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Consumi, investimenti energetici ed emissioni nel post-pandemia. Il processo di decarbonizzazione in Italia e il ruolo delle Energy Companies

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Academic year: 2022

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per

Aspen Institute Italia

con il contributo di

Shell Italia

e con il sostegno di

ENEA

Piazza Navona, 114 00186 - Roma Tel: +39 06 45.46.891 Via Vincenzo Monti, 12 20123 - Milano Tel: +39 02 99.96.131 www.aspeninstitute.it

Consumi, investimenti energetici ed emissioni nel post-pandemia.

Il processo di decarbonizzazione in Italia e il ruolo delle

Energy Companies

Ricerca

Interesse Nazionale Novembre 2021

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© Aspen Institute Italia | Interesse nazionale | Consumi, investimenti energetici ed emissioni nel post-pandemia 2

CONSUMI, INVESTIMENTI ENERGETICI ED EMISSIONI NEL POST-PANDEMIA. IL PROCESSO DI DECARBONIZZAZIONE IN ITALIA E

IL RUOLO DELLE ENERGY COMPANIES

Con il contributo di Shell Italia e con il sostegno di ENEA

CON I CONTRIBUTI DI

MARCO SANTORO (A CURA DI),DAVIDE BOVIO,VALERIA CONTINO,FRANCESCO GRACCEVA, GIAMBATTISTA GUIDI,ANTUEL JIMENEZ,FEDERICA PORCELLANA,BENEDETTA SEBASTIANI

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I

NDICE

I. ANDAMENTI MACROECONOMICI MONDIALI (CONSUMI ENERGETICI, EMISSIONI ED INVESTIMENTI) NEL 2020 E 2021.COME LA PANDEMIA HA INFLUENZATO IL PERCORSO VERSO IL RAGGIUNGIMENTO DEGLI OBIETTIVI DI PARIGI.

I.1.FOCUS 2020– ANNO DI SVILUPPO DELLA PANDEMIA

I.2.FOCUS 2021– ANNO DI RIPRESA DALLA PANDEMIA

I.3. LA RIPRESA DEGLI INVESTIMENTI DOPO LO SHOCK PANDEMICO FENOMENO STRUTTURALE O ESTEMPORANEO?

I.4.COME LEGGERE I DATI DEL 2020 E 2021 RISPETTO AGLI OBIETTIVI DI PARIGI

I.5. COME INTERPRETARE LAUMENTO DEI PREZZI DELLE COMMODITIES NEL 2021

RISPETTO AL PROCESSO DI TRANSIZIONE ENERGETICA

II. LE EMISSIONI GLOBALI IN NUMERI E LA DIFFICOLTÀ DEI PROCESSI DI DECARBONIZZAZIONE, SETTORE PER SETTORE: IL RUOLO DELLE ENERGY COMPANIES.

II.1.INTRODUZIONE

II.2.LE EMISSIONI IN NUMERI

II.3.I PROCESSI EMISSIVI E LE DIFFICOLTÀ PER RIDURRE LE EMISSIONI

II.4.LE POSSIBILI SOLUZIONI PER LA RIDUZIONE DELLE EMISSIONI E LORO COSTI

II.5. LE POSSIBILI SOLUZIONI PER LA RIDUZIONE DELLE EMISSIONI E LE VARIABILI GEOGRAFICHE ED ELETTRICHE

II.6. LE POSSIBILI SOLUZIONI PER SETTORE

II.7. IL RUOLO DELLE ENERGY COMPANIES

III. IL PROCESSO DI DECARBONIZZAZIONE IN ITALIA

INTRODUZIONE

III.1.LA DECARBONIZZAZIONE NEL PIANO NAZIONALE INTEGRATO PER L’ENERGIA E IL CLIMA (PNIEC)

III.2.LA DECARBONIZZAZIONE NEL PIANO NAZIONALE DI RIPRESA E RESILIENZA (PNRR) III.3.LA DECARBONIZZAZIONE NELLA STRATEGIA ITALIANA DI LUNGO TERMINE

III.4. EMISSIONI DI GAS SERRA NAZIONALI

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III.5. DECARBONIZZAZIONE DEI SETTORI HARD TO ABATE

III.5.1. INNOVAZIONI PER DECARBONIZZARE I SETTORI HARD TO ABATE” Acciaio

Vetro Cemento

III.5.2. Decarbonizzazione del settore trasporti III.5.2.1.Decarbonizzare il trasporto marittimo e aereo

III.5.3. LA DECARBONIZZAZIONE NEL PIANO PER LA TRANSIZIONE ECOLOGICA

III.5.4. LE LEVE ECONOMICHE PER LATTUAZIONE DEL PIANO

III.6TENDENZE RECENTI DEL SISTEMA ENERGETICO ITALIANO E STATO DELLA TRANSIZIONE

III.6.1. EVOLUZIONE DEL SISTEMA ENERGETICO ITALIANO NEL 2021

III..6.2.UNA VALUTAZIONE DELLO STATO DELLA TRANSIZIONE ENERGETICA ITALIANA

III.6.3. STATO DELLA DECARBONIZZAZIONE

III.7. REALIZZABILITÀ E COSTI DEGLI OBIETTIVI CLIMATICI DI MEDIO E LUNGO PERIODO IN ITALIA

BOX:Valutazione delle tecnologie energetiche e strategie di mitigazione cost-effective III.7.1.UNA STIMA DELLE PROSPETTIVE DI RIDUZIONE DELLE EMISSIONI IN ITALIA AL 2030 III.7.2.UNA STIMA DELLE PROSPETTIVE DI RIDUZIONE DELLE EMISSIONI IN ITALIA AL 2050

Per Aspen Institute Italia: Simonetta Savona, cura e revisione Ricerca.

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CAPITOLO I.

ANDAMENTI MACROECONOMICI MONDIALI (CONSUMI ENERGETICI, EMISSIONI ED INVESTIMENTI) NEL 2020 E 2021.COME LA PANDEMIA HA INFLUENZATO IL PERCORSO VERSO IL RAGGIUNGIMENTO DEGLI OBIETTIVI DI PARIGI.

I.1.FOCUS 2020– ANNO DI SVILUPPO DELLA PANDEMIA

Il 2020 è stato segnato dal propagarsi della pandemia CoViD-19 e dai suoi devastanti effetti sulla nostra vita quotidiana. Anzitutto, la pandemia è stata una catastrofe umanitaria con più di 4,5 milioni di morti - secondo le stime ufficiali aggiornate a settembre 2021 - e destinate purtroppo a salire ancora nello scorcio dell’anno e oltre.

In seconda analisi, la pandemia e le azioni intraprese per limitarne gli effetti hanno portato alla più grande recessione dell’epoca moderna (seconda solo alle guerre mondiali) e hanno acuito le differenze economico-sociali tra le economie solide e i paesi in via di sviluppo. La pandemia e le conseguenti turbolenze economiche si sono poi chiaramente riversate in una volatilità e una incertezza senza pari nei mercati globali dell'energia.

Se ci si focalizza sui dati consuntivi del 2020, si stima che la domanda globale di energia sia diminuita del 4%, il dato più alto dal secondo dopoguerra, a fronte di un decremento del

GDP del 3,5% e di un decremento delle emissioni di CO2 in atmosfera (da utilizzo di energia) del 6,3%, confermando ancora una volta la stretta correlazione tra crescita economica, consumi energetici ed emissioni di CO2 (fig.1). In particolare, le emissioni di CO2 sono diminuite di 2Gt, ritornando così ai livelli del 2011. Anche l’intensità delle emissioni (CO2 emessa per unità di energia prodotta) si è ridotta dell’1,8% facendo registrare la più significativa riduzione del dopoguerra.1

Figura 1 – Trend storico domanda/consumi energetici ed emissioni.

1BP, Statistical Review of World Energy 2021.

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A trainare il calo dei consumi energetici sono stati sicuramente i lockdown imposti in tutto il mondo durante la prima (primavera 2020) e la seconda ondata pandemica (autunno 2020,) che hanno causato una sostanziale contrazione di domanda di petrolio (-9,3%, -9,1 million b/d) che ha raggiunto i livelli del 2011 e ha inciso per tre quarti sul calo della domanda complessiva di energia (fig.2). La domanda di petrolio è diminuita maggiormente negli Stati Uniti (-2,3 milioni di b/d), nell'UE (-1,5 milioni di b/d) e India (-480.000 b/d), con la Cina che è stato l’unico paese in cui consumi sono aumentati (220.000 b/d).

La produzione globale di petrolio si è ridotta di 6,6 milioni di b/d, con i paesi dell'OPEC che hanno causato i due terzi del declino.

La contrazione della domanda di petrolio è ancora più sorprendente se la si paragona alla contrazione attesa, che si attestava su valori tra il 3% e il 4%. A determinare una contrazione più che doppia rispetto alle attese sono state le riduzioni di consumi di jet fuel e kerosene (- 40%) e benzina (-13%) causati dai lockdown, imposti dai governi durante le ondate pandemiche e che si sono chiaramente riversati sull’industria dei trasporti.

L’impatto sui consumi di gas è stato meno rilevante, mostrando una maggiore resilienza del gas naturale: il consumo di gas naturale si è ridotto del 2,3% vs. 2019 (81 miliardi di metri cubi), registrando un decremento simile a quello avuto nel 2009 a seguito della crisi finanziaria. Il declino di domanda di gas è stato guidato dalla Russia (-33 miliardi di metri cubi) e dagli Stati Uniti (-17 miliardi) con la Cina (22 bcm, +7%) e l’Iran (10 bcm) che hanno fatto registrare gli incrementi più significativi.

Nonostante la contrazione della domanda, la quota del gas naturale nell’energy mix mondiale è aumentata, raggiungendo il livello del 24,7% (fig.3).

Il consumo di carbone è diminuito del 6,2 exajoules (EJ), pari al 4,2%, con Stati Uniti (-2,1 EJ) e India (-1,1 EJ) a farla da padrone. Il calo del consumo di carbone dell'OCSE ha raggiunto il livello più basso della nostra serie di dati fino al 1965. Cina e Malesia sono state notevoli eccezioni, aumentando il loro consumo rispettivamente di 0,5 EJ e 0,2 EJ.

Il consumo di energia da fonti rinnovabili (compresi i biocarburanti, ma escluso l'idroelettrico) è aumentato del 9,7%, registrando un incremento più basso della media degli ultimi dieci anni in termini percentuali (13,4%), ma allineato alla media del 2017-2019 in termini assoluti (2,9 EJ).

Se il consumo di energia da fonti rinnovabili è aumentato meno degli anni precedenti, la capacità eolica e solare installata è aumentata complessivamente di 238 GW (capacità colare per 127 GW e quella eolica per 111 GW), facendo registrare un incremento del 50% maggiore di qualsiasi altro incremento annuale registrato in precedenza.

La Cina è stata il principale contributore individuale alla crescita delle energie rinnovabili (1,0 EJ), seguito dagli Stati Uniti (0,4 EJ). L'Europa ha contribuito con 0,7 EJ. L'energia idroelettrica è cresciuta dell'1,0%, sempre guidata dalla Cina (0,4 EJ), mentre l'energia nucleare è diminuita del 4,1%, trainata principalmente dai cali in Francia (-0,4 EJ), Stati Uniti (-0,2 EJ) e Giappone (-0,2 EJ)2.

2BP, Statistical Review of World Energy.

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Figura 2 – Consumi energetici per fonte energetica.

Figura 3 – Contributo delle singole fonti ai consumi energetici 2019 e 2020.

È sicuramente importante rilevare come il consumo di elettricità abbia evidenziato il più piccolo decremento tra le varie componenti della domanda energetica, registrando un -0,9% nel 2020: il calo della domanda di energia nell'industria ed edifici commerciali è stato parzialmente compensato dall'aumento dell'uso domestico da parte di lavoratori e famiglie in smart- working/lockdown. Nonostante il calo della domanda complessiva di elettricità, la generazione da fonti rinnovabili (eolica, solare, bioenergia ed energia geotermica, esclusa l'energia idroelettrica) ha registrato il suo aumento più grande di sempre (358 TWh). Tale crescita è stata trainata da forti aumenti sia nella generazione eolica (173 TWh) che solare (148 TWh)3.

Il ricordato sostenuto aumento della generazione rinnovabile è chiaramente fondamentale per raggiungere gli obiettivi climatici e di decarbonizzazione sanciti nella Conferenza di Parigi, però non risulta sufficiente se si considera che il "più che raddoppio" della generazione eolica e solare dei passati cinque anni non ha intaccato più di tanto il ruolo ricoperto dal carbone: il livello di produzione di carbone nel 2020 è rimasto sostanzialmente invariato rispetto al 2015

3BP, Statistical Review of World Energy 2021.

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e la contrazione di domanda del 2020 ha semplicemente compensato gli aumenti degli ultimi anni.

Per traguardare una riduzione sostanziale del carbone nella produzione di energia sarà necessario garantire ai paesi in via di sviluppo non solo un forte impulso allo sviluppo delle rinnovabili, ma anche un considerevole incremento della produzione di gas naturale, risorsa questa fondamentale per soddisfare il fabbisogno energetico e allo stesso tempo ridurre le emissioni di CO2 in atmosfera.

In conclusione, il Coronavirus ha inciso sulla riduzione dei consumi e sul cambio dell’energy mix (meno domanda di petrolio e maggiore uso di elettricità da fonti rinnovabili), causando una riduzione di emissioni di CO2 che non si verificava dal dopoguerra, ma anche il progressivo crescente utilizzo di fonti rinnovabili, che di certo è un trend positivo. Ciò nonostante, come si evincerà alla fine del capitolo, sembra che gli effetti di tale pandemia siano le cause contingenti, che hanno determinato la riduzione delle emissioni nel 2020 e che cambiamenti più strutturali, soprattutto nell’ambito dell’efficienza energetica e del più diffuso accesso a fonti energetiche saranno necessari.

Per comprendere a pieno quanta strada sia da fare, basti pensare che sarebbe necessario far registrare lo stesso decremento di emissioni del 2020 (anno di pandemia) per i prossimi 30 anni4 per raggiungere gli obiettivi di Parigi.

I.2FOCUS 2021– ANNO DI RIPRESA DALLA PANDEMIA

Seppur i dati definitivi relativi al 2021 non siano sinora disponibili, si cerca qui di analizzare i trend basati sui dati consuntivi a oggi consultabili. Si parta dalla situazione economica generale: sebbene nel 2021 tutti i paesi abbiano fatto fronte alla coda della seconda ondata della pandemia da CoViD-19 e alle sinora terza e quarta ondata, la diffusione dei vaccini ha dato un forte impulso alla ripresa economica con il progressivo allentamento delle misure restrittive da parte di tutti i governi a partire dalla seconda metà del secondo trimestre.

Dopo una decrescita del PIL mondiale del 3.5% nel 2020, si stima una crescita del 6% nel 2021, raggiungendo così livelli di ricchezza più alti del 2019.

Il recupero non è tuttavia uniforme in tutte le regioni del mondo: gli Stati Uniti (grazie soprattutto alla politica vaccinale), la Cina (grazie al maggior contenimento del virus dopo la prima ondata e alla ripresa degli scambi commerciali) e l’India (ripresa della produzione industriale sul finire del 2020) hanno tirato la volata della ripresa. La crescita del GDP ha chiaramente trainato l’aumentata domanda energetica che si stima cresca di circa il 4%, raggiungendo i livelli prepandemia del 2019 (fig.4)5.

4BP, Statistical Review of World Energy 2021.

5 IEA, World Energy Outlook 2021.

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Figura 4 – Evoluzione del PIL, dell’energy supply (TES=Total Energy Supply) e delle emissioni nel biennio 2019-2021.

Tra le varie fonti energetiche, il petrolio non è tornato ai livelli del 2019 e questo è stato in prevalenza determinato dal petrolio utilizzato per trasporto su strada, che si prevede raggiungerà i livelli prepandemia solo ad inizio 2022 e dal petrolio utilizzato per l’aviazione, che si prevede attestarsi su un -30% verso il 2019. Un pieno ritorno della domanda di petrolio ai livelli del 2019 avrebbe determinato un superamento del livello di emissioni del 2019: al contrario l’aumento della domanda di combustibili fossili ha sì determinato il secondo più significativo aumento di emissioni di sempre, però non ha causato un incremento delle emissioni rispetto ai livelli pre-crisi del 2019 (ci si aspetta che il livello totale di emissioni si attesti tra il -1 e -2% rispetto al 2019).

Tra i combustibili fossili, il carbone procede verso un aumento del 3-4% rispetto al 2020, con l’80% dell’aumento in termini assoluti concentrato in Asia. La domanda di carbone si prevede quindi raggiungere quasi i livelli pre CoViD-19 ed è sicuramente una delle cause principali dell’aumento delle emissioni nel 2021: a sostegno di questa tesi, si tenga presente che il carbone è responsabile di circa il 75% delle emissioni del settore elettrico, pur incidendo per circa il 30% nella produzione di energia elettrica a livello mondiale e che il settore elettrico è responsabile di circa un terzo delle emissioni di CO2 legate all’uso di energia.

Per quanto riguarda il gas naturale, si ricordi come questo sia la componente della domanda energetica che più ha retto all’impatto devastante del Coronavirus nel 2020, riducendo i consumi solo del 1.9% verso il 2019, favorito dalla sua capacità di essere utilizzato nella generazione di energia elettrica: negli Stati Uniti la domanda di gas per la generazione di energia elettrica è addirittura cresciuta del 2% vs. il 2019, nonostante la domanda di energia elettrica sia decresciuta.

Nel 2021, la domanda di gas - a differenza della domanda di petrolio - è cresciuta al di sopra dei livelli prepandemici, compensando la contrazione del 2020 grazie alla generalizzata ripresa industriale. L’aumento considerevole della domanda di gas naturale ha creato tensioni sui mercati e causato un aumento vertiginoso dei prezzi nella seconda metà del 2021,

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determinato anche da una serie di interruzioni pianificate, ma non sul lato dell’offerta.

Sebbene la ripresa industriale abbia trainato l’aumento della domanda, un contributo determinante è stato dato da alcuni fattori legati alle condizioni meteorologiche, tra cui una stagione di riscaldamento prolungata e una bassa generazione eolica in Europa, la limitata produzione di energia idroelettrica in Brasile e le ondate di caldo in Asia.

Mentre la domanda di energia elettrica era decresciuta nel 2020 di circa l’1% soprattutto a causa di quanto accaduto nella prima metà dell’anno per effetto dei lockdown generalizzati, nel 2021 è atteso un aumento della domanda di elettricità superiore al 4% rispetto al 2020, oltrepassando così i livelli del 2019. La ripresa dei consumi di energia elettrica è stata trainata dalla ripresa delle attività economiche e dalla crescita soprattutto nei paesi emergenti come la Cina e l’India con prospettive di PIL in sostenuta crescita; mentre in paesi come gli Stati Uniti e l’Unione Europea la domanda di elettricità si ritiene possa rimanere al di sotto dei livelli del 2019, pur registrando una crescita rispetto al 2020.

Nel biennio 2020/’21 il peso del contributo delle differenti fonti energetiche alla generazione di energia elettrica è sicuramente cambiato: mentre quasi tutte le fonti energetiche tradizionali non sono ritornate ai livelli pre CoViD, le fonti rinnovabili (solare, eolico e idroelettrico) hanno incrementato anno dopo anno il loro contributo alla generazione di energia elettrica.

Le energie rinnovabili rappresentano infatti l’unica fonte energetica a mostrare trend di crescita in entrambi gli anni del biennio suddetto. Il settore elettrico traina la crescita, con la sua domanda di rinnovabili, che si aspetta cresca più dell’8%, fino a raggiungere 8.300 TWh, la più significativa crescita annuale mai registrata in termini assoluti.

L’attesa è che le energie rinnovabili alimentino a fine del 2021 più della metà dell’aumento della generazione di elettricità. L’energia solare ed eolica contribuiranno per due terzi alla crescita delle rinnovabili e la quota delle rinnovabili (incluso idroelettrico) nella generazione di energia elettrica è proiettata verso il 30% nel 2021, la più grande quota sin dall’inizio della rivoluzione industriale e ben più alto del 27% del 2019 (fig.5) 6 .

L’eolico è vicino al record, crescendo di 275 TWh, circa +17% rispetto al 2020, così come il fotovoltaico atteso da un incremento di 145 TWh, circa il 18% in più del 2020. Anche la generazione di energia idroelettrica è prevista in ulteriore aumento nel 2021, grazie sia alla generalizzata ripresa economica sia all’incremento di capacità prevista dai grandi progetti in via di realizzazione in Cina.

Per quanto riguarda i biocarburanti, nel 2021 l’attesa è di raggiungere i livelli di produzione del 2019, di pari passo con la ripresa dei trasporti su strada: i biocarburanti infatti sono utilizzati maggiormente nei trasporti su strada, in miscela con benzina e diesel, e quindi, sono meno impattati dalla continua decrescita dei trasporti nel settore aereo.

La Cina da sola contribuisce per quasi la metà alla crescita delle energie rinnovabili nella produzione di energia elettrica, seguita da Stati Uniti, Unione Europea e India.

6 IEA, Global Energy Review 2021.

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Figura 5 – Il contributo del carbone e delle rinnovabili alla generazione elettrica.

1.3.LA RIPRESA DEGLI INVESTIMENTI DOPO LO SHOCK PANDEMICO: FENOMENO STRUTTURALE O ESTEMPORANEO?

A margine dell’analisi sui trend di consumi energetici ed emissivi negli anni di sviluppo della pandemia e ripresa dalla stessa (2020 e 2021) è chiaramente importante anche capire come si stiano muovendo gli investimenti pubblici e privati in ambito energetico e se questi stiano seguendo la ripresa dei consumi del 2021 e si stiano muovendo in linea con il rinnovato impegno di governi e grandi compagnie contro il cambiamento climatico.

Importante è infine capire se tali investimenti energetici si stiano espandendo in tutte le parti del mondo o solo in alcune regioni.

Anzitutto, la stima del 2021 prevede che gli investimenti energetici aumentino del 10%

rispetto ai livelli del 2020, seguendo il trend di ripresa dei consumi e del PIL, raggiungendo quindi i livelli prepandemia; quello che però è fondamentale sottolineare è lo shift di tali investimenti dai combustibili fossili al settore elettrico, infrastrutturale e industriale (utilizzatore finale nella catena energetica del valore), così come mostrato in figura 67:

7 IEA, World Energy Investment 2021.

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Figura 6 – Andamento degli investimenti energetici negli ultimi 5 anni.

Nel dettaglio, si prevede che gli investimenti per la produzione di energia elettrica aumentino del 5% nel 2021 raggiungendo la cifra di 820 miliardi di dollari, con gli investimenti nelle energie rinnovabili a determinare il 70% di questo aumento (figura 7)8.

Figura 7 – Investimenti energetici per settore.

Gli investimenti nelle rinnovabili sono aumentati nel 2021 soprattutto in quei paesi dove le riduzioni dei costi di produzione e le efficienze tecnologiche (1 dollaro speso oggi nell’aumento di capacità eolica e fotovoltaica produce quattro volte l’energia elettrica che avrebbe prodotto

8 IEA, World Energy Investment 2021.

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dieci anni fa) si sono accompagnate a favorevoli cornici regolatorie e impulsi delle grandi compagnie verso energia pulita e target di sostenibilità: Cina, Stati Uniti ed Europa su tutti.

Una importante spinta agli investimenti in energia da fonti rinnovabili ed efficienza energetica è sicuramente dato poi dagli investimenti statali in infrastrutture, che sono attesi in aumento per la prima volta dopo cinque anni in aree come Europa, Cina e Stati Uniti in cui i governi hanno accesso a capitale di credito a tassi vantaggiosi. Purtroppo, però, molti paesi in via di sviluppo mancano delle risorse necessarie per perseguire valide strategie di recovery e ciò, insieme ai primi segnali di inflazione crescente in alcune nazioni con conseguente aumento dei tassi di interesse, lascia intravedere la possibilità che il rinnovato incentivo agli investimenti in energia pulita possa non essere così sostenuto nell’immediato futuro.

I rinnovati impegni di governi e compagnie verso zero net-emission entro il 2050 ha fatto breccia nella comunità finanziaria con la naturale conseguenza di straordinarie performance delle compagnie operanti nel settore delle rinnovabili e delle energie pulite (a discapito delle compagnie operanti maggiormente nel settore dell’Oil&Gas) e di notevole raccolta di capitali destinati allo sviluppo delle energie pulite. La notevole raccolta di capitali sembra essere tuttavia addirittura sovradimensionata rispetto ai progetti “clean energy” ora nella pipeline delle compagnie mondiali. Nonostante gli investimenti in energie pulite ed efficienza energetica si preveda raggiungano i 750 miliardi di dollari nel 2021, avremmo bisogno di raddoppiare il livello di tali investimenti nel corso dell’attuale decennio per contenere il riscaldamento globale sotto i 2°.

Impulsi dalle politiche governative saranno necessari per veicolare il fervore creato nella comunità finanziaria: in tal modo si ridurrebbero le maggiori incertezze legate a investimenti in energia pulita, ad esempio si ridurrebbe il rischio che la maggiore capacità eolica e fotovoltaica non possa essere sostenuta da una rete adeguata o che le aziende fornitrici si allontanino dalla produzione di idrocarburi più velocemente di quanto non facciano i consumatori finali.

Come già accennato in precedenza, gli investimenti nei paesi ed economie in via di sviluppo (esclusa la Cina) sono destinati a rimanere molto al di sotto dei livelli antecrisi anche nel 2021 a causa di una prolungata crisi umanitaria ed economica e a una maggiore difficoltà di accesso a fonti finanziarie. Se la popolazione di tali paesi conta circa due terzi della popolazione mondiale, gli investimenti in energia verde contano appena un quinto. Ciò rappresenta chiaramente un problema enorme per il processo di transizione energetica.

Infine, in materia di investimenti energetici, è importante rilevare come le major Oil Companies abbiano mantenuto flat i loro investimenti nell’Oil&Gas nel 2021, nonostante domanda e prezzi in aumento: i loro investimenti nel settore Upstream rappresentano il 25% del totale degli investimenti Upstream nel mondo contro il 40% a metà del decennio precedente. Queste stesse compagnie stanno anche adattando le loro strategie di investimento alle necessità della transizione energetica, sia attraverso la riduzione di emissioni risultanti dal loro business tradizionale Oil&Gas sia attraverso investimenti nei settori elettrico e dei carburanti sostenibili. Ad esempio, nel 2020 gli investimenti in energia pulita dell’industria dell’Oil&Gas ammontava all’1% del totale, nel 2021 si preveda si possa arrivare al 4%.

1.4COME LEGGERE I DATI DEL 2020 E 2021 RISPETTO AGLI OBIETTIVI DI PARIGI

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© Aspen Institute Italia | Interesse nazionale | Consumi, investimenti energetici ed emissioni nel post-pandemia 14

In conclusione, guardando a cosa è accaduto nel mondo nel 2020, a quanto quest’anno sia stato profondamente influenzato dallo sviluppo della pandemia e alla ripresa generalizzata nel 2021, è importante focalizzarsi su tre aspetti principali: rinnovato impegno degli attori in gioco (governi ed aziende su tutti), accesso all’energia da parte dei paesi in via di sviluppo e diffusione delle energie rinnovabili. Rispetto al primo punto (rinnovato impegno degli attori in gioco) va di sicuro notati alcuni aspetti positivi nella corsa al net-zero emission che sono stati sicuramente accelerati dallo sviluppo della pandemia:

1. Ad oggi un totale di dieci paesi più l’Unione Europea hanno trasformato la loro net zero ambition in legge e altri 34 paesi hanno manifestato il loro intento a farlo, coprendo circa il 70% delle emissioni nel mondo;

2. Ad oggi le aziende che hanno dichiarato una net zero ambition sono circa 3000 – circa sei volte il numero del 2019;

3. Investimenti ESG sono aumentati da 30 miliardi di dollari nel 2015 a 330 nel 20209. Tutto ciò è stato acuito dal diffondersi della pandemia che ha di certo rafforzato nelle coscienze e poi negli obiettivi dei governi la centralità della salute pubblica e degli equilibri sociali. Detto ciò, seppur in alcuni numeri i segnali sono incoraggianti (aumenti degli investimenti ESG), le dichiarate ambizioni e/o leggi introdotte dai governi nazionali (punto 1 sopra) non sembrano al momento sufficienti a raggiungere gli obiettivi della conferenza di Parigi e, in aggiunta, si registra un considerevole ritardo verso le dichiarate ambizioni nazionali.

Riguardo al secondo aspetto (garantire accesso all’energia a tutta la popolazione mondiale, altro punto fondamentale della Conferenza di Parigi), è assolutamente necessario rilevare che grossi progressi sono stati fatti negli ultimi anni: il numero di persone senza energia elettrica è diminuito da 1 miliardo a 750 milioni, cioè dal 15% al 10% della popolazione mondiale. Il CoViD, tuttavia, nel 2020/’21 ha fatto registrare un passo indietro: la Banca Mondiale stima che in tale periodo la pandemia abbia contribuito a rendere l’elettricità inaccessibile per ulteriori trenta milioni di persone: dal 2015 ad oggi, è la prima volta che si rileva un aumento del numero di persone nel mondo senza accesso all’energia elettrica.

Riguardo al terzo aspetto (sviluppo delle energie rinnovabili), è assolutamente importante notare come siano stati fatti grandi progressi nel 2020, con la Cina protagonista nel tirare la volata: la capacità dell’eolico e solare insieme è aumentata di circa 238 GW, registrando un incremento del 50% maggiore di qualsiasi altro incremento annuale nella storia. Nel 2021, la quota delle rinnovabili (incluso idroelettrico) nella generazione di energia elettrica è proiettata verso il 30%, la più grande quota sin dall’inizio della rivoluzione industriale e ben più alto del 27% del 2019. L’eolico è vicino al record, crescendo di circa +17% rispetto al 2020, così come il fotovoltaico atteso da un incremento di circa il 18% rispetto al 2020.

Complessivamente, fermandoci ai dati consuntivi del 2020, la capacità eolica e solare è più che raddoppiata dal 2015 al 2020 (c.a. 800 GW), il che significa un aumento medio annuale del 18%. Per capire l’importanza di questo incremento, spinto soprattutto dall’aumento dell’efficienza produttiva e dalla sorprendente riduzione dei costi di produzione, basti

9BP, Statistical Review of World Energy 2021.

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pensare che nello scenario “Rapid net-zero” elaborato da BP, per raggiungere gli obiettivi di Parigi sarebbe necessario un aumento medio annuale tra il 14% e il 18% fino al 203010. È tuttavia fondamentale ribadire che lo sviluppo delle energie rinnovabili non è sufficiente a garantire il raggiungimento degli obiettivi di Parigi; esso è sicuramente fondamentale per il processo di decarbonizzazione del settore elettrico, responsabile dell’emissione di 12.3 Gt di CO2 nel 2020 (36% del totale emissioni legate all’utilizzo di energia), soprattutto a causa del diffuso utilizzo del carbone nella generazione elettrica, ma deve essere al contempo affiancato da un maggiore utilizzo dell’elettricità come fonte di energia (ad esempio in settori quali il riscaldamento domestico e industriale e i trasporti).

Oltre all’utilizzo di energia elettrica pulita e al contributo che le rinnovabili possono dare al processo di elettrificazione, sarà centrale:

Aumentare l’efficienza energetica nei settori dei trasporti e degli edifici pubblici e privati (con possibilità di riduzione dei costi per il consumatore finale) e nei settori industriali attraverso, ad esempio, processi di digitalizzazione e maggiore efficienza nell’utilizzo di materie prime;

La riduzione delle emissioni di metano derivanti dall’attività estrattiva di petrolio e gas;

• La diffusione su larga scala delle tecnologie legate alla cattura e all’utilizzo della CO2 (CCUS);

L’innovazione tecnologica, che sarà necessaria soprattutto per ridurre le emissioni di quei settori industriali (ad esempio trasporto su lunga distanza) in cui risulta più difficile l’elettrificazione.

La diffusione di nuovi vettori energetici quali l’idrogeno rientra in tale categoria11.

Comune denominatore di questi processi saranno i rinnovati impegni governativi e l’aumento degli investimenti.

I.5. COME INTERPRETARE LAUMENTO DEI PREZZI DELLE COMMODITIES NEL 2021

RISPETTO AL PROCESSO DI TRANSIZIONE ENERGETICA

I progressi fatti nel 2020/’21 nel processo di transizione energetica, soprattutto in termini di sviluppo delle rinnovabili e della mobilità elettrica, potrebbero essere offuscati dalla forte impennata dei prezzi delle commodities (carbone, petrolio e soprattutto gas) che interessano soprattutto l’Europa nella seconda metà del 2021 e che potrebbero far pensare a una resistenza al cambiamento, a una permanente dipendenza dalle fonti tradizionali e a un passo indietro nel processo di transizione (accompagnato da un aumento di emissioni di CO2 in atmosfera nel 2021).

L’aumento dei prezzi delle materie prime, gas su tutti, della seconda metà del 2021 è sì da attribuire soprattutto a cause contingenti come la forte (e maggiore delle attese) ripresa dei consumi energetici dopo lo schock pandemico del 2020, una serie di interruzioni pianificate e non sul lato dell’offerta e alcuni fattori legati alle condizioni meteorologiche (tra cui, come già si è detto, una stagione di riscaldamento prolungata e una bassa generazione eolica in

10BP, Rapid and Net Zero Scenario.

11 IEA, World Energy Outlook 2021.

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Europa, la limitata produzione di energia idroelettrica in Brasile e le ondate di caldo in Asia), però lascia sicuramente intendere che il percorso di transizione energetica non può che essere graduale e dipenderà anche dall’utilizzo razionale delle fonti energetiche tradizionali, chiamate a calmierare l’instabilità e la volatilità nel mondo energetico attuale.

Un approccio netto e totalitario alla transizione non farebbe altro che lasciare inevitabilmente ancora più indietro i paesi in via di sviluppo, che maggiormente hanno subito l’impatto economico e sociale della pandemia.

Seppure l’aumento dei prezzi delle commodities non deve essere considerato un costo della transizione, esso è sicuramente indicativo di una volatilità che accompagnerà il processo di transizione energetica e che potrà essere contenuta solo attraverso un decisivo aumento degli investimenti in energia pulita, elettrificazione, efficienza energetica e innovazione tecnologiche e da un rinnovato impegno di tutte le parti in gioco (governi su tutti), oggi più che mai dopo la Conferenza di Glasgow (COP26)12 e, come detto prima, ad un approccio graduale al processo di transizione energetica.

In questo processo di transizione, tutte le parti in gioco sono chiamate a cooperare. Tutti i settori industriale e le Energy Companies, con il sostegno dei governi, avranno un ruolo determinante.

12 https://ukcop26.org/it/iniziale/ e per gli outcomes v. https://ukcop26.org/the-conference/cop26-outcomes/.

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C

APITOLO

II.

L

E EMISSIONI GLOBALI IN NUMERI E LA DIFFICOLTÀ DEI PROCESSI DI DECARBONIZZAZIONE

,

SETTORE PER SETTORE

:

IL RUOLO DELLE

E

NERGY

C

OMPANIES II.1INTRODUZIONE

Com’è noto, nel 2015, con gli accordi di Parigi gli Stati aderenti hanno concordato di limitare il riscaldamento globale almeno a 2 °C rispetto ai livelli preindustriali, preferibilmente a 1,5

°C. Un tale impegno implica un obiettivo di riduzione delle emissioni di gas a effetto serra (GHG) dell'80-95% entro il 2050 rispetto ai livelli del 199013. Rappresentando l’industria circa il 30% delle emissioni globali, ne consegue che tale ambizione non possa essere raggiunta senza decarbonizzare le attività industriali.

La sfida nella sfida è farlo in maniera economicamente sostenibile: il settore manifatturiero, più di altri, è fortemente caratterizzato da infrastrutture e asset di lunga durata; pertanto, il rinnovamento o la sostituzione di questi impianti richiede che la pianificazione e gli investimenti inizino con largo anticipo.

Esistono molteplici soluzioni per decarbonizzare l’industria, ma le differenze tra settore e settore sono così ampie che le soluzioni che funzionano per un’attività produttiva potrebbero non funzionare per un’altra: non esiste un approccio univoco valido per tutti.

Senza dimenticare il mondo dei trasporti e quello immobiliare, che sono responsabili del 16% e del 17% delle emissioni globali rispettivamente, e che a loro volta presentano le proprie complessità intrinseche. Sommando una generale mancanza di investimenti per la transizione, una serie di tecnologie non ancora mature per il mercato e una certa ambiguità regolatoria, risulta un’indubbia complessità nel decarbonizzare il tessuto industriale, i trasporti e le costruzioni.14

Figura 8 – Le emissioni globali per settore.

13 MCKINSEY, Decarbonization of industrial sectors: the next frontier.

14 OUR WORLD IN DATA, Sector by sector: where do global greenhouse gas emissions come from?

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In tal senso, le rinnovate politiche pubbliche di investimento risultano fondamentali per sbloccare la transizione energetica, anche attraverso una netta semplificazione degli iter autorizzativi; di pari passo, la crescente attenzione delle aziende stesse alla decarbonizzazione dei propri processi (le emissioni cosiddette scope 1 e scope 2) e delle emissioni provenienti dall’utilizzo dei loro prodotti (scope 3): un esempio ne è il fatto che oltre mille aziende si sono prefissate l’obiettivo di raggiungere globalmente zero emissioni nette entro il 205015.

Dato tale contesto, le energy companies sono attori chiave per attivare la transizione: grazie alle loro risorse e competenze, queste possono offrire soluzioni per soddisfare le necessità di decarbonizzazione delle aziende. Ciò risulta poi ancor più vero per quei settori altamenti emissivi, i cosiddetti hard-to-abate, le cui emissioni sono particolarmente complesse da ridurre. Una stretta collaborazione tra governi, aziende e energy companies sarà la chiave per risolvere la complessa equazione di decarbonizzazione.

II.2LE EMISSIONI IN NUMERI

Il settore industriale e quello dei trasporti insieme rappresentano una fonte vitale di ricchezza, prosperità e valore su scala globale. L’industria manifatturiera produce circa un quarto del PIL

globale, con materiali e beni che sono parte integrante della vita quotidiana: dai fertilizzanti per il cibo che si mangia, all’acciaio e plastica per le auto che si guidano e al cemento per gli edifici in cui si vive e lavora. D’altra parte, i trasporti sono alla base del commercio globale: si pensi ad esempio che il settore marittimo da solo muove il 90% dei beni.16

Le emissioni dirette - dai processi industriali - e indirette - derivanti dalla generazione dell'elettricità utilizzata - del settore industriale sono responsabili per circa 15 Gton di CO2 equivalente (CO2e), circa il 30% delle emissioni globali. Tra il 1990 e il 2014, le emissioni del settore industriale sono aumentate del 69% (2,2% all'anno), mentre le emissioni di altri settori ad alto tasso di emissioni come quello energetico, dei trasporti e degli edifici sono aumentate solamente del 23% (0,9% all'anno). Quasi il 45% delle emissioni del settore industriale deriva dalla produzione di cemento (3 Gton CO2), acciaio (2,9 Gton CO2), ammoniaca (0,5 Gton CO2) ed etilene (0,2 Gton CO2).

In questi quattro processi produttivi, circa il 45% delle emissioni di CO2 proviene dalla lavorazione delle materie prime (come ad esempio il calcare nella produzione del cemento o il gas naturale nella produzione di ammoniaca). Un altro 35% proviene dalla combustione per generare calore ad alta temperatura, mentre il restante 20% è il risultato di altri usi presso i siti produttivi, tra cui la domanda di calore a bassa (da 0 a 100 °C) e media temperatura (da 100 a 500 °C). In tutti gli altri settori manifatturieri, ad eccezione di altri settori altamente emissivi in termini di emissioni dirette (come il food&beverage, il tabacco, la carta e i metalli non ferrosi), il 55% delle emissioni sono indirette, derivanti dunque dal proprio consumo di elettricità.17

15 UNFCCC, Race To Zero Campaign.

16 https://www.ics-shipping.org/explaining/shipping-facts/.

17 MCKINSEY, Decarbonization of industrial sectors: the next frontier.

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Figura 9 – Le emissioni globali dell’industria manifatturiera (in Gton).

Tuttavia questi numeri cambiano in maniera importante da paese a paese, in termini di peso di emissioni per ciascun settore. In questo senso, la Cina gioca un ruolo fondamentale nella decarbonizzazione del settore industriale, in quanto detiene la principale quota di emissioni di CO2 dei cosiddetti settori hard-to-abate. Secondo il Basic Materials Institute di McKinsey, l’industria cinese produce metà del cemento, del ferro e dell'acciaio del mondo, oltre al 16%

di etilene e al 36% di ammoniaca. Sebbene questi contino solamente per il 30% del totale di energia utilizzata in questi settori, l’ampio uso del carbone come fonte primaria fa sì che rappresentino circa il 50% delle emissioni totali. In confronto, i produttori di altri paesi che utilizzano maggiormente gas per i propri processi, producono il 55% in meno di emissioni di CO2 per unità di energia consumata.18

Proiettandosi al futuro, il quadro dovrebbe cambiare nei prossimi anni, soprattutto con la crescita industriale in aree come India e Africa. Risulterà dunque fondamentale che le politiche per la decarbonizzazione di tali settori pesanti includa da una parte gli impianti esistenti e nuovi in Cina, dall’altra le nuove industrie in India, Africa e altre regioni in via di sviluppo.

18 MCKINSEY, Decarbonization of industrial sectors: the next frontier.

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Figura 10 – Le emissioni globali dei settori hard-to-abate per paese.

Nell’Unione europea, con il suo target ambizioso di riduzione emissioni del 55% entro il 2030 rispetto ai livelli del 1990 e di carbon neutrality entro 2050, il tema della decarbonizzazione dell’industria pesante risulta centrale. Le industrie produttrici di acciao, cemento, plastica e ammoniaca impiegano circa mezzo milione di persone, per un totale di oltre 50 impianti di steam craking, 200 acciaierie, 200 cementerie e 40 impianti per la produzione di ammoniaca. D’altra parte, questi stessi settori sono responsabili di circa il 14% delle emissioni totali dell’UE, circa 500 milioni di tonnellate ogni anno: per ogni kg di cemento prodotto, 0,7 kg di CO2 vengono emessi; l’acciaio ne emette quasi 2 kg; la plastica 4,6 kg (quest’ultima contando anche le emissioni per l’incenerimento dopo l’utilizzo).19 Per quanto riguarda i trasporti invece, a livello globale, questi sono responsabili di circa 8 miliardi di tonnellate di CO2e, di cui: quasi 6 miliardi dal trasporto su ruota, ovvero le emissioni derivanti dalla combustione di benzina e gasolio da tutte le forme di trasporto su strada, comprese automobili, camion, motocicli e autobus: si consideri che il 60% di tali emissioni proviene dal trasporto passeggeri e il restante 40% dal trasporto merci su strada (tra cui, si stimano 217 milioni di veicoli ‘pesanti’, ovvero camion e autobus); 940 milioni di tonnellate dal trasporto aereo, di cui l’80% dal trasporto passeggeri (di cui 150-300 milioni di ‘frequent flyers’) e il 20% da quello merci, di cui il 60% da voli internazionali e il 40% da quelli nazionali; 840 milioni di tonnellate dal settore marittimo attraverso cui, d’altra parte, passa circa l’80% del commercio globale.20

19 NET ZERO 2050, Industrial Transformation 2050.

20 OUR WORLD IN DATA, Sector by sector: where do global greenhouse gas emissions come from?

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II.3I PROCESSI EMISSIVI E LE DIFFICOLTÀ PER RIDURRE LE EMISSIONI

I settori hard to abate sono definiti tali proprio per la difficoltà a ridurre le emissioni da operazioni industriali molto complesse. Se ne possono classificare le emissioni in tre categorie principali: emissioni da calore ad alta temperatura, responsabili per circa il 35%

delle emissioni; emissioni dalla lavorazione delle materie prime (come processi chimici), circa il 45% delle emissioni; emissioni end-of-life (in fase di smaltimento del prodotto).

Le prime ad esempio avvengono nei processi di fusione dell’acciaio, nella raffinazione di idrocarburi o nella trasformazione del calcare in clinker di cemento, tutti processi che richiedono temperature molto alte (tra 850 e 1.600 °C). L’alta intensità energetica richiesta fa sì che solo alcune fonti energetiche possano soddisfare le necessità di calore di questi processi; perlopiù tramite la combustione diretta di idrocarburi, dove invece l’elettrificazione risulta complessa.

Le seconde non derivano dal tipo e dalla quantità di energia utilizzata, quando sono parte integrante dei processi chimici necessari: per l’acciaio, il carbonio è necessario per rimuovere l’ossigeno dai minerali ferrosi per la produzione del ferro; per il cemento, nella produzione di ossido di calcio, la calcinazione del calcare rilascia grandi quantità di carbonio contenute nella roccia; per lo steam craking, circa il 35-45% del carbonio della materia prima utilizzata non è trasformato in sostanze chimiche ad alto valore aggiunto, bensì in sottoprodotti di idrocarburi che rilasciano CO2, quando utilizzati come combustibili; nel caso dell’ammoniaca, le emissioni provengono principalmente dalla produzione di idrogeno dal gas metano. Tali emissioni possono essere ridotte con un cambio di processi e di materie prime utilizzate, ma non di combustibili utilizzati. Infine, esistono le emissioni da smaltimento, che riguardano soprattutto la plastica in caso di incenerimento.

In Europa si stima che l’84% delle emissioni dei settori hard to abate appartengano a queste tre categorie, quando la parte residua proviene dal consumo di elettricità (scope 2) e dai processi a bassa o media temperatura. A queste complessità intrinseche si aggiunga che: i processi industriali sono altamente integrati, per cui una qualsiasi modifica a una parte di un processo va di necessità accompagnata da modifiche in altre fasi dello stesso processo; gli impianti di produzione hanno una lunga durata, in genere superiore a 50 anni, per cui una modifica dei processi nei siti esistenti richiede costose ricostruzioni e ammodernamenti.21

21 NET ZERO 2050:, Industrial Transformation 2050.

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Figura 11 – La scomposizione delle emissioni dei settori hard to abate in Europa.

Le difficoltà di decarbonizzare il settore dei trasporti sono comparabili a quelle dell’industria, anche se in buona parte diverse. In generale, la scarsità di combustibili a basse emissioni su scala commerciale complica la decarbonizzazione dello shipping e dell’aviazione, essendo questi complessi da elettrificare: i biocarburanti non sono ancora presenti in abbondanza (per esempio a oggi meno dello 0,1% nel trasporto aereo è considerato SAF, sustainable aviation fuel).

Il settore marittimo inoltre, come visto per buona parte dell’industria, per sua natura è chiamato a gestire grandi asset di lunga durata, dunque flotte difficili da ammodernare in un’ottica di decarbonizzazione (globalmente 26mila grandi navi con un peso tra 100 e 200mila tonnellate).

D’altra parte, il trasporto su strada è sicuramente più semplice da elettrificare, ma il peso relativo in termini di emissioni (circa ¾ del totale dei trasporti) e in termini di numero di veicoli rendono la decarbonizzazione complessa. Si aggiunga che, come si vedrà, elettrificare un sistema energetico e quindi investire in un’infrastruttura di ricarica per veicoli elettrici presenta le proprie sfide e la convenienza varia notevolmente da paese a paese.

II.4. LE POSSIBILI SOLUZIONI PER LA RIDUZIONE DELLE EMISSIONI E I LORO COSTI

La decarbonizzazione del mondo produttivo e dei trasporti richiede dunque investimenti ingenti e deve andare necessariamente di pari passo a una decarbonizzazione della generazione elettrica. In riferimento all’industria, per poter effettivamente decarbonizzare, Net Zero 2050 delinea una serie di strade parallele alla decarbonizzazione elettrica che le

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aziende hard-to-abate europee devono intraprendere: aumentare l’efficienza in termini di materiali utilizzati (do more with less), con un potenziale di riduzione delle emissioni pari a 58- 171 milioni di tonnellate di CO2 ogni anno entro il 2050; riutilizzare materiali esistenti, favorendo per quanto possibile un’economia circolare, con una potenziale riduzione di emissioni pari a 82-183 milioni di tonnellate; ammodernare i processi produttivi esistenti e/o istituire nuovi processi produttivi, anche e soprattutto in termini di più efficienti usi energetici, con una potenziale riduzione di emissioni pari a 143-241 milioni di tonnellate di CO2; catturare le emissioni residue, con una potenziale riduzione di emissioni pari a 45-235 milioni di tonnellate22. Focalizzandosi sulle ultime due strade, relative all’efficienza energetica e allo stoccaggio delle emissioni, le soluzioni che le energy companies sono in grado di offrire sono molteplici.

In prima istanza, l’efficienza energetica. Questa può aiutare a ridurre il consumo energetico delle aziende pesanti tra il 15 e il 20%23, con differenze da settore a settore e da impianto a impianto. In generale, aree più sviluppate avranno meno margine in termini di efficienza, avendo già notevolmente investito negli ultimi anni, a differenza di molte aziende di paesi con sistemi industriali in via di sviluppo.

Segue l’elettrificazione che, quando tecnicamente perseguibile, può essere la soluzione più economica ed efficiente per la decarbonizzazione dei processi industriali - in questo senso, le emissioni provenienti dall’utilizzo di combustibili fossili per la generazione di calore a media e bassa temperatura possono essere evitate con forni, boiler o pompe di calore elettrici - e dei trasporti (laddove l’elettricità sia generata in maniera pulita).

L’idrogeno poi giocherà un ruolo centrale nella decarbonizzazione del tessuto produttivo e dei trasporti. Le emissioni provenienti dalla combustione di idrocarburi per la generazione di calore ad alta temperatura, e quelle rilasciate da certe materie prime, possono essere evitate grazie all’idrogeno. L'idrogeno è un vettore energetico la cui densità energetica, possibilità di stoccaggio e idoneità per applicazioni ad alto calore, lo rendono superiore all'elettricità in certe applicazioni. L'idrogeno sarà chiave soprattutto per decarbonizzare i settori pesanti, caratterizzati da un'alta intensità energetica e privi di opzioni di elettrificazione scalabili.

L'idrogeno a basse o zero emissioni di carbonio può essere prodotto sia attraverso l'elettrolisi dell'acqua con elettricità rinnovabile ("idrogeno verde") sia con il gas metano (steam - STR - o auto thermal reforming - ATR) combinato con la cattura e lo stoccaggio della CO2 ("idrogeno blu"). Idrogeno che a sua volta può essere utilizzato per la produzione di combustibili come l’ammoniaca o altri combustibili sintetici, potenzialmente interessanti ad esempio anche per il trasporto aereo e marittimo. L’Energy Transitions Commission stima che la produzione annuale di idrogeno crescerà dalle 60 milioni di tonnellate attuali all’anno a 500-800 milioni di tonnellate entro il 2050 per soddisfare la necessità di combustibili a zero o basse emissioni, con un’addizionale 80-110 milioni di tonnellate per l’utilizzo

22 NET ZERO 2050, Industrial Transformation 2050.

23 MCKINSEY, Decarbonization of industrial sectors: the next frontier.

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© Aspen Institute Italia | Interesse nazionale | Consumi, investimenti energetici ed emissioni nel post-pandemia 24

dell’idrogeno come stoccaggio dell’elettricità in eccesso, dunque al fine di bilanciare il sistema (2% della generazione elettrica totale).24

Analogamente, le biomasse prodotte in maniera sostenibile possono essere utilizzate sia come combustibili che come materie prime, in forma solida (come il legno), liquida (come il biodiesel o il bioetanolo) o gassosa (come il biogas).

Per tutte quelle emissioni dei processi industriali che non potranno essere evitate altrimenti, le tecnologie per la cattura e lo stoccaggio della CO2 (CCS o carbon capture and storage) potranno avere un ruolo di primo piano. Infatti, queste permettono di evitare l’emissione di gas nell’atmosfera tramite la loro cattura durante un processo produttivo. Una volta catturata, la CO2 è compressa e liquefatta, riducendo il suo volume a circa lo 0,2% di quello originale in stato gassoso.25 Quindi, la CO2 è immagazzinata temporaneamente in loco e trasferita via nave e/o tramite un condotto in un impianto di stoccaggio a lungo termine o in un impianto dove potrà essere utilizzata.

Oltre al suo potenziale utilizzo nella produzione di idrogeno blu, la carbon capture può essere applicata ai processi industriali hard to abate o alle centrali termiche, specialmente per quelle di backup alle rinnovabili. La carbon capture può difatti rappresentare una valida alternativa (o può andare in parallelo) all’implementazione di nuovi processi o all’utilizzo di altre materie prime. Ciò nonostante, a oggi, la carbon capture presenta alcune sfide sinora non ancora vinte, come una generale mancanza di maturità per un uso commerciale, i costi e la percezione da parte della società.26

Data la complessità dei processi industriali in gioco, appare evidente come decarbonizzare abbia un prezzo, anche importante. In settori ad alta intensità di capitale, la scelta di virare verso soluzioni a basse emissioni invece di reinvestire in impianti esistenti può equivalere a una scommessa, soprattutto quando la futura redditività da un punto di vista commerciale sia ancora incerta. Esistono diverse tipologie di costi in cui le aziende possono incorrere qualora decidano di intraprendere siffatto tipo di percorso: costi per l’innovazione, necessari per investimenti in impianti pilota o di dimostrazione: sul totale, essi non rappresentano una spesa ingente, possono però rivelarsi particolarmente onerosi per le aziende che li sostengono individualmente (e non, ad esempio, in partnership); costi associati al rischio, poiché i primi investimenti vengono effettuati in una situazione di incertezza in termini di fattibilità tecnica e di disponibilità futura e l'aumento del rischio innalza a sua volta l'asticella per la raccolta di capitali; costi di conversione, necessari soprattutto per adattare gli attuali siti produttivi in termini di macchinari, materie prime, trasporto, reti elettriche e di gasdotti e altri; costi di transizione, derivanti dalla necessità in molti casi di mantenere sistemi di produzione paralleli per un certo periodo di tempo.

In termini numerici, McKinsey stima che i costi per decarbonizzare i settori hard to abate globalmente siano circa 21 trilioni di $, da sostenersi tra oggi e il 2050, tra lo 0,4 e lo 0,8 del

PIL globale ogni anno.27

24 ENERGY TRANSITIONS COMMISSION, Making Mission Possible.

25 NET ZERO 2050, Industrial Transformation 2050.

26 INTERGOVERNMENTAL PANEL ON CLIMATE CHANGE, Carbon Dioxide Capture and Storage.

27 MCKINSEY, Decarbonization of industrial sectors: the next frontier.

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In Europa, Net Zero 2050 stima che la decarbonizzazione in generale - quindi non del solo comparto industriale - possa comportare costi addizionali tra i 40 e i 50 miliardi di euro all’anno, circa lo 0,2% del PIL, di cui 5,5 miliardi di investimenti in processi industriali (12- 14 miliardi all’anno dal 2030) e 5/8 miliardi in nuova generazione di elettricità rinnovabile per soddisfare la domanda industriale. L’incremento dei costi sarà quindi significativo per le aziende produttrici a livello globale: 25-60 $ per ogni tonnellata di acciaio prodotto (20- 30% di costo addizionale in Europa), 120-160 $ per il cemento (20-80% in Europa) e 200 $ per la plastica (20-80% in Europa per i prodotti chimici in generale).28

Tali livelli di costo risultano particolarmente difficili da essere sostenuti dalle aziende europee che stanno affrontando un forte livello di competizione internazionale, che ha portato in molti casi alla diminuzione della profittabilità del settore (come per l’acciaio) o della stessa competitività europea (ad esempio, etilene e ammoniaca possono essere fino a tre volte più costose in Europa rispetto ad altri paesi più competitivi). Per far sì che questi costi siano economicamente sostenibili, risultano fondamentali le politiche di sostegno e di protezione delle attività industriali. Un esempio può essere il recente annuncio della creazione del Carbon Border Adjustment Mechanism (CBAM), una misura dell’UE per l’introduzione di un dazio all’import di prodotti altamente emissivi (come alluminio, cemento, fertilizzanti e altri), per proteggere la competitività delle aziende europee rispetto a quelle di paesi con una regolazione e standard ambientali più bassi.

II.5.LE POSSIBILI SOLUZIONI PER LA RIDUZIONE DELLE EMISSIONI E LE VARIABILI GEOGRAFICHE ED ELETTRICHE

La combinazione ottimale di soluzioni per la decarbonizzazione varia molto da settore a settore, come si vedrà in dettaglio in seguito, ma dipende anche in larga misura da fattori locali, quali ad esempio l’accesso ad elettricità rinnovabile a basso costo, la presenza di filiere per la produzione del biometano, la disponibilità locale di capacità di stoccaggio della CO2, il generale sostegno pubblico e normativo per la transizione, il grado di innovazione e di competitività del settore industriale e molti altri.

I paesi in cui la generazione elettrica da rinnovabili risulta costosa, il biometano non è abbondante e mancano le aree dove poter stoccare la CO2, è probabile che siano costretti a importare le risorse loro necessarie. In particolare, per quanto riguarda l'elettricità, i costi variano notevolmente da paese a paese: aree con abbondanti risorse idroelettriche (come Scandinavia e Quebec), eoliche (come il Nord Europa o gli Stati Uniti centrali) e solari (come Australia, Medio Oriente e Cile) potranno beneficiare di un prezzo di elettricità pulita più basso rispetto ad altri. In generale, a livello globale, i costi di generazione delle rinnovabili si sono abbassati notevolmente negli ultimi dieci anni: si stima ad esempio che il costo del solare fotovoltaico si sia ridotto dello 80%, raggiungendo mediamente i 60 $ per MWh;

28 ENERGY TRANSITIONS COMMISSION, Making Mission Possible & Net Zero 2050: Industrial Transformation 2050.

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d’altra parte, le differenze di costo rimangono importanti considerando che, ad esempio, in certe aree lo stesso MWh può costare 20$.

Tuttavia, in gran parte del mondo tali costi sono non solo inferiori ai costi di costruzione di nuove centrali a carbone o a gas, ma anche sempre più al di sotto del costo marginale delle centrali esistenti.29 Bloomberg NEF (BNEF) stima che il costo di generazione del solare possa raggiungere i 15$ in paesi come l’India, gli Stati Uniti, l’Austrialia e il Cile.

La questione cruciale non è più quindi attorno al costo di produzione delle rinnovabili, quanto a quello di bilanciare domanda e offerta in un mondo ad alta intermittenza, caratteristica intrinseca delle rinnovabili. Difatti, il prezzo finale dell’energia elettrica dipende molto anche dai costi di trasmissione e distribuzione, dalla disponibilità di generazione di backup e di tecnologie per lo stoccaggio.

Il livello di intermittenza delle rinnovabili e di affidabilità della fornitura di elettricità determina in buona parte se l'elettrificazione possa essere effettivamente un'opzione attraente per la decarbonizzazione del settore industriale e del trasporto: quando le fonti rinnovabili sono altamente intermittenti (particolarmente vero ad esempio per il fotovoltaico o l’eolico in alcune aree), sarà fondamentale che il paese sia dotato di sistemi alternativi per la generazione elettrica (come impianti a gas – ccgt) e per lo stoccaggio dell’elettricità (come le batterie), i cui costi variano a loro volta a seconda delle tecnologie utilizzate, delle caratteristiche del sistema elettrico del paese e dal tipo di processo da eseguire. In riferimento a quest’ultimo ad esempio, alcuni processi poi possono essere avviati e interrotti senza molta perdita di efficienza (come processi a bassa temperatura come l'elettrolisi dell'idrogeno), per cui possono essere ottimizzati per funzionare solo quando l'elettricità rinnovabile è abbondante ed economica. Ciò non è necessariamente il caso di certi processi industriali complessi, per i quali l’interruzione delle operazioni risulta particolarmente onerosa, ma sicuramente lo è per altri (quali le aziende con processi industriali a medie o basse temperature ad esempio).

II.6. LE POSSIBILI SOLUZIONI PER SETTORE

I settori già elettrificati (l’utilizzo di elettricità è già un uso finale di energia frequente e in numerosi applicazioni, come sistemi di illuminazione, raffreddamento, riscaldamento dell’acqua, macchinari, ferrovie e altri) potranno decarbonizzare più facilmente rispetto a tutti gli altri. In questi casi, per decarbonizzare, l’obiettivo deve essere quello di assicurarsi che l'elettricità utilizzata sia a zero emissioni, ad esempio tramite l’acquisto di elettricità rinnovabile (Corporate PPA), il montaggio di pannelli solari in loco o l’acquisto di Garanzie di Origine (GO), che certifichino che l’elettricità acquistata proviene da fonti rinnovabili.

In ciascuno dei più importanti settori dell'industria pesante – acciaio, cemento, prodotti chimici e alluminio – sarà invece necessario ridurre sia le emissioni provenienti dal consumo di

29 ENERGY TRANSITIONS COMMISSION, Making Mission Possible.

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