ed il problema della sequestrabilità o meno della società.

La conclusione delle indagini.

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Il procedimento di prevenzione “ antimafia ”.

Funzione, fondamento giuridico e presupposto delle indagini preliminari alla proposta della misura di prevenzione: l’ indizio di appartenenza ad associazione mafiosa o similare.

Le misure di prevenzione sono dei provvedimenti che hanno la finalità di evitare la perpetrazione di reati da parte di soggetti, appartenenti a determinate categorie a rischio, che vengono considerati pericolosi dal punto di vista sociale. La particolarità di questo tipo di misure si ritrova, infatti, nella circostanza che la loro applicazione non solo prescinde dalla perpetrazione di un reato, ma che anzi di norma la precede.

La legge fondamentale, intorno alla quale ruota attualmente tutto il sistema della normativa antimafia, e soprattutto del procedimento di prevenzione antimafia, è la legge 31 Maggio 1965, n. 575, recante

“Disposizioni contro la mafia”.

Con detta legge, infatti, è stata estesa l’ applicabilità delle misure di prevenzione previste, per le cosiddette persone socialmente pericolose, dalla legge 27 Dicembre 1956, n. 1423, anche ai soggetti indiziati di appartenere ad associazioni di tipo mafioso.

La legge n. 575/65, nella sua formulazione originale, si limitava, tuttavia, a prevedere l’ applicazione delle misure di prevenzione personali, della

“sorveglianza speciale” e del “divieto od obbligo di soggiorno”, alle persone indiziate di “ appartenere ad associazioni mafiose ”, senza, però,

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definire né il concetto di questa peculiare forma di associazione né quello di appartenenza ad essa 1.

È solo con la legge 13 Settembre 1982, n. 646, recante “ Disposizioni in materia di misure di prevenzione di carattere patrimoniale ”, la c.d.

legge Rognoni-La Torre, che, in correlazione all’ introduzione del nuovo art. 416-bis c.p. 2, viene tipizzata in una fattispecie penalmente rilevante l’appartenenza ad un’ associazione mafiosa o similare; appartenenza che diventa, così, necessario presupposto per l’ attivazione del procedimento di prevenzione nelle ipotesi di cui alla legge n. 575/1965, fornendo alla

1 L’ indicazione, estremamente generica, delle persone indiziate di “ appartenere ad associazioni mafiose ” ebbe fin da subito bisogno di specificazioni da parte della giurisprudenza che si sforzò di individuare i criteri in virtù dei quali un soggetto poteva ritenersi mafioso.

Dapprima la giurisprudenza tentò di effettuare una specificazione con il richiamo a fenomeni di antisocialità: “ la legge n. 575 del 1965 si riferisce ad una categoria di persone diversa da quella di cui alla legge n. 1423 del 1956 perché qualificata dalla maggiore pericolosità sociale. A siffatta categoria è stata attribuita la denominazione di associazione mafiosa che, pur non essendo dalla legge definita, ha nel linguaggio comune significato univoco e limiti ben determinati, richiamandosi a gravi fenomeni di antisocialità ben individuati sotto il profilo concettuale e legale ” ( Cass. pen., Sez. I, 29 ottobre 1969, Tempra, in Cass. pen., 1971, n.1417 ).

Sono stati, quindi, individuati fenomeni specifici di comportamento che, per il suo modo di manifestarsi e di operare, determinano grave pericolosità sociale; la Corte Suprema, in particolare, definisce mafiosa quella organizzazione che assume e mantiene un controllo di attività economiche attraverso la sistematica intimidazione in modo da creare situazioni di assoggettamento e di omertà (Cass. pen., Sez. I, 14 marzo 1980, Salatiello, in Cass. pen., 1981, n. 671).

2 Art. 416-bis: “ Chiunque fa parte di un’ associazione di tipo mafioso formata da tre o più persone, è punito con la reclusione da cinque a dieci anni.

Coloro che promuovono, dirigono o organizzano l’ associazione sono puniti, per ciò solo, con la reclusione da sette a dodici anni.

L’ associazione è di tipo mafioso quando coloro che ne fanno parte si avvalgono della forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva per commettere delitti, per acquisire in modo diretto o indiretto la gestione o comunque il controllo di attività economiche, di concessioni, di autorizzazioni, appalti e servizi pubblici o per realizzare profitti o vantaggi ingiusti per sé o per altri, ovvero al fine di impedire od ostacolare il libero esercizio del voto o di procurare voti a sé o ad altri in occasione di consultazioni elettorali.

Se l’ associazione è armata si applica la pena della reclusione da sette a quindici anni nei casi previsti dal primo comma e da dieci a ventiquattro anni nei casi previsti dal secondo comma.

L’ associazione di considera armata quando i partecipanti hanno la disponibilità, per il conseguimento della finalità dell’ associazione, di armi o materie esplodenti, anche se occultate o tenute in luogo di deposito.

Se le attività economiche di cui gli associati intendono assumere o mantenere il controllo sono finanziate in tutto o in parte con il prezzo, il prodotto, o il profitto di delitti, le pene stabilite nei commi precedenti sono aumentate da un terzo alla metà.

Nei confronti del condannato è sempre obbligatoria la confisca delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato e delle cose che ne sono il prezzo, il prodotto, il profitto o che ne costituiscono l’ impiego.

Le disposizioni del presente articolo si applicano anche alla camorra e alle altre associazioni, comunque localmente denominate, che valendosi della forza intimidatrice del vincolo associativo perseguono scopi corrispondenti a quelli delle associazioni di tipo mafioso ”.

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citata legge quel supporto di legalità che in precedenza le era mancato, apparendo indeterminati i suoi confini di applicabilità 3.

L’ associazione di tipo mafioso viene, quindi, identificata con quel tipo di organizzazione caratterizzata da una rigorosa gerarchia, di poteri e di funzioni, che esprime una poderosa quanto insinuante forza di intimidazione, derivante dalla efficienza, unita all’ indecifrabilità, della struttura organizzativa; forza che viene spesso saggiata attraverso preliminari azioni dimostrative, le quali consentono poi di continuare nell’ esercizio di soprusi e violenze in un clima di apparente normalità di rapporti.

Tale innovazione ha, però, suscitato notevoli discussioni in dottrina e giurisprudenza circa i rapporti tra giudizio di prevenzione e processo penale, laddove la legge n. 646/1982, nel modificare la legge n.

575/1965, ha assunto la fattispecie criminosa di cui all’ art. 416-bis c.p.

quale presupposto comune di entrambi i procedimenti. In sostanza, poiché l’ art. 1 della legge n. 575/1965 fa riferimento agli “ indiziati ” di appartenere ad associazioni di tipo mafioso e, d’ altra parte, la presenza di indizi gravi, univoci e concordanti può comportare la responsabilità penale per la fattispecie di cui all’ art. 416-bis c.p., è sorta la necessità di delimitare gli ambiti rispettivi delle due situazioni.

Vi è comune accordo tra gli operatori del diritto nel sostenere che il presupposto di applicabilità della normativa sia uguale in entrambi i casi e consista nella prova, non nell’ indizio, dell’ esistenza di

3 La scelta del legislatore del 1965 aveva, infatti, sollevato feroci critiche di tipo garantista relative alla scarsa tassatività dell’ art.1 della legge n. 575/1965, laddove per indicare i destinatari delle misure si limitava a riferirsi agli “ indiziati di appartenere ad associazioni mafiose ”; si disse che

“ con questa dizione generica si determina un contrasto tra l’ esigenza della prevenzione e quella della tassatività, col connesso pericolo di violazioni delle libertà personali dei soggetti interessati da tale legge ” GIALANELLA A., Il punto sulla questione probatoria nelle misure di prevenzione antimafia, in Quest. giust., 1994.

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un’associazione di tipo mafioso, in una qualsiasi delle forme che può assumere secondo il dettato dell’ art. 416-bis c.p.

L’ esistenza di un determinato tipo di associazione appare, dunque, pregiudiziale rispetto alla nozione di indiziato di appartenenza ad associazione mafiosa; associazione quest’ ultima che naturalmente deve essere penalmente rilevante ai sensi dell’ art. 416-bis c.p.4.

Permane, invece, diversità fra i due procedimenti sotto il profilo del grado e del tipo di prova circa il dato della partecipazione del soggetto all’ associazione criminale. Ciò che è assolutamente necessario è avere la prova certa in relazione alla sussistenza dell’ associazione così come viene ipotizzata nell’ art. 416-bis c.p., nonché nell’ art. 1 della legge n.

575/1965; quanto, invece, all’ appartenenza del soggetto alla stessa associazione, la legge richiede solo l’ acquisizione di fatti oggettivamente valutabili e controllabili che conducano ad un giudizio di ragionevole probabilità 5.

Il giudizio in tema di applicazione delle misure di prevenzione, infatti, ha per oggetto solo la pericolosità sociale del soggetto e non la sua responsabilità penale. La giurisprudenza, pertanto, ha più volte chiarito che il procedimento di prevenzione, avendo come presupposto la pericolosità sociale del soggetto rapportata a determinati parametri, si fonda su elementi con minore efficacia probatoria, che, tuttavia, qualora si tratti di pericolosità qualificata dall’appartenenza ad associazione di tipo mafioso, debbono raggiungere la consistenza dell’ indizio, con esclusione, quindi, di sospetti, congetture ed illazioni, che sono mere

4 DE LIQUORI L., Fattispecie preventiva ed associazione mafiosa; realtà e simbolismo della nuova emergenza, in Cass. pen., 1990

5 Nel procedimento di prevenzione, a differenza di quello penale, non si richiede la sussistenza di elementi tali da indurre ad un convincimento di certezza, essendo sufficienti circostanze di fatto, oggettivamente valutabili e controllabili, che conducano ad un giudizio di ragionevole probabilità circa l’ appartenenza del soggetto al sodalizio criminoso, con esclusione, dunque, di meri sospetti, illazioni e congetture ” ( Corte Costituzionale sent. 22 dicembre 1980, n. 177 ).

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intuizioni del giudice, mentre l’indizio è sempre fondato su un fatto certo. Ne consegue che, dato il minore livello probatorio degli elementi necessari per l’ applicazione della misura di prevenzione, è sufficiente che gli indizi dimostrino anche la sola probabilità che il prevenuto sia appartenente ad un’ associazione di tipo mafioso 6.

Ai fini dell’ affermazione della pericolosità sociale di un soggetto, qualificata appunto dalla sua appartenenza ad un ‘associazione di tipo mafioso, è necessaria e sufficiente, quindi, l’ esistenza di un fatto noto, come premessa minore di un ragionamento logico di tipo indiziario, all’esito del quale sia possibile risalire al fatto ignoto, come premessa maggiore dell’ appartenenza della persona all’ associazione di tipo mafioso, in virtù di un giudizio probabilistico 7.

Il giudizio di pericolosità non può, comunque, non essere necessariamente basato su un’ oggettiva valutazione dei fatti, in modo da escludere valutazioni puramente soggettive ed incontrollabili da parte di chi promuove od applica la misura di prevenzione 8.

Il giudice della prevenzione, quindi, non può in alcun modo prescindere da una corretta valutazione degli elementi indiziari e dall’ obbligo di una motivazione che presenti i fondamentali e necessari requisiti della correttezza, della completezza e della logicità; se così non fosse, infatti, verrebbe meno al principio di legalità, cui deve ispirarsi per il suo carattere giurisdizionale il provvedimento di prevenzione 9.

Una volta stabilito l’ ambito di applicabilità delle disposizioni contro la mafia di cui si discute, bisogna, però, sottolineare come l’ innovazione più importante realizzata dalla legge n. 646/1982 riguarda sicuramente

6 Cass. pen., Sez. I – Sent. n. 2760 del 14 agosto 1987 – Imp. Amato, in Riv. pen., 1988, pag.

506.

7 Trib. di Napoli, Sezione per l’ applicazione delle misure di prevenzione, 31 ottobre 2008.

8 Corte Costituzionale, sent. 22 settembre 1980, n. 177.

9 Cass. pen., Sez. I – Sent. n. 2062 del 15 dicembre 1988 – Imp. Cancelliere.

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l’introduzione nell’ alveo della legge n. 575/1965 di misure atte ad aggredire il patrimonio del destinatario, al fine di privarlo di quei mezzi che costituiscono sia il frutto e/o il reimpiego di attività illecite sia lo strumento attraverso cui perseguire nuovi e più ampi profitti.

Con tale provvedimento normativo si realizza, dunque, una radicale trasformazione del sistema delle misure di prevenzione, segnando il passaggio da misure di tipo personale a misure di tipo patrimoniale; si passa, cioè, da un sistema di lotta alla mafia imperniato esclusivamente sulla persona del mafioso o presunto tale, ad una strategia allargata, volta a colpire oltre la persona anche il suo patrimonio.

Tale mutamento di strategia ha origine nella presa d’ atto da parte degli operatori giuridici del fatto che l’ elemento di forza delle organizzazioni mafiose non è più rappresentato dalla componente personale, quanto piuttosto dalle ingenti ricchezze accumulate ed utilizzate, anche e soprattutto, dietro la parvenza della legalità.

Gli istituti di prevenzione patrimoniale nascono, quindi, dalla raggiunta consapevolezza che la normativa antimafia non può più limitarsi ad intervenire nel settore dell’ ordine pubblico, ma deve poter incidere anche nel settore economico, ove essa raggiunge la maggiore deterrenza.

È a partire dagli anni Settanta, peraltro, che si segna uno sviluppo in senso economico delle organizzazioni mafiose; tali associazioni, intrapresa un’attività fortemente redditizia come quella del traffico di droga, hanno, infatti, riversato i guadagni illeciti nell’economia legale, allo scopo di riciclare il denaro “ sporco ” attraverso il suo reinvestimento in attività imprenditoriali “ pulite ” e di consolidare ed incrementare il proprio potere sul territorio nazionale e transnazionale.

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Ed è proprio la ricchezza di sospetta provenienza, o meglio l’ illecito arricchimento che contraddistingue i sodalizi criminosi, che viene visto come sintomo e causa della pericolosità sociale.

Per questo, il fine della prevenzione nella lotta contro le associazioni di tipo mafioso si realizza oggi attraverso il simultaneo e coordinato utilizzo di misure di prevenzione di natura personale10 e misure di prevenzione di natura patrimoniale11, le quali, nel corso degli anni, hanno subito continui rimaneggiamenti legislativi, allo scopo di cercare di adeguarle alle rinnovate esigenze di politica criminale 12.

Da ultimo, il D.L. 23 maggio 2008, n. 92, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 luglio 2008, n. 125, recante “ Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica ”, ha notevolmente esteso l’ applicabilità delle misure di prevenzione patrimoniali agli indiziati di tutta una serie di delitti che

10 Le misure di prevenzione personali sono: l’ avviso orale ( art. 4, legge n. 1423/1956 ), il rimpatrio con foglio di via obbligatorio ( art. 2, legge n. 1423/1956 ), la sorveglianza speciale di pubblica sicurezza ( art. 3, comma 1, legge n. 1423/1956 ), il divieto e l’ obbligo di soggiorno ( art. 3, comma 2, legge n. 1423/1956 ).

11 Le misure di prevenzione patrimoniali sono: il sequestro dei beni ( art. 2-ter, comma 2, legge n. 575/1965), la confisca ( art. 2-ter, comma 3, legge n. 575/1965, la cauzione ( art. 3-bis, legge n.

575/1965 ), le misure patrimoniali interdittive (art. 10, legge n. 575/1965 ) e la sospensione dell’amministrazione dei beni ( art. 3-quater, legge n. 575/1965 ).

12 A mero titolo esemplificativo si rammenta: d.l. 6 settembre 1982 n. 629, convertito, con alcune modificazioni, dalla legge 12 ottobre 1982, n. 726 “Misure urgenti per il coordinamento della lotta contro la delinquenza mafiosa”; legge 3 agosto 1988, n. 327 “Norme in materia di misure di prevenzione personali”; legge 15 novembre 1988, n. 486 “Disposizioni in materia di coordinamento della lotta contro la delinquenza di tipo mafioso”; d.l. 14 giugno 1989, n.230, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 1989, n. 282 “Disposizioni urgenti per l’ amministrazione e la destinazione dei beni confiscati ai sensi della legge 31 maggio 1965, n. 575 ”; legge 19 marzo 1990, n. 55 “Nuove disposizioni per la prevenzione della delinquenza di tipo mafioso e di altre gravi forme di manifestazione di pericolosità sociale”; d.l. 13 maggio 1991, n. 152, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 1991, n. 203 “Provvedimenti urgenti in tema di lotta alla criminalità organizzata e di trasparenza e buon andamento dell’ attività amministrativa”; d.l. 8 giugno 1992, n. 306, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 1992, n. 356 “Modifiche urgenti al nuovo codice di procedura penale e provvedimenti di contrasto alla criminalità mafiosa”; legge 24 luglio 1993, n. 256

“Modifica dell’ istituto del soggiorno obbligatorio e dell’ art. 2-ter, legge 31 maggio 1965, n. 575”;

d.l. 20 dicembre 1993, n. 529, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 febbraio 1994, n. 108

“Disposizioni urgenti in materia di scioglimento dei consigli comunali e provinciali e degli organi degli altri enti locali, conseguente a fenomeni di infiltrazione e condizionamento di tipo mafioso”;

legge 7 marzo 1996, n. 109 “Disposizioni in materia di gestione e destinazione dei beni sequestrati o confiscati”; d.l. 18 ottobre 2001, n. 374, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 dicembre 2001, n. 438 “Disposizioni urgenti per contrastare il terrorismo internazionale”; d.l. 27 luglio 2005, n. 144, convertito, con modificazioni, dalla legge 31 luglio 2005, n. 155 “Misure urgenti per il contrasto del terrorismo internazionale”.

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compongono un quadro molto ampio di criminalità organizzata, comprendente fra l’ altro, oltre alle organizzazioni di tipo mafioso, anche quelle finalizzate al traffico di stupefacenti, al contrabbando di tabacchi lavorati esteri ed alla commissione di delitti di schiavismo 13.

Il nuovo art. 1 della legge n. 575/1965, infatti, dispone che: “ La presente legge si applica agli indiziati di appartenere ad associazioni di tipo mafioso, alla camorra o ad altre associazioni, comunque localmente denominate, che perseguono finalità o agiscono con metodi corrispondenti a quelli delle associazioni di tipo mafioso nonché ai soggetti indiziati di uno dei reati previsti dall’ art. 51, comma 3-bis, del codice di procedura penale ”.

Riguardo alla consistenza del quadro indiziario necessario e sufficiente per poter avviare anche nei confronti di detti soggetti le indagini di prevenzione, valgono anche qui naturalmente le osservazioni fatte in merito all’ applicabilità della legge n. 575/1965 agli indiziati di appartenere ad associazione di tipo mafioso. Va, comunque, precisato che si deve trattare di elementi indiziari che non possono avere una consistenza inferiore a quella richiesta per assumere la qualità di persona sottoposta alle indagini per i medesimi reati.

13 In particolare l’ art. 10, comma 1, lett. a), del D.L. 23 maggio 2008, n. 92, ha integrato l’art.

1 della legge 31 maggio 1965, n. 575, estendendone l’ applicabilità anche “ ai soggetti indiziati di uno dei reati previsti dall’ art. 51, comma 3-bis, del codice di procedura penale ” e quindi agli indiziati dei seguenti reati:

- Associazione per delinquere finalizzata a commettere reati di schiavismo ( art. 416, sesto comma, c.p. );

- Riduzione o mantenimento in schiavitù o in servitù ( art. 600 c.p. );

- Tratta di persone ( art. 601 c.p. );

- Acquisto e alienazione di schiavi ( art. 602 c.p. );

- Sequestro di persona a scopo di estorsione ( art. 630 c.p. );

- Delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dall’ art. 416-bis c.p.;

- Delitti commessi al fine di agevolare l’ attività delle associazioni mafiose;

- Associazione finalizzata al traffico di stupefacenti (art. 74 del D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309);

- Associazione finalizzata al contrabbando di tabacchi lavorati esteri ( art. 291-quater del D.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43 ).

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Soggetti attivi del procedimento: le autorità competenti ad avanzare la proposta di applicazione della misura patrimoniale.

Il procedimento di prevenzione inizia con la proposta, che deve essere motivata, di applicazione di una misura di prevenzione.

L’ attuale formulazione dell’ art. 2 della legge n. 575/1965 dispone che:

“ Nei confronti delle persone indicate dall’ articolo 1 possono essere proposte dal procuratore nazionale antimafia, dal procuratore della repubblica presso il tribunale del capoluogo di distretto ove dimora la persona, dal questore o dal direttore della Direzione investigativa antimafia, anche se non vi è il preventivo avviso, le misure di prevenzione della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza e dell’obbligo di soggiorno nel comune di residenza o di dimora abituale, di cui al primo e al terzo comma dell’ articolo 3 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423, e successive modificazioni.

Quando non vi è stato il preventivo avviso e la persona risulti definitivamente condannata per un delitto non colposo, con la notificazione della proposta il questore può imporre all’ interessato il divieto di cui all’ art. 4, quarto comma, della legge 27 dicembre 1956, n.

1423; si applicano le disposizioni dei commi quarto, ultimo periodo, e quinto del medesimo articolo 4.

Nelle udienze relative ai procedimenti per l’ applicazione delle misure di prevenzione richieste ai sensi della presente legge, le funzioni di pubblico ministero sono esercitate dal procuratore della Repubblica di cui al comma 1 ”.

Tale articolo, che identifica i soggetti titolari del potere di formulare la proposta de qua, è però frutto di una serie di modifiche legislative, che hanno portato all’ odierna disposizione ad opera del Decreto-legge 23

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maggio 2008, n. 92, recante “ Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica ”, convertito dalla legge 24 luglio 2008, n. 125.

La legge n. 1423/1956 indicava, infatti, come unico legittimato a formulare la proposta il questore della provincia in cui il soggetto dimora14.

Tuttavia, tale originaria competenza esclusiva del questore, prevista nei confronti di tutte le categorie indicate dall’ art. 1 della stessa legge n.

1423, è venuta meno, in seguito alle varie successive leggi speciali, sotto due punti di vista. Innanzitutto è oggi ristretta ai soli casi in cui non si può prescindere dal preventivo avviso orale, ossia quando la proposta è formulata nei confronti delle persone appartenenti alle categorie previste dal n. 3 dell’ art. 1 della legge n. 1423/1956, che concerne coloro che

“sono dediti alla commissione di reati che offendono o mettono in pericolo l’ integrità fisica o morale dei minorenni, la sanità, la sicurezza o la tranquillità pubblica”, secondo il testo del citato art. 1, come sostituito dall’ art. 2 della legge 3 agosto 1988, n. 327. Infatti, soltanto a tali categorie non sono estensibili le disposizioni di cui alla legge n.

575/1965, secondo quanto prescrive l’art. 19 della legge 22 maggio 1975, n. 152, nel testo modificato dall’ art. 13 della legge n. 327/1988.

In secondo luogo, il questore concorre, in tutti gli altri casi, con la legittimazione di altri organi, che attualmente sono individuati nel

14 Per l’ individuazione della dimora, che è poi la stessa in base alla quale viene stabilito il tribunale con sede nel capoluogo di provincia competente ad applicare le misure di prevenzione, la giurisprudenza ritiene che bisogna tenere conto dei presupposti e degli scopi della l. n. 1423/1956, che sono correlati alla pericolosità sociale del soggetto e al luogo ove essa si manifesta e trova alimento, sicchè deve intendersi il luogo in cui il soggetto ha tenuto comportamenti sintomatici di tale pericolosità, traendo vantaggi per la propria attività, e non quello della sua residenza anagrafica (Cass.

pen., Sez. VI, 16 marzo 1999, Grande Aracri, in Cass. pen., 2000, n. 853; Sez. I, 4 marzo 1999, Tedesco, ivi, 2000, n. 162; Sez. I, 17 gennaio 1994, Marrucci, ivi, 1994, n. 1611; Sez. I, 5 febbraio 1993, Ciancimino, ivi, 1994, n. 468; Sez. VI, 18 maggio 1992, Buzzise, ivi, 1993, n. 1280).

Sull’ irrilevanza della residenza anagrafica si sono pronunciate anche le Sezioni Unite, 4 marzo 1972, Mancino, in Cass. pen., 1972.

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procuratore della Repubblica, nel procuratore nazionale antimafia e nel direttore della Direzione investigativa antimafia 15.

In realtà, quanto al procuratore della Repubblica l’ estensione avvenne già con il testo originario dell’ art. 2 della legge n. 575/1965. Sorse, però, subito la questione sull’ individuazione del pubblico ministero competente per la proposta, non avendo il legislatore nulla disposto in proposito. Ci si chiedeva, in particolare, se tale potere dovesse intendersi attribuito al solo organo del p.m. presso il tribunale competente ad applicare la misura, ovvero del p.m. presso il tribunale avente sede nel capoluogo di provincia ove dimora la persona ritenuta pericolosa.

La giurisprudenza della Corte di Cassazione affermò fin da subito che la competenza a formulare la proposta, essendo di natura funzionale, spettava al pubblico ministero presso il tribunale competente ad applicare la misura di prevenzione, ossia al tribunale con sede nel capoluogo di provincia ove la persona ritenuta pericolosa dimora, con esclusione del pubblico ministero presso altro tribunale della stessa provincia 16. Per la stessa giurisprudenza tale conclusione era inevitabile, in quanto basata sull’assunto secondo cui la competenza del pubblico ministero nel codice di procedura penale del 1930 non era autonomamente attribuita, ma era riflessa e derivata da quella dell’organo giurisdizionale presso il quale esercita le sue funzioni.

15 A tali competenze va aggiunta, sino alla data del 31 dicembre 1992, quella dell’ Alto commissario per il coordinamento della lotta contro la delinquenza mafiosa, di cui all’ art. 1-quinquies del d.l. 6 settembre 1982, n. 629, convertito in legge 12 ottobre 1982, n. 726. Cessate con il 31 dicembre 1992, le funzioni dell’ Alto commissario sono state attribuite al Ministro dell’ Interno con facoltà di delega ad organi dello stesso Ministero secondo le rispettive competenze, tra i quali era previsto anche il direttore della Direzione investigativa antimafia, secondo quanto disposto dall’ art. 2 comma 2-quater d.l. 29 ottobre 1991, n. 345, convertito in legge 1 gennaio 1993, n. 410.

16 Cass. pen., Sez. I, 24 settembre 1990, Zagani, in Cass. pen., 1992, n. 419; Cass. pen., Sez. I, 23 aprile 1990, Longo, in Giust. pen., 1990, III; Cass. pen., Sez. I, 12 febbraio 1990, Alagna, in Giust.

pen., 1991, III.

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Questo orientamento veniva poi confermato dalle Sezioni Unite della Suprema Corte, le quali hanno ribadito il principio secondo cui nel procedimento di prevenzione la competenza funzionale a promuoverlo spetta esclusivamente al pubblico ministero presso il tribunale del capoluogo di provincia in cui dimora il proposto, stante la necessità che esista piena corrispondenza tra il tribunale decidente e la procura requirente 17.

Tale conclusione non fu, però, pienamente condivisa dalla dottrina, soprattutto da chi ritenne che la competenza dovesse spettare a tutti ed a ciascuno dei procuratori della Repubblica, non avendo la legge disposto in merito 18.

L’ art. 20 del d.l. 13 maggio 1991, n. 152, convertito in legge 12 luglio 1991, n. 203, nel sostituire l’ art. 2 della l. n. 575/1965, ha, però, eliminato ogni dubbio, fissando per la proposta la competenza del procuratore della Repubblica presso il tribunale nel cui circondario dimora la persona 19.

Il tribunale capoluogo di provincia rimane, comunque, competente per l’applicazione delle misure di prevenzione.

Ne consegue che le funzioni di pubblico ministero nel procedimento giurisdizionale davanti al tribunale capoluogo di provincia vengono svolte dal pubblico ministero presso lo stesso tribunale, ossia da un organo che, qualora il proposto dimori in un circondario diverso da

17 Cass. pen., Sez. Un., 20 giugno 1990, Corica, in Cass. pen., n. 1653.

18 DE MAESTRI L., Cenni sulla proposta del questore per l’ applicazione delle misure di prevenzione, in AA.VV., Le misure di prevenzione, Giuffrè, 1975.

Invece decisamente favorevole alla tesi della giurisprudenza è TAORMINA C., Il procedimento di prevenzione nella legislazione antimafia, Giuffrè, 1988.

19 Espressione ulteriormente modificata dal Decreto-legge 23 maggio 2008, n. 92, “ Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica ”, convertito in legge 24 luglio 2008, n. 125, laddove l’ art. 2 della legge n. 575/1965 parla oggi di procuratore della Repubblica presso il tribunale del capoluogo di distretto ove dimora la persona.

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quello di detto tribunale, è diverso dal pubblico ministero che ha formulato la proposta.

Si ha, quindi, in alcuni casi, lo “ sdoppiamento ” delle funzioni del pubblico ministero nel procedimento di prevenzione; situazione questa che rappresenta un’ anomalia del sistema e che è stata giustificata con la considerazione che una maggiore vicinanza del procuratore della Repubblica alla dimora della persona ritenuta pericolosa possa consentire un maggiore approfondimento delle indagini necessarie per la formulazione della proposta 20.

Sul punto è intervenuta anche la Corte Costituzionale, che ha dichiarato manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 2 della legge n. 575/1965 in riferimento agli articoli 3 e 97, comma 1 21, della Costituzione nella parte in cui è attribuita la facoltà di promuovere al procuratore della Repubblica presso il tribunale nel cui circondario dimora la persona anziché al procuratore della Repubblica presso il tribunale del capoluogo del distretto in cui ricade il luogo ove dimora il proposto, come previsto per i reati di cui all’ art. 51, comma 3- bis c.p.p. 22.

20 FUMU G., Commenti articolo per articolo, l.19/3/1990, n. 55, art. 1, in Leg. pen., 1991, p.

391, nota 8-bis.

21 Art. 3 Cost.: “ Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.

È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’ eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’ organizzazione politica, economica e sociale del Paese ”.

Art. 97, comma 1: “ I pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e l’ imparzialità dell’ amministrazione ”.

22 Corte Costituzionale, ordinanza 22 luglio 1996, n. 275, in Cass. pen., 1997, n. 1 ed in Giust.

cost., 1996, con nota di INGROIA A., Quale pubblico ministero competente in misure di prevenzione antimafia?.

La Corte Costituzionale, in particolare, ha osservato che: il parametro dell’ art. 97 comma 1 Cost. è estraneo all’ esercizio della funzione giurisdizionale; la scelta di accentuare la vicinanza tra l’

organo di investigazione e la persona che ne è oggetto, in funzione dell’ efficienza degli accertamenti utili alla formulazione della proposta, rientra nella discrezionalità del legislatore non censurabile dalla Corte Costituzionale; la sostituzione con l’ ufficio del pubblico ministero distrettuale non è

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Oggi, con la legge 24 luglio 2008, n. 125, la competenza di cui sopra viene estesa al procuratore della Repubblica presso il tribunale del capoluogo di distretto ove la persona dimora che, in precedenza, era competente solo per il proprio circondario.

Il pubblico ministero distrettuale sostituisce, quindi, i singoli procuratori circondariali del distretto, che rimangono comunque competenti per le proposte di cui alla l. 1423/1956, relative alla c.d. pericolosità comune, in forza dell’ espresso dettato del nuovo testo dell’ art. 19 della l. n.

152/1975 23.

Sia al questore che al procuratore della Repubblica viene, inoltre, espressamente riconosciuta, dall’ art. 2-bis della legge n. 575/1965, la competenza a proporre l’ applicazione di misure di prevenzione patrimoniali 24.

Lo stesso art. 2-bis si riferisce, però, al “ procuratore della Repubblica ” senza specificazione alcuna; ciò ha indotto la giurisprudenza a ritenere che il legislatore abbia voluto riconoscere il potere di proposta patrimoniale ex legge n. 575/1965 al procuratore della Repubblica competente, ossia al procuratore della Repubblica Distrettuale, titolare dell’ analogo potere di proposta personale ai sensi dell’ art. 1 25.

costituzionalmente imposta sul piano della ragionevolezza del sistema, data l’ autonomia del procedimento di prevenzione rispetto a quello penale, mentre l’ introduzione della nuova regola produrrebbe essa stessa disarmonia nelle ipotesi di pericolosità richiamate dall’ art. 19 della legge n.

152 del 1975, non connotate da mafiosità o da riferibilità a contesti di criminalità organizzata.

23 Art. 19 della l. n. 152/1975, come integrato dalla legge n. 125/2008: “ Le disposizioni di cui alla legge 31 maggio 1965, n. 575, si applicano anche alle persone indicate nell’ art. 1, numeri 1) e 2) della legge 27 dicembre 1956, n. 1423. Nei casi previsti dal presente comma, le funzioni e le competenze spettanti, ai sensi della legge 31 maggio 1965, n. 575, al procuratore della Repubblica presso il tribunale del capoluogo di distretto, sono attribuite al procuratore della Repubblica presso il tribunale nel cui circondario dimora la persona ”.

24 Art. 2-bis, comma 4: “ Quando vi sia concreto pericolo che i beni di cui si prevede debba essere disposta la confisca ai sensi dell’ articolo 2-ter vengano dispersi, sottratti od alienati, il procuratore della Repubblica o il questore, con la proposta, possono richiedere al presidente del tribunale competente per l’ applicazione della misura di prevenzione di disporre anticipatamente il sequestro dei beni prima della fissazione dell’ udienza ”.

25 Tribunale di Napoli, Sezione per l’ applicazione di misure di prevenzione, 31 ottobre 2008.

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Altro soggetto legittimato a formulare la proposta, negli stessi limiti del procuratore della Repubblica, è il procuratore nazionale antimafia.

Per questo organo, che svolge le sue funzioni sull’ intero territorio dello Stato, ovviamente non si pone alcuna questione di competenza territoriale. Sono sorte, però, fin da subito altre problematiche, perché dalla limitazione a svolgere le speciali indagini patrimoniali al procuratore della Repubblica ed al questore, secondo la lettera dell’ art.

2-bis della legge n. 575/1965, la giurisprudenza aveva dedotto che il procuratore nazionale antimafia non fosse legittimato a formulare una proposta di applicazione di una misura di prevenzione patrimoniale 26. Ad altra conclusione era giunta, invece, la dottrina, che ritenne la sussistenza della legittimazione alla suddetta proposta, partendo dal rilievo che nel sistema delle misure di prevenzione quelle patrimoniali si presentano normalmente, tranne tassative eccezioni, come accessorie alle misure personali; ne deriverebbe, dunque, che il soggetto legittimato a proporre queste ultime debba necessariamente ritenersi legittimato anche per le prime 27.

Il problema sembra oggi risolto dalle modifiche effettuate dalla legge n.

125/2008 all’ art. 2 l. 575/1965, laddove, pur avendo esteso la possibilità di svolgere indagini patrimoniali anche al procuratore nazionale antimafia, continua a precludergli la competenza per la proposta di applicazione di misure di prevenzione patrimoniali. Egli potrà, comunque, disporre, ai sensi dell’ art. 110-ter ord. Giud., l’ applicazione di magistrati della Direzione nazionale antimafia alle procure distrettuali per la trattazione “di singoli procedimenti di prevenzione patrimoniale”.

26 Tribunale di Napoli, 20 giugno 1997, Napolitano, in Cass. pen., 1998, n. 607, con nota di MOLINARI P.V., Titolari dell’ azione di prevenzione con riferimento alle misure patrimoniali. Il procuratore nazionale antimafia dimezzato?

27 MOLINARI P.V., cit. sopra.

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Competente a proporre l’ applicazione della misura di prevenzione è, infine, il direttore della Direzione investigativa antimafia, per il quale l’art. 2 l. 575/1965 rappresenta la consacrazione legislativa di un potere di proposta che originariamente promanava dal Ministro dell’ Interno, al quale era attribuito dall’ art. 2, comma 2 quater della legge n. 345/1991.

La stessa competenza prevista per il questore e per il procuratore della Repubblica, infatti, era stata estesa alcuni anni fa all’ Alto commissario per il coordinamento della lotta contro la delinquenza mafiosa, di cui all’art. 1-quinquies, comma 1, d.l. 6 settembre 1982, n. 629, convertito con legge 12 ottobre 1982, n. 726, che concerneva le misure di prevenzione applicabili ai sensi dell’ artt. 1 e 2 l. n. 575/1965.

Cessate il 31 dicembre 1992, le funzioni dell’ Alto commissario erano state attribuite, ad iniziare dal 1° gennaio 1993, al Ministero dell’Interno, con facoltà di delega ad organi dello stesso ministero secondo le rispettive competenze, tra i quali appunto il direttore della Direzione investigativa antimafia. Tale delega era stata data in via permanente con d.m. 23 dicembre 1992 per proporre al tribunale competente l’applicazione di una misura di prevenzione personale nei confronti delle persone indiziate di mafiosità e con d.m. 30 novembre 1993 anche per proporre, nei confronti di detti indiziati, misure di prevenzione patrimoniali.

La legge n. 125/2008 attribuisce oggi al direttore della Direzione investigazione antimafia delle competenze dirette e non mediate dalla delega del Ministero dell’ Interno.

Per riassumere, si può dire che in virtù del nuovo testo dell’ art. 2 l.

575/1965, la competenza a proporre l’ applicazione delle misure di prevenzioni personali nei confronti dei soggetti previsti dall’ art. 1 della stessa legge:

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- viene confermata per il procuratore nazionale antimafia per persone dimoranti all’ interno del territorio nazionale, e per il questore, che è competente con riferimento alla dimora della persona;

- viene estesa al direttore della Direzione investigativa antimafia, per le persone dimoranti all’ interno del territorio nazionale, a prescindere dalla delega da parte del Ministero dell’ Interno;

- viene estesa al Procuratore della Repubblica presso il tribunale del capoluogo di distretto ove dimora la persona che, in precedenza, era competente solo per il proprio circondario, con la conseguenza che viene esclusa, rispetto al testo previgente, per il procuratore della Repubblica presso il tribunale nel cui circondario dimora la persona.

In forza dell’ art. 2-bis l. 575/1965, invece, la competenza a proporre la misura patrimoniale:

- è confermata per il questore;

- è riconosciuta al direttore della Direzione investigativa antimafia;

- è attribuita al procuratore distrettuale, in sostituzione di quella previgente del procuratore del circondario;

- è tuttora esclusa per il procuratore nazionale antimafia.

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Le indagini patrimoniali.

Oggetto delle indagini economico-patrimoniali: la distinzione tra indagini patrimoniali obbligatorie e indagini patrimoniali

“discrezionali”.

Le indagini da espletare ai fini dell’ applicazione delle misure di prevenzione patrimoniale sono distinte dalla legge in due fasi.

La prima, disciplinata dall’ art. 2-bis della legge n. 575/1965, affidata al procuratore della Repubblica, al direttore della Direzione investigativa antimafia ed al questore, è precedente alla proposta.

La seconda, eventuale e successiva alla proposta, è svolta invece dal Tribunale nel corso del giudizio, ex art. 2-ter della legge n. 575/1965.

Anche le indagini preliminari alla proposta devono essere a loro volta distinte in due categorie, le indagini patrimoniali obbligatorie e quelle c.d. discrezionali.

Le indagini patrimoniali obbligatorie, previste dall’art. 2-bis, commi 1, 2 e 3 della legge n. 575/1965, sono mirate ad accertare il tenore di vita, le disponibilità finanziarie e, più in generale, il patrimonio del soggetto, nonché l’ attività economica dal soggetto esercitata, allo scopo di individuare le sue fonti di reddito.

Questo tipo di accertamento concerne sia l’ intero patrimonio attualmente posseduto dall’ interessato, compresi naturalmente i beni immateriali ed i diritti con contenuto patrimoniale, sia l’ attività economica da lui esercitata nel tempo, al fine di individuare le ragioni di redditività che possono giustificare il suo attuale accumulo patrimoniale.

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Le indagini da svolgere devono, quindi, attenere non soltanto all’ aspetto statico della ricchezza attualmente posseduta, ma anche all’ aspetto dinamico delle fonti di produzione attraverso le quali la ricchezza stessa si sia evoluta nel tempo, fino all’ attuale sua consistenza quantitativa e composizione qualitativa.

A tal fine, gli organi competenti accertano, in particolare, se il soggetto sia titolare di licenze, di autorizzazioni, di concessioni, di abilitazioni all’esercizio di attività imprenditoriali, di iscrizioni ad albi professionali e pubblici registri; se sia beneficiario di contributi, di finanziamenti o di mutui agevolati erogati da parte dello Stato, di enti pubblici o delle Comunità europee.

Possono, inoltre, essere svolte indagini patrimoniali discrezionali, consistenti, ai sensi del comma 6 dello stesso art. 2-bis, nella richiesta

“ad ogni ufficio della pubblica amministrazione, ad ogni ente creditizio nonché alle imprese, società ed enti di ogni tipo di informazioni e copia della documentazione ritenuta utile ai fini delle indagini” nei confronti degli indiziati di appartenere ad un’ associazione mafiosa o similare, nonché degli indiziati di uno dei reati previsti dall’ art. 51, comma 3-bis, del codice di procedura penale.

Le indagini sono chiaramente finalizzate all’ eventuale provvedimento di sequestro dei beni costituenti il frutto dello svolgimento di attività illecite, nonché di sospensione delle citate licenze, autorizzazioni, concessioni, iscrizioni, abilitazioni ed erogazioni varie che il tribunale possa successivamente adottare nel corso del procedimento.

Le indagini pertanto, in questa fase, tendono al reperimento ed all’inventariazione di tutte le disponibilità o, più in generale, di tutti i beni appartenenti al soggetto indiziato, accertando la loro provenienza e

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comunque la derivazione dei mezzi finanziari che nei beni stessi risultino investiti, al fine di verificarne, in definitiva, la legittimità dell’ origine 28. Nell’ individuare le valenze del tenore di vita, gli organi competenti si riferiscono principalmente alle dimostrazioni esterne dell’ individuo, anche correlandole con quelle degli anni precedenti; si dedicano, quindi, allo “ studio ” del soggetto da inquisire, al rilevamento dei suoi spostamenti, degli istituti di credito frequentati, degli uomini d’ affari con i quali abbia rapporti, eccetera.

Tale tipo d’ indagine si basa, infatti, sul presupposto che, per quanto ampia possa essere l’ estensione dell’ attività dell’ indiziato di appartenere ad associazione mafiosa e per quanto avveduta la sua riservatezza, il centro di elezione delle sue decisioni è pur sempre limitato ad una certa zona.

L’ accuratezza con cui vengono effettuate le indagini e lo studio del soggetto da inquisire assumo poi particolare rilevanza anche negli accertamenti relativi alle disponibilità finanziarie ed al patrimonio del soggetto, in quanto l’economia offre oggi varie possibilità di ricchezza in termini di attività, titoli, denaro ed altro.

Generalmente è proprio l’ osservazione diretta che permette, infatti, di individuare le persone fisiche o giuridiche del cui patrimonio la persona in questione può disporre.

Il dettato normativo, comunque, non specifica puntualmente in cosa consistano le indagini patrimoniali e non pone alcun limite specifico.

28 Le indagini svolte in questa fase si sostanziano soprattutto in pazienti rilevamenti presso le conservatorie dei registri immobiliari, l’ anagrafe tributaria, lo schedario nazionale dei titoli azionari, gli archivi notarili, le cancellerie del tribunale, le camere di commercio, il pubblico registro automobilistico, il registro navale, il registro aeronautico, gli istituti di credito pubblici o privati, i vari enti di finanziamento, le società fiduciarie, le società finanziarie, i fondi d’ investimento, le società di leasing, gli agenti di borsa, ecc..

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La scarsa determinatezza dell’ istituto destò, quindi, qualche riserva;

sembrò alla dottrina che, nonostante l’ importanza di tali accertamenti nell’ ambito del procedimento e la possibilità che essi sfocino in un procedimento penale per associazione mafiosa ex art. 416-bis c.p., il legislatore non si fosse curato di tipizzare gli atti che possono essere compiuti al fine di verificare la reale situazione economico-finanziaria del soggetto 29. Anzi, paradossalmente, l’ art. 2-bis della legge n.

575/1965 al comma 6 indica espressamente due atti d’ indagine c.d.

discrezionale, la richiesta di “informazioni e copia della documentazione ritenuta utile ai fini delle indagini” ed il “sequestro della documentazione con le modalità di cui agli articoli 253, 254 e 255 del codice di procedura penale ”; laddove lo stesso articolo, in riferimento alle indagini patrimoniali obbligatorie, si limita ad indicarne l’ oggetto ma non gli strumenti operativi.

Ad ogni modo, tra le varie possibilità offerte dalla legge n. 575/1965 le indagini patrimoniali si muovono oggi principalmente in quattro direzioni:

- le indagini bancarie;

- le intercettazioni;

- le acquisizioni documentali;

- l’ assunzione di informazioni.

Tra queste assumono sicuramente un particolare rilievo le indagini bancarie, le quali prima della legge n. 646/1982, concernente

“Disposizioni in materia di misure di prevenzione di carattere patrimoniale ” erano praticamente irrealizzabili.

29 FILIPPI L., Il procedimento di prevenzione. Le misure “ antimafia ” tra sicurezza pubblica e garanzie individuali. Padova 2002.

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Le indagini bancarie, come le indagini presso tutti gli altri intermediari finanziari, costituiscono, infatti, lo strumento più probante attraverso il quale magistratura e forze di polizia possono attualmente pervenire alla ricostruzione dei proventi illecitamente conseguiti dagli interessati, alla individuazione delle connessioni soggettive intrattenute, nonché al rilevamento dell’ attività occultamente svolta 30.

Negli anni non è sempre stato facile però svolgere questo tipo di indagini, soprattutto nei confronti di coloro i quali pervenivano, nell’ambito delle organizzazioni delinquenziali, all’ acquisizione di posizioni dominanti e, dunque, economicamente più significative.

Tali soggetti, infatti, in passato non hanno intrattenuto rapporti finanziari nominativi, per nascondere i frutti dell’ attività illecita, ma si sono avvalsi di tutte le possibilità di schermatura ed occultamento che l’ordinamento giuridico consentiva di sfruttare; le loro ricchezze erano, quindi, rappresentate da libretti al portatore, da certificati di deposito al portatore, da titoli in gestione fiduciaria, da cassette di sicurezza, nonché da rapporti intestati alla cerchia familiare od a prestanomi incensurati.

Né si può considerare significativo il contributo dato in passato dal sistema bancario e finanziario per l’ evidenziazione della ricchezza nascosta.

Il più delle volte, infatti, le risposte da parte delle banche e degli altri intermediari finanziari, interpellati dalle forze di polizia per l’individuazione della ricchezza dei mafiosi, sono state date prevalentemente, se non esclusivamente, sulla base di evidenze nominative; la ricchezza di provenienza illecita aveva assunto, invece, la

30 Oltre alle banche gli altri intermediari finanziari sono le SIM (Società di Investimento Mobiliare), le SIVAC (Società di Investimento a Capitale Variabile), le SGR (Società di Gestione del Risparmio), gli organismi di investimento collettivo del risparmio, le società assicuratrici, di leasing, di factoring, di credito al consumo, le società fiduciarie, gli agenti di cambio, le Poste italiane, le società finanziarie, eccetera.

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forma di ricchezza al “ portatore ”, di ricchezza anonima, di ricchezza cifrata, vagante senza un apparente titolare, trasferibile attraverso la semplice “ dazione ” ed i cui movimenti erano difficilmente percepibili all’ esterno.

Eppure l’ esperienza delle forze di polizia ha dimostrato come nella maggior parte dei casi i funzionari bancari e dell’ intermediazione finanziaria conoscevano perfettamente la propria clientela, soprattutto quella alla quale risalivano le movimentazioni di spicco.

Tali funzionari svolgevano, infatti, una vera e propria contrattazione con il cliente sull’ entità dell’ interesse da corrispondere ed intrattenevano corrispondenza con la sede centrale, onde ottenere, per iscritto, l’autorizzazione per derogare a determinate disposizioni interne;

compivano, inoltre, ulteriori rilevamenti che testimoniavano della loro completa consapevolezza delle generalità dell’ interlocutore depositante.

Ma una ragione fondamentale per la quale il rilevamento delle disponibilità finanziarie dei mafiosi non ha avuto negli anni molto successo è sicuramente la mancata puntuale attuazione della normativa esistente in materia.

Pur esistendo, infatti, la norma a tutela del segreto bancario di cui all’art.

10 r.d.l. 12 marzo 1936, n. 375, convertito in legge 7 marzo 1938, n.

141, e r.d.l. 17 luglio 1937, n. 1400, convertito in legge 7 aprile 1938, n.

636, le indagini e gli accertamenti dell’ autorità giudiziaria presso le banche è stato sempre in qualche modo autorizzato 31.

31 Il segreto bancario può essere definito come l’ obbligo di discrezione che i rappresentanti e gli impiegati bancari devono garantire agli affari dei clienti dei quali sono venuti a conoscenza esercitando il proprio lavoro.

In Italia, il fondamento giuridico del segreto bancario può essere in realtà rinvenuto in varie disposizioni di legge:

- Art. 47 Cost.: “ La Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme;

disciplina, coordina e controlla l’ esercizio del credito ”; la tutela del segreto bancario

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Già l’ art. 340 c.p.p. del 1930 concedeva, infatti, la possibilità di esaminare documenti ed atti esistenti presso istituti di credito ed autorizzava altresì la perquisizione ed il sequestro.

Il nuovo codice di rito, agli artt. 248 e 255, ha meglio specificato i poteri degli organi competenti ad effettuare tale tipo di indagini, autorizzando anche il vincolo sui titoli, somme e valori pur se non appartenenti all’imputato o non iscritti a suo nome, purché si abbia motivo di ritenere che si tratti di cose pertinenti al reato 32.

Norme speciali hanno, poi, negli anni ampliato i limiti dell’ operatività del segreto bancario 33; sicché può oggi concludersi che, nei confronti

risponde, infatti, a finalità pubbliche di protezione del sistema creditizio e, quindi, dell’

economia nazionale.

- Art. 10 della legge bancaria n. 375/1936: “ Tutte le notizie, le informazioni o i dati riguardanti le aziende di credito sottoposte al controllo dell’ Ispettorato sono tutelati dal segreto d’ ufficio anche nei riguardi delle pubbliche amministrazioni. I funzionari dell’Ispettorato nell’ esercizio delle loro funzioni sono considerati pubblici ufficiali; essi hanno l’ obbligo di riferire esclusivamente al capo dell’ Ispettorato tutte le irregolarità constatate anche quando assumano le vesti di reati. I funzionari e tutti i dipendenti dell’Ispettorato sono vincolati dal segreto d’ ufficio ”; tale disposto normativo è stato ripreso dall’ art. 7 del Testo Unico delle leggi in materia bancaria e creditizia ( D.lgs. 1 settembre 1993, n. 385 );

- Artt. 175, 1337 e 1375 c.c. che, imponendo un obbligo di generale correttezza nella formazione e nello svolgimento dei rapporti giuridici, devono intendersi applicabili a tutti i rapporti contrattuali; in tal senso, i diritti ed i doveri riguardanti la riservatezza altro non sarebbero che la declinazione del principio generale di correttezza del rapporto banca/cliente;

va sottolineato, infatti, come la base legale del segreto bancario è data proprio il diritto civile, precisamente dal legame contrattuale per il quale il banchiere si impegna a rispettare il segreto sulla situazione personale del suo cliente;

- Art. 326 e 622 c.p., con i quali vengono puniti rispettivamente la “ rivelazione ed utilizzazione dei segreti d’ ufficio ” e “ rivelazione di segreto professionale ”, a dimostrazione del fatto che la legge bancaria considera l’ obbligo di discrezione del banchiere come un dovere professionale, la cui violazione è punibile dalla legge.

32 Art. 248 c.p.p. Richiesta di consegna: “ Se attraverso la perquisizione si ricerca una cosa determinata, l’ autorità giudiziaria può invitare a consegnarla. Se la cosa è presentata, non si procede alla perquisizione, salvo che si ritenga utile procedervi per la completezza delle indagini.

Per rintracciare le cose da sottoporre a sequestro o per accertare altre circostanze utili ai fini delle indagini, l’ autorità giudiziaria o gli ufficiali di polizia giudiziaria da questi delegati possono esaminare atti, documenti e corrispondenza presso banche. In caso di rifiuto, l’ autorità giudiziaria procede a perquisizione.

Art. 255 c.p.p. Sequestro presso banche: “ L’ autorità giudiziaria può procedere al sequestro presso banche di documenti, titoli, valori, somme depositate in conto corrente e di ogni altra cosa, anche se contenuti in cassette di sicurezza, quando abbia fondato motivo di ritenere che siano pertinenti al reato, quantunque non appartengano all’ imputato o non siano iscritti al suo nome

”.

33 La prima norma a carattere speciale che ha inciso sostanzialmente sul contenuto del segreto bancario è in ordine di tempo rappresentata dagli artt. 51-bis e 52 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633,

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dell’autorità giudiziaria e delle indagini di polizia, tale segreto in pratica non è più operante, soprattutto dopo l’ emanazione della legge 31 dicembre 1991, n. 413.

L’ art. 20, comma 4, della suddetta legge prevedeva, infatti, l’ obbligo della comunicazione all’ Anagrafe tributaria dei dati identificativi della clientela del sistema bancario e degli intermediari finanziari, in modo da consentire agli organi inquirenti, attraverso l’ interpello della detta Anagrafe, di conoscere presso quale banca o altro intermediario l’indiziato di mafia aveva collocato le proprie disponibilità.

Finalità principale del legislatore del 1991 era, dunque, quella di

“obbligare” gli istituti di credito a comunicare all’ Anagrafe tributaria i nominativi della propria clientela, compresa quella che disponesse di rapporti al portatore.

Si trattava, invero, di una legislazione a carattere fiscale, che mirava a rendere più efficienti gli uffici delle imposte nel loro compito di accertamento tributario; fu, però, salutata con favore anche da parte di coloro che operavano sul fronte della lotta alla mafia, i quali avrebbero potuto finalmente dare attuazione, nell’ambito delle indagini patrimoniali, all’ art. 2-bis, comma 6, della legge n. 575/1965.

I rapporti di conto e di deposito al portatore e l’impossibilità di conoscere presso quale banca od intermediario finanziario il soggetto indiziato detenesse le proprie disponibilità finanziarie costituivano, infatti, l’ ostacolo maggiore che si frapponeva alla lotta alla criminalità organizzata.

modificati dal D.P.R. 15 luglio 1982, n. 463 in materia di accertamenti tributari; seguono gli artt. 33 e 35 D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 e art. 5 D.l. 4 marzo 1976, n. 31 per i reati in materia valutaria.

Va segnalato anche, in riferimento ad altra materia, l’ art. 14 del D.l. 15 dicembre 1979, n. 625, convertito in legge 6 febbraio 1980 n. 25 e art. 11 della legge 29 maggio 1982, n. 304 in tema di misure a difesa dell’ ordinamento costituzionale e della pubblica sicurezza.

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Con l’ entrata in vigore della legge n. 413/1991, dunque, è stata praticamente ribaltata la regola su cui è stato sempre fondato il segreto bancario; oggi i funzionari possono, infatti, effettuare accertamenti nelle aziende di credito per semplici operazioni di verifica e non solo, come avveniva in passato, per trovare conferma a fondati sospetti.

La legge n. 413/1991 ha concesso, inoltre, alla Guardia di Finanza la possibilità di controlli bancari senza necessità di autorizzazione da parte dell’ autorità giudiziaria, ampliando notevolmente i poteri d’ indagine di questo organo.

Purtroppo però l’ art. 20, comma 4, della legge 413/1991 non ha mai trovato una vera e propria attuazione, contribuendo notevolmente al mancato utilizzo e/o al fallimento delle indagini bancarie nel procedimento di prevenzione antimafia.

Lo stesso articolo prevedeva, infatti, che il Ministro del tesoro, di concerto con i Ministri dell’ interno e delle finanze, avrebbe dovuto precisare, con proprio decreto, le modalità di comunicazione di tali dati identificativi all’ Anagrafe tributaria.

Il decreto avrebbe dovuto essere emanato entro sessanta giorni, ma ha visto la luce soltanto nel 2000, con oltre nove anni di ritardo dalla scadenza prevista.

Nel 2000 venne, infatti, approvato il decreto 4 agosto 2000, n. 269 del Ministro del tesoro, di concerto con i Ministri dell’ interno e delle finanze, intitolato “ Regolamento istitutivo dell’ anagrafe dei rapporti di conto e di deposito, previsto dall’ art. 20, comma 4, della legge 30 dicembre 1991, n. 413 ”.

Con tale decreto, il Ministro dell’Interno, il Capo della Polizia quale direttore generale della pubblica sicurezza, i questori ed il direttore della Direzione investigativa antimafia sono stati abilitati a richiedere al centro

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informativo istituito notizie di carattere patrimoniale per le finalità di prevenzione previste da specifiche disposizioni di legge e per l’applicazione delle misure di prevenzione.

Anche il decreto n. 269/2000 non ha, però, mai trovato una vera e propria applicazione.

Successivamente, con l’ art. 37, commi 4 e 5, del D.l. 4 luglio 2006, n.

223, convertito in legge 4 agosto 2006, n. 248, è stato finalmente istituito l’Archivio dei rapporti con operatori finanziari, apposita sezione dell’Anagrafe tributaria, in cui verranno archiviate le comunicazioni fatte dagli operatori finanziari circa l’ esistenza e la natura dei rapporti da essi intrattenuti, con l’ indicazione dei dati anagrafici dei titolari, compreso il codice fiscale.

Un accenno, in tema di misure di prevenzione antiriciclaggio, merita, per altro verso, anche il D.l. 3 maggio 1991, n. 143, con cui sono stati adottati specifici provvedimenti per limitare l’ uso del contante e dei titoli al portatore e per prevenire l’ utilizzazione del sistema finanziario a scopo appunto di riciclaggio.

In particolare, è stato vietato il trasferimento di denaro contante e di titoli al portatore quando il valore da trasferire fosse complessivamente superiore a venti milioni di lire; è stato, inoltre, imposto l’ obbligo agli intermediari finanziari di segnalare all’ Ufficio Italiano Cambi le operazioni per le quali avessero il fondato sospetto che il denaro provenisse da qualunque tipo di delitto non colposo o costituisse comunque il reimpiego di risorse di provenienza illecita, di cui agli artt.

648-bis e 648-ter c.p. 34.

34 Art. 648-bis c.p. Riciclaggio: “ Fuori dai casi di concorso nel reato, chiunque sostituisce o trasferisce denaro, beni o altre utilità provenienti da delitto non colposo; ovvero compie in relazione ad essi altre operazioni, in modo da ostacolare l’ identificazione della loro provenienza delittuosa, è punito con la reclusione da quattro a dodici anni e con la multa da € 1.032 a € 15.493.

(30)

L’ art. 1 del D.lgs. 26 maggio 1997, n. 153, nel sostituire l’ art. 3 del D.l.

n. 143/1991, aveva poi istituito l’ Anagrafe dei conti correnti bancari, con finalità di controllo di tutti i conti ed i depositi postali e bancari superiori appunto a venti milioni e di tutte le operazioni di cambio, leasing, assicurazioni, eccetera.

La richiesta e l’utilizzazione dei dati venivano naturalmente subordinate alla sussistenza delle finalità di prevenzione e dell’ applicazione di misure di prevenzione, nonché di quelle di cui all’ art. 118, comma 1, c.p.p. 35.

Questa materia è stata, infine, riformata ulteriormente dal D.lgs. 21 novembre 2007, n. 231, che ha dato attuazione in Italia alla direttiva 2005/60/CE in materia di prevenzione dell’ utilizzo del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività criminose e di finanziamento del terrorismo, nonché alla direttiva 2006/70/CE che ne reca misure di esecuzione.

Tale normativa sembra puntare soprattutto sulle segnalazioni per operazioni sospette di riciclaggio, derogando ancora una volta al silenzio bancario, laddove all’ art. 9 specifica che “ il segreto non può essere opposto all’ autorità giudiziaria quando le informazioni richieste siano

La pena è aumentata quando il fatto è commesso nell’ esercizio di un’ attività professionale.

La pena è diminuita se il denaro, i beni o le altre attività provengono da delitto per il quale è stabilita la pena della reclusione inferiore nel massimo a cinque anni.

Si applica l’ ultimo comma dell’ art. 648 ”.

Art. 648-ter c.p. Impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita: “ Chiunque, fuori dai casi di concorso nel reato e dei casi previsti dagli articoli 648 e 648-bis, impiega in attività economiche o finanziarie denaro, beni o altre utilità provenienti da delitto, è punito con la reclusione da quattro a dodici anni e con la multa da € 1.032 a € 15.493.

La pena è aumentata quando il fatto è commesso nell’ esercizio di un’ attività professionale.

La pena è diminuita nell’ ipotesi di cui al secondo comma dell’ art. 648.

Si applica l’ ultimo comma dell’ art. 648 ”.

35 Art. 118, comma 1, c.p.p.: “ Il Ministro dell’ Interno, direttamente o a mezzo di un ufficiale di polizia giudiziaria o del personale della Direzione investigative antimafia appositamente delegato, può ottenere dall’ autorità giudiziaria competente, anche in deroga al divieto stabilito dall’ art. 329, copie di atti di procedimenti penali e informazioni scritte sul loro contenuto, ritenute indispensabili per la prevenzione dei delitti per i quali è obbligatorio l’ arresto in flagranza. L’ autorità giudiziaria può trasmettere le copie e le informazioni anche di propria iniziativa ”.

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