• Non ci sono risultati.

¾ Il biossido di silicio ( ) deposto sull’array di CNT per migliorarne le caratteristiche meccaniche allo scopo di evitare lo

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "¾ Il biossido di silicio ( ) deposto sull’array di CNT per migliorarne le caratteristiche meccaniche allo scopo di evitare lo "

Copied!
26
0
0

Testo completo

(1)

Materiali e metodi

Lo sviluppo di un sistema per drug delivery basato su un array di CNT prevede fasi successive in cui l’array viene ricoperto da film di materiali diversi. Il coating consente miglioramenti sia delle caratteristiche elettriche e meccaniche dell’array che di quelle biologiche.

In questo studio i materiali principalmente utilizzati sono stati i seguenti:

¾ Il biossido di silicio ( ) deposto sull’array di CNT per migliorarne le caratteristiche meccaniche allo scopo di evitare lo

“steaking”(adesione) dei CNT.

SiO

2

¾ Il pirrolo, un polimero conduttivo, comunemente deposto sugli array per migliorarne sia le caratteristiche meccaniche che quelle elettriche.

¾ Il collagene, un polimero generalmente utilizzato per migliorare l’adesione cellulare.

¾ L’alginato, un polimero comunemente utilizzato per sistemi di drug delivery.

Tutti i materiali sono stati deposti come film sottili sull’array di CNT. Il

biossido di silicio ed il PPy sono stati caratterizzati in termini di resistenza allo

steaking conferita ai CNT. L’alginato, il collagene ed anche PPy sono stati

caratterizzati attraverso analisi spettrofotometrica come sistemi a rilascio di

farmaco.

(2)

3.1 Materiali utilizzati

3.1.1 Array di CNT

I nanotubi

1

utilizzati nell’ambito di questo studio, forniti dalla NanoLab, Inc., USA, sono stati fatti crescere su un substrato di silicio ricoperto da uno strato di rame di 400 nm e uno di cromo di 300 nm.

L’array di nanotubi, posto al centro di un substrato di silicio di dimensioni 2,5 cm per lato, ha dimensioni 1 cm × 1 cm; i singoli nanotubi hanno un’altezza di 7 μ e un diametro compreso tra 50 e 100 nm. Sono distribuiti sulla superficie m con una densità superficiale di 10

9

CNT/cm .

2

Fig. 3.1 Array di CNT

1 Cfr. Appendice pag. 104

(3)

Di seguito sono riportate immagini dell’array di CNT, osservati al FIB con 12000 e 5000 ingrandimenti rispettivamente.

Fig. 3.2 Immagine al FIB del CNT array (12kX)

Fig. 3.3 Immagine al FIB dell’array di CNT (50kX)

(4)

3.1.2 Collagene

Il collagene è la principale proteina del tessuto connettivo negli animali: è la proteina più abbondante negli uomini e rappresenta il 6% del peso corporeo. È una proteina strutturale ed insieme all’elastina, è il maggior costituente dei tessuti molli. Ne esistono di diversi tipi, circa 28, i quali, nei tessuti dei mammiferi, formano fibre che si trovano nella pelle, nei tendini, nelle ossa, nelle cartilagini e nei tessuti cardiovascolari.

Fig. 3.4 Struttura del collagene

Le fibre di collagene hanno lo scopo di limitare le deformazioni dei tessuti e di prevenirne le rotture meccaniche. L’unità strutturale del collagene è il tropocollagene, proteina con una massa molecolare di circa 285 KDa. È formato da tre catene polipeptidiche con conformazione elicoidale, glicina GLY, prolina PRO, idrossiprolina HYP. L’unione di queste tre catene è dovuta principalmente a due tipi di legami: idrogeno e legami crociati tra le molecole di lisina/idrossilisina.

Le triple supereliche del collagene formano a loro volta fibre di diametro pari a 1- 2 μm che risultano molto stabili chimicamente e sono responsabili delle proprietà meccaniche. Il collagene è il coating più utilizzato a basso costo per le colture cellulari su dischetti di Petri.

Può essere facilmente preparato in laboratorio estraendolo dalla coda del

topo, ma viene anche venduto in stock solubili dai maggiori distributori di

materiali biologici. Il collagene adoperato nel presente lavoro di tesi è stato un

gentile dono della Dott.ssa Vanessa Gil Fernandez (Istituto Cellular and

Molecular Basis of Neurodegeneration and Neurorepair Parc Científic di

Barcellona).

(5)

3.1.3 Alginato

L’alginato di sodio si ottiene dall’acido alginico, costituente naturale di alcune alghe brune; è un copolimero costituito da due acidi uronici: l’acido D- mannuronico (M) e quello L-guluronico (G).

Fig3.5. Unità ripetitiva dell’alginato

Esso può risultare solubile oppure insolubile in acqua, a seconda del tipo di sale che viene a creare: i sali di sodio, di altri metalli alcalini e di ammonio sono solubili, mentre i sali di ioni polivalenti come il calcio, sono insolubili in acqua, ad eccezione del magnesio. I cationi polivalenti sono responsabili sia di reticolazioni intercatena che infracatena, in quanto si legano al polimero ogni qualvolta vi siano due residui vicini di acido guluronico. Il processo di reticolazione consiste pertanto nella semplice sostituzione degli ioni sodio con gli ioni calcio secondo la seguente reazione:

2Na(Alginato) + Ca

++

Î Ca(Alginato)

2

+ 2Na

+

Tale processo si svolge in condizioni molto “miti” e la reticolazione non

varierà una volta determinata la quantità iniziale di alginato .

(6)

La struttura che si viene a creare risulta termostabile nell’intervallo 0- 100°C; tuttavia essa degrada se immersa in una soluzione contenente ioni sodio, potassio o magnesio ed a pH acidi.

Come già detto, è stato dimostrato che il binding degli ioni calcio avviene in corrispondenza di residui contigui di acido guluronico, per cui sono emerse caratteristiche differenti nei casi di reticolazione di alginati con contenuti diversi di tali residui [18]; inoltre è risultata determinante anche la concentrazione della soluzione di cloruro di calcio impiegata come reticolante.

Fig3.6. Meccanismo di reticolazione dell’alginato

In particolare è emerso che alginati aventi quantità molto elevate di residui di acido guluronico (73% della composizione totale, di cui il 56% contigui) mostrano maggiore resistenza alla degradazione, maggiore porosità ed un’ottima stabilità nel tempo; inoltre non subiscono sostanziali cambiamenti di volume durante la reticolazione. Al contrario alginati ricchi di acido mannuronico (62%

acido mannuronico, 38% acido guluronico, di cui il 18% contiguo) producono strutture più morbide, meno porose e soggette alla degradazione nel tempo.

La presenza di quantità maggiori di ioni calcio enfatizza le proprietà dell’alginato con alto contenuto di acido guluronico, mentre sembra non determinare sostanziali differenze nell’alginato del secondo tipo: ciò pare sia dovuto ad un ulteriore rafforzamento della struttura consistente in una reticolazione intercatena fra siti già reticolati

2

.

22 Alginic Acid Sodium Salt from Brown Algae, Fluka cfr. Appendice pag.105

(7)

Fig3.7. Influenza degli ioni calcio sulla reticolazione dell’alginato

3.1.4 Polipirrolo (PPy)

Il polipirrolo è costituito da una lunga catena di anelli di pirrolo (monomero) e viene sintetizzato partendo da quest’ultimo per via chimica o elettrochimica.

Il pirrolo

3

è un composto aromatico eterociclico avente formula chimica C

4

H

5

N. A temperatura ambiente è un liquido giallo, infiammabile, dall'odore tenue. È insolubile in acqua, ma è solubile in etanolo e nei più comuni solventi organici. In natura il pirrolo è spesso parte di sistemi aromatici più complessi quali, ad esempio, le porfirine dell’emoglobina e della clorofilla o la vitamina B12.

Fig3. 8. Formula di struttura e modello molecolare del pirrolo

3 Pyrrol 98%, Aldrich cfr. Appendice pag.117

(8)

Il polipirrolo è un polimero conduttivo. I polimeri conduttivi sono generalmente chiamati “metalli sintetici” perché possiedono le proprietà elettriche, magnetiche ed ottiche di metalli e di semiconduttori e sono caratterizzati dalla presenza di un'alternanza di singoli e doppi legami chimici lungo la catena C-C che consente il trasferimento di cariche elettriche.

Fig3.9. Formula di struttura del polipirrolo

I polimeri conduttivi sono materiali innovativi per le loro funzioni e trovano impiego come elettroliti nelle batterie ricaricabili, nei sensori chimici e potenzialmente, come biomateriali. Essi uniscono infatti le proprietà tecnologicamente importanti delle materie plastiche, per esempio la bassa densità, con alcune proprietà dei metalli, come la conducibilità elettrica e le buone proprietà meccaniche.

3.1.5 Linee cellulari utilizzate

Per gli esperimenti e la valutazione dell’efficacia del sistema di rilascio creato, è stata utilizzata la linea di fibroblasti renali felini Crandell (CrFK)

4

. Le cellule sono state coltivate in terreno DMEM

5

, integrato con L-Glutammina

6

(2 mM), antibiotici (100 IU/ml pennicillina, 100 μ g / ml streptomicina) e FBS. Il siero è stato inattivato al calore (56°C) per 30 minuti ed utilizzato alla concentrazione del 10%. Le cellule sono state mantenute in incubatore a 37 °C in atmosfera satura di umidità e con CO

2

al 5%. Le cellule sono state distaccate mediante incubazione per 3-5 minuti a 37 °C con una soluzione tripsina-EDTA

7

, quindi diluite e trasferite su piastre petri o su nuove fiasche.

4 Crf. Appendice pag.115

5 Dulbecco’s modified Eagle’s medium, Sigma crf Appendice pag.110

6 Crf Appendice pag 113

7 Crf. Appendice pag 112

(9)

Il numero di cellule è stato determinato utilizzando una camera di Burker.

Le cellule, staccate per tripsinizzazione, sono state risospese in terreno completo.

Le cellule possono essere coltivate su substrati diversi, dai dischetti alle fiasche di coltura, semplicemente deponendo un film sottile di una proteina di adesione, in questo caso è stata adoperata la fibronettina

8

30 mM (250 μ /cm di l substrato), incubata per 20-30 min a 37°C e aspirata prima della semina delle cellule.

2

3.2 Metodi di deposizione della matrice polimerica di PPy

I polimeri conduttivi appartengono alla classe di materiali che più di tutti sta ricevendo grande interesse da parte della ricerca per la realizzazione di nuovi dispositivi microfabbricati [19].

Oltre alle proprietà elettriche e meccaniche che li caratterizzano, i polimeri conduttori e quindi anche il polipirrolo, hanno molti vantaggi rispetto ai materiali tradizionali: infatti essi possono essere facilmente utilizzati per ricoprire superfici diverse o substrati flessibili. In più la loro struttura molecolare può essere alterata modificando le loro proprietà e possono essere legati ad altri polimeri per migliorare le caratteristiche, come ad esempio la forza meccanica. I polimeri conduttivi nel loro stato “dopato” possono condurre elettricità. Esistono diversi metodi per deporre film da una soluzione non modificata di monomero, ma nel caso in cui il polimero è intrattabile (ad esempio insolubile) l’elettropolimerizzazione può essere una valida alternativa.

Questo è il metodo maggiormente utilizzato per la deposizione del polipirrolo. La deposizione elettrochimica è un metodo che induce una reazione chimica attraverso l’utilizzo di elettrodi che cedono o rimuovono elettroni. Questo fenomeno è rappresentato dalla seguente reazione:

R ne O +

8 Crf Appendice pag 116

(10)

dove e R rappresentano rispettivamente la specie ossidata e la specie ridotta, mentre il numero di elettroni. Il potenziale applicato influenza la velocità della reazione e la sua direzione.

O ne

I potenziali sono applicati utilizzando un generatore di tensione con tre elettrodi: un elettrodo di lavoro (WE), un elettrodo di riferimento (RE) ed un controelettrodo (CE). L’elettrodo di lavoro rappresenta il substrato su cui il film deve essere depositato; l’elettrodo di riferimento, generalmente Ag/AgCl garantisce l’equilibrio della reazione e determina il livello di riferimento della cella elettrochimica. Nessuna corrente scorre nell’elettrodo di riferimento, mentre la corrente per la reazione è fornita dal controelettrodo che può essere per esempio una lamina di platino oppure un wafer di silicio ricoperto di oro.

La deposizione elettrochimica è fatta in un elettrolita, una soluzione salina, che è generalmente in forma liquida. Per depositare un film elettrochimicamente, nella soluzione salina è contenuto il monomero. Per completare il circuito elettrochimico, se gli elettroni sono rimossi da un elettrodo, in egual numero essi saranno iniettati nell’altro. Se il potenziale positivo è applicato al WE, a questo elettrodo le specie saranno ossidate, mentre simultaneamente al CE le specie saranno ridotte. L’area del CE è necessario sia almeno 10 volte maggiore rispetto al WE al fine di permettere queste reazioni. Il processo di deposizione può essere controllato sia in tensione che in corrente. Nel primo caso la tensione può essere costante nel tempo (potenziostatica), oppure tempo-variante (potenziodinamica).

Nel secondo caso è erogata corrente costante (galvanostatica) e la tensione varia in accordo con essa. Per la deposizione potenziostatica, la corrente è misurata nel tempo in un chronoamperogram. Per una deposizione potenziodinamica la corrente è registrata al variare della tensione in un cyclic voltammogram.

3.2.1 Set-up sperimentale

Il metodo di deposizione qui proposto sarà di tipo potenziostatico: quindi

sarà mantenuta costante la tensione e valutata, al variare del tempo, la corrente. Il

set-up sperimentale consiste essenzialmente di una cella elettrochimica, un

generatore di tensione, tre elettrodi, un multimetro per rilevare precisamente la

(11)

corrente che scorre nel circuito e ovviamente dei coccodrilli per trasmettere le correnti nel circuito.

Fig3.10. Set-up sperimentale per la deposizione del PPy

Come controelettrodo, è stato impiegato un wafer di silicio ricoperto da oro, di forma circolare orientato parallelamente al campione che si vuole ricoprire di polimero in modo tale da assicurare l’uniformità del campo elettrico. Il controelettrodo e l’elettrodo di lavoro sono separati da qualche centimetro e l’elettrodo di riferimento è posto tra loro oppure da una parte, indifferentemente.

La cella è un contenitore di vetro, ha una forma cilindrica con un’altezza di 5,5 cm e un diametro di 9 cm per un volume totale di circa 300 ml. Gli elettrodi sono connessi al generatore di tensione attraverso coccodrilli. È importante mantenere questi esterni al liquido in modo da evitare che la corrosione degli stessi possa contaminare la soluzione e generare correnti che interferiscano con la polimerizzazione.

In corrispondenza del CE le specie si riducono, perciò è opportuno

separare il CE dal WE al fine di prevenire interferenze tra le specie ridotte e la

reazione di polimerizzazione. Inoltre un’ampia separazione tra i due elettrodi

comporta una crescita del film molto più uniforme.

(12)

Fig3. 11. Cella per la deposizione elettrochimica del PPy

3.3 Metodi di deposizione dell’ossido di silicio

La deposizione di film sottili avviene mediante tecniche di tipo fisico e chimico [20], [21]. Il film (di tipo solido) viene deposto a partire da un materiale precursore in forma liquida, gas o solida. Il processo di deposizione avviene in un reattore all’interno del quale sono create delle condizioni di alto vuoto (> ); in questo modo diminuisce il numero di collisioni intermolecolari aumentando l’efficienza di deposizione

10

6

Nel presente lavoro di tesi, la tecnologia scelta per la deposizione dell’ossido di silicio è lo sputtering a radiofrequenza (RF) [22]. Il ricorso a tale tecnologia ha permesso di effettuare la deposizione di un materiale isolante attraverso l’utilizzo della RF che consente la scarica periodica del bersaglio per inversione di polarità della tensione di bias applicata.

Il termine sputtering è usato per descrivere il meccanismo con cui gli

atomi sono dislocati dalla superficie di un materiale, che funge da bersaglio

(13)

(target), tramite il bombardamento dello stesso con particelle altamente energetiche (generalmente ioni). Il numero di atomi rilasciati per ione incidente definisce la resa di sputtering, che è funzione crescente dell’energia dello ione incidente.

Il processo è costituito da quattro fasi principali:

• applicando una differenza di potenziale tra il target e il campione il gas presente in camera ionizza; gli ioni vengono diretti al target (si ha una densità di corrente ionica dell’ordine del mA/ cm

2

) ;

• gli ioni carichi positivamente scaricano la loro carica al catodo, realizzando lo sputtering sul target;

• gli atomi (o cluster di atomi, spesso molecole biatomiche) espulsi dal target arrivano al substrato;

• gli atomi condensano sul substrato per formare un film sottile.

Uno schema della macchina che realizza questa tecnica è mostrata in Fig.

3.12, che illustra la presenza di due tipi di pompe per la realizzazione del vuoto finale, disposte in serie:

- la pompa rotativa per la fase di prevuoto, che riduce la pressione all’interno della camera da quella atmosferica fino a un valore dell’ordine di –

mbar;

10

2

10

3

- la pompa turbomolecolare per la realizzazione del vuoto spinto, che consente di raggiungere pressioni dell’ordine di 10

6

mbar.

Dopo aver generato il vuoto, nella camera di deposizione viene immesso il

gas ionizzante (in questo caso Argon). Applicando la potenza a radiofrequenza al

sistema si ionizza il gas a bassa pressione e viene generato il cosiddetto plasma e

quindi gli ioni proiettili responsabili del processo di sputtering.

(14)

Fig3.12. Schema del sistema di sputtering

3.4 Metodi di deposizione della matrice polimerica di alginato

Il sottile coating di alginato ( circa 5 μ ) è finalizzato alla realizzazione m di un sistema di rilascio. Dati in letteratura dimostrano come l’alginato sia un ottimo polimero per sistemi di drug delivery [23].

Il film deve avere dimensioni ovviamente paragonabili con quelle della superficie da ricoprire: in questo caso quindi deve essere di dimensione dell’ordine di alcuni micron, in particolare l’alktezza dei CNT utilizzati e 7 μ . m

La preparazione del film consiste nel disporre uniformemente la soluzione di alginato ad una definita concentrazione sulla superficie da ricoprire, spargendola in modo uniforme.

La soluzione viene lasciata in ambiente sterile per circa 24 ore, fino a

quando la stessa non evapora completamente. Quando sulla superficie non appare

nulla ad occhio nudo, si procede al lavaggio con gli ioni calcio che permettono una

reticolazione istantanea del film. A questa fase segue poi una successiva completa

asciugatura tramite aria calda. Soltanto dopo quest’ultima fase è possibile

(15)

osservare anche ad occhio nudo il film; infatti, pungendo la superficie è evidente la presenza di un moto ondoso che sottolinea la formazione della matrice. È possibile misurare il contenuto percentuale di acqua intrappolata nel film all’aggiunta della soluzione di ioni calcio al 30%:

Contenuto di acqua = [W(wet)-W(dry)/W(wet)]*100

Dove W(wet) e W(dry) sono il peso del film secco (dopo l’evaporazione) e il peso del film dopo la polimerizzazione mediante ioni calcio.

3.5 Metodi di deposizione della matrice polimerica di collagene

Il procedimento seguito per la deposizione del film di collagene è lo stesso descritto nel caso dell’alginato.

Anche in questo caso lo spessore che si vuole ottenere è dell’ordine dei micron, perciò il film si ottiene per evaporazione di una soluzione diluita deposta su una superficie. L’impiego del collagene come sistema di rilascio, essendo un componente della matrice extracellulare, avrebbe il vantaggio di non richiedere successivi trattamenti del substrato per garantire l’adesione cellulare, al contrario dell’impiego del film di alginato. Il tempo necessario perché la soluzione evapori completamente, lasciando un film secco adeso alla superficie, è, ancora, 24 ore.

3.6 Metodi per la caratterizzazione della cinetica di diffusione: spettrofotometria

I metodi spettroscopici di analisi si basano sulla misura della radiazione

elettromagnetica prodotta o assorbita dalla materia. I metodi di emissione

sfruttano la radiazione emessa quando un analita viene eccitato con energia

termica, elettrica o radiante. I metodi di assorbimento, invece si basano sulla

diminuzione di intensità (o attenuazione) della radiazione elettromagnetica in

conseguenza alla sua interazione con l’analita e parziale assorbimento da parte

(16)

dello stesso. I metodi spettroscopici sono tra i più largamente diffusi per acquisire informazioni qualitative ed anche quantitative. Vengono convenientemente classificati secondo la regione dello spettro elettromagnetico che è coinvolta: tra queste le principali sono la regione dei raggi X, ultravioletto, visibile, infrarosso, delle microonde, e la regione delle radiofrequenze.

3.6.1 Spettro di assorbimento

La lunghezza d’onda alla quale una molecola organica assorbe dipende da quanto sono strettamente legati i suoi diversi elettroni. Conoscendo le caratteristiche dello spettro di assorbimento e la regione in cui un composto assorbe è possibile ottenere informazioni qualitative e quantitative sul tipo di molecola.

3.6.2 Legge di Lambert-Beer

Quando un raggio di luce monocromatico di intensità iniziale attraversa una soluzione in un vaso trasparente, parte della luce è assorbita cosicché l’intensità della luce trasmessa

I

0

I è minore di . Ci sono alcune perdite di intensità della luce a causa dello scattering delle particelle nella soluzione e a causa della riflessione all’interfaccia, ma soprattutto a causa dell’assorbimento nella soluzione [24].

I

0

Fig3. 13. Principio di una misura fotometrica

La relazione tra I e dipende sia dalla lunghezza d della soluzione sia dalla concentrazione della soluzione assorbente, c.

I

0

(17)

Legge di Lambert: quando un raggio di luce monocromatico passa attraverso un mezzo assorbente, l’intensità del raggio diminuisce all’aumentare della lunghezza d

cd

e

k

I I =

0 1

Legge di Beer: quando un raggio di luce monocromatico passa attraverso un mezzo assorbente, l’intensità del raggio diminuisce all’aumentare della concentrazione

cd

e

k

I I =

0 2

Combinando insieme queste due leggi si ottiene la legge di Lambert-Beer:

cd

e

k

I I =

0 3

L’espressione log

10

I

0

/ I = kcd è conosciuta come assorbanza.

Se d è 1 cm e c è 1 mol/l allora l’assorbanza è uguale a k, definito come coefficiente di estinzione molare [26].

3.6.4 Componenti strumentali per la misura dell’assorbimento

A prescindere dalla regione dello spettro implicata, gli strumenti che misurano l’assorbanza contengono 5 elementi fondamentali.

• Una sorgente stabile di energia radiante

• Un selettore di lunghezza d’onda

• Contenitori trasparenti per il campione

• Rivelatore di radiazione (trasduttore)

• Un dispositivo di lettura che visualizza il segnale trasdotto

Fig3.14. Componenti degli strumenti per le misure di assorbimento ( spettrofotometro)

(18)

Al fine di realizzare il massimo della sensibilità, le misure di assorbanza vengono normalmente eseguite ad una lunghezza d’onda corrispondente ad un picco di assorbimento, poiché in prossimità di tale punto la variazione di assorbanza per unità di concentrazione è maggiore.

Generalmente le variabili comuni che influenzano lo spettro di assorbimento di una sostanza comprendono la natura del solvente, il pH della soluzione, la temperatura, l’elevata concentrazione dell’elettrolita e la presenza di sostanze interferenti. Gli effetti di queste variabili devono essere noti e le condizioni di analisi devono essere scelte in modo che l’assorbanza non venga materialmente influenzata da piccole, incontrollate variazioni nella loro grandezza.

Analisi spettrofotometriche accurate richiedono l’uso di celle o cuvette di buona qualità. Per misure a lunghezze d’onda inferiori a 350 nm il materiale utilizzato è la silice fusa o il quarzo. È importante la pulizia delle celle: infatti semplici graffiature o impronte digitali possono indurre variazioni nel risultato.

3.6.5 Relazione tra assorbanza e concentrazione: la calibrazione

Ai fini di un calcolo quanto più realistico possibile, sono state effettuate

delle prove di calibrazione dello spettrofotometro utilizzato, con misure di

assorbanza di soluzioni di albumina a concentrazioni note. Infatti misurando

l’assorbanza di soluzioni con concentrazione di albumina conosciute, tracciando

un grafico assorbanza (UA) / concentrazioni (mg/ml) è possibile ricavare il

coefficiente di estinzione massico applicando la legge di Lambert-Beer.

(19)

Fig3.15. Retta di calibrazione dell’albumina

La pendenza della retta di interpolazione rappresenta il coefficiente di estinzione massico, che correla le due grandezze. Applicando perciò l’equazione di Lambert-Beer nelle prove di rilascio che seguiranno, sarà possibile calcolare la concentrazione di albumina a partire dall’assorbanza misurata. Le prove prevedono la misura del bianco, cioè la misura dell’assorbanza di acqua pura prima di ogni prova, da sottrarre alla misura del campione per eliminare l’eventuale introduzione di drift e errori. Le cuvette sono lavate con alcool etilico puro ed asciugate prima della misura.

3.7 Microscopia FIB

Inizialmente sviluppata per soddisfare la domanda dell’industria dei

circuiti integrati (IC), la tecnologia Focused Ion Beam (FIB) ha trovato

recentemente applicazione come tecnica di microfabbricazione su scala sub-

micrometrica [26] [27] forniscono un’utile panoramica delle applicazioni FIB in

micro machining. Recentemente, i sistemi FIB hanno raggiunto risoluzioni

spaziali paragonabili ai tradizionali microscopi a scansione elettronica (SEM),

ottenendo un ruolo di tutto rispetto come strumenti di visione (“imaging”), in

aggiunta alle capacità di sezionamento e deposizione [28]. Infine i sistemi FIB

hanno di recente attratto l’interesse dei ricercatori di scienze dei materiali come

(20)

tecnica analitica: il bombardamento con ioni produce infatti effetti che possono essere esplorati al microscopio.

I sistemi FIB si basano sull’utilizzo di sorgenti ioniche metalliche liquide (LMIS), generalmente sorgenti di ioni Gallio (Ga

+

) ad alta brillantezza e energie tipiche comprese tra 4 keV and 50 keV. Nella sorgente liquida è immerso un ago di Tungsteno (W). Il Ga bagna l’ago e fluisce verso la punta. Un elevato campo elettrico di estrazione (108 V/cm) è usato per spingere il Ga liquido nell’estremità conica il cui raggio è intorno a 5–10 nm. Gli ioni emessi per effetto del campo ionizzante sono post ionizzati e accelerati all’interno della colonna ionica. I sistemi FIB tipicamente operano con tensioni di accelerazioni comprese tra 5 e 50 keV. Agendo sulle lenti elettrostatiche e sulla dimensione effettiva dell’apertura della colonna ionica, la densità di corrente del fascio ionico (e quindi il diametro del fascio) possono essere variati da 5 nm fino a 5 μm. In Fig. 3.16 sono mostrati gli schemi della colonna FIB e della LMIS.

Fig3.16. Schemi di una colonna (in alto) e della LMIS (in basso) di un sistema FIB

(21)

Quando gli ioni ad alta energia colpiscono la superficie del campione solido, essi cedono la loro energia agli elettroni e agli atomi del solido. Gli effetti fisici risultanti sono (Fig. 3.17).

Lo sputtering degli atomi neutri o ionizzati del substrato: questo effetto permette il milling di un substrato solido;

- l’emissione di elettroni, su cui si basa l’imaging;

- lo spostamento di atomi nel solido che induce difetti o danni puntuali nel reticolo solido;

- l’emissione di fotoni che induce il riscaldamento del campione.

Fig. 3.17 Schema degli effetti indotti dal bombardamento di una superficie con particelle ioniche ad alta energia

Le componenti principali di un sistema FIB oltre la colonna ionica, sono la camera di lavoro, il sistema di iniezione del gas, il sistema del vuoto e la stazione di lavoro (interfaccia con l’operatore). Il vuoto all’interno della colonna e della camera di lavoro è mantenuto attraverso un sistema di pompe. Il sistema di iniezione del gas permette di rilasciare differenti tipi di gas usati per deposizione di metalli e per isolanti (gas assisted deposition) e per il milling (gas assisted etching). I processi realizzabili con un sistema FIB sono essenzialmente tre:

l’imaging, il milling e la deposizione.

Nel presente lavoro di tesi, l’imaging al FIB è stato adoperato per la

visualizzazione dei campioni ad ingrandimenti fino ad 8000 X. Il milling al FIB

invece è stato adoperato per il taglio della sezione di un campione per la misura

degli spessori deposti.

(22)

Imaging

In un’immagine FIB molti meccanismi di contrasto interagiscono simultaneamente e generalmente i dettagli di un immagine possono essere migliorati aumentando o diminuendo l’effetto di un particolare meccanismo. I meccanismi di contrasto sono essenzialmente tre (lo channeling, il contrasto di tensione e il contrasto topografico) e sono ampiamente descritti in letteratura [29].

In particolare nei materiali cristallini lo channelling è adoperato per la caratterizzazione della struttura granulare (Fig 3.18 a). Il contrasto di tensione è usato principalmente per visualizzare componenti elettronici basandosi sulla differenza di brillantezza degli strati di isolante e conduttore (Fig. 3.18 b). Il contrasto topografico invece permette, attraverso caratteristiche di profondità, di riprodurre meglio la forma dell’oggetto (Fig3.18 c). la risoluzione di un microscopio FIB è di 6 mm.

Fig.3.18: a) Immagine FIB di una scavo realizzato via FIB milling. b) Immagine FIB di una sezione trasversale di un componente elettronico. c) Immagine FIB della punta del cantilever di un AFM.

Milling

In un sistema FIB la rimozione del materiale avviene usando un fascio

ionico ad alta corrente [30]. Il risultato è lo sputtering fisico del materiale. La

risoluzione del processo di milling è di poche decine di nanometri. L’aspect -

ratio dei fori realizzati via milling è tra 10–20. I sistemi FIB rappresentano sistemi

unici di microfabbricazione di strutture tridimensionali offrendo una

combinazione di visione in tempo reale e di microfabbricazione in un unico

strumento. Inoltre la possibilità di produrre fasci ionici di 10 nm rende il sistema

un dispositivo di nano fabbricazione [31]. L’ampio campo di variabilità della

(23)

dimensione dello spot (10-500 nm) e della corrente di lavoro rende il sistema FIB uno strumento ideale sia per la micro che per la nano ingegneria. Alcuni problemi pratici del milling sono i lunghi tempi di lavorazione per rimuovere larghi volumi di materiale e gli effetti di rideposizione del materiale che incidono sulla risoluzione della lavorazione [32]. Tali problemi possono facilmente essere ridotti ricorrendo al FIB assisted etching: irradiando il campione in un ambiente con un gas reattivo, è possibile aumentare la velocità di rimozione fino a centinaia di volte rispetto al milling.

In Fig 3.19 è mostrata la sezione di un film di alginato, allo scopo di misurare lo spessore dello stesso, che come evidente dalla Fig.3.19 è dell’ordine dei micron.

Fig. 3.19: Immagine al FIB di una sezione di film di alginato

Fig. 3.20: Foto del sistema FIB FEI 200 disponibile presso il laboratorio CRIM

(24)

Dispositivo FEI 200 focused ion beam

Metodo di microfabbricazione Milling (o sputtering) localizzato e deposizione per focused ion beam

Materiali/Applicazioni Conduttori e isolanti

Dimensione tipica Min/Max Dal sub-micron al millimetro

Tolleranza 10 nm

Tabella 3.1: Informazioni tecniche del sistema FIB FEI 200

La Fig. 3.20 mostra il sistema FIB disponibile presso il laboratorio CRIM.

In Tabella 3.1 sono riportate le principali informazioni tecniche della macchina.

3.8 Microscopia a fluorescenza

Gli oggetti che si vogliono osservare (cellule, batteri, proteine) vengono

“marcati” con le molecole di una deteminata sostanza fluorescente e successivamente vengono illuminati con la luce di eccitazione. Questa luce è ottenuta filtrando la radiazione generata della sorgente luminosa del microscopio utilizzato, per mezzo di un opportuno filtro ottico, chiamato filtro di eccitazione, che lascia passare solo le lunghezze d’onda che possono essere assorbite dalle molecole fluorescenti con le quali sono stati marcati gli oggetti da osservare. Il filtro di eccitazione è un filtro ottico di barriera, cioè un passa banda con banda passante molto stretta centrata attorno alla lunghezza d’onda di eccitazione delle molecole di sostanza fluorescente.

La luce di eccitazione passa attraverso le lenti che costituiscono l’obiettivo

del microscopio, le quali la focalizzano attraverso il campione da osservare. Le

molecole fluorescenti, una volta illuminate dalla luce di eccitazione, emettono una

radiazione luminosa; l’intensità di tale radiazione è direttamente proporzionale sia

alla densità di molecole fluorescenti, cioè al numero di tali molecole contenute

nell’unità di volume di campione osservato, che all’intensità della luce di

eccitazione stessa. La luce emessa per fluorescenza passa di nuovo attraverso

l’obiettivo, il quale la focalizza verso il dispositivo di rivelazione luminosa; poi

attraversa un altro filtro ottico, chiamato filtro di osservazione, che lascia passare

solo le lunghezze d’onda emesse dalle molecole fluorescenti considerate. Anche il

filtro di osservazione, come quello di eccitazione, è un filtro ottico di barriera,

cioè un passa - banda con banda passante molto stretta centrata questa volta

(25)

attorno alla lunghezza d’onda di emissione delle molecole di sostanza fluorescente.

La luce che esce da questo secondo filtro è monocromatica e raggiunge il rivelatore luminoso, che può essere un oculare oppure una videocamera; tale rivelatore permette all’operatore di osservare l’immagine di microscopia a fluorescenza del campione osservato, nella quale sono visibili gli oggetti marcati con le molecole fluorescenti in questione. In tale immagine gli oggetti marcati appaiono luminosi su uno sfondo scuro, perché i punti dello sfondo, non essendo marcati, non emettono luce per fluorescenza ed anche se riflettono una parte della luce di eccitazione. Normalmente le sostanze fluorescenti sono chiamate fluorocromi o sonde biologiche. Nella Fig 3.21 sono riportati alcuni fluorocromi di uso comune e per ciascuno di essi è indicata sia la lunghezza d’onda di eccitazione che quella di emissione

Fig3.21 Lunghezze d’onda (nm) di eccitazione e di emissione di alcuni fluorocromi di uso comune.

Tra i più comuni marcatori fluorescenti ricordiamo la fluoresceina, che emette luce verde quando viene eccitata con luce blu e la rodammina, che emette luce rossa quando viene eccitata con luce giallo-verde. Esistono anche fluorocromi che vengono eccitati con radiazioni elettromagnetiche nella banda dell’ultravioletto (UV), cioè aventi lunghezze d’onda λ

a

< 400 nm ; dopo aver assorbito tali radiazioni questi fluorocromi emettono luce blu.

Il microscopio utilizzato in questo lavoro di tesi è un Nikon, di cui è

riportata l’immagine in Fig.3.22.

(26)

Fig3.22 Immagine del microscopio a fluorescenza

Nel presente lavoro di tesi come fluorocromo è stata utilizzata l’albumina

marcata con FITC, fluoresceina-5-isotiocianato, che assorbe a 280nm come

evidente dalla Fig.3.21.

Riferimenti

Documenti correlati

In primo luogo, se il valore della soccombenza non supera i 600 Euro, la causa è soggetta ad una vincolante valutazione di ammissibilità dell’appello da parte del giudice di

Perciò, se l’ordine delle priorità decisionali s’impone al Giudice di merito in considerazione della più elementari regole di economicità, fa parte addirittu- ra dello statuto

Stainless steel wall flange with hexagonal

Per misurare la risposta armonica degli stadi abbiamo fornito un segnale in ingresso al filtro mediante un generatore di funzioni scegliendo un’ampiezza del segnale

5.  Graficate il guadagno (o attenuazione) A j = V outj /V inj in funzione di f j (scegliendo la rappresentazione più “efficace”) e fate un best-fit dei dati

[r]

FILTRI CIC (CASCADED INTEGRATOR AND COMB

Una volta tagliata, la sezione viene adagiata sul vetrino con dell'acqua e quest'ultimo va su una piastra riscaldata, grazie alla quale la paraffina si