Il problema della prova della provenienza illecita dei beni e la sproporzione fra il patrimonio e i redditi legittimamente prodotti.
In base all’ art. 2-ter, comma 2, della legge n. 575/1965, come modificato dall’ art. 3 della legge 27 luglio 1993, n. 256, il tribunale dispone il sequestro dei beni di cui il soggetto indiziato di mafiosità ha la disponibilità diretta o indiretta quando “ il loro valore risulta sproporzionato al reddito dichiarato o all’ attività economica svolta ovvero quando, sulla base di sufficienti indizi, si ha motivo di ritenere che gli stessi siano il frutto di attività illecite o ne costituiscano il reimpiego ”.
L’ accertamento del presupposto che legittima l’ applicazione di una misura patrimoniale, ossia l’ origine illecita del bene del proposto, è, quindi, ancora una volta di natura indiziaria.
La disposizione in esame sottolinea, però, la necessità di una doppia serie di prove, per oggetti diversi. Il legislatore, infatti, separa gli indizi relativi all’ appartenenza del soggetto all’ associazione mafiosa dagli ulteriori indizi concernenti l’ illegittima provenienza dei beni.
Prevedendo l’ eventualità che i beni possano essere sequestrati sulla base di sufficienti indizi, che specificamente dimostrino la loro illegittima provenienza, il legislatore mostra, cioè, di non ritenere adeguati a questo fine i precedenti indizi circa l’ appartenenza del soggetto all’associazione mafiosa.
In linea generale, dunque, la preventiva prova dell’ appartenenza del soggetto all’ associazione, che consente il superamento della “soglia
d’ingresso” all’operatività della legislazione antimafia, non costituisce tuttavia, allo stesso tempo, presupposto sufficiente al sequestro dei suoi beni.
Un problema, a carattere strettamente tecnico, consiste nello stabilire quale sia il livello dal quale si diparte la sproporzione dei beni posseduti rispetto alla redditività del soggetto; quale sia, cioè, la linea di demarcazione che delimita la parte del patrimonio legittimamente posseduta da quella ritenuta d’ illegittima provenienza.
L’ intento perseguito dal legislatore è indubbiamente quello di pervenire ad un’ attendibile, se non addirittura all’ esatta, determinazione dei profitti derivanti dall’ appartenenza del soggetto all’ associazione, onde procedere al loro sequestro ancorché reinvestiti.
Bisogna, però, sempre tener presente che anche il mafioso può disporre di beni lecitamente acquisiti e che solamente quelli provenienti dalle attività illecite possono formare oggetto di sequestro e di successiva confisca.
Partendo, dunque, da una situazione patrimoniale iniziale, datata nel tempo, il reddito derivante dall’ attività economica lecitamente svolta dal soggetto deve spiegare sia l’ incremento patrimoniale constatato a data attuale e sia il tenore di vita, proprio e della famiglia, tenuto nel frattempo 54. L’ insufficienza del reddito, legittimamente prodotto, nel
54 Il panorama delle possibilità accordate agli operatori di polizia nell’ ambito delle indagini patrimoniali è assai vasto e deve comprendere tutte le possibili fonti di reddito e, più in generale, di ricchezza che possono essere ricondotte al soggetto interessato. Indici di un tenore di vita elevato sono, per esempio:
- la disponibilità di immobili, in particolare di abitazioni oltre a quella principale;
- la disponibilità di beni mobili di particolare prestigio anche per l’ onere che deriva dal mantenimento ( aeromobili, navi, natanti, cavalli da corsa, automobili esclusive, etc. );
- la frequentazione di case da gioco o di locali e di luoghi di svago particolarmente costosi;
- l’ acquisto di beni di ingente valore ( quadri d’ autore, oggetti d’ arte in genere o di collezionismo, etc. );
- l’ elargizione di ingenti somme o altre utilità a familiari o a persone contigue;
- la disponibilità di servitù;
dare siffatta spiegazione, delimita evidentemente le ulteriori quantità di risorse finanziarie, d’ illecita provenienza, di cui il soggetto ha potuto disporre 55.
Il livello dal quale si diparte la sproporzione dei beni posseduti, rispetto alla redditività del soggetto, non è però semplicemente dato dal confronto aritmetico fra patrimonio complessivo e reddito prodotto, ma fra incrementi patrimoniali più reddito consumato, da una parte, e reddito legittimamente prodotto, dall’ altra, il tutto riferito ad un lasso di tempo, che ha un inizio ben determinato e termina a data corrente.
Altro problema, a carattere più intensamente interpretativo, attiene poi all’ adeguatezza del parametro adottato, la sproporzione tra patrimonio posseduto e capacità reddituale appunto, nel provare la provenienza illecita dei beni, ai fini dell’ applicazione della misura di prevenzione patrimoniale.
- il possesso o la disponibilità di riserve di caccia;
- la titolarità di imprese o la partecipazione ad esse, nonché la titolarità di licenze, autorizzazioni, concessioni eventualmente connesse;
- la fruizione di contributi e di mutui agevolati concessi sia dallo Stato, sia dall’
Unione Europea;
- le eventuali quote di partecipazione a società o ad iniziative di carattere finanziario.
55 Per meglio spiegare il meccanismo voluto dal legislatore, NANULA G., La lotta alla mafia, cit., ha fatto un esempio pratico, facendo riferimento ad “ un soggetto, già indiziato di appartenenza ad una cosca mafiosa specializzata in furti d’auto, il quale svolga ufficialmente l’ attività di rivenditore di autovetture usate; tale soggetto:
- nel 2004 possedeva un appartamento ed un conto corrente bancario di € 100.000;
- nel 2009 possiede, oltre all’ originario appartamento, altri tre immobili, acquistati al prezzo complessivo di € 800.000, titoli di Stato per € 250.000, un conto corrente bancario per
€ 150.000;
- il tenore di vita proprio e della famiglia ha comportato una spesa media annuale di € 120.000;
- il reddito medio annuale, legittimamente prodotto dalla sua attività di rivenditore di autovetture usate, è stato di € 150.000.
Evidentemente, nei cinque anni, il nostro soggetto ha potuto disporre di risorse finanziarie per € 600.000, relativi al tenore di vita, e per € 1.100.000 relativi all’ incremento patrimoniale complessivo, per un totale di € 1.700.000; a fronte di un reddito legittimamente prodotto per € 750.000: deriva pertanto che il soggetto, avvalendosi della forza d’ intimidazione della cosca alla quale apparteneva e della condizione di assoggettamento dell’ ambiente, ha realizzato altre entrate nette per ulteriori € 950.000, verosimilmente vendendo autovetture rubate, procurategli dalla cosca.
In tale situazione, il tribunale dovrà procedere al sequestro di beni per un complessivo valore di € 950.000, ch potranno essere costituiti dai tre appartamenti, di € 800.000 e dai fondi sul conto corrente bancario, di € 150.000.
La circostanza secondo cui il valore dei beni posseduti “ risulta sproporzionato al reddito dichiarato o all’ attività economica svolta ”, infatti, di per sé prova soltanto che il soggetto investe più di quanto ufficialmente guadagni; tale situazione, poi, può derivare anche solo dal fatto che il soggetto si procuri il resto della provvista mediante la contrazione di debiti o, al massimo, dal fatto che lo stesso non dichiari tutti i suoi redditi essendo un evasore fiscale.
Per questo motivo, nel testo originario del secondo comma dell’ art. 2-ter della legge n. 575/1965 la notevole sproporzione tra il tenore di vita e l’entità dei redditi apparenti o dichiarati era considerata solo “ come ” uno di quei sufficienti indizi dal cui complesso desumere l’ origine illecita dei beni del prevenuto 56.
Una parte della dottrina e della giurisprudenza, tuttavia, contrariamente al tenore letterale della norma, era dell’ avviso che ai fini del sequestro e della confisca, il requisito della notevole sproporzione rappresentasse un elemento indiziario sufficiente sul quale fondare il giudizio di pericolosità dei beni, e che, pertanto, non fosse necessario il suo inserimento in un contesto indiziario più ampio 57.
L’ art. 3 della legge n. 256/1993, modificando tale norma, ha comunque trasformato la sproporzione da elemento esemplificativo degli indizi in vero e proprio presupposto probatorio alternativo e sufficiente a far presumere la provenienza illecita dei beni nella disponibilità
56 Il testo originario dell’ art. 2-ter, comma 2, introdotto dalla legge n. 646/1982, recitava che il tribunale dispone “ con decreto motivato il sequestro dei beni dei quali la persona nei confronti della quale è stato iniziato il procedimento risulta poter disporre, direttamente od indirettamente, e che sulla base di sufficienti indizi, come la notevole sperequazione fra il tenore di vita e l’ entità dei redditi apparenti e dichiarati, si ha motivo di ritenere siano il frutto di attività illecite o ne costituiscano il reimpiego ”.
57 SIRACUSANO D., in commento a L. 13/9/1982 n. 646: “ Disposizioni in materia di misure di prevenzione di carattere patrimoniale ed integrazioni alle leggi 27/12/1956 n. 1423, 10/2/1962 n.
57 e 31/5/1965 n. 575. Istituzione di una commissione parlamentare sul fenomeno della mafia, in Legislaz. pen., 1983.
dell’indiziato, anche in assenza del supporto di ulteriori elementi probatori.
Secondo l’ opinione di alcuni, ciò che conferirebbe a tale dato di fatto quella rilevanza probatoria idonea a legittimare la misura di prevenzione sarebbe proprio il collegamento tra questo ed il contesto indiziario, circa l’ appartenenza dell’ indiziato ad un’ associazione di tipo mafioso, in cui lo stesso verrebbe ad inserirsi 58. Considerando, infatti, che lo scopo principale delle organizzazioni mafiose è quello di realizzare “ profitti o vantaggi ingiusti ”, la disponibilità da parte del soggetto indiziato di appartenere ad un’ organizzazione mafiosa di beni di valore sproporzionato alle proprie capacità di produrre lecitamente reddito lascerebbe presumere che, nei limiti di tale sperequazione, questi siano stati acquisiti attraverso quelle attività delinquenziali nelle quali si risolve il vincolo associativo 59.
Si è osservato, però, che un giudizio fondato esclusivamente su tale unico elemento indiziario non consentirebbe il raggiungimento di quella soglia minima di prova idonea a giustificare l’adozione della misura di prevenzione patrimoniale 60; condurrebbe, inoltre, all’ elusione del limite posto dalla normativa in esame, rappresentato dalla necessità che l’indagine, in merito alla provenienza illecita dei beni, si svolga per ogni singolo cespite e non complessivamente sull’ intero patrimonio del prevenuto 61.
58 SICLARI B., Strutture e norme contro la mafia, Roma, 1995
59 Cass. pen., Sez. V, 28 novembre 1996, Brodella, in Foro it., Rep. 1997, voce Misure di prevenzione, n. 97
60 MAUGERI A.M., Le moderne sanzioni patrimoniali tra funzionalità e garantismo, Milano, 2001, la quale rileva che il dato della sproporzione, per quanto possa assumere una valenza probatoria maggiore quando riferito ad un soggetto indiziato per fatti di mafia, restando troppo equivoco, dovrebbe, invece, “ essere supportato da ulteriori elementi indiziari ” e non “ dal mero status di mafioso ”, anch’ esso fondato su indizi.
61 Cass. pen., sez. I, 18 maggio 1992, Vincenzi, in Cass.pen., 1993; Cass. pen., sez. V, 28 marzo 2002, n. 23041, Ferrara ed altri, in Cass. pen., 2003; Cass. pen., sez. I, 21 aprile 1999, Corria, in Foro it., Rep. 1999, voce Misure di prevenzione, n. 104; Cass. pen., sez. I, 20 novembre 1998,
Infatti, il criterio della sproporzione, se valutato staticamente sulla base del “ raffronto globale tra il patrimonio ed il reddito formalmente disponibile ” al momento dell’ applicazione della misura, si risolverebbe nell’ “ indiscriminato cumulo dei beni ” del prevenuto, di per sé inidoneo all’ accertamento dell’ origine illecita di ciascuno di essi 62.
Pertanto, anche a voler ritenere che la sproporzione sia elemento indiziario sufficiente ai fini dell’ adozione del provvedimento reale, sarebbe comunque, necessario che l’ indagine circa la provenienza illecita dei beni del prevenuto vada compiuta separatamente per ognuno di essi, non potendo l’ indagine essere limitata all’ individuazione di quella porzione di patrimonio, complessivamente inteso, di cui costui non ne giustifichi l’ origine lecita 63. Solo così, infatti, si raggiungerebbe una sufficiente certezza su quale siano, all’ interno del patrimonio del proposto, i beni di effettiva provenienza illecita sui quali operare il sequestro e la confisca 64.
Iorio, in Cass. pen., 1999; Cass. pen., sez. VI, 13 marzo 1997, Mannolo, in Foro it., Rep. 1997, voce Misure di prevenzione, n. 104; Cass. pen., sez. I, 21 gennaio 1991, Piromalli, in Giur. it., 1992; Cass.
pen., 9 maggio 1988, Raffa, in Cass. pen., 1989.
62 Cass. pen., sez. VI, 13 marzo 1997, Mannolo, in Foro it., Rep. 1997, voce Misure di prevenzione, n. 104, ove si legge che “ ai fini dell’ individuazione dell’ oggetto del sequestro in caso dell’applicazione delle misure di prevenzione patrimoniali, non è sufficiente un raffronto globale tra il patrimonio ed il reddito formalmente disponibile, ma è necessario accertare l’ illecita provenienza di ogni singolo bene inserito nel patrimonio comparando, al momento dell’ acquisizione, il reddito ufficialmente disponibile con l’ incremento patrimoniale determinato dall’ acquisto del bene ”.
Cass. pen., sez. I, 18 maggio 1992, Vincenti, in Cass. pen., 1993.
63 FILIPPI L., Il procedimento di prevenzione patrimoniale, cit.
64 Cass. pen., sez. VI, 13 maggio 1997, Mannolo, in Foro it., Rep. 1997, voce Misure di prevenzione, n. 104: “ ai fini dell’accertamento della provenienza dei beni del proposto occorre o che tale sproporzione sia riferibile ad ogni singolo bene ovvero che sia supportata da ulteriori elementi probatori direttamente afferenti a ciascun cespite. Soltanto così, infatti, si potrebbe sostituire ad un dato generico ed insufficiente, rappresentato dalla quota ideale dell’ intero patrimonio del prevenuto che si presume di illecita provenienza ( in quanto non giustificato da fonti lecite di guadagno ), un dato specifico attinente ai singoli beni, in guisa da consentire la cernita, sull’ intero patrimonio dell’indiziato, di quelli che effettivamente possono ritenersi – beninteso, nei limiti del livello di prova che connota questo tipo di accertamento – di origine illecita ”; Cass. pen., 9 maggio 1988, Raffa, in Cass. pen., 1989, la cui massima recita testualmente che “ l’ accertamento dell’ illecita provenienza va compiuto in relazione a ciascun bene suscettibile della misura patrimoniale e non all’ intero patrimonio ( nella specie si è ritenuto insufficientemente motivato il decreto con cui il giudice di merito, nel rilievo che vi fosse sproporzione tra redditi e patrimonio della persona sottoposta alla misura di prevenzione, aveva disposto la confisca di tutti i suoi beni ) ”.
Secondo la giurisprudenza di legittimità, inoltre, l’ indagine circa l’illiceità dei beni non deve limitarsi all’ originario titolo di acquisto del bene al patrimonio del prevenuto, ma deve spingersi sino alla verifica della liceità o illiceità degli eventuali incrementi di valore dello stesso;
tali incrementi potrebbero, infatti, essere stati realizzati anche attraverso il reimpiego dei proventi dell’ attività delinquenziale. Pertanto, nelle ipotesi in cui su di un bene acquisito originariamente in maniera lecita risultino essere stati eseguiti “ addizioni, accrescimenti, trasformazioni o miglioramenti mediante l’ utilizzo di denaro proveniente da fonte sospetta di illiceità penale, il provvedimento ablatorio, in ossequio al precetto costituzionale di cui all’ art. 42 Cost., non può coinvolgere il bene nel suo complesso, ma deve essere limitato al valore del bene medesimo proporzionato al reimpiego in esso effettuato dei profitti illeciti o, comunque, ingiustificati. In siffatti casi la confisca avrà ad oggetto solamente la quota ideale del bene, rapportata al maggior valore assunto per effetto del reimpiego e valutata al momento della confisca medesima ” 65.
Naturalmente, la prova che i beni siano il frutto di attività illecite incombe all’ accusa, che deve consentire al tribunale di fornire al riguardo un’ adeguata motivazione nel decreto di sequestro.
Oggi è pacifico l’ assunto secondo cui tale circostanza risponde alle normali regole processuali, secondo il principio di presunzione di innocenza, affermato dal capoverso dell’ art. 27 Cost.; in passato, però, il tema dell’ onere della prova circa la provenienza illecita dei beni è stato oggetto di accese discussioni fra gli operatori del diritto.
65 Cass. pen., sez. VI, 2 marzo 1999, Morabito, in Foro it., Rep. 2000, voce Misure di prevenzione, n. 92; Cass. pen., sez. VI, 13 marzo 1997, Mannolo, cit.; Cass. pen., sez. VI, 24 gennaio 1995, Laudani, in Giust. pen., 1997, III.
Ad una prima lettura dei commi 3 e 4 dell’ art. 2-ter della legge n.
575/1965 è sembrato ad alcuni che il legislatore avesse introdotto un’inversione dell’ onere della prova, ponendo ad esclusivo carico dell’indiziato l’onere di superare la presunzione dell’ illegittima provenienza dei propri beni. Tale norma prevede, infatti, che il tribunale revochi il sequestro solamente quando la proposta di applicazione della misura personale sia stata respinta o quando sia stata fornita la prova della provenienza lecita dei beni o dell’ indisponibilità di questi da parte del prevenuto ( comma 4 ); altrimenti, nel caso in cui la misura personale sia stata adottata e l’ interessato non abbia dimostrato l’ assenza di uno dei due presupposti, della provenienza illecita e della disponibilità, il tribunale dispone la confisca dei beni sequestrati ( comma 3 ).
L’ eventuale introduzione dell’ inversione dell’ onere della prova nella materia in esame sarebbe, però, per la giurisprudenza maggioritaria, costituzionalmente illegittima, in particolare, perché comporterebbe la violazione non solo del principio costituzionale di presunzione di non colpevolezza, di cui all’ art. 27, comma 2, Cost., ma anche di quello del diritto al silenzio che, pur sempre, rappresenta una manifestazione del diritto di difesa di cui all’ art. 24, comma 2, Cost. 66.
La stessa ha, quindi, proposto un’ interpretazione diversa dell’ art. 2-ter in esame, che escluderebbe la paventata inversione dell’ onere della prova. Tale nuova lettura si basa sul collegamento delle disposizioni contenute nel terzo e quarto comma dell’ art. 2-ter con quella di cui al
66 Cass. pen., 10 marzo 1986, Mazzagatti, in Foro it., Rep. 1987, voce Misure di prevenzione, n. 109; Cass. pen., sez. I, 21 gennaio 1991, Piromalli, in Giur. it., 1992, II.
In dottrina, tra gli altri, MAUGERI A.M., Le moderne sanzioni patrimoniali tra funzionalità e garantismo, cit., la quale sostiene che “ si viola così non solo la presunzione di non colpevolezza, ma anche il diritto dell’ imputato alla difesa, art. 24 comma 2 Cost. e art. 6 n. 3 Convenzione europea dei diritti dell’ uomo, e in particolare il diritto di difendersi attraverso il silenzio, in quanto l’ imputato sarà costretto ad abbandonare ogni comportamento processuale passivo ( che normalmente l’ordinamento garantisce attraverso il diritto di difendersi anche con il silenzio ) ”.
secondo comma del medesimo articolo 67; “ sicché, pur essendo stata data all’interessato la facoltà di contrapporre agli indizi raccolti dal giudice elementi che ne contrastino la portata ed elidano l’ efficacia probatoria degli elementi indizianti offerti dall’ accusa, tuttavia rimane intatto l’ obbligo del giudice di individuare ed evidenziare gli elementi da cui risulta che determinati beni formalmente intestati a terze persone, siano in realtà nella disponibilità del proposto o che il loro valore sia sproporzionato al reddito dichiarato o all’ attività economica svolta, e raccogliere sufficienti indizi che i predetti beni siano il frutto di attività illecite o ne costituiscano il reimpiego ” 68.
L’ inversione dell’ onere della prova è escluso, dunque, proprio dal fatto che ai fini del sequestro l’ organo dell’ accusa non sarebbe esonerato dalla ricerca degli elementi probatori, i “ sufficienti indizi ”, dai quali desumere l’ illegittima provenienza dei beni. Per potersi parlare di inversione dell’ onere della prova sarebbe, dunque, necessaria l’esistenza di “ un sistema di presunzioni che affrancasse l’ accusa dall’ onere di ricercare ed offrire elementi, seppure indiziari, sulla illecita provenienza dei beni dell’inquisito ” 69.
67 Cass. pen., sez. I, 26 novembre 1998, Bommarino, in Foro it., Rep. 1999, voce Misure di prevenzione, n. 79, nella quale la Corte precisa che l’ art. 2-ter, comma 3 “ non prevede un’ inversione dell’ onere della prova in tema di legittima provenienza dei beni sequestrati al soggetto indiziato di appartenere a sodalizio mafioso, ma va letta in coordinazione con quella di cui al 2° comma ”.
68 Cass. pen., 26 novembre 1998, n. 5897.
69 VINCENTI C., Problemi probatori, diritti dei terzi, rapporti tra confisca e fallimento, in FIANDACA G. - COSTANTINO S., La legge antimafia tre anni dopo: bilanci di un’ esperienza applicativa, Milano, 1986, il quale escludendo l’ inversione dell’ onere della prova, osserva, tuttavia, che se, per un verso, devono sussistere gli “ indizi ” perché il tribunale possa disporre il sequestro, per l’ altro, ai fini del provvedimento di dissequestro è necessaria l’ acquisizione di “ prove ”.
La medesima osservazione, sebbene in chiave dubitativa, è fatta anche da VIRGA G., Il sequestro, la confisca e la tutela dei diritti dei terzi nel quadro della legge n. 646/1982 sulla prevenzione del fenomeno mafioso, in Economia e credito, 1983, il quale sottolinea quanto singolare sia il fatto “ che la legge, mentre prima ritiene sufficiente che il magistrato procedente, per poter disporre il sequestro, abbia il mero sospetto che i beni siano di provenienza illecita, pretende poi che per evitare la misura della confisca siano fornite prove circa la legittima provenienza dei beni ”.
Tali elementi indiziari, posti a fondamento della misura cautelare, andrebbero poi valutati alla luce delle allegazioni difensive, nonché degli ulteriori ed eventuali elementi probatori favorevoli all’ indiziato, acquisiti dall’ accusa in un momento successivo a quello del sequestro.
La Corte di Cassazione ha, infatti, parlato di un “ onere di allegazione ”, imposto al prevenuto solamente al fine di contrastare le allegazioni dell’accusa. Il giudice di legittimità ha, così, affermato che “ una volta accertata in modo concreto e valido la sussistenza di indizi della provenienza illecita dei beni, spetta all’ indiziato l’ onere di allegare degli elementi probatori idonei a sminuire o elidere l’ efficacia
La Corte di Cassazione ha, infatti, parlato di un “ onere di allegazione ”, imposto al prevenuto solamente al fine di contrastare le allegazioni dell’accusa. Il giudice di legittimità ha, così, affermato che “ una volta accertata in modo concreto e valido la sussistenza di indizi della provenienza illecita dei beni, spetta all’ indiziato l’ onere di allegare degli elementi probatori idonei a sminuire o elidere l’ efficacia