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2. IL TURSIOPE

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Academic year: 2021

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2.

IL TURSIOPE

Il Tursiope, è un delfino ben noto fin dall’antichità perché protagonista di incontri ravvicinati con l’uomo. Venne descritto per la prima volta da Lacépède nel 1804. In seguito, nel 1821, George Montagu descrisse un delfino ritrovato spiaggiato qualche anno prima, e lo chiamò

Delphinus truncatus perché aveva un rostro molto più tozzo del delfino comune, caratteristica

questa ben espressa anche dal nome inglese, Bottlenose dolphin, ovvero delfino dal naso a bottiglia (Notarbartolo di Sciara & Demma, 1997).

Figura 5: Due esemplari di Tursiope; sono una mamma e il suo cucciolo.

La sistematica del genere Tursiops non è ancora del tutto definita. Viene messo in dubbio se esista un’unica specie, Tursiops truncatus, con evidenti variazioni geografiche, tra cui una variabilità nelle dimensioni del corpo e nella colorazione (Mitchell, 1975), o piuttosto più specie o sottospecie riconducibili al genere Tursiops, come Tursiops aduncus e Tursiops gilli ( Curry, 1997; Curry & Smith, 1997; LeDuc et al., 1999). Tuttavia, Tursiops truncatus, secondo tutti gli autori, è la specie presente in Mediterraneo e nell’Oceano Atlantico.

Molti studi hanno dimostrato per questa specie l’esistenza di due ecotipi, uno costiero e uno pelagico, diversi per habitat, morfologia, tipo di alimentazione, parassiti (Walker, 1981), e per parametri ematici quali numero di globuli rossi e tipo di emoglobina (Duffield et al.,1983). L’ecotipo pelagico, più soggetto a predazione da parte di squali o orche, ha dimensioni

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maggiori e un corpo più robusto rispetto all’ecotipo costiero (Norris & Dohl, 1988); presenta un maggior numero di globuli rossi e un’emoglobina più concentrata, a causa delle lunghe immersioni richieste dalla necessità di alimentarsi in profondità (Hersh & Duffield, 1990). Nel Mediterraneo, benché sono noti avvistamenti di individui al largo, l’ecotipo prevalente è quello costiero.

2.1

Biologia

Il Tursiope è un delfino di grande mole, che raggiunge, nel Mediterraneo, una lunghezza media di 2,5 – 3,5 metri, con un massimo di 4 metri. Il peso si aggira tra i 270 e i 350 kg, con il maschio più grande della femmina. I neonati misurano circa 1 metro di lunghezza e 15 Kg di peso (Notarbartolo di Sciara, 1997).

La colorazione è grigio scura sul dorso, gradualmente più chiara sui fianchi e si schiarisce ulteriormente sul ventre che è biancastro o talvolta rosato. Tra un esemplare e l’altro esiste comunque una certa variabilità.

La corporatura è possente e muscolosa, la pinna dorsale, posizionata circa a metà del corpo, è alta e falcata e la sua punta è rivolta verso la coda; le pinne pettorali sono corte e sottili e servono da stabilizzatori durante il nuoto. L’ultimo terzo del corpo, il peduncolo caudale, è l’organo di propulsione che agisce mediante movimenti verticali.

Il profilo del capo presenta un melone caratteristico, ben pronunciato, separato dal rostro, corto e tozzo, da un solco. Il rostro è un prolungamento osseo del cranio, di forma conica e della lunghezza di circa 20 cm, formato dall’insieme mascellare-mandibolare. Nei cetacei le narici sono rimpiazzate da uno sfiatatoio, del diametro di circa 5 cm, posto in cima alla testa e chiuso da una unica plica che l’animale è in grado di aprire con un’azione muscolare volontaria.

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Figura 6: Rappresentazione di un esemplare di Tursiope (Tursiops truncatus).

La pelle molto morbida, elastica e liscia, riveste un derma costituito da un sistema di papille e canali. Questa struttura fa si che a bassa velocità, la cute resta liscia, ma a grande velocità si deforma per assorbire le turbolenze, consentendo all’animale di essere molto veloce nei movimenti.

Lo strato di grasso che si trova nell’ipoderma dei cetacei, è più spesso che in qualunque altro mammifero, fino a costituire l’ 80-90% del tessuto tegumentario. La sua funzione è quella di isolare le strutture interne dal freddo e limitare gli scambi di calore con l’acqua. Nel Tursiope la massa e la profondità cui arriva questo strato, sono proporzionali alla massa corporea e alla lunghezza (Berta et. al., 2006).

Il sistema muscolo-scheletrico si è evoluto per garantire la massima efficienza nel nuoto. La spinta è garantita dalla poderosa muscolatura della pinna caudale, attraverso un movimento verticale, eredità della vita terrestre dei suoi antenati. Gli arti posteriori sono regrediti fino a scomparire del tutto, e quelli anteriori si sono modificati nelle pinne pettorali.

Anche il cranio ha subito profonde modificazioni, soprattutto per due ragioni: rendere più efficiente possibile la respirazione, e potenziare la capacità di produrre e captare i suoni. Diversamente da tutti gli altri mammiferi infatti, nei cetacei le narici si sono spostate all’apice della testa per facilitare la respirazione in superficie, andando a costituire lo sfiatatoio, la cui apertura e chiusura è regolata da una potente muscolatura; inoltre si osserva una marcata asimmetria di ossa e strutture anatomiche molli della testa, che sembra dovuta a una diversa

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specializzazione dei due lati del cranio: il lato destro per la produzione dei suoni, il sinistro per la respirazione (Berta et. al., 2006).

Figura 7: Schema del cranio di un Tursiope (da Berta, 2006).

Il Tursiope emerge per respirare una volta ogni 15-20 secondi, ma la frequenza e la durata delle immersioni dipendono strettamente dall’attività in cui è impegnato l’animale: in caccia le immersioni sono in genere più prolungate e intervallate da 4 o 5 emersioni ravvicinate. La profondità massima che riesce a raggiungere si aggira attorno ad alcune centinaia di metri fino ad un massimo di 8 minuti.

I polmoni del Tursiope hanno, in proporzione alle sue dimensioni, un volume inferiore rispetto ad un mammifero terrestre, questo perchè servono solo come zona di scambio tra l’aria e il sangue. Prima di immergersi infatti, tutti i cetacei espirano a fondo, in modo da limitare al massimo la quantità di aria presente nei polmoni, e immagazzinando l’ossigeno nell’emoglobina e nella mioglobina. Scendendo in profondità, la pressione tende a schiacciare gli organi e spingerebbe a forza l’aria nei capillari, facendo diffondere anche l’azoto verso il sangue, causando l’embolia al momento della risalita. Per prolungare la durata dell’apnea, il flusso ematico viene ridotto in tutti gli organi, grazie a processi di vasocostrizione, ad eccezione di cuore e cervello. Questo contribuisce a ridurre il tasso metabolico e quindi la necessità di metabolismo anaerobio che comporta la produzione di acido lattico. La ridotta quantità che si forma, non viene rilasciata nel sangue fino alla conclusione dell’ immersione (Randall, et al. 1999).

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Durante le immersioni quindi, il sistema circolatorio riveste una enorme importanza. Anche la termoregolazione è strettamente dipendente da questo apparato: i cetacei infatti, benché siano mammiferi, sono privi di rivestimento pilifero. L’isolamento termico è quindi a carico dello spesso strato adiposo, mentre la regolazione della temperatura corporea è strettamente dipendente da numerosi scambiatori controcorrente, situati soprattutto nelle pinne. Qui un’arteria centrale è circondata da 15-20 piccole vene, per evitare perdite di calore alle estremità (Randall, et al. 1999).

Il Tursiope è prevalentemente ittiofago e i pesci più frequentemente catturati sono quelli più abbondanti nelle acque basse in cui vive: cefali, acciughe, sardine, sgombri, aringhe, triglie, sugherelli, ecc… Essendo però molto flessibile, adatta la sua dieta alla preda più facilmente ottenibile, così si ciba anche di calamari, seppie, polpi, crostacei e altri invertebrati del benthos.

Gli adulti sono dotati di circa 40 denti conici, tutti uguali tra loro (omodonzia), che servono alla cattura delle prede che vengono poi ingoiate intere. Questa abitudine unita al ridotto sviluppo delle ghiandole salivari, spiegano in parte la complessità della struttura dello stomaco del Tursiope. Diversamente da quanto accade nei predatori terrestri, gli odontoceti hanno uno stomaco suddiviso in almeno quattro compartimenti, come nei ruminanti da cui discendono (Matthews, 1987).

L’apparato riproduttore è molto simile a quello dei mammiferi terrestri. Per poter determinare il sesso di un individuo però, bisogna analizzare la regione ventrale, dove si possono vedere tre fessure nella femmina e una nel maschio. Gli organi sessuali e le mammelle infatti, sono alloggiati in sacche, per evitare l’attrito durante il nuoto.

Gli accoppiamenti e le nascite avvengono di solito nella stagione più calda. L’accoppiamento è di breve durata, ed è in genere seguito da fasi di corteggiamento e lotta tra maschi. La femmina partorisce un solo piccolo alla volta, che si presenta in posizione caudale, per impedirne l’annegamento. Subito dopo la nascita, il piccolo viene accompagnato dalla madre in superficie per il primo respiro. La gestazione dura 12 mesi e lo svezzamento avviene alla fine del secondo anno di vita. Il latte, che viene letteralmente spruzzato in bocca al cucciolo, è particolarmente ricco di grassi, e l’allattamento prosegue per oltre un anno. La maturità sessuale avviene tra i 9 e i 10 anni per le femmine e tra i 10 e i 13 anni per i maschi (Wurtz & Repetto, 2003).

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Il Tursiope, come tutti i cetacei, non possiede olfatto, ma può contare su un’eccellente vista e su un ottimo udito. Gli occhi dei cetacei, infatti, sono in grado di mettere a fuoco, consentendogli di vedere bene sia fuori che dentro l’acqua.

L’udito è però di certo il senso più sviluppato, poiché non solo viene utilizzato per la ricezione dei suoni, ma anche per l’ecolocalizzazione, ovvero la capacità di utilizzare suoni ad alta frequenza, per navigare e localizzare le prede, rilevando distanza, forma, dimensioni, consistenza e direzione di spostamento di oggetti presenti nell’ambiente circostante, anche in condizioni di scarsa visibilità (Notarbartolo di Sciara, 1997).

Per quanto riguarda la ricezione dei suoni, l’orecchio interno ha sviluppato degli adattamenti che gli consentono di identificare con precisione la provenienza dei segnali acustici (cosa che un uomo immerso in acqua non è in grado di fare), isolando l’orecchio interno dal cranio. I fischi sono i suoni che servono per comunicare con altri individui della stessa specie e che hanno frequenze comprese tra 2 e 30 kHz. Tra le varie funzioni che tali suoni rivestono, sono stati riconosciuti dei segnali, caratteristici per ogni individuo, chiamati signature wistle (fischio firma). Questi suoni servono agli individui per riconoscersi, e sono paragonabili a dei nomi. L’altra importante funzione dell’apparato uditivo, l’ecolocalizzazione, consiste nella produzione di clicks (brevi suoni che possono raggiungere la frequenza di 200 kHz e ripetuti fino a 6.000 volte al secondo). Questi suoni, prodotti dalle sacche nasali, passano attraverso il melone che, agendo come una lente acustica, consente di concentrarle e indirizzarle verso l’esterno. Quando le onde sonore colpiscono un bersaglio, una parte di esse viene riflessa verso la sorgente, e captata dalle ossa mandibolari che le trasmette alla bulla timpanica e quindi all’orecchio interno. Il tempo richiesto ad un click per viaggiare dalla sorgente al bersaglio e tornare, consente all’animale di stimare la distanza del bersaglio. La produzione continua di suoni, può indicare anche velocità e direzione di un oggetto in movimento. La penetrazione delle onde sonore è inversamente proporzionale alla frequenza, così in condizioni di nuoto normali, vengono emessi suoni a bassa frequenza, che hanno un raggio d’azione di qualche decina di chilometri; quando viene identificato qualcosa di interessante, l’animale si avvicina e aumenta la frequenza per ottenere informazioni più dettagliate (Würtz e Repetto, 2003).

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Figura 8: Schema del cranio e dei tessuti molli del capo di un Tursiope e rappresentazione del sistema di ecolocalizzazione.

Mentre un individuo produce una sequenza di clicks, può contemporaneamente fischiare; questi suoni attraversano il melone in fasci diversi da quelli del biosonar che nel frattempo può variare in frequenza per adattarsi al riconoscimento di un bersaglio. L’apparato acustico ha quindi raggiunto un livello di accuratezza particolarmente elevato.

2.2

Distribuzione

Il Tursiope lo si può trovare in quasi tutti i mari del mondo, in acque tropicali e freddo-temperate. In molte zone in cui è stato studiato, si presenta in due forme: una costiera, più piccola e di colore più chiaro, ed una pelagica, più robusta e più scura. Può quindi essere avvistato a centinaia di miglia dalla costa, in pieno Oceano, ma nel Mediterraneo l’ecotipo prevalente è quello costiero; infatti la profondità del mare, nelle località di avvistamento, si aggira intorno ai 100 metri. Le popolazioni costiere si sono rivelate residenti fisse in particolari località: in Adriatico, per esempio, esiste una cospicua popolazione di Tursiopi che vive, ormai da anni, in modo stanziale nelle acque costiere dell’isola di Lussino; le popolazioni pelagiche potrebbero forse compiere delle migrazioni stagionali, ma non ci sono ancora prove certe al riguardo.

Presente in tutto il Mediterraneo, nei mari italiani è una delle specie più diffuse: lo si avvista con facilità nell’Arcipelago Toscano, lungo la costa tirrenica, nelle acque costiere di Sardegna, Corsica, Sicilia e, nella porzione settentrionale del bacino Adriatico, è l’unico cetaceo comunemente avvistato.

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Figura 9: Distribuzione del Tursiope in Mediterraneo; regolare, presente ma non frequente, ?? mancano dati (da Notarnartolo di Sciara & Demma, 1997).

La dimensione dell’area frequentata abitualmente dagli animali (home range) è molto variabile e difficile da determinare (Feinholz, 1994). Inoltre, non sempre l’utilizzo dell’home range è uniforme: i gruppi residenti, infatti, utilizzano aree limitate prediligendone alcune per l’alimentazione, altre per la socializzazione o il riposo (Irvine et al. 1981; Shane, 1980). La maggior parte degli autori definisce le aree di ricerca come una piccola parte dell’effettivo home range degli animali (Bearzi et. al., 1997; Wells, 1991).

I fattori caratterizzanti la distribuzione delle popolazioni di Tursiope sono: la presenza di predatori, la disponibilità trofica, le esigenze riproduttive, la pressione antropica (Irvine et al., 1981; Wells et al., 1988; Scott et al., 1990; Evans et al., 1992; Diaz Lopez et al., 2001).

2.3

Comportamento e struttura sociale

2.3.1

Struttura dei gruppi

Wells et al. (1987) definiscono, in base alla dipendenza dalla madre, alla lunghezza ed alla concentrazione di testosterone, progesterone ed estradiolo, quattro classi di età :

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• piccoli: sempre accompagnati dalla madre, di solito vanno da 0 a 4 anni di età;

• subadulti: sono indipendenti dalla madre, hanno meno di 8 anni e sono lunghi meno di 245 cm (anche se le femmine sono leggermente più piccole). La concentrazione di testosterone è minore di 1 ng/ml;

• maschi maturi: sono lunghi tra 245 e 249 cm. Hanno 8-9 anni ed una concentrazione di testosterone di 1-10 ng/ml;

• adulti: più lunghi di 249 cm. I maschi raggiungono la maturità sopra i 10 anni, mentre le femmine verso i 6-7 anni di età. La concentrazione di testosterone è maggiore di 10 ng/ml.

L’unità sociale fondamentale è costituita dalla cosiddetta unità familiare: un gruppo di femmine adulte, in genere 5-10 esemplari, che vivono con i loro piccoli non ancora svezzati nella zona più produttiva dell’home range della comunità. Le femmine con i piccoli formano delle coppie che restano in stretto contatto fino al completo svezzamento del piccolo (anche per oltre 18 mesi) e spesso si osserva un comportamento di “babysitting”, in cui una sola femmina accudisce piccoli di varie altre femmine mentre queste sono a caccia. Al raggiungimento dell’indipendenza dalla madre, i piccoli di entrambi i sessi si separano dall’unità familiare per andare a formare un gruppo misto di giovani. Una volta raggiunta la maturità sessuale, le femmine si uniranno a una unità familiare (in genere quella di nascita), i maschi stringeranno un legame duraturo con un maschio della stessa età, formando delle coppie che si uniranno, nei periodi riproduttivi, ai gruppi di femmine. I legami sociali all’interno dei singoli gruppi sembrano essere molto forti.

2.3.2

Comportamento sociale

Il comportamento sociale del Tursiope in cattività è stato studiato a lungo; in particolar modo aspetti del comportamento quali l’aggressività, le cure parentali, il comportamento sessuale e il gioco sono i più facili da osservare in animali che vivono in una vasca di pochi metri cubi. In natura, però, il comportamento del Tursiope è stato definito in base a modelli molto diversi. I comportamenti che maggiormente sono stati studiati (perché potevano essere osservati anche a distanza) sono stati classificati in categorie di comportamento:

• feeding: alimentazione e strategie di ricerca del cibo (ne sono stati descritti molti tipi); • mating: comportamenti di corteggiamento e accoppiamento;

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• milling: movimenti con frequenti cambi di direzione senza un particolare comportamento durante l’emersione;

• resting: movimenti assai lenti con gli individui generalmente disposti in cerchio;

• search: movimento in una direzione precisa, finalizzato di solito alla cattura e all’alimentazione;

• socializing: socializzazione, ovvero tutti i comportamenti come il gioco, gli strofinamenti, gli incontri tra gruppi, accompagnati da salti e spruzzi evidenti;

• traveling: nuoto regolare del gruppo in una precisa direzione;

• logging: il gruppo galleggia inerte, rivolto in un preciso orientamento; in questo modo i cetacei riposano.

I gruppi di femmine con i piccoli, sono i più numerosi, e benché tali rapporti non siano esclusivi, spesso ci sono individui che restano insieme per tutta la vita. L’importanza di vivere in gruppo, sta nel poter contare sulle compagne nel caso di assistenza alimentare, di difesa dai predatori o dalle attenzioni di un maschio sgradito. Spesso poi una delle femmine assiste una partoriente, aiutandola in un momento molto delicato, soprattutto per il piccolo.

I maschi invece raggiunta la maturità sessuale instaurano legami duraturi ed esclusivi con uno o due altri maschi. Queste bande (come talvolta sono chiamati i gruppi di maschi adulti), collaborano nel sottomettere e riunire le femmine mature, anche con atteggiamenti rudi, spinte e urti.

L’attività che forse richiede la maggior collaborazione tra gli individui di un gruppo, è sicuramente la caccia. Le tecniche messe in atto sono complesse e prevedono organizzazione e coordinamento tra gli individui del branco.

La ricerca del cibo può essere condotta dall’intero branco, da gruppi separati dispersi su una vasta area, o da singoli individui. I delfini impegnati nella fase di ricerca di cibo sono facilmente riconoscibili perché le loro immersioni (che oscillano tra 15 secondi e parecchi minuti) e i loro movimenti sono irregolari (rapidi cambiamenti di velocità e direzione). Cacciano dalle prime ore del giorno fino al tramonto, usando la vista, il sonar e il loro finissimo udito (il sonar passivo) (Gaskin,1982).

La vista sembra essere il senso più frequentemente utilizzato durante la caccia in condizioni di luminosità, mentre viene preferito l’utilizzo del biosonar durante le ore notturne o ad elevate profondità, dove l’oscurità limita le capacità visive.

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Il biosonar, durante la ricerca del cibo, viene utilizzato soprattutto per mantenere una stretta comunicazione tra gli individui dello stesso banco e per richiamare altri esemplari in luoghi molto ricchi di pesce.

Una volta individuato il banco di pesci, i delfini possono attuare diverse strategie. In alcuni casi nuotano attorno alle prede per compattarle e poi buttarvisi all’interno, altre volte le spingono verso un ostacolo che può essere costituito dalla battigia, da una rete o da un altro gruppo di delfini. Per spingere le prede nella direzione desiderata, i Tursiopi possono eseguire sequenze ripetitive di salti che provocano forti rumori.

In molte zone le sue abitudini alimentari si sono andate modificando in base all’attività di pesca effettuata dall’uomo, sottraendo il pesce dalle reti e nutrendosi degli scarti gettati in mare dai pescatori.

Leatherwood (1975) delinea tre tipologie di alimentazione, in relazione all’associazione dei delfini con i pescherecci:

• durante l’attività di pesca a strascico;

• mentre il peschereccio butta in mare i rifiuti della pesca (dopo la strascicatura)

• attorno alla barca che non lavora, mangiando i rimasugli di pesce dalla rete e gli scarichi della sentina del peschereccio.

Casale (2001) in uno studio condotto in Adriatico settentrionale sull’alimentazione del Tursiope nelle reti a strascico, ha analizzato in due mesi 40 cale, per un totale di 3.305 ore, e in 29 cale sono stati osservati Tursiopi nei pressi della rete. Nello stesso studio ha osservato anche la pesca delle sogliole, rilevando che in 56 giorni di lavoro, la metà delle volte le reti venivano danneggiate e quindi saccheggiate dai delfini.

2.3.3

Comportamento individuale

I Tursiopi sono animali piuttosto attivi in superficie, e se sentono una barca o una nave, cambiano volontariamente la loro rotta per andare a cavalcare le onde di prua (bow-riding) o per nuotare nella scia (wake-riding). Nel primo caso, si fanno letteralmente spingere in avanti dalla forza dell’onda e spesso, mentre lo fanno, osservano incuriositi i movimenti che avvengono sull’imbarcazione ed emettono fischi di eccitazione che si sentono anche fuori dall’acqua. È indubbio che stiano giocando, infatti sono soprattutto i giovani e i cuccioli (seguiti da vicino dalle madri), che si abbandonano a tali comportamenti. Quando invece si

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mettono a poppa della barca, nella scia ribollente, cavalcano le onde, nuotano a testa in giù e fanno varie acrobazie.

Figura 10: Tursiope in bow-riding (a) e in wake riding (b).

I Tursiopi non sono tra i cetacei più acrobatici, ma se si è fortunati, si possono vedere individui saltare parzialmente o completamente fuori dall’acqua (breaching) compiendo anche capriole o avvitamenti. Non è ancora del tutto chiaro quale sia la funzione di questi comportamenti, se si tratta di semplici giochi, o se siano anche una forma di comunicazione visiva e acustica.

Figura 11: Tursiope in salto (breaching) nelle acque dell’Isola d’Elba

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Alcuni individui, in genere maschi adulti di età avanzata, si allontanano dal gruppo in cui vivono, per andare incontro a una vita solitaria. In realtà questi animali si trasferiscono in acque costiere e riparate, e instaurano rapporti stretti con l’uomo. Non si conosce la causa di questo comportamento, anche se sono state fatte una serie di ipotesi, che vanno dalla carenza di risorse naturali, che spingono gli animali a una vita solitaria, per massimizzare i risultati della caccia, alla naturale conclusione del ciclo dispersione-fusione dei gruppi, che caratterizza la struttura sociale del Tursiope. Più difficile è trovare una spiegazione all’instaurarsi di rapporti con l’uomo, fenomeno non riscontrato in altri mammiferi sociali che intraprendono la vita solitaria.

2.4

Cause di decesso

In natura la durata massima della vita per un Tursiope, è stimata in 35-40 anni, molto più bassa è l’età raggiunta in cattività, anche perché questa condizione rende l’animale più vulnerabile alle infezioni.

L’interesse per le patologie dei cetacei è aumentato considerevolmente con gli episodi di morie anomale degli anni ‘80 e ‘90, in particolare in seguito all’epidemia causata da un nuovo morbillivirus (Dolphin Morbillivirus, DMV), che ha determinato una mortalità considerevole di stenelle striate nel Mar Mediterraneo dal 1990 al 1992 (Cornaglia et al., 2000) causando polmoniti ed encefaliti. Probabilmente tassi di mortalità così elevati sono stati causati anche da sostanze tossiche (come DDT e simili) accumulate negli organismi, e che hanno indebolito il sistema immunitario. L’accumulo di inquinanti nei tessuti corporei infatti, può ridurre l’immunità contro virus, batteri o parassiti metazoi e predisporre gli individui a patologie infettive (Evans & Raga, 2001).

Le informazioni sulle malattie che possono colpire i cetacei vengono ricavati essenzialmente da due fonti: animali spiaggiati, che però spesso, o sono in avanzato stato di decomposizione, o sono affetti da numerose patologie, per cui l’indagine diventa complessa e difficoltosa; oppure si possono utilizzare gli individui in cattività, anche se questa condizione porta gli animali a contatto con l’uomo, che può fungere da veicolo per varie infezioni, e le alterate condizioni di vita (filtraggi delle acque, spazi ridotti, ecc..), possono portare malattie che non si avrebbero in mare. Le attuali conoscenze epidemiologiche sia per gli individui liberi, sia per quelli mantenuti in ambiente controllato, richiedono quindi ulteriori studi.

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Tra le infezioni che sono state individuate, le principali sono:

• infestazioni di parassiti come Nasitrema spp. che alterano l’integrità dell’VIII paio di nervi cranici causando la perdita della capacità di ecolocalizzare (può essere una spiegazione per casi di spiaggiamento isolati);

• agenti patogeni isolabili nei pesci che vengono somministrati agli animali in ambiente controllato, sono Erysipelothrix rhusiopthiae ed insidiosa, che possono determinare malattia sia nei mammiferi marini che nell’uomo;

• i poxvirus, che nei cetacei danno le cosiddette lesioni “tattoo”: lesioni cutanee su bocca, pinne pettorali e fianchi. Possono venir infettate da batteri, ulcerarsi e occasionalmente causare la morte dell’individuo (Matthews, 1987);

• i calicivirus, isolati nel Tursiope atlantico e pacifico e in alcune balene, nei quali provoca delle lesioni cutanee vescicolari;

• Staphylococcus e Streptococcus, costituiscono la normale flora cutanea dei cetacei;

• sono stati isolati molti miceti dai delfini che non ci si aspetterebbe di trovare normalmente in ambiente marino. Le infezioni fungine si riscontrano generalmente in individui stressati ed immuno-depressi o sotto terapia antibiotica, essendo i miceti dei patogeni opportunisti. In particolare sono stati riscontrati casi di patologie micotiche sostenute da Blastomyces

spp., Candida spp. ed in particolare C. albicans, Lobomyces spp. e Aspergillus spp.

(Dierauf, 1990).

Oltre alle malattie, altre possibili cause di morte naturale possono essere:

• incidenti di caccia o traumi vari durante le lotte con altri individui della stessa specie; • il parto: momento delicato per tutti i mammiferi, in mare presenta difficoltà anche

maggiori, e forse per questo spesso le femmine sono assistite da una compagna; le malformazioni fetali sono rarissime;

• avvelenamento da cibo; ad esempio se si cibano di pesci che hanno mangiato dinoflagellati che possono produrre tossine;

• tumori;

• e ovviamente la predazione ad opera di squali (soprattutto individui isolati o malati) e Orche che possono occasionalmente entrare in Mediterraneo dallo Stretto di Gibilterra.

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Infine, essendo una specie prevalentemente costiera, il Tursiope risulta particolarmente sensibile alle attività antropiche (Evans et al. 1992; Lütkebohole 1996; Liret 2001) quali la pesca e la navigazione che qui si concentrano.

Figura

Figura 5:  Due esemplari di Tursiope; sono una mamma e il suo cucciolo.
Figura 6:  Rappresentazione di un esemplare di Tursiope (Tursiops truncatus).
Figura 7:  Schema del cranio di un Tursiope (da Berta, 2006).
Figura  8:  Schema  del  cranio  e  dei  tessuti  molli  del  capo  di  un  Tursiope  e  rappresentazione  del  sistema  di  ecolocalizzazione
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