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1.1 - L’Echinacea

1.1.1 Classificazione

L‟Echinacea è una pianta erbacea perenne nota anche come “purple coneflower”. Essa appartiene alla famiglia delle Compositae (Asteraceae), di cui generalmente fanno parte tutti quei fiori che possiedono una struttura a forma di calice attorniata da petali. Il nome Echinacea, attribuito da Moench nel 1974, deriva dal greco Echinos che significa "riccio di mare": può essere riferito ai semi, che alla sommità presentano un margine membranoso con quattro denti, o alla forma della testa spinosa della pianta fiorita.

Al genere appartengono dieci specie:  E. purpurea (Purple Coneflower)  E. pallida (Pale–Purple Coneflower)

 E. angustifolia (Narrow-Leaved Coneflower)  E. atrorubens  E. tennesseensis  E. sanguinea  E. paradoxa  E. simulata  E. gloriosa  E. laevigata

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3 Spesso, però, in letteratura sono riportate nove specie di Echinacea (Bruni A, 1999), in quanto l‟Echinacea tennesseensis è indicata come una varietà di E. angustifolia per la forte somiglianza morfologica.

Solo tre specie di Echinacea, angustifolia, pallida e purpurea, mostrano proprietà medicinali: esse sono coinvolte, infatti, nella modulazione del sistema immunitario. La distinzione tra E. pallida ed E. angustifolia è stata, in passato, fonte di confusione, tanto che, alcuni studi di laboratorio e clinici effettuati sulla prima, sono stati erroneamente attribuiti alla seconda, e viceversa.

1.1.2 Distribuzione e coltivazione

L'Echinacea, originaria delle praterie dell‟America del Nord, da molto tempo è coltivata anche in Europa. È una pianta che giunge a completo sviluppo in alcuni anni: nel primo anno di crescita vengono prodotti uno o più steli che crescono fino ad 1 m da terra, le foglie sono raggruppate a grappolo a 30 cm circa dal suolo, e presentano un rizoma di 20 - 30 mm; può raggiungere un‟altezza di circa 40-100 cm. In primavera ha il suo massimo periodo di crescita. Generalmente cresce in terreni poveri, con pH alcalino o quasi neutro, è poco adatta a sopportare siccità e salinità del suolo. La temperatura minima sopportata dalla pianta è dell‟ordine di -36°C.

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4 1.1.3 Descrizione morfologica

Le specie di Echinacea sono alte dai 30 ai 150 cm, con fusto semplice, cavo alla base, di altezza variabile, più o meno peloso, ramificato e rivestito di poche o molte foglie a seconda della specie (Capasso F et al., 2000).

Le foglie sono ovali o lanceolate, a margine intero o seghettato con tre nervature generalmente salienti.

I fiori terminali, solitari, di colore viola, rosa o bianco, recano un grande capolino (Capasso F et al., 2000). Essi sono femminili, ma sterili, mentre quelli del disco sono bisessuali e fertili ed hanno forma tubulosa. Il polline può presentare diverse colorazioni.

Il frutto è un achenio a quattro facce, sormontato da un pappo ridotto, cioè formato da piccoli dentelli e non da setole.

Le radici sono fusiformi, a fittone, di forma cilindrica (lunghe 10-20 cm, larghe 0,5-1 cm), leggermente inanellate, segnate da cicatrici a forma di V di colore nero. Esaminata al microscopio la radice presenta un parenchima corticale che contiene ammassi di cellule sclerotiche allungate e nella parte periferica un cilindro centrale dal quale cristallizza l‟inulina (Capasso F et al., 2000). Nonostante le forti somiglianze morfologiche, è comunque possibile individuare elementi caratterizzanti di ciascuna delle tre specie di Echinacea utilizzate in terapia (Tab. 1).

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5 Tab. 1 - Differenze anatomiche tra le specie di Echinacea utilizzate in campo medico

(Capasso F et al., 2000).

E. angustifolia: cresce nelle praterie, le foglie presentano forma da lineare-lanceolata ad ellittica con margine intero, peli irsuti o ispidi, colore verde scuro e 3-5 nervature. Le dimensioni della foglia variano a seconda della specie.

Le radici sono lunghe, profonde, spinose (Fig. 1.1).

Fig. 1.1 - Radici di E. angustifolia

I capolini presentano fiori ligulati più o meno distesi, lunghi 2-4 cm, con colore che varia dal bianco al rosa al porpora; i fiori tubulosi formano una infiorescenza centrale di 1,5-2,5 cm (Fig. 1.2).

La fioritura va da Giugno a Settembre. Il polline è di colore giallo. Specie Altezza del caule Colore del polline Foglia

E. angustifolia fino a 60 cm Giallo Lanceolata,intera e vellutata

E. pallida 45-150 cm Giallo Ovale,seghettata e quasi glabra E. purpurea 30-90 cm Bianco Lanceolata,intera e

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Fig. 1.2 - Fiori di E. angustifolia

Gli acheni sono di forma quadrangolare, lunghi 4-5 mm ed hanno un colore che va dal biancastro al bruno chiaro con pigmentazione marrone all‟apice. Il termine angustifolia si riferisce alla forma tipica delle foglie e deriva dalle due parole latine angustus (stretto) e folium (foglia).

E. pallida: cresce nelle praterie. Differisce prevalentemente per il colore rosa pallido dei fiori ligulati e per il fatto che sono pendenti (Fig. 1.3). Ha il polline di colore bianco. La fioritura va da Maggio ad Agosto.

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Fig. 1.3 - Fiore di E. pallida

Le foglie basali sono lunghe 30 cm e larghe 4 cm e hanno peli ispidi e duri sulla lamina, per lo più sulla faccia inferiore; le foglie caulinari sono simili a quelle basali, ma sono di dimensioni inferiori. Il frutto ha una dimensione di 4 mm (Fig. 1.4).

Fig. 1.4 - Frutto di E. pallida

E. purpurea: cresce nelle foreste aperte. Si distingue dalle altre specie di Echinacea grazie alle foglie, al disco e ai fiori. Le foglie

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8 hanno margine seghettato, sono ovali e completamente glabre, uno stelo lungo fino a 150 cm e ramificato (Fig. 1.5).

Fig. 1.5 - Foglie di E. purpurea

Il suo disco è più piatto (meno conico). I fiori sono di colore porpora (da qui il nome della specie), pendenti verso il basso (Fig. 1.6). Il frutto non è pigmentato e l‟apparato radicale è fascicolato. La fioritura va da Giugno a Settembre.

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9 1.1.4 Accenni storici e uso dell’Echinacea

L'Echinacea è certamente una delle piante più conosciute ed utilizzate nella medicina popolare ed empirica. L'uso medicamentoso dell'Echinacea risale agli Indiani d'America. Essi, infatti, applicavano impiastri di radici a tutti i tipi di ferite, morsi e punture di insetti, morsi di serpenti, ustioni. Inoltre, gli Indiani impiegavano l'Echinacea come base per la preparazione di collutori, per il mal di denti e gengive doloranti, infusi per raffreddore, tosse, mal di gola. Ben presto anche i coloni bianchi vennero a conoscenza delle preziose proprietà di questa pianta, ma il suo utilizzo rimase circoscritto all'ambito della medicina popolare fino al 1870 quando un fornitore di specialità medicinali, il dott. H.C.F. Meyer la usò come ingrediente nel suo rimedio “Mayer's Blood Purifier”. Questo preparato fu efficace nel trattamento di intossicazioni del sangue, del morso del serpente a sonagli e di altre malattie. L'Echinacea conobbe in quel periodo il momento di massima diffusione in America, anche se solo nel 1916 venne ammessa ufficialmente nel “National Formulary of the United States”, che riconobbe come officinali indistintamente sia le radici di E. angustifolia che quelle di E. purpurea.

Con l'avvento della farmacologia di sintesi nel XX secolo, l'Echinacea perse popolarità come medicinale anche se in Germania negli anni „30 alcuni ricercatori iniziarono a studiare le sue proprietà immunostimolanti.

I risultati positivi degli studi europei, insieme ad un rinnovato interesse per la medicina naturale in genere, portarono ad un'ampia riscoperta dell'Echinacea.

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10 Germania, più di 300 preparazioni farmaceutiche contengono le tre specie di Echinacea, spesso presenti in associazione tra loro o in associazione con altre sostanze, sotto forma di estratti, pomate o tinture.

Negli USA, ai nostri giorni, l'Echinacea rappresenta il 10% di tutte le vendite erboristiche.

Ci sono anche stati alcuni rapporti negativi, infatti qualche ricercatore dubita della sua efficacia nella prevenzione.

1.1.5 Principi attivi

Per molto tempo è stata impiegata come droga solo la radice di Echinacea (Tab. 2); successivamente, sono state individuate molecole attive anche in altre parti della pianta, quali foglie, rizomi, fiori e semi.

Droga originaria:

Colore Bruno

Odore Debolmente aromatico, caratteristico Sapore Prima dolce e poi pungente

Frattura Fibrosa (a fibre corte)

Aspetto

Pezzi cilindrici lunghi 10-20 cm e larghi 0,5-1 cm, lievemente inanellati, segnati da cicatrici a forma di V (Capasso F et al., 2008)

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11 Come la maggior parte delle piante officinali anche l'Echinacea è caratterizzata dal possedere una moltitudine di principi attivi responsabili di molteplici azioni terapeutiche (Tab.3). Gli estratti di Echinacea sono analizzati attraverso HPLC. Ci sono due metodi di HPLC che si sono sviluppati per analizzare i costituenti lipolitici e gli acidi fenolici degli estratti di Echinacea (Yi Liue Murphy PA, 2007).

Tab. 3 - Costituenti chimici dell’Echinacea

I composti chimici più studiati per le loro proprietà immunomodulatorie sono (Barnes et al., 2005):

 frazione lipofila (alchilamidi)

 frazione fenolica (composti solubili in acqua, principalmente derivati dell‟acido caffeico)

 frazione polisaccaridica

CLASSE MOLECOLE

Polifenoli Acido clorogenico, Acido caffeico, Acido cicorico,

Echinacoside

Polisaccaridi Echinacina B, Arabinogalattano

Monosaccaridi Arabinosio, Glucosio, Xilosio

Terpeni Cariofillene

Vitamine Vitamina A, C, E

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12 La porzione lipofila delle specie di Echinacea contiene, oltre ai componenti tipici degli oli essenziali (Bruni A, 1999), numerosi poliacetileni e alchilamidi. Da un‟analisi eseguita sui principali composti lipofili presenti nelle radici di E. purpurea per mezzo del metodo Gas cromatografia-spettrometria di massa (GC-MS) sono stati identificati tre gruppi di composti:

 derivati dell‟acido isobutilamidico, noti come alchilamidi (86,13%)

 sesquiterpenoidi, principalmente idrocarburi (13,19%)

 polieni (o poliacetileni) (0,68%)

Le alchilamidi sono componenti presenti nelle radici di E. angustifolia e E. purpurea, mentre i poliacetileni sono i maggiori composti lipolitici delle radici di E. pallida (Bauer R e Wagner H, 1991).

Le alchilamidi delle specie di Echinacea sono composti altamente insaturi e per questo possono essere propensi all‟ossidazione specialmente in un ambiente ricco di ossigeno. Esse sono formate da acidi carbossilici altamente insaturi, legati ad amine, più comunemente isobutilamine o 2-metilbutilamine.

In particolare, nelle parti aeree e nelle radici delle specie angustifolia e purpurea è presente il 29.37% dall‟isobutilamide dell‟acido dodeca-2E,4E,8Z,10Z-tetraenoico (Fig. 1.7) e il 15.07% dal corrispettivo isomero geometrico 10E (Fig. 1.8).

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Fig. 1.7 - Struttura dell’isobutilamide dell’acido Fig. 1.8 - Struttura dell’isobutilamide dell’acido dodeca-2E,4E,8Z,10Z-tetraenoico dodeca-2E,4E,8Z,10E-tetraenoico

Il legame amidico può subire una rottura dando origine ad acidi carbossilici ed amine. È stato osservato, infatti, che la molecola attiva di questi composti è proprio l‟acido carbossilico.

I sesquiterpeni, seconda porzione lipofila per quantità, include gli idrocarburi, come il germacrene D (9.63%) e il β-cariofillene (1.57%).

I poliacetileni, detti anche polieni, per la maggior parte sono presenti nelle radici di Echinacea. Per il genere Echinacea, la specie E. pallida mostra il maggior contenuto di poliacetileni, quali chetoalcheni e chetoalchini, assenti nelle altre due specie (Bauer R e Wagner H, 1991).

Bauer et al. sostengono che i poliacetileni presenti nell‟estratto di E. pallida sono facilmente ossidabili. Essi consigliano di lasciare intatte le radici di Echinacea o conservarle in una soluzione capace di prevenire la degradazione ossidativa delle strutture dieniche.

La frazione polifenolica risulta costituita da composti a media polarità, ben solubili in alcool, tra i quali prevalgono derivati caffeoilchinici, come la cinarina e i glicosidi fenilpropanoidi.

La cinarina è stata isolata esclusivamente nelle radici di E. angustifolia, per cui la presenza o assenza di tale sostanza consente di discriminare con

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14 certezza tra radici di E. angustifolia e radici di E. pallida (Bauer R e Wagner H, 1991)(Fig. 1.9).

L‟echinacoside costituisce invece la principale molecola di natura idrofila presente in E. angustifolia con livelli che variano tra lo 0.3%-1.3%; in E. pallida si riscontra con un contenuto in percentuale compreso tra lo 0.4 e l‟1.7 (Fig. 1.9).

I principali composti fenolici dell‟Echinacea purpurea sono l‟acido cicorico e l‟acido caftarico o acido caffeoiltartarico, presenti nelle radici e nella parte apicale della pianta. In E. pallida l‟acido cicorico è presente anche nelle parti aeree (Fig. 1.9).

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15 Il rapporto tra il livello di acido caftarico e quello di acido cicorico differisce notevolmente tra radici e parti apicali; questo rapporto potrebbe distinguere gli estratti di radice di E. purpurea dagli estratti della parte superiore della stessa pianta, sebbene la composizione in alchilamidi sia un metodo più discriminante per distinguere le parti della pianta.

I composti fenolici in E. purpurea agiscono come antiossidanti per prevenire la degradazione delle alchilamidi. Per determinare l‟efficacia dei composti fenolici riguardo all‟ossidazione delle alchilamidi, sono state utilizzate delle cartucce di gel di silice in grado di rimuovere i composti fenolici e generare così un estratto di E. purpurea povero di fenoli (Yi Liu e Murphy PA, 2007). Secondo Pellati et al., gli estratti di E. purpurea hanno una migliore attività antiossidante rispetto agli estratti di E. angustifolia ed E. pallida e sia l‟echinacoside che l‟acido cicorico sono in grado di allontanare i radicali in maniera più efficiente rispetto agli altri composti fenolici conosciuti dell‟Echinacea.

La frazione polisaccaridica rappresenta la parte polare dei principi attivi. Wagner et al. hanno mostrato che molti derivati polisaccaridici dell‟Echinacea, inclusi gli arabinogalattani, fruttani ed eteroxilani, sono di fatto attivi in certi modelli immunologici.

Sono stati isolati dalle parti aeree di E. purpurea due polisaccaridi con proprietà immunostimolanti, denominati PSI e PSII. Il composto PSI è un metilglucuronoarabinoxilano, costituito principalmente dall‟acido 4-O-metilglucuronico e dagli zuccheri arabinosio, xilosio e glucosio. Il composto PSII è un arabinoramnogalattano, formato essenzialmente dagli zuccheri

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16 arabinosio, ramnosio e galattosio, oltre che da acido glucuronico (Bauer R e Wagner H, 1991).

Un'altra molecola polisaccaridica importante per la sua azione farmacologica è l‟echinacina B, riscontrata solo nell‟E. purpurea. È formata da più unità zuccherine ed ha dimostrato di possedere varie azioni: antinfiammatorie, immunostimolanti, antiflogistiche e cicatrizzanti.

I polisaccaridi sono i carboidrati più abbondanti; essi si trovano comunemente nelle piante dove costituiscono dal 50% al 90% del loro peso secco. Tuttavia, i livelli di polisaccaridi ritrovati nelle preparazioni di Echinacea non sono così elevati se confrontati con funghi o con altre piante accumulatori di polisaccaridi, come le specie di Althaea officinalis e Aloe barbadensis.

In conclusione, la diversa distribuzione dei principi attivi nelle tre specie di Echinacea può consentire la distinzione degli estratti ottenuti da foglie e radici delle tre specie della pianta:

 l‟acido cicorico e il verbascoside predominano negli estratti delle radici di E. purpurea;

 la cinarina e l‟isobutilamide dell‟acido 2E,4E,8Z,10Z/E-tetraenoico sono i composti caratteristici degli estratti di radice di E. angustifolia;

 l‟echinacoside e il 6-O-caffeoilchinacoside predominano negli estratti di radice di E. pallida.

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17 Anche gli estratti delle foglie delle tre specie sono distinguibili chimicamente:  gli estratti di E. pallida si differenziano da quelli di E. purpurea ed

angustifolia per l‟assenza dell‟isobutilamide dell‟acido 2E,4E,8Z,10Z/E-tetraenoico e per la relativa preponderanza dell‟acido cicorico;

l‟estratto di E. angustifolia si contraddistingue per l‟assenza dell‟acido cicorico e per la presenza di un composto ad alto peso molecolare non ancora identificato;

l‟estratto di foglie di E. purpurea si riconosce grazie ad una relativamente elevata quantità di acido cicorico e dell‟isobutilamide dell‟acido 2E,4E,8Z,10Z/E-tetraenoico.

1.1.6 Proprietà farmacologiche e relativi saggi

Tra gli usi principali dei composti di Echinacea si riscontrano (Tab. 4):

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Tab. 4 - Proprietà farmacologiche dell’Echinacea(Capasso F et al., 2000)

Molti farmaci di uso comune hanno come effetto quello di stimolare il sistema immunitario a reagire contro uno specifico antigene; un esempio di simili farmaci sono i vaccini, sostanze che stimolano i linfociti a produrre anticorpi verso un determinato tipo di malattia, di modo che l'organismo possa acquisire una naturale difesa contro di essa. Il vaccino però non è in grado di fornire immunità contro i molteplici batteri o virus che potrebbero invadere il nostro organismo e provocare una malattia. Per questo motivo, è andato sempre più crescendo l‟interesse verso piante ad azione immunostimolante, utilizzate per rinforzare il sistema immunitario, cioè rendere il nostro organismo meno soggetto all‟aggressione da parte degli agenti esterni nocivi. L‟Echinacea è un'erba in grado di incrementare le difese

Proprietà Componenti attivi Meccanismo d’azione Usi clinici Antiinfiammatoria e rigeneratrice tissutale Polisaccaridi; alchilamidi Inibizione della ialuronidasi, aumentata produzione di ormoni corticosurrenalici

Ulcere, ferite, scottature, eczema, artrite

reumatoide

Antivirale Polisaccaridi; derivati acido caffeico

Blocco recettori per i virus sulla superficie cellulare

Influenza, herpes

Antibatterica Derivati acido caffeico Prevenzione aderenza batterica

Profilassi stati infettivi, infezioni vie respiratorie ed urogenitali

Antitumorale 1,8-pentadecatiene Attività indiretta, via attivazione sistema immunitario Coadiuvante nella chemioterapia e radioterapia Immunostimolante Polisaccaridi;

derivati acido caffeico

Attivazione del

complemento, aumento del numero dei globuli bianchi, attivazione delle cellule T e dei macrofagi

Infezioni ricorrenti per deficit immunitario, leucopenie

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19 aspecifiche del nostro organismo, non svolgendo la sua attività solo contro un tipo di malattia, ma stimolando l'aumento delle prestazioni delle cellule del sistema immunitario contro tutti i tipi di malattia; inoltre, essa rende tutte le cellule del sistema immunitario più efficienti nel combattere i batteri, i virus e, sembra, le cellule cancerogene.

azione antiflogistica e riparatrice del tessuto: L‟impiego storico

dell‟Echinacea in medicina è rappresentato dal trattamento di ulcere, foruncoli, geloni, infiammazioni cutanee e gengivali. L‟Echinacea infatti, possiede la capacità di accelerare la guarigione dei tessuti danneggiati o infetti. Tale azione sembra sia dovuta all‟inibizione dell‟enzima ialuronidasi da parte dei componenti polisaccaridici ed in parte delle alchilamidi presenti in tale pianta. Oltre ad aumentare l‟acido ialuronico, l‟Echinacea stimola anche i fibroblasti deputati al mantenimento dell‟integrità della pelle, svolgendo quindi azione cicatrizzante (Capasso F et al., 2000). In particolare, la frazione polisaccaridica, quella alchilamidica e i flavonoidi degli estratti di Echinacea sembrano essere implicati nella proliferazione dei fibroblasti, ma anche nell'incremento della loro attività di sintesi; in definitiva l'Echinacea stimola la cicatrizzazione. Alcuni studi in vitro hanno confermato che l‟acido caffeico e i suoi derivati proteggono il collagene dai danni causati dai radicali liberi. Studi su animali che risalgono al 1980 hanno mostrato un effetto antinfiammatorio in conseguenza ad applicazioni topiche della frazione polisaccaridica

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20 derivata dall‟Echinacea angustifolia (Percival SS, 2000).L‟attività della fazione polisaccaridica è stata evidenziata tramite test irritativi condotti in vivo. Tragni e coll. (1988), grazie al “Croton oil ear test” hanno osservato che, tra cinque frazioni di un estratto acquoso ottenuto dalle radici di E. angustifolia, quella con peso molecolare compreso tra 30.000 e 100.000 è la più attiva nell‟inibire l‟edema e l‟infiltrazione di cellule infiammatorie. I polisaccaridi ad alto peso molecolare sono stati, quindi, proposti come i principi della pianta dotati di proprietà antinfiammatorie (Tragni E et al., 1988). L‟estratto totale di Echinacea riduce l‟edema della zampa del ratto indotto da carragenina (Capasso F et al., 2008).

azione antivirale: l‟azione antivirale è esercitata soprattutto dal succo delle parti aeree di E. purpurea, ma anche dall‟estratto acquoso ed alcolico delle sue radici. Essa è attiva verso i virus influenza, herpes, stomatite vescicolare. Oltre al blocco dei recettori “virali” sulla superficie cellulare (azione diretta), l‟azione antivirale dell‟Echinacea può essere una conseguenza dell‟inibizione della ialuronidasi (azione indiretta). È stato osservato in vitro, infatti, che l‟aggiunta di ialuronidasi a colture cellulari riduce significativamente l‟effetto dell‟Echinacea. L‟azione antivirale indiretta dell‟Echinacea è, molto probabilmente, più interessante di quella diretta e coinvolge il rilascio di interferone che stimola tra l‟altro la sintesi di proteine intracellulari che bloccano la trascrizione di RNA virale (Capasso F et al., 2000).

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21 L'Echinacea permette alle cellule del sistema immunitario di incrementare la produzione di interferone, una proteina endogena circolante nel torrente sanguigno, in grado di contrastare lo sviluppo virale all'interno delle cellule non ancora infettate. Pertanto l'Echinacea aumenta le difese immunitarie frenando lo sviluppo delle malattie infettive, soprattutto nella stagione fredda. L‟attività antivirale dell'Echinacea è stata verificata in vitro su culture cellulari; da tali ricerche è risultato che l'effetto antivirale dell'Echinacea non si verifica tramite un'azione virucida, ma piuttosto attraverso la capacità di ostacolare la penetrazione dei virus (soprattutto Herpes simplex e virus influenzali) all'interno delle cellule. Uno studio ha dimostrato un incremento nella presentazione di antigeni virali in colture cellulari infettate con virus ed esposte a Echinacea purpurea (Barret B, 2003). È stato riportato, inoltre, che estratti della stessa inibiscono la replicazione virale in colture cellulari virali di modelli animali (Barret B, 2003).

Inoltre, è stata dimostrata la capacità dell‟acido cicorico di inibire l‟enzima integrasi dell‟HIV-I e la replicazione del virus in colture tissutali. Per quest‟ultima azione, l‟acido cicorico potrebbe essere implicato potenzialmente nel trattamento contro l‟HIV. La replicazione dell‟HIV-I dipende, infatti, dall‟enzima virale integrasi che media l‟inserzione di una copia di DNA del virus nel genoma della cellula ospite.

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azione antibatterica e antifungina: è piuttosto blanda, tale da non giustificare l‟uso clinico come rimedio antibatterico. Probabilmente l‟efficacia dell‟Echinacea come antibatterico, che si esercita soprattutto contro Staphylococcus aureus, Corynebacterium diphtheriae, Proteus vulgaris, è conseguenza della sua spiccata azione immunostimolante (Capasso F et al., 2000). L‟Echinacea sembra svolgere la sua azione antibatterica incrementando la risposta immunitaria aspecifica propria dell‟organismo, ma anche inibendo l‟attività depolimerizzante dell‟enzima ialuronidasi e aumentando, di conseguenza, la resistenza della membrana cellulare all‟attacco degli agenti infettivi. Secondo questo meccanismo, l‟azione antimicrobica dell‟Echinacea sembra attribuibile principalmente all‟attività dell‟echinacoside, isolato principalmente dalle radici di E. pallida; anche altri principi attivi della pianta, ad esempio i polisaccaridi, tuttavia, potenziano la risposta difensiva in maniera sinergica.

Per quanto riguarda l‟attività fungicida dell‟Echinacea, il ricercatore tedesco R. Bauer ha descritto una notevole efficacia nel trattamento delle micosi vaginali da Trichomonas vaginalis. Un suo studio ha dimostrato, infatti, che le pazienti affette da tale patologia e curate con econazolo nitrato mostravano ricadute nel 60.5% dei casi; tale percentuale diminuiva al 16.7% quando veniva utilizzata, insieme all‟econazolo, anche un estratto di Echinacea (Barret B, 2003). Inoltre, ad estratti di E. purpurea sono state attribuite significanti attività antifungine in una serie di esperimenti in vitro, testando l‟attività su Saccharomyces cerevisiae e varie specie di Candida, inclusa Candida

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23 albicans, la più comune malattia fungina della pelle umana (Barret B, 2003).

azione antitumorale: si esplica principalmente attraverso un meccanismo indiretto dovuto all‟azione immunostimolante. In particolare, la frazione polisaccaridica purificata contiene principi attivi (soprattutto l'arabinogalattano) che stimolano i macrofagi a produrre TNFα e interleuchine, molecole che permettono alle cellule immunitarie di distruggere le cellule estranee che invadono il nostro organismo, comprese quelle tumorali.

L‟uso in terapia di queste molecole per combattere il cancro non è ancora confermato, ma resta un argomento ancora oggetto di discussioni e studi. Tuttavia, tali molecole sembrano prive di tossicità nei confronti delle cellule del nostro organismo contrariamente a molti farmaci antitumorali. È stato ipotizzato, quindi, di partire da queste molecole naturali per poterle modificare e renderle più attive e selettive nei confronti delle cellule tumorali.

Chicca e coll. hanno riscontrato un effetto antiproliferativo su cellule tumorali umane, probabilmente dovuto all‟attivazione delle caspasi-3 e -7 e alla promozione della frammentazione del DNA nucleare. Nonostante tale effetto sia stato riscontrato in presenza di estratti lipofili, provenienti dalle radici delle tre specie medicinali di Echinacea, l‟E. pallida ha mostrato un effetto antineoplastico più pronunciato, probabilmente dovuto al suo diverso profilo fitochimico. La principale

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24 classe di composti presenti in tale specie, infatti, è rappresentata dai poliacetileni, con solo poche tracce di alchilamidi, principali costituenti di E. purpurea ed E. angustifolia. I poliacetileni sono già stati identificati come citotossici per alcuni tipi tumorali: essi promuovono l‟apoptosi e sono in grado di potenziare l‟attività citotossica di altri farmaci chemioterapici (Chicca A et al., 2007).

Nelle radici di E. angustifolia ed E. pallida, invece, è stato identificato l‟1,8-pentadecatiene, un composto liposolubile, che potrebbe possedere un‟azione antitumorale (Capasso F et al., 2000).

azione antiossidante: Gli estratti di foglie e radici delle tre specie commerciali di Echinacea possiedono attività antiossidante, inibendo il processo di produzione dei radicali liberi (Speroni E et al., 2002). Uno studio indica che l‟effetto dell‟E. purpurea viene soppresso dalla leucopenia indotta da irradiazioni, specialmente nella linfocitopenia e nella monocitopenia. La causa di questi effetti probabilmente è dovuta alla presenza di antiossidanti nell‟E. purpurea come l‟echinacoside e l‟acido caffeico (Mishima S et al., 2004).

Hu e coll., hanno studiato gli effetti antiossidanti dell‟E. purpurea usando il metodo DPPH (radicale libero difenilpicrilidrazil) e hanno rilevato che l‟echinacoside e l‟acido caffeico sono in grado di eliminare radicali liberi come i radicali idrossilico (OH) e superossido (O2-) generati dalle radiazioni e prevengono la distruzione della membrana cellulare delle cellule del sangue dall‟ossidazione (Barret B, 2003).

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azione immunostimolante: rappresenta l‟azione principale dell‟Echinacea. L‟Echinacea attiva una parte del sistema immunitario, la via alternativa del complemento, migliorando la migrazione di leucociti nell‟area infetta e/o infiammata, solubilizzando i complessi immuni e distruggendo batteri, virus ed altri microrganismi. L‟Echinacea incrementa anche i livelli di properdina, una proteina sierica che stimola la via alternativa del complemento. Le cellule più sensibili all‟Echinacea sono i linfociti T e le cellule NK. I polisaccaridi dell‟Echinacea si legano alla superficie delle cellule T ed incrementano la produzione di interferone e di altre sostanze che potenziano il sistema immunitario; il risultato è la replicazione delle cellule T, l‟attivazione dei macrofagi e l‟incremento del numero di neutrofili circolanti. I neutrofili fagocitano i batteri e le cellule tumorali e prevengono l‟infezione batterica. L‟Echinacea attiva anche le cellule NK, la prima linea di difesa dell‟organismo contro cellule tumorali o infettate da virus, macrofagi, e monociti ematici che risiedono in tessuti aspecifici quali fegato, milza e linfonodi. Oltre ad incrementare la fagocitosi, l‟Echinacea stimola i macrofagi a produrre TNF, l‟interferone e l‟interleuchina (Capasso F et al., 2000).

I principi attivi dell‟Echinacea responsabili dell‟azione immunostimolante sono i polisaccaridi. Tuttavia una delle critiche all‟ipotesi sull‟importanza dei polisaccaridi nel‟attività immunostimolante dell‟Echinacea viene dall‟osservazione che questi composti devono essere idrolizzati a zuccheri semplici nel tratto

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26 gastrointestinale, altrimenti non sono assorbiti. Infatti, in diversi studi è stato dimostrato che la frazione polisaccaridica dell’Echinacea è in grado di stimolare la risposta immunitaria quando somministrata ai roditori per via orale. In questi studi è stato anche dimostrato che i polisaccaridi dell‟Echinacea aumentano la fagocitosi, la chemiotassi e la capacità ossidativa di neutrofili e macrofagi. Macrofagi peritoneali incubati con i polisaccaridi dell‟Echinacea sono in grado di uccidere cellule tumorali e cellule infettate con parassiti, quali Leishmania enrietti o con il lievito Candida albicans. Inoltre, i polisaccaridi aumentano le funzioni immunitarie in topi immunodepressi, in seguito a trattamento con ciclofosfamide (Capasso F et al., 2006). La frazione proteica sembra, invece, responsabile dell‟incremento dell‟attività dei linfociti T.

Utilizzando un protocollo che simulasse la digestione, Rininger e coll. (2000) hanno investigato l‟effetto di diverse preparazioni di E. purpurea sui macrofagi murini e sulle cellule monocitarie del sangue periferico (PBMC) umane (analizzando vitalità dei monociti, produzione di ossido nitroso (NO), attività antiossidante e antiinfiammatoria nei macrofagi). Gli autori hanno dimostrato che l‟intero estratto della pianta e la polvere di radice possono agire come immunostimolanti attraverso un incremento della vitalità delle PBMC e un‟induzione dell‟attivazione dei macrofagi in vitro, come mostrato dall‟incremento della produzione di TNF-α, NO, IL-1, IL-6 dose-dipendente. Gli estratti chimicamente standardizzati in contenuto di acido fenolico o echinacoside e il succo fresco pressato, al contrario,

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27 non hanno effetti immunostimolanti, ma mostrano proprietà antiinfiammatorie e antiossidanti a vari gradi (Rininger JA et al., 2000).

Per quanto riguarda le popolazioni linfocitarie, uno studio recente condotto su volontari sani ha dimostrato che dopo una settimana di somministrazione orale del succo fresco pressato di E. purpurea il valore medio del numero totale di linfociti è diminuito leggermente rispetto al valore iniziale. Inoltre, non sono stati osservati cambiamenti significativi nella distribuzione delle popolazione di linfociti T, compresi i linfociti T naïve e della memoria, linfociti B e cellule NK.

Secondo Bauer R (1998), il principio attivo responsabile dell‟attività immunostimolante sembra risiedere nella frazione lipofila piuttosto che nella frazione polare, mentre secondo altri autori (Luettig B et al., 1989), i responsabili di tale attività sono i polisaccaridi ad alto peso molecolare, come ad esempio l‟arabinogalattano, i quali favoriscono la mobilità spontanea dei granulociti polimorfo-nucleati. Gli arabinogalattani attivano inoltre i macrofagi, i quali producono TNF-α, IL-1 e interferone-β2 (IFN-β2) e rilasciano fattori stimolanti per le cellule NK.

1.1.7 Sicurezza e controindicazioni

L‟Echinacea sembra essere un‟erba medicinale relativamente sicura, anche se si sono verificati diversi casi di reazioni allergiche all‟Echinacea ( Barret B, 2003). Non si sono presentati effetti avversi dose-dipendenti né casi di

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28 overdose. Le controindicazioni sono teoriche. Le interazioni sono sconosciute. Usando questi dati, si può stimare che l‟1-4% della popolazione generale usa l‟Echinacea in un anno. Ed inoltre,considerando una popolazione di circa 200 milioni di adulti e adolescenti auto-trattati negli Stati Uniti, si può stimare che 2-8 milioni di Americani usano un prodotto a base di Echinacea almeno una volta in un anno. Senza decessi e con pochi effetti avversi significanti, complessivamente il rapporto di rischio è abbastanza favorevole.

Malattie croniche progressive immuno-mediate, come la tubercolosi e varie sclerosi sono catalogate come controindicazioni, nonostante non siano presenti prove pratiche convincenti a supportare queste controindicazioni (Barret B, 2003).

In Germania, dal 1989 al 1995, si sono presentati 13 possibili eventi avversi associati all‟uso dell’Echinacina (succo spremuto dall‟erba dell‟Echinacea purpurea) che sono stati riportati dall‟autorità Tedesca BGA. Solo 4 di questi casi, tutti con reazioni allergiche della pelle, sono stati considerati conseguenza dell‟esposizione all‟Echinacea.

È consigliabile osservare cautela nell‟utilizzo delle preparazioni a base di Echinacea anche in gravidanza. Anche a questo proposito esistono fonti discordanti: la Commissione Tedesca E ne sconsiglia l‟uso, mentre un recente studio ha dimostrato che l‟assunzione di Echinacea durante il primo trimestre di gestazione non è associato ad un aumentato rischio di malformazioni per il feto (Barret B, 2003).

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29 e disturbi gastro-intestinali. È controindicata in pazienti con malattie autoimmuni (AIDS, sclerosi multipla, leucocitosi, collagenosi) e in soggetti che assumono benzodiazepine (Capasso F et al., 2008).

1.2 Le cellule dendritiche (DC)

1.2.1 Sistema immunitario e cellule dendritiche

Il sistema immunitario è costituito da una serie di componenti cellulari e solubili che interagiscono tra di loro. La sua funzione è quella di distinguere le entità presenti all‟interno dell‟organismo come self o come non-self e di eliminare quest‟ultime. Il sistema immunitario per svolgere le sue funzioni utilizza due meccanismi: le difese naturali aspecifiche (innate) e l‟immunità vera e propria (adattativa).

Le DC controllano una serie di risposte innate e adattative. L‟immunità innata comprende molte reazioni rapide nei confronti di infezioni e altre patologie (Steinman RM e Banchereau J, 2007). Essa è presente fin dalla nascita e non necessita di un precedente contatto con la sostanza lesiva. Le difese naturali sono rappresentate da barriere meccaniche, come la cute, e barriere chimiche, come il succo gastrico. L‟immunità adattativa, al contrario, è appresa o acquisita più lentamente, da giorni a settimane; essa presenta due caratteristiche: intensa specificità per gli antigeni, e una memoria duratura per sviluppare una migliore funzione di ri-esposizione dell‟antigene. La

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30 risposta adattativa è sia immunogenica, fornisce resistenza nelle infezioni e nel cancro, sia tollerogenica (Steinman RM e Banchereau J, 2007).

La capacità del sistema immunitario di differenziare il self dal non-self è in gran parte determinata dai prodotti del complesso maggiore di istocompatibilità (Major Histocompatibility Complex, MHC) (tab. 5).

Tab. 5 - Prodotti del MHC di classe I e II.

Il meccanismo attraverso il quale l‟antigene (Ag) viene processato e associato al MHC prima di essere presentato alle cellule T viene realizzato dalle cellule di presentazione dell‟antigene (APC) come le cellule di Langerhans, i monociti, i macrofagi, le cellule B e le cellule dendritiche follicolari.

Le cellule dendritiche sono continuamente in comunicazione con altre cellule dell‟organismo. Questa comunicazione si basa su un contatto diretto cellula-cellula, in particolare esse interagiscono con specifici recettori della superficie cellulare. Un esempio è rappresentato dall‟interazione del recettore CD40 delle cellule dendritiche con il CD40L presente sui linfociti. Tuttavia, l‟interazione cellula-cellula può anche prendere luogo a distanza attraverso le prodotti MHC di classe I HLA-A, HLA-B, HLA-C

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31 citochine. Ad esempio, la stimolazione delle cellule dendritiche in vivo con estratti microbici, induce queste a produrre rapidamente IL-12.

Le citochine sono molecole proteiche prodotte da vari tipi di cellule, tra cui monociti, cellule T e DC, in grado di agire localmente, fra cellule contigue dello stesso tessuto, o a distanza, fra cellule di tessuti differenti e distanti. Esse possono avere un effetto autocrino, modificando il comportamento della stessa cellula che l‟ha secreta, o paracrino, modificando il comportamento di cellule adiacenti.

Le citochine possono essere suddivise in diversi gruppi:

 interferoni (IFN-α, β e γ), inducono le cellule a resistere a infezioni virali

 Tumor necrosis factor (TNF-α e β)

 Interleuchine (dall‟IL-1 all‟IL-18)

 Ematopoietine

 Chemochine

A seconda del tipo di DC verranno prodotte alcune citochine piuttosto di altre. Le DC linfoidi sono abili nel produrre grandi quantità di IFN-α rispetto a qualsiasi altra cellula del sangue.

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32 1.2.2 Proprietà delle DC

Le cellule dendritiche sono cellule immuni che fanno parte del sistema immunitario dei mammiferi. Per le loro caratteristiche fenotipiche e funzionali sono considerate le più potenti APC (cellule presentanti l‟antigene). Sono presenti in piccole quantità nei tessuti a contatto con l‟ambiente esterno, naso, polmoni, stomaco e intestino. Le cellule dendritiche sono cellule accessorie essenziali nella generazione della risposta anticorpale primaria (Stockwin LH et al., 2000). Esse sono anche coinvolte nel mantenimento della tolleranza agli antigeni. Come conseguenza di questa etereogenicità in vivo, oggi è riconosciuto che le cellule dendritiche sono una famiglia di cellule, in cui ogni sottoinsieme esercita controllo su una diversa area di immunità.

Le DC si possono suddividere in due importanti sottopopolazioni: DC mieloidi (mDC) e DC plasmacitoidi (pDC) che presentano distinta origine, fenotipo, funzione. (Tab. 6).

Al gruppo mieloide appartengono le DC presenti nei tessuti interstiziali di molti organi, nella cute o nelle mucose epiteliali (cellule di Langerhans). Esse originano da precursori mieloidi del midollo osseo e richiedono la presenza di GM-CSF (Granulocyte Macrophage Colony Stimulating Factor) per la loro sopravvivenza.

Alla linea linfoide appartengono le DC interdigitate che mediano processi di selezione negativa e sono localizzate nel timo, nelle tonsille, negli organi linfatici periferici e nel sangue. Per l‟espansione e la differenziazione dei precursori plasmacitoidi CD33-, sono necessari FL, e IL-3, interleuchina-3.

(32)

33 Tab. 6 – Suddivisione principale delle DC

In base alla loro funzione e localizzazione, le DC sono classificate in:

 cellule dendritiche del sangue

 cellule dendritiche dei tessuti, che includono le cellule di Langerhans cutanee (LC)

 cellule dendritiche delle vie respiratorie

 cellule dendritiche della mucosa del tratto digestivo  cellule dendritiche interdigitate nel derma

 cellule dendritiche della lamina propria della mucosa e della sottomucosa  cellule dendritiche interdigitate dei linfonodi regionali e delle strutture

linfoidi attorno alle mucose

 cellule dendritiche interstiziali degli organi come rene, intestino, polmone, tiroide

Le DC sono inizialmente caratterizzate, sulla base della loro particolare morfologia, da numerosi processi citoplasmatici che danno loro una forma Cellule dendritiche mieloidi

(mDC)

Sono le più simili ai monociti. Esistono due sottoinsiemi:

 le più comuni,mDC-1,che rappresentano i maggiori stimolatori delle cellule T  le più rare,mDC-2,che possono avere la

funzione di combattere le infezioni

Cellule dendritiche plasmacitoidi (pDC)

Hanno un aspetto simile alle cellule del

plasma,ma hanno alcune caratteristiche simili alle cellule dendritiche mieloidi.

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34 stellata. La loro ampia area di superficie permette intimi contatti con un gran numero di cellule vicine tanto che, in vitro, le DC formano grandi aggregati sferici con i linfociti, e sperimentalmente, solo una DC matura è in grado di stimolare 100-3000 cellule T. Le cellule dendritiche esprimono anche un repertorio di recettori per un efficiente ricaptazione dell‟antigene recettore-mediata (Stockwin LH et al., 2000).

1.2.3 Origine e differenziazione

Le principali cellule dendritiche utilizzate come APC per studi in vivo e in vitro sono di due tipi: DC derivanti dai monociti (CD14+) e DC derivanti dalle cellule CD34+ (Di Nicola M et al., 2000).

I progenitori ematopoietici CD34+ presenti nel sangue del cordone umano, messi in coltura con GM-CSF e TNF-α, generano una popolazione cellulare eterogenea contenente differenti tipi di DC (Cella M et al., 1997). Dopo cinque giorni di coltura, possono essere identificati due sottoinsiemi di precursori delle DC, le CD1a e le CD14. Entrambi i sottoinsiemi dopo 12 giorni maturano in tipiche DC. I precursori delle CD14+ sono inoltre cellule bipotenziali perché possono differenziarsi in macrofagi in risposta al GM-CSF (Cella M et al., 1997) (Fig. 1.10).

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35 Giorno 5 Giorno 12 GM-CSF + TNF-α Langerhans GM-CSF cells + TNF-α Dendritic cells M-CSF

Fig. 1.10 - Differenziazione delle cellule CD34+ (modificata da Cella M et al., 1997)

Le DC possono anche svilupparsi da monociti CD14+ del sangue periferico in coltura con GM-CSF e IL-4. In queste condizioni di coltura i monociti si evolvono in una omogenea popolazione di DC senza dividersi. Queste cellule sono DC immature e possono essere indotte a maturare attraverso stimoli infiammatori come TNF-α, IL-4 o LPS (Cella M et al., 1997) (Fig. 1.11).

GM-CSF TNF-α + IL-4 IL-4

LPS

Fig. 1.11 - Differenziazione delle cellule CD14+(modificata da Cella M et al., 1997) CD34+ progenitor CD1a+ CD14+ CD1a+ CD14+ CD1a+ CD14+ monocyte Immature DC Mature DC CD14+ macrophage

(35)

36 Interessante è che le DC immature generate dai monociti mantengono ancora il recettore M-CSF, anche se esso viene perso in seguito all‟induzione della maturazione. Pertanto i monociti rappresentano una grande fonte di precursori che possono polarizzare verso le DC o i macrofagi, in dipendenza dagli stimoli esterni. Questa polarizzazione può essere guidata in vitro attraverso l‟addizione di appropriate citochine (GM-CSF + IL-4 o M-(GM-CSF) (Cella M et al.,1997).

Per quanto riguarda il GM-CSF, mentre in vitro rappresenta una citochina che promuove la generazione delle DC, in vivo sembra non essere considerato uno dei maggiori fattori di crescita; nei topi in cui il GM-CSF è sovraespresso non si ha un incremento nel numero delle DC.

La differenziazione delle DC da questi precursori può essere seguita facilmente monitorando alcune molecole chiave di superficie come il CD1a, acquisito dalle DC, e il CD14, espresso dai monociti e assente nelle DC. Inoltre, l‟espressione di altre molecole co-stimolatorie come CD40, CD80, CD86 e l‟antigene HLA, possono essere usati per valutare lo stadio di differenziazione e il grado di maturazione delle DC nelle colture in vitro. In questo contesto, due nuovi markers, CD83 e p55, hanno mostrato essere uniformemente espressi ad alti livelli nelle cellule mature, ma sono assenti nei monociti del sangue e nelle cellule CD34+ del sangue periferico (Di Nicola M et al., 2000).

Le cellule dendritiche immature risiedono nei tessuti periferici e sono caratterizzate da un‟alta capacità di catturare e processare l‟antigene, ma presentano una bassa capacità stimolatoria nei confronti delle cellule T e

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37 bassi livelli di molecole co-stimolatorie. Mediatori infiammatori promuovono la maturazione delle DC e la migrazione dai tessuti non-linfoidi al sangue. Queste cellule migratorie raggiungono gli organi linfoidi secondari dove si trovano le cellule T. A questo punto, le DC mature subiscono un cambiamento delle loro proprietà: perdono l‟abilità di catturare l‟antigene e acquistano e incrementano la capacità di stimolare le cellule T. Le DC mature, quindi, presentano alle cellule T naive l‟antigene che hanno catturato a livello dei tessuti periferici e per questo possono essere viste come le “sentinelle” del sistema immunitario (Steinman RM, 1991). Ha inizio così la risposta immunitaria.

1.2.4 Cattura e presentazione dell’antigene

La presentazione di antigeni solubili alle cellule T avviene attraverso un complesso ma efficiente processo che si può dividere in tre fasi:

1. Cattura dell‟antigene da parte delle DC immature: questo può avvenire attraverso il legame dell‟antigene a uno specifico recettore o con il meccanismo della macropinocitosi in fase fluida. Si ha la formazione di un complesso stabile peptide-MHC (Lanzavecchia A, 1996).

2. Accumulo progressivo del complesso peptide-MHC sulla superficie cellulare

3. Presentazione dell‟antigene alle cellule T

L‟attività endocitotica delle DC isolate ex vivo è stata ampiamente studiata. In particolare, è stato mostrato che le DC isolate dagli organi non-linfoidi sono

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38 abili nel catturare e processare l‟antigene, ma perdono rapidamente questa proprietà in cultura. La ricaptazione dell‟antigene da parte delle DC immature può avvenire attraverso tre meccanismi (Lanzavecchia A, 1996).

Il primo è la macropinocitosi, un tipo di endocitosi a fase fluida citoscheletro-dipendente caratterizzata da un ripiegamento della membrana e dalla formazione di larghe vescicole. Mentre nei macrofagi e nelle cellule epiteliali la macropinocitosi è stimolata da fattori di crescita, nelle DC immature questa è costitutiva, e consente l‟internalizzazione di antigeni solubili.

Gli altri due meccanismi di cattura dell‟antigene agiscono attraverso il processo di endocitosi recettore-mediata. Le DC esprimono il recettore FcγRII, recettore specifico per la porzione Fc delle immunoglobuline, e il recettore per il mannosio. L‟FcγRII consente di catturare basse concentrazioni di antigeni o allergeni complessati con le immunoglobuline; il recettore per il mannosio permette di incamerare con grande efficienza proteine glicosilate. Le DC immature esprimono uno scarso numero di molecole MHC di classe II, localizzate per la maggior parte internamente alla cellula.

Le DC, oltre ad essere efficienti nella cattura dell‟antigene, sono abili anche nella presentazione dell‟antigene e nella stimolazione delle cellule T.

1.2.5 Interazione DC- linfociti T

Dopo l‟esposizione a stimoli antigenici o infiammatori, le DC interstiziali presenti negli organi solidi migrano nei linfonodi regionali o nella milza,

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39 rispettivamente attraverso la via linfatica o ematica, mentre le DC presenti negli epiteli migrano nei linfonodi regionali, attraverso i vasi linfatici afferenti.

In questa fase le DC acquisiscono la loro peculiare morfologia e modificano il loro metabolismo esprimendo sulla membrana le molecole costimolatorie necessarie per l‟attivazione dei linfociti T.

La migrazione delle DC dai siti periferici agli organi linfatici è un fenomeno ancora non completamente conosciuto, strettamente correlato sia al loro differenziamento, che alla loro maturazione funzionale

Una volta entrate nei tessuti linfoidi, le DC interagiscono con le cellule T, B e NK. La capacità delle DC mature di stimolare le cellule T è stata attribuita a una varietà di fattori. Bassi livelli di acido sialico sulla superficie delle DC possono abbassare le forze repulsive e facilitare il raggruppamento con le cellule T (Cella M et al., 1997) , mentre alti livelli di molecole costimolatorie e di adesione possono favorire il contatto con i recettori delle cellule T e l‟attivazione delle stesse. Sono stati caratterizzati due sottotipi di DC per controllare il destino delle cellule T helper naive (Feili-Hariri M et al., 2005). Il primo sottotipo, denominato DC1, secerne una grande quantità di IL-12 che promuove lo sviluppo delle cellule T di tipo 1, Th1, le quali producono IFN-γ e sono importanti nella generazione dell‟immunità verso i parassiti intracellulari; l‟altro sottotipo, DC2, promuove invece lo sviluppo delle cellule T di tipo 2, Th2, che producono citochine, come IL-4, IL-5, IL-10, attraverso il rilascio di un fattore finora non caratterizzato. Le risposte Th2 sono importanti nella generazione dell‟immunità verso infezioni extracellulari e risposte allergiche (Stockwin LH et al., 2000) (Fig. 1.12). L‟espressione di CD40L da parte delle cellule T helper stimola ulteriormente le DC a produrre IL-4.

(39)

40

Fig. 1.12 - Rappresentazione schematica della differenziazione di Th1/Th2 (Theofilopoulos AN et al., 2001)

I linfociti attivati vanno incontro a proliferazione e differenziamento in linfociti T effettori. L‟attivazione linfocitaria ha inizio quando i complessi MHC-peptide presenti sulle APC si legano al TCR (T Cell Receptor). Oltre al complesso TCR, numerose molecole accessorie costimolatorie svolgono un ruolo importante nell‟attivazione linfocitaria; tali molecole interagendo con i ligandi espressi sulle APC, forniscono forze stabilizzanti l‟adesione e permettono la trasduzione dei segnali.

Lo stadio finale nel ciclo di vita delle DC è l‟apoptosi, mediata dalle cellule NK o dai linfociti T. Questo processo fa strada alla successiva migrazione di altre DC dai tessuti locali alla linfa afferente. Una morte precoce delle DC produce delle risposte insufficienti, mentre una loro attivazione prolungata provoca scompensi all‟attività del sistema immunitario.

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41 1.2.6 Applicazioni terapeutiche

La disponibilità di un ampio numero di DC ha dato spazio a nuove possibilità per l‟immunizzazione. Nelle immunoterapie tumorali si utilizzano cellule differenziate, come DC o linfociti, selezionate in base alla specificità antigenica e funzionale. Le DC possono essere trattate con antigeni specifici per il tumore (Krug LM, 2004) e quindi iniettate in vivo, dove possono attivare linfociti citotossici specifici per gli antigeni tumorali. Una alternativa all‟uso di DC consiste nel trattamento con exosomi derivati da DC trattate con il lisato di cellule tumorali (Chaput N et al., 2004).

Figura

Tab. 3 - Costituenti chimici dell’Echinacea
Tab. 4 - Proprietà farmacologiche dell’Echinacea (Capasso F et al., 2000)
Fig. 1.10 - Differenziazione delle cellule CD34 +  (modificata da Cella M et al., 1997)
Fig.  1.12  -  Rappresentazione  schematica  della  differenziazione  di  Th1/Th2  (Theofilopoulos   AN et al., 2001)

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