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5. PARTE SPERIMENTALE

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5. PARTE SPERIMENTALE

5.1 Razionale

La condizione di emergenza socio-sanitaria nei paesi in via di sviluppo è un problema estremamente attuale e ancora irrisolto che coinvolge tutte le aree mediche e chirurgiche, per la mancanza di un servizio sanitario pubblico efficiente e capillare che possa garantire un'assistenza sanitaria gratuita all'intera popolazione. Conseguentemente, deformità dello scheletro che si manifestano alla nascita o nei primi mesi di vita non sono diagnosticate, né trattate.

Il piede torto congenito è una delle patologie di più frequente riscontro nella razza nera africana e, pur essendo ben evidente alla nascita, raramente viene trattato e molto spesso esita in quadri complessi di piede torto inveterato, compromettendo la possibilità di deambulare e quindi escludendo tali soggetti dal contesto sociale e lavorativo.

Per offrire un aiuto piccolo ma concreto a queste popolazioni, un gruppo di chirurghi ortopedici ha riunito medici, infermieri, studenti e tanti altri volontari in una ONLUS ( organizzazione non lucrativa ad utilità sociale ),

“Orthopaedics”.

Lo scopo di questo studio retrospettivo è analizzare un gruppo di 65 pazienti affetti da piede torto congenito inveterato, osservati nelle spedizioni di Orthopaedics in Tanzania, presso l’ospedale pediatrico “Mlali Children Hospital”, tra il 2000 e il 2007, e trattati con intervento chirurgico correttivo.

L’obiettivo è stabilire quale sia la migliore strategia terapeutica rispetto alle

caratteristiche del gruppo di pazienti selezionati e valutarne l’efficacia rispetto

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5.2 Materiali e metodo

Dal 2000 al 2007 sono state organizzate 21 spedizioni di chirurgia ortopedica presso l’ospedale Mlali Children Hospital (Tanzania), composte da due chirurghi specialisti in ortopedia ed esperti in patologie dello scheletro in età evolutiva, due anestesisti, quattro medici specializzandi in ortopedia e traumatologia, un fisioterapista, due infermieri professionali e due studenti in medicina e chirurgia.

Le spedizioni si sono svolte ciclicamente durante i mesi di aprile, agosto e ottobre di ogni anno e ciascuna ha avuto una durata di circa 14-21 giorni.

L’obiettivo di ogni spedizione è stato:

- controllare i pazienti operati dal gruppo precedente - visitare e selezionare nuovi pazienti

- operare i nuovi casi

Alla fine di ogni spedizione i pazienti sono stati affidati alle cure del personale locale dell’ospedale, che ha provveduto al ricovero dei piccoli pazienti e alla loro accoglienza, una volta giunta la spedizione successiva, per eseguire i controlli e prescrivere gli ausili e le terapie necessarie, soltanto dopo un’attenta valutazione sia clinica che radiografica.

Il personale locale è stato continuamente seguito e aggiornato dai medici e fisioterapisti di Orthopaedics. Una parte importante del programma è stata la formazione delle madri dei neonati affetti da piede torto congenito, al fine di poter intervenire con terapie conservative su questi pazienti pervenuti precocemente all’osservazione.

Nel periodo di tempo riportato sono stati visti 195 pazienti affetti da piede

torto congenito. Per il seguente studio sono stati selezionati i pazienti di età

superiore ad una anno che presentassero una deformità idiopatica e inveterata,

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cioè mai trattata in precedenza.

Rispondevano a queste caratteristiche 65 bambini: 41 erano maschi (63%) e 24 erano femmine (37%), con una maggiore incidenza nel sesso maschile ed un rapporto maschi-femmine di circa 2:1 (valore simile a quello riportato da vari Autori).

Il 38,5% dei pazienti (25) era affetto da PTC sinistro, il 32,3% (21) da PTC destro e il 29,2% (19) da PTC bilaterale, per un totale di 84 piedi torti operati (tab. 2).

Tabella 2

pazienti selezionati per lo studio

Si nota una minor incidenza di piede torto bilaterale nel sesso femminile, a favore della forma monolaterale, mentre nel sesso maschile le tre forme quasi si eguagliano, ma vi è una lieve prevalenza della forma monolaterale sinistra.

Tutti i bambini, una volta ammessi presso l’ospedale, sono stati sottoposti ad una scrupolosa visita medica. L’anamnesi è stata raccolta con l’aiuto dei

PTC sn PTC dx PTC

bilaterale

Femmine 10 41,6% 9 37,5% 5 20,8%

Maschi 15 36,5% 12 29,3% 14 34,2%

TOTALE 25 38,5% 21 32,3% 19 29,2%

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Si è tentato, ove possibile, di ricostruire l’anamnesi familiare, soprattutto per valutare la presenza o meno di parenti affetti da piede torto congenito o da patologie ad esso correlate. Dei 65 bambini osservati, 7 avevano un parente di primo grado con la stessa patologia, ovvero la familiarità è risultata positiva nel 10,76% dei casi, valore leggermente inferiore a quello riportato da vari autori (15%), forse per la difficoltà a ricostruire con esattezza la storia familiare di tutti i pazienti.

L’anamnesi personale è stato uno strumento importante per ricercare patologie intercorrenti o associate che avrebbero potuto complicare l’intervento chirurgico, in particolare:

a. anemia falciforme b. epilessia

c. malaria

d. infezioni delle vie aeree

All’anamnesi è seguito un attento esame obiettivo, svolto con la preziosa collaborazione dell’anestesista. L’esame obiettivo è il fondamento della diagnosi e ciò trova conferma in una realtà che ci priva di molte indagini, strumentali e di laboratorio, che qui sono divenute quasi una routine.

Si valuta anzitutto lo stato generale del paziente, in particolare quello nutrizionale, ponendo attenzione al trofismo della cute e delle mucose, quindi si procede all’esame specifico dei vari apparati alla ricerca, principalmente, di segni di infezione.

Parallelamente, si verifica la presenza di altre affezioni muscolo-scheletriche

congenite frequentemente associate a PTC, tra cui la displasia congenita

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dell’anca. Inoltre, si possono facilmente riconoscere casi di paralisi cerebrale infantile, patologia la cui incidenza è elevata in paesi che non godono di assistenza al parto.

In questo modo, è stato possibile escludere dallo studio tutti i pazienti affetti da:

a) piede torto congenito associato a displasia dell’anca,

b) piede torto congenito associato a paralisi cerebrale infantile,

c) piede torto congenito secondario ad altre patologie (es. spina bifida, artrogriposi, nanismo diastrofico etc. ).

Del piede si valuta la deformità, ricercando i segni di ognuna delle tre componenti, l’equinismo, il varismo e la supinazione.

Attraverso una semplice manipolazione riduttiva, i piedi sono stati classificati in 3 gradi:

I grado l’angolo formato dal piede rispetto all’asse della gamba è maggiore di 90° e la deformità è riducibile

II grado l’angolo formato dal piede rispetto all’asse della gamba è di 90° e la deformità è solo parzialmente riducibile

III grado l’angolo formato dal piede rispetto all’asse della gamba è minore di 90° e la deformità è irriducibile

Il 4,7%, ovvero 4 piedi, presentava una deformità di grado I, il 41,6%, ovvero

35 piedi, era di grado II e il 53,5% , cioè 45 piedi, di grado III (Grafico 1).

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Grafico 1

Il grado di deformità più frequente risulta essere il III, seguito dal II ed infine dal I, in netta minoranza. Ciò sottolinea e conferma l’evidenza che un piede torto congenito non trattato entro il primo anno di vita difficilmente risulta riducibile con le sole manipolazioni e che la deformità, se non si intraprende una precoce terapia conservativa, facilmente progredisce verso gradi più elevati. Quando il cavismo non è severo, o risulta parzialmente riducibile, il paziente deambula sul margine laterale del piede, mentre la pianta è rivolta medialmente (fig. 5.2-1). In casi più gravi e irriducibili, il paziente trova appoggio sulla superficie dorsale del piede e la faccia plantare è rivolta posteriormente (fig. 5.2-2).

Figura 5.2-1 Figura 5.2-2 5%

53% 42%

grado I grado II grado III

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Successivamente, sono state eseguite le radiografie, dorsoplantare e laterale, dei soli piedi irriducibili, al fine di ricercare eventuali sinostosi tra le ossa del tarso.

L’esame radiografico si è rivelato utile anche nel post-operatorio, per valutare l’effettivo risultato terapeutico.

Tutte le deformità osservate sono state documentate con fotografie frontali, laterali e posteriori. Inoltre, i casi esaminati nello studio sono stati fotografati anche nel post-operatorio, con il piede in correzione.

Infine, i pazienti in grado di deambulare sono stati videoripresi.

Avvalendosi degli esami ematochimici e di laboratorio disponibili, l’anestesista ha valutato per ciascun paziente la presenza o meno di anemia e ricercato un’eventuale infezione malarica in atto. Il valore di emoglobina è una variabile cruciale in previsione dell’intervento, dal momento che non vi è la possibilità di eseguire trasfusioni.

Alla fine della visita ortopedica e anestesiologica è stata redatta la cartella clinica nella quale, in base alla gravità della deformità, si è indicata la strategia chirurgica più adeguata, scelta tra le seguenti (tabella 3):

• release posteriore;

• intervento di Codivilla;

• intervento di Codivilla con osteotomia del cuboide;

• artrodesi delle articolazioni mediotarsiche e sottoastragalica.

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Età Grado I Grado II Grado III Totale

Release

posteriore 1,75 4 7 11

Intervento di

Codivilla 3,1 20 17 37

Intervento di Codivilla con osteotomia del

cuboide

6,75 8 23 31

Artrodesi 11,25 5 5

Tabella 3

La tabella mostra l’associazione tra la tecnica chirurgica eseguita, il grado della deformità e l’età media dei pazienti operati

L’età media all’intervento era di 5 anni e 7 mesi, con un'età massima di 15 anni e una minima di 1 anno.

L’intervento chirurgico si è svolto nella sala operatoria del centro, attrezzata dai volontari dell’associazione.

Le modalità di anestesia sono state:

a. anestesia generale per 42 pazienti b. anestesia spinale per 11 pazienti c. blocco caudale per 12 pazienti

L’intervento è stato eseguito in campo sterile, con laccio alla radice dell’arto,

secondo i protocolli di gestione della sterilità applicati anche in Italia, da un

gruppo di sala formato da: 1 chirurgo ortopedico esperto, 2 medici

specializzandi, 1 studente in medicina in qualità di strumentista, 2 anestesisti,

1 studente in medicina in qualità di aiuto esterno.

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In 11 casi la deformità era riducibile ed i pazienti, di età compresa tra 1 anno e 2 anni e 5 mesi , sono stati sottoposti ad intervento di release posteriore

Metodo: si pratica un’ incisione rettilinea che dall’estremità distale del margine mediale del tendine di Achille si estende in direzione prossimale, 3 cm al di sopra del malleolo mediale.

Si procede quindi alla plastica a Z del tendine di Achille; si isola il tendine e si incide la guaina, così da esporre un tratto di 3-4 cm, si individua il fascio vascolonervoso e le altre strutture tendinee, situati medialmente, e si proteggono, quindi si incide il tendine d’Achille, dapprima sul piano sagittale, poi trasversale. I due capi così ottenuti saranno suturati con filo riassorbibile in modo da raggiungere l’allungamento desiderato.

Mobilizzando il piede in flesso-estensione si individua la superficie posteriore dell’articolazione tibio-tarsica e si effettua una capsulotomia trasversale dell’articolazione tibio-tarsica, nella sua porzione mediale, cioè dalla guaina del tendine del tibiale posteriore all’estremità laterale dell’articolazione tibio- peroneale.

Eventualmente, viene effettuata anche la capsulotomia dell’articolazione sottoastragalica, esposta in corrispondenza del punto più prossimale della guaina del tendine del flessore lungo dell’alluce.

Si confeziona un gesso femoropodalico, a ginocchio flesso, con il piede dorsiflesso di 5°. Dopo sei settimane, l’apparecchio gessato viene rimosso e sostituito da una doccia di posizione , mantenuta per 6-9 mesi.

Per la profilassi antibiotica si sono impiegate cefalosporine, in dose calcolata

pro-chilo, 2 volte al giorno per 5 giorni.

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In 37 casi, pazienti di età compresa tra 1 anno e 2 mesi e 5 anni , è stato eseguito l’intervento di release postero-mediale secondo Codivilla, con alcune variazioni apportate da Turco

Metodo: si esegue un’incisione postero-mediale, che dalla superficie mediale della gamba, posteriormente alla tibia, discende dietro al malleolo mediale e prosegue fino alla base del primo metatarso.

Si scolla la cute in modo tale da mettere in evidenza l’aponevrosi plantare, sotto il primo metatarsale, e l’aponevrosi della loggia muscolare posteriore, dietro la tibia. Una volta incise queste aponevrosi, si visualizza il muscolo abduttore dell’alluce, sotto il primo metatarsale, le guaine dei muscoli tibiale posteriore, flessore lungo delle dita e flessore lungo dell’alluce, e il fascio vascolo-nervoso, formato dall’arteria tibiale posteriore, dalla vena tibiale posteriore e dal nervo tibiale posteriore, che viene liberato e protetto, divaricandolo.

Si incide, procedendo in senso prossimale, la guaina del tendine del tibiale posteriore e il legamento deltoideo superficiale, quindi si procede con una plastica a Z del tendine stesso. Successivamente, le guaine tendinee del flessore lungo delle dita e del flessore lungo dell’alluce vengono scollate dal sustentaculum tali e incise, e i due tendini vengono allungati con plastica a Z.

Infine, si isola il tendine di Achille, che a sua volta sarà allungato con una plastica a Z.

Ai capi dei tendini si applicano dei lacci di filo riassorbibile e ciascuna coppia di lacci è tenuta da una sola pinza emostatica, così da facilitare la corretta sutura dei tendini.

Lo step successivo è l’intervento a carico delle capsule articolari. Si espone

l’articolazione mediotarsica e si procede alla capsulotomia mediale, laterale, dorsale

e plantare dell’articolazione astragaleonavicolare e alla capsulotomia plantare

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dell’articolazione calcaneocuboidea, ovvero si sezionano i legamenti astragaleonavicolare dorsale, calcaneonavicolare plantare o glenoideo, e biforcato (calcaneonavicolare e calcaneocuboideo), considerato la chiave dell’articolazione mediotarsica.

Eventualmente, si realizza anche la capsulotomia dell’articolazione scafocuneiforme e dell’articolazione tra il primo cuneiforme e il primo metatarso, e la capsulotomia mediale e posteriore dell’articolazione sottoastragalica e tibio-tarsica, sezionando i legamenti calcaneoperoneale posteriore e astragaleoperoneale posteriore.

L’astragalo e lo scafoide, liberi dalle loro limitazioni anatomiche, possono essere riposizionati correttamente per correggere la deformità; si utilizza un filo di Kirschner astragaloscafoideo per mantenere la posizione e favorire la cicatrizzazione dei tessuti molli sezionati.

Vengono quindi suturati i tendini e, infine, la cute.

Il piede viene immobilizzato in lieve ipercorrezione con un gesso femoro- podalico a ginocchio flesso. Il primo gesso verrà rinnovato dopo tre settimane, durante le quali il piede dovrà essere tenuto in scarico. Anche il secondo e il terzo gesso vengono mantenuti per tre settimane, quindi si utilizzerà un tutore o una doccia di posizione durante la notte e le scarpe correttive di giorno, per un periodo di due anni.

Come profilassi antibiotica si sono utilizzate cefalosporine, in dose calcolata

pro-chilo, 2 volte al giorno per 5 giorni.

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In 31 casi si è optato per l’intervento di Codivilla con osteotomia del cuboide.

L’età media dei pazienti è superiore, compresa tra 5 anni e 8 anni e 5 mesi.

Metodo: dopo il release secondo Codivilla, si esegue un’incisione orizzontale laterale che va dalla base del V metatarsale fino al calcagno, si asporta un cuneo a base laterale, che accorcia la colonna laterale del piede, e si fissa la correzione con un filo di Kirshner (fig. 5.2-3). L’osteotomia si associa ad un release dell’articolazione scafocuneiforme, così da liberare i tessuti molli che si oppongono alla correzione dell’adduzione residua dell’avampiede.

Si applica un gesso femoro-podalico che verrà tenuto per tre mesi.

La profilassi antibiotica ha impiegato cefalosporine, in dose calcolata pro chilo, 2 volte al giorno per 8 giorni.

Figura 5.2-3

osteotomia del cuboide

(13)

In 5 casi i pazienti, di età compresa tra i 7 anni e 5 mesi e 15 anni , sono stati sottoposti ad artrodesi delle articolazioni mediotarsica e sottoastragalica.

Metodo: si pratica un’incisione antero-laterale obliqua in modo da esporre le articolazioni mediotarsica e sottoastragalica. Vengono resecati due cunei ossei a base laterale: uno comprende parte della sottoastragalica, in modo da correggere il varismo del calcagno, l’altro include le articolazioni astragaleonavicolare e calcaneocuboidea, così da correggere il varismo e l’adduzione dell’avampiede. Si esegue poi l’allungamento del tendine di Achille e la capsulotomia posteriore della tibiotarsica.

Infine si inseriscono i fili di Kirschner a stabilizzare le correzioni.

Il piede viene immobilizzato in un apparecchio gessato femoro-podalico, con ginocchio flesso, per sei settimane, quindi si rimuovono i fili e si prepara un gambaletto gessato con caratteristiche da carico, che sarà impiegato per quattro settimane.

Si effettua profilassi antibiotica con cefalosporine, in dose calcolata pro chilo, 2 volte al giorno per 8 giorni.

Figura 5.2-5

Schematica rappresentazione della triplice artrodesi

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Al termine di ogni spedizione, tutti i pazienti operati di piede torto congenito sono stati nuovamente sedati per consentire la rimozione dell’apparecchio gessato al fine di:

- controllare le ferite chirurgiche

- controllare lo stato dei lembi cutanei

- valutare il grado di correzione della deformità

Quindi, sono stati confezionati nuovi apparecchi gessati correttivi, con indicazione diversa in base al tipo di intervento eseguito. In occasione dell’ultima visita di ciascuna spedizione, il personale sanitario locale è stato istruito caso per caso circa le cure da effettuare in attesa del controllo, previsto con l’arrivo della spedizione successiva. In particolare, sono state date indicazioni circa la necessità di rinnovare gli apparecchi gessati ogni 4-6 settimane, per controllare lo stato delle ferite e dei lembi cutanei.

La degenza, mediamente, si è protratta a lungo al fine di garantire l’osservazione post-operatoria, il trattamento fisioterapico ed un follow-up a breve termine. Infatti, l’ospedale è dotato di una struttura destinata ai bambini che hanno superato il periodo post-operatorio “critico” e iniziano un vero e proprio programma riabilitativo, che in ambiente domiciliare sarebbe difficilmente realizzabile per cause logistiche ed economiche.

A distanza di circa 3-6 mesi i pazienti sono stati visitati dal gruppo di lavoro successivo che ha provveduto a:

- rimuovere i gessi

- controllate lo stato di guarigione delle ferite

- valutare la riduzione della deformità

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In base all’età del paziente sono stati consigliati opportuni trattamenti di fisiokinesiterapia, per recuperare in modo ottimale la mobilità dell’articolazione tibiotarsica e del piede.

Tutti i pazienti sono stati fotografati, ed è stata valutata la correzione della deformità. I pazienti in grado di deambulare sono stati filmati.

Infine, sono stati prescritti eventuali ausili:

- scarpe ortopediche

- docce notturne correttive

I risultati di ogni intervento sono stati valutati e classificati in base ad un giudizio clinico e morfo-funzionale, secondo i seguenti criteri:

1. ottimo: piede in cui le componenti di equinismo, varismo e supinazione risultano completamente corrette, con possibilità di movimento anche nelle posizioni opposte alla deformità.

2. buono: piede in cui le componenti di equinismo varismo e supinazione risultano corrette, senza possibilità di muovere il piede nelle posizioni opposte alla deformità.

3. mediocre: piede in cui le componenti di equinismo varismo e supinazione non risultano completamente corrette, con necessità di indossare scarpe correttive e docce notturne, modesta limitazione dell’attività fisica e appoggio non del tutto normale.

Tutto ciò è stato convalidato da un riscontro radiografico con la misurazione

degli angoli astragalo-calcaneale nelle due proiezioni, dorso-plantare e laterale.

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5.3 Risultati

Non vi sono state complicanze intraoperatorie. Un paziente ha sviluppato una crisi emolitica da laccio, che è stata trattata con trasfusione di sangue omologo e risolta.

E’ stato necessario, per 12 pazienti, aprire l’apparecchio gessato entro le prime 24 ore a causa di dolore intenso.

Alla prima rimozione del gesso, eseguita nell’ultima seduta operatoria, 4 pazienti in cui era stato eseguito l’intervento di Codivilla presentavano una leggera sofferenza ischemica per eccessiva tensione del lembo cutaneo mediale.

In questi casi si è provveduto ad una immobilizzazione del piede in leggera ipocorrezione. 8 pazienti, per un totale di 10 piedi, sono stati sottoposti a sutura parziale della ferita chirurgica per il rischio di necrosi cutanea dovuta all’eccessiva tensione sui margini. Di questi, alla rimozione del gesso, 8 piedi (6 pazienti) presentavano cicatrici guarite per seconda intenzione, mentre in 2 casi è stato necessario un piccolo intervento di pulizia chirurgica della ferita e nuova sutura. Anche in questi casi la guarigione è poi avvenuta senza ulteriori complicazioni (Tabella 4).

Intolleranza del gesso

Immobilizzazione

in ipocorrezione Sutura parziale Totale

n° 12 4 10 26

% 14,5% 4,8% 12% 31%

Grado

2 di I grado 4 di II grado 6 di III grado

III grado 3 di II grado

7 di III grado

2 di I 7 di II 14 di III

Tabella 4

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In occasione dell’ultimo controllo clinico, i pazienti sono stati rivalutati in base ai criteri sopra elencati. Considerando gli 84 piedi operati, abbiamo avuto (tabella 5, grafico 3):

• 43 piedi considerati ottimi, ovvero il 51,9%

• 35 piedi considerati buoni, ovvero il 41,6%

• 6 piedi considerati mediocri, ovvero il 7,1%

Valutazione dei risultati

Grado I Grado II Grado III Totale

Ottimo 4 (100%) 24 (68,5%) 15 (33,3%) 43 (51,9%)

Buono 9 (25,7%) 26 (57,7%) 35 (41,6%)

Mediocre 2 (5,7%) 4 (8,8%) 6 (7,1%)

Tabella 5

Correlazione tra i risultati e il grado di deformità

Grafico 3

Il grafico mostra la percentuale di risultati ottimi, buoni e mediocri 42% 51%

7%

ottimi buoni mediocri

(18)

Si riportano le immagini fotografiche di alcuni pazienti prima e dopo intervento chirurgico correttivo.

CASO 1

piede torto congenito del tipo equino varo supinato di grado II in paziente di 2 anni (da notare il valgismo secondario delle ginocchia). Si esegue intervento di Codivilla bilaterale, con risultato buono.

Visione della deformità prima dell’intervento

Immagine dopo intervento di Codivilla Immagine dopo rimozione dei gessi

(19)

CASO 2

piede torto congenito bilaterale del tipo equino varo supinato di grado III in paziente di 7 anni. si esegue intervento bilaterale di Codivilla con osteotomia del cuboide, con risultato buono.

Visione della deformità prima dell’intervento

Immagine dopo intervento chirurgico e rimozione dei gessi.

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CASO 3

piede torto congenito del tipo equino varo supinato di grado III in un bambino di 10 anni e 5 mesi. Si esegue intervento di Codivilla con osteotomia del cuboide, con risultato buono.

Visione della deformità ( paziente in clinostatismo)

Visione post-operatoria del piede, dopo intervento

di Codivilla con osteotomia del cuboide.

(21)

5.4 Conclusioni

Il trattamento del piede torto inveterato in un paese in via di sviluppo rappresenta una sfida per il chirurgo ortopedico.

Infatti questa deformità è tanto più difficile da trattare, tanto maggiori sono il grado e l’età di osservazione.

Inoltre, la maggior parte della letteratura riguardante il trattamento del piede torto congenito si focalizza su interventi precoci in paesi industrializzati.

Sono stati seguiti 65 pazienti affetti da piede torto congenito idiopatico inveterato del tipo equino varo supinato, trattati chirurgicamente dal 2000 al 2007.

E’ importante sottolineare il fatto che tutta la casistica esaminata è composta da soggetti che non erano mai stati trattati prima di giungere all’ osservazione, né con terapia conservativa né con terapia chirurgica.

Dai dati riportati in tabella 3, si deduce la stretta correlazione tra la tecnica chirurgica, il grado di deformità e l’età del paziente.

A guidare la scelta terapeutica è una “bilancia” che mostra da un lato l’efficacia di un trattamento più invasivo, dall’altro i rischi che tale intervento comporta. In un contesto socioeconomico precario, questa valutazione è

“sbilanciata” a favore della certezza del risultato, poiché il follow-up è difficile e i rischi legati al reintervento sono elevati.

Il release posteriore ha una discreta efficacia soprattutto nelle deformità di grado

I e II. Tuttavia, se la deformità è rigida, o l’età del paziente è superiore ai due

anni e mezzo, la tecnica non è altrettanto efficace, quindi si è preferito

procedere con un release postero-mediale.

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La tecnica di Codivilla risulta essere la più impiegata, per deformità di grado II e III.

E’ stato eseguito da solo su 20 piedi torti di grado II e 17 di grado III, in associazione all’osteotomia del cuboide su 8 di grado II e 23 di grado III (tabella 3). In totale, 68 piedi sono stati trattati con intervento di Codivilla, preferibilmente associato, nelle deformità severe e in pazienti di età superiore ai 5 anni, ad osteotomia del cuboide.

I risultati dimostrano che la tecnica di release descritta da Codivilla all’inizio del secolo scorso è ancora valida e comporta rare complicanze. Inoltre, l’intervento di Codivilla è indicato tra i 6 e i 12 mesi di età, ma da questo studio emerge come la sua efficacia sia invariata se impiegato in pazienti di età superiore.

Quando l’età aumenta e le deformità risultano progressivamente più severe, l’intervento indicato è la triplice artrodesi. Con questa strategia è possibile correggere le deformità residue, in adduzione dell’avampiede e in varismo del retropiede, ottenendo discreti risultati clinici.

Normalmente la triplice artrodesi non è consigliata prima di aver raggiunto

una buona maturità scheletrica, quindi in pazienti di età inferiore ai 10-12

anni, a causa di possibili ritardi di crescita conseguenti alla rimozione delle

cartilagini. In accordo con altri Autori, si può affermare che, in situazioni

sociosanitarie insufficienti, per una deformità di grado III in pazienti di età

superiore ai 7 anni, si può optare per una triplice artrodesi, anziché scegliere

una tecnica meno invasiva e, presumibilmente, meno efficace. Da quello che

si è osservato, il risultato estetico, in particolare la dismetria tra i due piedi, è

simile a quello che si ottiene con un intervento di Codivilla associato a

osteotomia del cuboide.

(23)

A questo proposito lo studio di J. N. Penny prende in esame un’ampia casistica di pazienti con PTC inveterato, in Uganda, e giunge alla stessa conclusione circa l’efficacia e il risultato estetico della triplice artrodesi in pazienti, in questo caso, di età superiore ai 6 anni.

46

La tabella 4 mostra la correlazione tra il grado della deformità e i risultati clinici e morfo-funzionali. I risultati mediocri, costituiti dagli esiti di piede torto congenito, si sono verificati solo in 6 casi (7,2%), in particolare 4 piedi torti di grado III, trattati 1 con intervento di Codivilla, 2 con intervento di Codivilla e osteotomia del cuboide, 1 con triplice artrodesi, e 2 di grado II, trattati uno con release posteriore, l’altro con intervento di Codivilla.

Nella totalità dei bambini con deformità di grado I e nella maggior parte delle deformità di grado II e III i risultati sono ottimi (51,9%) e buoni (41,6%).

Gli esiti di piede torto sono attribuibili a:

1. deformità iniziale di grado importante

2. scelta di una tecnica chirurgica meno invasiva del necessario

3. assistenza e follow-up post operatorio non corretto

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