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3.1 Alcuni tratti introduttivi La performance finanziaria dei fondi SRI Capitolo 3

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Capitolo 3

La performance finanziaria dei fondi

SRI

3.1 Alcuni tratti introduttivi

La letteratura in materia di performance dei fondi SRI è estremamente ampia: all’interno della gamma sterminata di contributi in materia, molteplici sono infatti le strategie, i punti di vista e i profili di analisi sotto i quali gli studiosi cercano di quantificare la performance finanziaria di questi particolari strumenti, nonché di determinarne i tratti caratteristici e qualificanti. Gli strumenti in parola infatti, a differenza di quelli tradizionali, sono caratterizzati da obiettivi di performance in cui gli aspetti finanziari si combinano con quelli connessi alla sfera della responsabilità sociale, dando luogo ad un trade-off di non facile interpretazione.

Al fine di superare le problematiche interpretative insite in questa molteplicità di obiettivi di natura diversa, gli autori si sono mossi in più direzioni sia in termini di modalità di misurazione utilizzate, sia in relazione all’area geografica d’interesse, sia per i metodi di calcolo e i modelli di stima applicati.

Sotto il primo aspetto ad esempio, alcuni autori hanno optato per una quantificazione della performance dei fondi SRI rispetto ad un determinato benchmark, anche se come vedremo, la maggior parte degli studi si è indirizzata verso l’indagine comparativa della performance di fondi etici e dei fondi tradizionali.

In relazione al secondo aspetto invece, è possibile rilevare la presenza sia di contributi che restringono l’oggetto di studio ai soli mercati principali (USA, Europa), sia di altri che hanno ampliato l’indagine anche ai mercati emergenti. Infine, sotto il profilo analitico, è possibile rinvenire analisi basate sui più svariati

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metodi di calcolo, da quelli implementati sulla stima di indicatori di performance più tradizionali (indice di Traynor, indice di Sharpe ed Alpha di Jensen) a quelli che invece utilizzano modelli multifattoriali più complessi.

Preme infine osservare in relazione alla provenienza degli studi in parola, che in linea con la più ampia diffusione dei fondi SRI all’estero, la letteratura in materia appare senza dubbio maggiormente sviluppata a livello internazionale dove diversi autori si sono occupati dell’analisi delle caratteristiche qualitative e quantitative di questo particolare comparto e delle sue prospettive di sviluppo. Al contrario a livello nazionale, i contributi specifici in materia, seppur approfonditi, risultano meno numerosi, mentre più ampia appare la letteratura sulla finanza etica in generale.

Delineato un quadro generale di quelli che sono i differenti approcci utilizzati e le tipologie di interventi presenti, andremo di seguito ad analizzare nel dettaglio alcuni comparti della letteratura ritenuti particolarmente significativi sia per la quantità di contributi che essi includono al loro interno, sia per le problematiche approfondite. Obiettivo primario dei paragrafi che seguono sarà infatti quello di quantificare la dimensione finanziaria delle performance che i fondi SRI consentono concretamente di ottenere e ciò, a fronte proprio del fatto che la necessità di limitare le strategie di investimento connessa con l’adozione di un’attività di screening prevalentemente a carattere etico, ha indotto diversi studiosi ad interrogarsi circa l’impatto di tale processo sull’ottenimento di performance finanziarie adeguate.

3.2 Fondi SRI e fondi Tradizionali a confronto: a literature

review.

Come già precedentemente affermato, il dibattito sviluppatosi in letteratura circa le potenziali virtù, in termini di performance finanziaria dei fondi SRI può essere strutturata su diversi piani e condotta mediante l’utilizzo di varie metodologie. Riprendendo la classificazione effettuata da Renneboog et al. (2007), si possono individuare alcune ipotesi principali circa la relazione esistente tra la performance di portafogli e fondi SRI e quella di portafogli e fondi tradizionali.

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In particolare, mentre le prime sarebbero formulate in termini di rendimenti corretti per il rischio, e dunque utilizzando come indicatore di performance l’alfa di Jenses, l’ultima ipotesi individuata

sarebbe riferita al grado di esposizione dei portafogli socially responsible a uno o più fattori di rischio (utilizzando rispettivamente quindi il β del CAPM o modelli multifattoriali di stima).

Secondo la prima ipotesi, i portafogli e fondi SRI sarebbero meno performanti rispetto a quelli tradizionali; le argomentazioni principali presenti in letteratura a sostegno di tale ipotesi sono per la maggior parte riconducibili alla presenza di costi addizionali associati ai primi, in ragione del ridotto grado di diversificazione ottenibile, e dell’assetto commissionale più elevato. Rispetto al primo ordine di ragioni, le procedure di screening imporrebbero dei vincoli all’universo investibile dal quale attingere per l’inserimento di titoli in portafoglio, rendendo quest’ultimo meno diversificato, e dunque più rischioso, rispetto a quello di un fondo tradizionale1.

A tal proposito ad esempio, Hong e Kacperczyk (2005) avrebbero rilevato come alcune “sin stocks”, ossia i titoli emessi da quelle imprese che, in ragione dell’attività svolta o del settore di appartenenza, vengono escluse tramite procedure di negative screening dall’universo investibile dei fondi SRI, risultino in grado di sovraperformare il benchmark di mercato. Nello specifico, lo studio in parola dimostrerebbe come i rendimenti storici delle azioni emesse da alcune compagnie USA coinvolte in attività di produzione e/o commercializzazione di alcool, tabacco e gioco d’azzardo, risultino superiori al relativo indice di mercato di circa il 9% calcolato su base annua. In ragione di tali risultati quindi, la scelta di non investire in questa “sin part” del mercato azionario a seguito dell’applicazione di meccanismi di exclusion, andrebbe ad impattare negativamente sulla performance globale dei fondi SRI rispetto a quella dei competitors tradizionali.

Per ciò che attiene alla maggiore onerosità dei fondi SRI, si tenderebbe ad imputare a questi ultimi un valore più elevato delle commissioni di gestione,

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poiché tra le procedure di selezione e di analisi da svolgere sarebbero da ricomprendere anche tutte quelle attività connesse alle strategie di selezione ESG, ivi compresa la raccolta di informazioni in merito alle politiche sociali e ambientali e alla qualità delle strutture di corporate governance delle emittenti.2 La seconda ipotesi vedrebbe invece i fondi SRI essere in grado di ottenere performance superiori rispetto ai propri competitor tradizionali; a sostegno di tali ipotesi possiamo, come in parte già osservato nei precedenti capitoli, addurre diverse argomentazioni.

Tra queste possiamo citare l’assunzione che, come suggerito da Moskowitz (1972) e ipotizzato dagli stessi Renneboog et al.(2007), il mercato non sia in grado di valutare correttamente le informazioni afferenti al concetto di Corporate Social Responsability, cioè tutte quelle informazioni relative a al rispetto di determinati standard ambientali, etici, sociali e di governance delle imprese. A seguito di tale assunzione i portafogli costruiti utilizzando criteri di selezione ESG, potrebbero almeno potenzialmente sovraperformare i loro benchmarks, e ciò si potrebbe desumere grazie alla capacità delle strategie di screening utilizzate dai fondi SRI di generare informazioni altrimenti non reperibili e particolarmente significative, in grado di aiutare i gestori in una più oculata selezione dei titoli e conseguentemente di condurre alla realizzazione di risultati, in termini di risk-adjusted returns, più performanti rispetto a quelli dei fondi tradizionali. Come evidenziato dagli stessi Renneboog et al. (2007), sarebbe questo il caso in cui “investors are doing (financially) well while doing (socially) good”, o in altri termini in cui questi ultimi possono pervenire a valori in termini di risk-adjusted resturn positivi, partecipando al contempo al sostegno di cause di responsabilità sociale.

La terza ipotesi affermerebbe invece che l’investimento socialmente responsabile non andrebbe né ad aggiungere né a distruggere valore in termini di rendimento aggiustato per il rischio poiché la responsabilità sociale d’impresa non sarebbe in realtà prezzata dal mercato. A tal proposito, come vedremo in seguito, quella che

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non rileva sostanziali differenze tra la performance dei fondi SRI e quella dei fondi tradizionali è in realtà l’ipotesi più accreditata.

Secondo invece l’ultima ipotesi, i portafogli SRI sarebbero dotati di un livello differente di esposizione ai fattori di rischio e pertanto potrebbero dar luogo a aspettative differenti sul valore dei rendimenti, rispetto ai portafogli convenzionali.

A tal proposito ad esempio, Dowell, Hart e Yeung (2000), avrebbero rilevato come le società con più alti standard e valori di performance ambientale, tendano ad avere un rapporto più basso tra valore di libro e valore di mercato, rispetto a quelle con performance ambientali inferiori, e come dunque un portafoglio costruito mediante un massiccio utilizzo di environmental screenings, risulterebbe avere una minore esposizione al fattore di rischio Book-to Market, nel modello multifattoriale di Fama-French. Le stesse osservazioni, anche se in relazione a differenti fattori di rischio e con un impatto di differente entità, potrebbero poi essere fatte anche per fattori di natura sociale, etica o per quelli connessi alle strutture di governance adottate, pervenendo comunque però alla medesima conclusione, che vede i portafogli SRI comportarsi in maniera diversa da quelli tradizionali, se inseriti all’interno di modelli multifattoriali di stima. Delineato un quadro di quelle che possono essere le classificazioni dei risultati cui sono pervenuti i vari studiosi, prima di passare in rassegna le principali analisi effettuate in relazione al confronto tra la performance dei fondi SRI e quella dei fondi tradizionali, potrebbe risultare utile aprire una breve parentesi analitica, che riassuma al suo interno le caratteristiche e le modalità di calcolo dei principali indicatori di performance utilizzati per poter comprendere quelle che sono le basi matematiche dei risultati che andremo ad osservare e interpretare. Tra le metodologie di calcolo classiche esistono numerosi indici utilizzabili per l’analisi e la quantificazione della performance di un generico investimento . In particolare possiamo osservare come la maggior parte di questi, sia data dal rapporto tra due elementi, in cui uno è una misura del rendimento, come ad esempio gli extra-rendimenti rispetto al tasso privo di rischio, mentre l’altro

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corrisponde ad una misura del rischio, la più usata delle quali è la deviazione standard.

Pertanto, un indicatore di performance potrà generalmente essere così definito:

𝐼 = 𝑚𝑖𝑠𝑢𝑟𝑎 𝑑𝑖 𝑟𝑒𝑛𝑑𝑖𝑚𝑒𝑛𝑡𝑜 𝑚𝑖𝑠𝑢𝑟𝑎 𝑑𝑖 𝑟𝑖𝑠𝑐ℎ𝑖𝑜

Normalmente, osservando i vari studi presenti in letteratura, gli indicatori di performance normalmente utilizzati come misure di Risk adjusted performance (RAP), ossia come quantificazione della performance corretta per il rischio, sono l’indice di Sharpe, l’indice di Treynor e l’Alpha di Jensen.

1) L’indice di Sharpe è calcolato come il rapporto tra la media dei rendimenti in eccesso rispetto al tasso free risk (E(Rp)-Rf) e la deviazione standard dei rendimenti stessi (σp). In formule:

𝐼𝑆ℎ𝑎𝑟𝑝𝑒 =𝐸(𝑅𝑝) − 𝑅𝑓

𝜎𝑝 3

Questo indicatore rappresenta una misura del trade-off tra rendimento e rischio totale; in particolare, come si può facilmente intuire dall’equazione sopra riportata, l’indice di Sharpe costituisce una misura del premio per il rischio determinata in relazione alla singola unità di rischio assunto.

Ne discende quindi che il titolo, il portafoglio o il fondo a cui risulti associato un indice di Sharpe più elevato corrisponderà a quello suscettibile di generare maggior valore per unità di rischio.

Il calcolo di tale indice prevede inoltre che la deviazione standard della distribuzione dei rendimenti sia utilizzata quale unica variabile descrittiva del livello di rischio, dunque senza considerare la correlazione con gli altri valori mobiliari o con i fondi già presenti nel portafoglio dell’investitore. In altre parole, utilizzando l’indice di Sharpe quale indicatore di performance, si ipotizza

3 Per approfondimenti in merito alle metodologie do calcolo degli indicatori di performance di seguito illustrati, si veda diffusamente il glossario di Borsa Italiana, consultabile sul sito internet della medesima.

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che l’investitore non diversifichi la propria ricchezza e che quindi il fondo considerato rappresenti il suo unico investimento.

Al contrario, qualora si propenda per l’ipotesi in cui il portafoglio oggetto di valutazione rappresenti solo una parte delle disponibilità investite, sarà necessario servirsi di una misura rilevante di rischio che includa al suo interno il solo rischio sistematico. In tal caso l’indicatore di performance da utilizzare non sarà l'indice di Sharpe ma l’Indice di Treynor.

2) L’indice di Treynor è calcolato come rapporto tra la media dei rendimenti in eccesso rispetto al tasso free risk e la misura del rischio sistematico, ossia di quella componente di rischio non eliminabile mediante diversificazione. In formule :

𝐼𝑇𝑟𝑒𝑦𝑛𝑜𝑟 =

𝐸(𝑅𝑝 − 𝑅𝑓) 𝛽𝑝

Dove βp = Cov(Rp, Rm) / Var(Rm) rappresenta il rapporto tra:

- la covarianza fra il rendimento del portafoglio Rp e il rendimento Rm del portafoglio di mercato

- la varianza del rendimento 𝑅𝑚 del portafoglio di mercato.

Poiché l’indice di Treynor misura il rendimento del fondo per ogni unità di rischio sistematico sopportata, un fondo che presenti un valore di tale indice più elevato sarà da preferire al fondo in corrispondenza del quale l’indice assume valore minore. A tal proposito, una delle problematiche che affligge la significatività di questo indice di performance è relativa al fatto che questo perda di validità qualora assuma segno negativo o nel caso in cui, ancorché positivo,il suo valore risulti inferiore a quello del tasso free risk. In tal caso infatti, a parità di numeratore, e quindi di differenziale negativo di rendimento rispetto al tasso free risk, al fondo risulterebbe associato un maggior rischio sistematico; pertanto

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l’investitore switcherebbe su un fondo che presenta il medesimo rendimento (negativo) ma con un livello di rischio sistematico inferiore.

Proprio a fronte di tali limiti, che intervengono anche in relazione all’Indice di Sharpe, si è provveduto all’elaborazione di un indicatore di performance, costruito sulla base del modello CAPM che includa al suo interno una misura di rischio connessa al solo rischio sistematico. Si tratta dell’Alpha di Jensen, il cui calcolo è riconducibile alla seguente espressione:

𝛼𝑝 = 𝐸(𝑅𝑝) − 𝑅𝑓− 𝛽𝑝(𝑅𝑚− 𝑅𝑓)

L'alfa di Jensen dunque, che prende il nome dall'economista che ha introdotto tale misura di performance, è un indicatore che va a misurare il rendimento incrementale (o extra-rendimento) di un portafoglio o di un fondo comune di investimento rispetto al rendimento che tale portafoglio avrebbe dovuto produrre sulla base del suo livello di rischio sistematico misurato dal beta.

Come già sottolineato, tale indicatore è basato sulla teoria del CAPM in cui beta (𝛽𝑝) fornisce la misura del rischio sistematico, ossia di quella componente di rischio associata alle oscillazione del mercato nel quale si sta investendo.

L’Alfa di Jensen, può dunque essere interpretato anche come misura di selectivity, ovvero come capacità del portafoglio o del fondo di generare un rendimento superiore a quello che avrebbe dovuto fornire quale ricompensa per il rischio di mercato assunto, grazie ad una selezione dei titoli più performanti; pertanto un valore positivo dell’indice rileverà un contributo positivo in termini di performance offerto dalla gestione attiva del fondo.

Introdotte quelle che saranno le grandezze utilizzate al fine di quantificare la performance finanziaria dei fondi SRI e di quelli tradizionali allo scopo di porle a confronto, procediamo di seguito con l’analisi dei contributi ritenuti più rilevanti al fine di attribuire una soglia dimensionale in termini finanziari alle performance associate a questi particolari strumenti e di comprendere se tale soglia sia in grado di eguagliare i risultati che potrebbero altrimenti essere raggiunti investendo in un fondo convenzionale.

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Per rispondere a questi interrogativi, procederemo ad una disamina della letteratura empirica sviluppatasi negli anni attorno a tale questione; in particolare, anche in ragione della numerosità degli studi presenti e della loro funzionalità rispetto ai nostri obiettivi di analisi, procederemo ad esaminare in primo luogo i contributi sviluppati in relazione al mercato USA, per passare successivamente ai mercati europei nei quali il fenomeno SRI ha assunto dimensioni più considerevoli, primo tra tutti dunque, il mercato UK.

Infine, circa la scelta di riservare un intero paragrafo a quella conosciuta come “matched pairs analysis”, ossia a quel tipo di analisi che si esplica nel confronto tra la performance dei fondi SRI e quella di fondi tradizionali ad essi similari4, preme sottolineare come un tale metodo d’indagine risponda all’esigenza di superare il problema legato al fatto che risulta complesso trovare un benchmark adatto per l’analisi dei rendimenti dei fondi etici in termini di sovraperformance, in ragione proprio delle peculiari caratteristiche operative di tali strumenti. Per quanto riguarda il mercato USA, numerosi e di ampia rilevanza in termini di risultati, sono i contributi osservabili in letteratura.

Tra questi, uno dei primi in ordine cronologico, è quello effettuato da Hamilton et al. (1993), sviluppato mediante un’analisi che poneva a confronto la performance di un campione di 32 fondi SRI con quella di 320 fondi convenzionali selezionati in maniera casuale, per un arco temporale che si estendeva dal 1981 al 1990. Per ciò che attiene alla metodologia di analisi, l’indicatore utilizzato per quantificare la performance dei vari fondi è l’Alfa di Jensen, il cui valore è stato misurato utilizzando come benchmark il NYSE Value-Weighted Index. Sebbene i risultati rilevati in termini di differenziali di performance tra i due aggregati non siano statisticamente rilevanti, e non individuino dunque alcuna significativa differenza tra i ritorni finanziari offerti dall’una o dall’altra tipologia di fondi, ciò che risulta particolarmente interessante osservare sono i dati riportati suddividendo i fondi tra quelli più “longevi” e quelli che, al tempo, risultavano di più recente costituzione. A tal proposito,

4 Nello specifico, questo particolare tipo di analisi comparativa richiede che i campioni seleziona ti per le due tipologie di aggregati oggetto di analisi siano dotati di caratteristiche similari termini di età,

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mentre in corrispondenza dei 17 fondi SRI che all’interno del campione risultavano costituiti prima del 1985, i valori degli Alfa di Jensen calcolati su base mensile, individuavano una performance leggermente superiore a quella dei corrispondenti 170 competitors tradizionali, per i 15 fondi SRI di più recente costituzione (costituiti in data posteriore al 1985), gli Alfa di Jensen rilevavano valori di performance dei fondi SRI nel complesso, lievemente inferiori. Tale risultato, benché poco significativo sotto il profilo quantitativo, potrebbe al contrario dar luogo a considerazioni qualitativamente interessanti in relazione a quel fenomeno che nel capitolo precedente era stato identificato con il termine di “learning phase”. Ipotizzando la presenza di tale fenomeno, i diversi valori differenziali rilevati in corrispondenza di una più o meno recente costituzione dei fondi analizzati, e dunque dell’operatività degli stessi , sarebbe infatti dovuta ad un periodo di adattamento fisiologico di cui necessiterebbero i fondi SRI per generare performance positive, rendendo dunque questi strumenti orientati alla creazione stabile di valore non nel breve ma nel lungo periodo. Seguendo questa chiave interpretativa dunque, i fondi costituiti in data antecedente al 1985, avrebbero valori di performance leggermente superiori perché già usciti dalla “learning phase”, mentre i fondi di più recente costituzione presenterebbero rendimenti lievemente inferiori perché ancora soggetti all’age effect.

Di notevole rilevanza tra gli studi effettuati sul mercato dei fondi USA troviamo poi quello proposto da Statman (2000); a tal proposito preme sottolineare come egli sia stato il primo ad applicare una vera e propria matched pairs analysis ai fondi americani, comparando i rendimenti di 38 fondi etici e 62 fondi non etici tra il 1990 ed il 1998 con lo S&P500 e con il Domini Social Index (DSI).

A differenza di Hamilton et al. (1993) dunque, e di molte altre indagini proposte, l’autore introduce come benchmark prima e come variabile oggetto si studio poi, anche una nuova grandezza rappresentata da un indice socially responsible. Il DSI infatti è un indice azionario che ricomprende al suo interno società socialmente responsabili, venuto ad esistenza nel 1990 ad opera di Kinder, Lydenberg, Domini&Company (KLD); nello specifico trattasi di un indice azionario value-weighted costruito a partire dal S&P 500 index. Al suo interno

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infatti, possiamo rilevare la presenza di 400 imprese, di cui 250 appartenenti anche all’indice S&P 500, un centinaio che non appartengono all’indice S&P 500 inserite al fine di incrementarne il livello di rappresentatività e 50 imprese scelte per le marcate attitudini sociali e ambientali.

Per ciò che attiene ai risultati dello studio, condotto anche in questo caso mediante la stima degli Alfa di Jensen quali indicatori di performance, l’indagine effettuata non avrebbe rilevato l’esistenza di differenziali di performance statisticamente significativi tra il campione di fondi SRI e quello di fondi tradizionali. Oltre ai risultati forniti in termini di rendimenti corretti per il rischio, vale la pena tuttavia osservare anche quelli promananti dal calcolo dell’indice di Sharpe; in questo caso infatti, i dati riportati parrebbero associare un valore più elevato dell’indicatore in corrispondenza dell’indice DSI 400 piuttosto che in relazione all’indice S&P 500. Un risultato di questo tipo, se ricondotto alle modalità di calcolo dell’Indice di Sharpe, sembrerebbe infatti suggerire che un investimento nell’indice DSI 400 risulti essere preferito da un investitore media-varianza, rispetto ad un investimento nell’indice S&P 500, andando dunque a rafforzare ulteriormente le conclusioni tratte nel capitolo precedente circa l’insussistenza di eventuali costi addizionali di diversificazione imputabili ai fondi SRI.

Anche a livello europeo la letteratura non manca di studi che approfondiscono, mediante l’utilizzo di modelli differenti, le tematiche afferenti alla performance dei fondi etici; a tal proposito il mercato dei fondi comuni più utilizzato quale oggetto di studio è senza dubbio quello UK , dal momento che in questo mercato il segmento “etico” si è sviluppato in anticipo rispetto al resto d’Europa e che quindi la disponibilità di dati e documenti è sicuramente più vasta rispetto ad altri mercati.

Tra i primi studi effettuati in materia sul mercato dei fondi UK, troviamo quello di Luther, Matako e Corner (1992), in cui viene utilizzato quale oggetto di analisi, la performance di 15 fondi SRI per un arco temporale d’indagine che si estende dal 1984 al 1990. I risultati forniti da questa analisi, svolta anche in questo mediante la stima degli Alfa di Jensen, rilevavano una media delle stime

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effettuate per i vari indicatori prossima allo zero, identificando quindi in corrispondenza dei fondi SRI oggetto di studio, una performance che non si discosta in maniera statisticamente rilevante da quella degli indici di mercato utilizzati come benchmark. Un ulteriore risultato fornito dallo studio in parola, che vale la pena di approfondire, è l’osservazione in corrispondenza dei fondi SRI di un considerevole numero di portafogli dotati di una composizione fortemente sbilanciata verso gli investimenti in aziende di piccole dimensioni (cd small caps). A seguito di questa osservazione dunque, al fine di determinare se fosse possibile individuare l’esistenza di una sorta di “small caps bias” in relazione ai fondi etici, Luther e Matatko (1994) andarono ad effettuare una stima degli alfa di Jensen per un campione di 9 fondi SRI presenti sul mercato UK, utilizzando però due benchmark differenti. I due indici utilizzati come benchmark sono l’ FT All Share Index e lo Small caps Index, ed effettivamente la conclusione cui i due studiosi giungono sembrerebbe propendere verso una reale sovraesposizione dei portafogli SRI verso le imprese di piccole dimensioni e dunque verso quella strategia attiva di cui si è fatta menzione nel capitolo precedente, denominata Size Strategy.

Un altro dei primi esempi di studio effettuato applicando la matched pairs analysis è poi quello di Mallin et al. (1995) effettuato anch’esso sul mercato UK, per il periodo 1986-1994. L’analisi in questo caso si esplica attraverso un confronto tra la performance di un campione di 29 fondi SRI presenti sul mercato del Regno Unito, e quella di un campione di competitors tradizionali con caratteristiche similari ai fondi del primo campione in termini di età e dimensioni. Di nuovo,il confronto tra le performance dei due aggregati viene effettuata mediante il calcolo degli alfa di Jensen, effettuato su base mensile, giungendo a risultati di nuovo non statisticamente rilevanti in termini di differenziali di performance. In particolare i valori rilevati attraverso le stime evidenzierebbero la presenza di 22 indicatori di performance positivi in corrispondenza dei fondi SRI, a fronte dei 23 rilevati in corrispondenza dei competitors tradizionali.

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Sulla scia di questa analisi, Gregory et al. (1997), ripropongono un’analisi dei fondi in Gran Bretagna sviluppata col metodo proposto da Mallin et al.(1995), effettuata su 18 fondi SRI e 18 fondi tradizionali, aventi caratteristiche similari in termini di età, dimensioni, e collocazione geografica. A differenza tuttavia dello studio effettuato da Mallin et al. (1995), allo scopo di approfondire le ipotesi precedentemente formulate circa la presenza di uno “small caps bias” in corrispondenza delle strategie di investimento attuate dai fondi SRI, lo studio in parola è andato a calcolare gli alfa di Jensen mediante un modello multifattoriale a due fattori; nello specifico, l’FT All Shares Index e l’Hoare Govett Small Cap Index. In termini qualitativi, le evidenze rilevate dall’analisi multifattoriale sono sostanzialmente due :

- l’analisi confermerebbe la presenza di una sovraesposizione dei portafogli SRI verso investimenti nelle imprese di minori dimensioni, confermando dunque la presenza di quella sorta di “small caps bias” già rilevato nelle analisi svolte dai medesimi autori negli anni precedenti;

- non sarebbero state rilevate tuttavia evidenze statisticamente significative in termini di differenziali di performance tra i fondi SRI e quelli tradizionali (Gregory et al. 1997).

Come è agevole dedurre osservando i risultati riportati dalle analisi fin qui esposte, non sembrerebbero esserci particolari differenze in termini di performance tra i fondi SRI e quelli tradizionali, almeno per ciò che concerne il mercato dei fondi statunitense e quello britannico.

Allo scopo quindi di comprendere se il medesimo risultato sia rilevabile anche in relazione ad altri mercati, tenteremo adesso di espandere il nostro oggetto di studio in termini di geografici, includendovi anche i mercati sia di altri paesi europei che di paesi extra europei.

A tal proposito, lo studio effettuato da Kreander, Gray, Power e Sinclair (2005), ha analizzato la performance di 40 fondi SRI collocati su più mercati europei per un arco temporale relativamente breve (1996-1998), utilizzando

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dati raccolti su base settimanale. Nello specifico, il campione dei fondi SRI, in relazione ai mercati di appartenenza, risulta così composto:

- Belgio (1 fondo) - Germania (4 fondi) - Olanda (2 fondi) - Norvegia (2 fondi) - Svezia (11 fondi) - Svizzera (2 fondi) - Regno Unito (18 fondi).

Sempre utilizzando il metodo della Matched Pairs Analysis la performance del campione dei fondi SRI così composto è stata posta a confronto con quella di un campione di 40 fondi tradizionali aventi caratteristiche similari in termini di età, dimensione e universo investibile rispetto ai competitors socially responsible, e con la medesima composizione in relazione ai mercati di appartenenza dei vari fondi.

Per ciò che attiene ai risultati circa il confronto tra le performance dei due aggregati, di nuovo non sarebbero stati rilevate differenze statisticamente significative tra il valore medio degli alfa di Jensen stimati in corrispondenza dei fondi SRI e quello degli indicatori calcolati in relazione ai competitors tradizionali, confermando di fatto quanto già asserito per il mercato USA e per quello UK.

A risultati sostanzialmente simili giungono anche Bauer, Koedijk e Otten (2005), effettuando un’analisi cross-europea che si esplica nel confronto tra la performance di 103 fondi SRI e quella di 4384 fondi tradizionali lungo un arco temporale che va dal 1990 al 2001. Per quanto attiene al campione dei fondi SRI i mercati di appartenenza sono quello tedesco, quello statunitense e quello britannico con 16 fondi per il primo, 55 per il secondo e 32 per il terzo. Anche in questo caso, l’analisi è stata svolta utilizzando quale gli Alfa di Jensen come indicatori di performance, tuttavia, al fine di analizzare l’esposizione dei fondi ad un numero maggiore di fattori di rischio è stata

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applicata un analisi multifattoriale tramite un modello a quattro fattori. Altra peculiarità dello studio in esame è quella di aver suddiviso i risultati ottenuti anche in relazione al raggio di operatività dei fondi, scindendo dunque quelli registrati in corrispondenza dei fondi con operatività internazionale da quelli ottenuti dai fondi con operatività domestica e dunque più circoscritta. Una tale decisione, come vedremo in seguito, trova ragione nella necessità di valutare nuovamente come il grado di diversificazione dell’attività di investimento posta in essere dai vari fondi possa incidere sulla performance globale degli stessi. I risultati ottenuti possono dunque essere così riassunti : - Per quanto attiene al mercato USA , in relazione ai fondi domestici è stata

rilevata una performance superiore dei fondi tradizionali rispetto a quella ottenuta dai competitors socially responsible, mentre per i fondi internazionali non sono state rilevate differenze statisticamente significative in termini di ritorni finanziari tra fondi SRI e fondi convenzionali

- Per quanto riguarda il mercato UK al contrario i fondi SRI, sia domestici sia internazionali, sono risultati più performanti rispetto ai competitors tradizionali

- In relazione al mercato tedesco infine, non sono state rilevate differenze statisticamente significative circa le performance ottenute dai fondi SRI e dai fondi convenzionali.

Le conclusioni che possono dunque essere tratte dai risultati osservati, continuano mediamente a suffragare l’ipotesi per la quale non vi sarebbero sostanziali differenze in termini di performance finanziaria tra i fondi SRI e fondi tradizionali. Inoltre, anche ponendo a confronto i risultati rilevati in relazione a fondi con operatività più o meno ampia, i risultati parrebbero compensarsi e suggerire dunque che non vi sarebbe un’incidenza particolarmente rilevante del grado di diversificazione geografica degli investimenti effettuati sulla performance globale dei fondi.

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Ulteriori risultati sarebbero poi stati raggiunti a seguito di un’indagine più approfondita espletata sul solo campione dei fondi SRI; in particolare su alcuni degli aspetti già osservati nel precedente capitolo, suscettibili di influenzare l’andamento dei rendimenti di questi particolari strumenti.

In particolare, sarebbe stata osservata la presenza sia sul mercato USA che su quello tedesco, di una “learning phase” in relazione ai rendimenti registrati per i fondi SRI; nello specifico, osservando il trend dei rendimenti dei fondi SRI sui due mercati, questi risulterebbero inferiori rispetto a quelli dei fondi tradizionali in corrispondenza dei primi anni del periodo di analisi, per poi andare ad eguagliarli, se non a superarli negli ultimi due anni. Inoltre, suddividendo i vari fondi inclusi nel campione socially responsible, in relazione alla loro “longevità”, i fondi costituiti in data anteriore al 1997 risulterebbero essere più performanti rispetto a quelli con operatività successiva a tale data.

Particolarmente interessanti sono inoltre i risultati che mostrano come questa sorta di “age effect” non andrebbe a ripercuotersi solo sulla perfomance dei fondi SRI, generando dunque un impatto a livello meramente quantitativo, ma che al contrario sarebbe in grado di influenzarne anche le modalità e gli stili di gestione sotto il profilo qualitativo (Bauer et al. 2005). In particolare, i fondi più longevi sembrerebbero essere caratterizzati da stili di gestione dai tratti più pronunciati e, nello specifico, indirizzati verso uno stile growth-oriented, con una sovraesposizione verso aziende di minori dimensioni e con una propensione per le Contrarian Strategies, con tutte le conseguenze che ne discendono in termini di una differente esposizione ai diversi fattori di rischio. Al contrario, i fondi di più recente costituzione, sarebbero caratterizzati da uno stile di gestione più blando o comunque non chiaramente indirizzato verso un orientamento specifico. Questo tipo di risultati, oltre ad avvalorare l’ipotesi per la quale il fattore età andrebbe ad assumere un ruolo di non scarsa rilevanza nell’analisi del fenomeno SRI funds, si pone anche a sostegno dell’ipotesi, già analizzata nel capitolo precedente, per la quale non

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necessariamente eventuali extra rendimenti prodotti dai fondi SRI sarebbero imputabili soltanto a particolari stili di gestione o sovraesposizioni settoriali. Ai medesimi risultati è giunto anche Shroder (2004), con un’analisi cross-europea effettuata su un campione di 46 fondi SRI collocati sul mercato statunitense (30 fondi), e sui mercati tedesco e svizzero (16 fondi). Per quanto riguarda la metodologia di calcolo utilizzata, gli alfa di Jensen scelti come indicatori di performance, sono stati calcolati su base mensile mediante un modello multifattoriale a due fattori e utilizzando come benchmark un blue chip index e uno small caps index. I due, benchmark come facilmente intuibile, sono stati scelti al fine di pervenire ad un’analisi della performance dei fondi SRI che non si limitasse a fornire risultati sotto il profilo quantitativo, ma fosse in grado di evidenziare anche l’incidenza sulla stessa di un eventuale sovraesposizione dimensionale dei fondi inclusi nel campione, tracciandone dunque anche un profilo qualitativo.

Per quanto attiene ai risultati ottenuti, similarmente a quanto rilevato da Bauer et al (2005), i fondi SRI appartenenti al campione non sembrerebbero aver ottenuto performance significativamente inferiori rispetto sia al portafoglio benchmark investito seguendo la composizione del blue chip index, sia rispetto a quello costruito replicando la composizione del small caps index. Inoltre, sempre in linea con quanto rilevato dallo studio precedentemente citato, anche le analisi finalizzate a rintracciare eventuali sovraesposizioni dei fondi SRI verso imprese di piccole dimensioni, avrebbero rilevato la presenza di uno “small caps bias” , soprattutto in corrispondenza dei portafogli facenti capo ai fondi appartenenti ai due mercati europei oggetto di analisi. Né basta; il presente studio, oltre ad una sovraesposizione dimensionale, avrebbe rilevato in corrispondenza dei fondi SRI anche una sovraesposizione di natura settoriale; in particolare, l’esposizione media verso i settori anticiclici dei servizi e verso quelli dei beni di consumo, come ad esempio il settore alimentare, sanitario e delle telecomunicazioni, risulterebbe essere relativamente elevata in corrispondenza dei suddetti fondi.

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Infine , allo scopo di verificare ulteriormente i risultati osservati in relazione ai mercati fin’ora analizzati, andiamo di seguito ad ampliare ulteriormente il nostro oggetto d’analisi anche ad ulteriori mercati extraeuropei.

A tal proposito, Renneboog, Ter Horst e Zhang (2007) hanno effettuato un’analisi circa le caratteristiche di rischio e rendimento di un campione di 463 fondi SRI collocati sui mercati USA, UK, dell’Europa continentale e sui mercati cd “Asia- Pacific”. Di particolare interesse, oltre all’estensione geografica del campione oggetto di studio, è l’ipotesi formulata dagli autori secondo la quale gli investitori sarebbero disposti a pagare un premio per investire in quelle imprese, la cui attività rispetti e condivida determinati standard etici, sociali e ambientali. Pertanto, i titoli emessi dalle imprese socially responsible risulterebbero essere sovra prezzati rispetto al loro valore di equilibrio, con un conseguente impatto negativo in termini di performance per quei fondi che in tali titoli investono, ovvero per i fondi SRI. Le evidenze empiriche poste a sostegno di tale ipotesi sarebbero rintracciabili nei risultati di performance osservabili in corrispondenza dei fondi SRI di molti paesi europei e della zona Asia-Pacific. Nello specifico, i fondi SRI collocati sui mercati di Belgio, Francia, Irlanda, Giappone, Norvegia, Singapore e Svezia mostrerebbero rendimenti corretti per il rischio inferiori rispetto ai relativi portafogli di titoli domestici utilizzati come benchmark; pertanto se in relazione al mercato USA e a quello UK non sussistono evidenze in merito a differenziali di performance statisticamente rilevanti tra i fondi SRI e quelli tradizionali, allargando la base del campione d’analisi anche ai mercati dell’Europa continentale e a ad alcuni mercati asiatici, i primi non sarebbero al contrario in grado di eguagliare i valori di perfomance dei secondi.

A fronte tuttavia dei risultati osservati, i dati relativi alla diffusione degli investimenti in fondi SRI, sembrano suggerire che gli investitori siano egualmente disposti a pagare quel premio ipotizzato da Renneboog et al. (2007), al fine di vedere le proprie risorse investite in quelle imprese che rispettano determinati standard etici, sociali e ambientali. Tale evidenza sarebbe riconducibile a due ordini di ragioni: in primo luogo, gli investitori

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sarebbero disposti a pagare un premio a fronte della riduzione del grado di rischiosità operata dalle strategie di screening etico; come sarà approfondito nei paragrafi successivi infatti, le strategie d’investimento utilizzate dai fondi SRI contribuirebbero a lenire, soprattutto nei periodi di crisi di mercato, il cd Downside risk. Il secondo ordine di cause invece, non sarebbe tanto riconducibile ai fondi SRI quanto piuttosto ad un bias comportamentale da cui sarebbero affetti gli investitori; in particolare questi ultimi risulterebbero affetti da un avversione naturale a comportamenti delle imprese non in linea con i criteri di responsabilità sociale.

Infine, ulteriori approfondimenti sono stati effettuati circa la questione dell’impatto sulla performance dei fondi SRI di un eventuale minor grado di diversificazione che caratterizzerebbe i portafogli facenti capo a questi particolari strumenti.

In particolare, i risultati rilevati in merito, non evidenzierebbero un impatto rilevante dei vincoli imposti all’universo investibile dei fondi SRI in termini di rischio e diversificazione; infatti, benché in linea teorica questi strumenti presentino un indice di Sharpe generalmente inferiore e risultino dunque meno efficienti se collocati all’interno del modello media-varianza, il progressivo ampliamento della gamma dei titoli in cui investire farebbe in realtà convergere i rendimenti dei fondi etici verso quelli dei competitors tradizionali.

Infine, opponendosi alle ipotesi che vedrebbero dipendere eventuali extra rendimenti degli SRI funds ad uno stile di gestione growth oriented o a sovraesposizioni settoriali/dimensionali, lo studio in parola va a rilevare al contrario un contributo concreto offerto dalle strategie di selezione ESG alla performance globale del fondo. L’attuazione dei vari processi di screening infatti, sarebbe in grado di dotare i gestori dei fondi SRI di un quantitativo di informazioni cui non sarebbero al contrario in grado di pervenire i gestori dei fondi tradizionali attraverso l’utilizzo della sola analisi finanziaria e, sebbene non sia identificabile la presenza di un vero e proprio “smart money effect” nell’industria finanziaria SRI, sarebbe quantomeno possibile individuare una

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peculiare capacità degli strumenti socially responsible nell’attenuare l’esposizione ad alcuni fattori di rischio.

Passati in rassegna i contributi presenti in letteratura finalizzati a rilevare il rapporto esistente tra le performance finanziarie dei fondi SRI e quelle dei competitors tradizionali, nella tabella di seguito riportata (Tabella 4) viene delineato un quadro riassuntivo dei principali risultati rilevati in merito.

Tabella 4: Sintesi dei risultati della literature review.

Studio Mercato di riferimento Risultati Luther, Matako e Corner (1992)

UK Gli Alfa di Jensen stimati in corrispondenza dei fondi SRI non si discostano in maniera significativa dallo zero. I fondi SRI presentano portafogli caratterizzati da una

relativa sovraesposizione verso le small caps.

Luther e

Matako (1994)

UK Gli alfa di Jensen stimati in corrispondenza dei fondi SRI vengono posti a confronto con l’FT All Shares Index e con un

indice Small Caps

Il confronto con i benchamrk utilizzati non rileva valori degli indicatori di performance significativamente distanti dallo zero.

Viene confermata la presenza di uno “small caps bias” in corrispondenza dei fondi SRI.

Hamilton, Joe e Statman (1993)

USA Il valore medio degli alfa di Jensen stimati su base mensile per un campione di 17 fondi SRI non si discosta in maniera statisticamente significativa da quello relativo ad un campione

di 170 fondi convenzionali.

Al contrario, restringendo l’analisi ai soli fondi di più recente costituzione (successiva al 1985), sarebbe possibile rilevare una

performance inferiore dei fondi SRI rispetto a quelli tradizionali.

Gregory, Matako e Luther (1997)

UK Nell’analisi comparativa effettuata tramite stima degli alfa di Jensen, tra la performance dei fondi SRI e quella dei fondi tradizionali, non sembrano esservi evidenze di differenziali

statisticamente significativi.

Confermata una sovraesposizione dei portafogli SRI verso le small caps.

Statman (2000) USA Il valore medio degli alfa di Jensen calcolati su base mensile in corrispondenza dei fondi SRI non di discosta in maniera significativa da quello relativo ai competitors tradizionali. L’indice di Sharpe calcolato per il DSI 400 Index è risultato

essere più elevato di quello dell’Indice S&P 500. Shroder (2004) Germania,Svizzera

e USA

Il valore medio degli alfa di Jensen calcolati su base mensile in corrispondenza dei fondi SRI non sembra sottoperformare in maniera significativa né il portafoglio benchmark delle large

stocks né quello delle small stocks.

Rilevata in relazione ai fondi di Svizzera e Germania una maggiore esposizione verso lo small-cap index rispetto a quella

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Kreander, Gray, Power e Sinclair (2005)

Europa Non sono state rilevate differenze statisticamente significative tra il valore medio degli alfa di Jensen calcolati su base mensile per il campione degli SRI funds e quello relativo al campione di

fondi convenzionali. Bauer, Koedijk

e Otten (2005)

Germania, UK, Usa - Sul mercato USA, in relazione ai fondi domestici è stata rilevata una performance superiore per i fondi tradizionali rispetto a quella ottenuta dai competitors socially responsible, mentre per i fondi internazionali non sono state rilevate differenze statisticamente significative in termini di ritorni finanziari tra fondi SRI e fondi convenzionali

- Sul mercato UK i fondi SRI, sia domestici sia

internazionali, sono risultati più performanti rispetto ai competitors tradizionali

- Sul mercato tedesco non sono state rilevate differenze statisticamente significative circa le performance ottenute dai fondi SRI e dai fondi convenzionali. Osservando i rendimenti dei fondi SRI tedeschi e USA è

stata rilevata la presenza di una learning phase. I fondi SRI del mercato tedesco e di quello britannico risultano avere una maggiore esposizione verso le small

caps, dato non rilevato per il mercato USA. In generale i fondi SRI presentano uno stile di gestione

growth-oriented. Renneboog, Ter Horst e Zhang (2007) Analisi svolta su scala mondiale

Contrariamente alla maggior parte degli studi riportati, viene individuata in corrispondenza dei fondi SRI collocati i vari paesi europei e asiatici, una performance significativamente inferiore rispetto ai portafogli benchmark, quantomeno a livello

domestico.

Il medesimo risultato non è stato rilevato per i fondi SRI del mercato USA o UK, i quali non presentano invece differenze significative sotto il profilo rischio-rendimento, rispetto ai

competitors tradizionali.

Viene rilevato un impatto scarsamente rilevante dei vincoli etici posti all’universo investibile dei fondi SRI in termini di rischio

e diversificazione.

Individuato contributo positivo delle strategie di selezione ESG sul profilo dei rendimenti degli SRI funds oggetto di studio.

Fonte: elaborazione personale dei dati raccolti.

Osservando il quadro d’insieme dei vari risultati raccolti dalla nostra indagine, sembrerebbe dunque lecito concludere che non vi siano rilevanti differenze tra la performance finanziaria dei fondi SRI e quella dei fondi convenzionali, almeno per ciò che attiene ad un aspetto strettamente quantitativo. I valori degli indicatori di performance calcolati in corrispondenza dei due aggregati, non sembrano infatti discostarsi in maniera statisticamente rilevante né per quanto riguarda i mercati dove il fenomeno SRI risulta presente da più tempo, come quello USA e quello UK, né per la maggior parte dei paesi Europei. Differenziali di performance maggiormente

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significativi sono stati rilevati invece in relazione ai fondi dei paesi asiatici e di quei paesi europei dove il mercato SRI risulta essere un fenomeno di più recente comparizione (Renneboog et al. 2007). Quest’ultima evidenza tuttavia, risulta del tutto coerente con la constatazione della presenza di una learning phase, in corrispondenza dell’attività di gestione dei fondi SRI, che vedrebbe questi ultimi ottenere valori di performance in linea con quelli dei competitors tradizionali dopo un periodo di circa quattro o cinque anni. A conferma infatti della presenza di una sorta di age effect in corrispondenza dei prodotti SRI, si potrebbero osservare risultati di performance migliori in relazione ai fondi più “longevi” rispetto a quelli di più recente costituzione (Hamilton et al. 1993 e Bauer et al. 2005).

Per quanto attiene alle altre evidenze rilevabili sul piano qualitativo, la maggior parte dei risultati raccolti sembrerebbe confermare la presenza di una sorta di “small caps bias” in corrispondenza dei fondi SRI; in particolare, i portafogli facenti capo a questi ultimi, sarebbero caratterizzati da una sovraesposizione verso aziende di piccole dimensioni e dunque più affini a quel tipo di strategie di gestione attive tipiche di uno stile growth oriented (Luther et al. 1992, Luther e Matatko 1994 e Gregory et al. 1997).

3.3 Fondi SRI e crisi di mercato.

3.3.1 Le evidenze empiriche in letteratura

Come è stato osservato nel paragrafo precedente, i contributi presenti in letteratura sembrerebbero concordare sull’assenza di differenze particolarmente rilevanti tra la performance finanziaria dei fondi tradizionali e quella dei fondi SRI. Questo tipo di risultato verificato su un piano strettamente quantitativo tuttavia può essere ulteriormente scomposto e integrato, osservando non solo i valori di performance ottenuti dai fondi SRI lungo un arco temporale genericamente individuato, ma indagando anche come questi vadano a modificarsi in relazioni a fasi circoscritte del ciclo economico.

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In particolare, se come più volte evidenziato è stato possibile osservare negli ultimi anni un trend di crescita e diffusione in corrispondenza dei fondi SRI, andando a scomporre ulteriormente questo tipo di trend, sarebbe possibile rilevare un ulteriore incremento di popolarità per questi strumenti proprio nelle fasi di forte stress dei mercati.

Se infatti a seguito della crisi finanziaria scoppiata nel 2007 negli Stati Uniti, e diffusasi negli anni successivi su scala globale, si è assistito ad una notevole contrazione delle masse investite nei principali mercati finanziari, da quello monetario a quello obbligazionario e azionario, per contro, come rilevato anche da Eurosif, le dimensioni del mercato SRI negli stessi anni appaiono quasi raddoppiate (Eurosif 2010).

Dati del tutto simili, sono stati inoltre rilevati anche al di fuori del recinto europeo, e in particolare proprio negli Stati Uniti dove nel 2010 circa 2.71 trilioni di dollari risultavano essere investiti in fondi SRI raggiungendo una quota pari all’11% del totale degli asset gestiti sul mercato USA (Ussif 2014) .

Nei prossimi paragrafi, cercheremo in primo luogo di comprendere se a questo trend anticiclico di crescita, registrato in corrispondenza delle masse gestite dai fondi SRI, corrisponda o meno un’effettiva capacità di questi ultimi di risultare più performanti dei competitors tradizionali nei periodi di crisi.

Successivamente, sottoporremo i dati risultanti da una prima indagine quantitativa, ad un ulteriore step di analisi, e ciò allo scopo di individuare quali possano essere le ragioni e gli elementi causali stanti alla base di questa particolare attitudine e, in particolare, se questi siano o meno riconducibili alle strategie di screening poste in essere dai fondi SRI.

Come già affrontato nei precedenti capitoli, uno dei costi addizionali comunemente associati all’investimento in fondi SRI è quello connesso, nell’ambito del modello media-varianza di Markowitz, ad una maggiore rischiosità dei portafogli. In particolare, limitando l’universo investibile di tali fondi ai soli titoli di quelle emittenti che risultano idonee a seguito

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dell’applicazione degli screening ESG, si andrebbero a creare portafogli con un grado di diversificazione minore cui sarebbe associato un livello maggiore di rischio cd sistematico. Sebbene la questione sia già stata affrontata e sia stato contestualmente dimostrato come in realtà questo ipotetico costo addizionale tenda a zero in presenza di un universo investibile sufficientemente ampio da cui attingere, un ulteriore limite delle argomentazioni avanzate a sostegno dell’esistenza di questo “sacrificio etico”, risiede proprio nel fatto che si possano fare considerazioni del tutto diverse in corrispondenza delle crisi di mercato.

A tal proposito, nell’ambito degli studi svolti dalla Behavioural Finance , la Prospect Theory (Kahneman e Tversky, 1979) ha infatti dimostrato l’esistenza di un bias cognitivo noto come effetto riflesso che interverrebbe proprio in quei processi decisionali che si esplicano mediante la valutazione del rischio connesso alle scelte di portafoglio. La teoria standard dell’utilità attesa infatti, da cui deriva anche il modello di Markowitz, prevede che guadagni e perdite siano pesati allo stesso modo dagli investitori i quali dovrebbero assumere un atteggiamento stabile di fronte al rischio: in altre parole un individuo dovrebbe poter risultare avverso, neutrale o incline al rischio, ma non avverso in talune circostanze ed incline in altre (Fiaschi e Meccheri 2014).

Al contrario, l’effetto riflesso mostrerebbe come in realtà gli individui tendano ad assumere atteggiamenti differenti di fronte al rischio a seconda che si trovino a valutare potenziali perdite o potenziali guadagni. In particolare, mentre di fronte a potenziali guadagni gli investitori sembrerebbero essere avversi al rischio, posti di fronte a potenziali perdite tenderebbero a divenire molto più propensi al rischio; in altre parole, il riflesso dei risultati attorno allo zero andrebbe ad invertire le schede di scelta degli investitori facendo in modo che questi pesino maggiormente l’impatto negativo derivante da una potenziale perdita, rispetto a quello positivo derivante da un potenziale guadagno della medesima entità (Alemanni B., 2008).

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Un tale risultato ben si inserisce nei meccanismi che si attuerebbero durante le fasi di crisi, in cui l’attenzione degli investitori verso il rischio di perdite risulta particolarmente acuta e proprio in tali meccanismi risiederebbe secondo alcuni studi riportati il letteratura, la principale causa della maggior diffusione degli investimenti in fondi SRI durante le fasi recessive del ciclo. In particolare, proprio a fronte della popolarità raggiunta dai fondi SRI, soprattutto negli anni immediatamente successivi allo scoppio della crisi finanziaria globale avvenuto nel 2007, alcuni studiosi hanno esteso l’oggetto d’indagine delle matched pairs analysis tra fondi SRI e fondi tradizionali andando ad analizzare separatamente i valori di performance raggiunti dai due aggregati sia nei periodi di stabilità dei mercati che in quelli di crisi. Lo scopo di questo tipo di analisi risiede proprio nella volontà di stabilire se a fronte di una maggiore popolarità dei fondi SRI durante le fasi patologiche di mercato, vi sia anche una capacità degli stessi di risultare più performanti, individuando anche quali siano i fattori in grado di amplificarne i risultati. Tra questi, lo studio effettuato da Nofsinger e Varma (2013), ha identificato un campione di 240 fondi azionari SRI sul mercato statunitense, la cui composizione è riportata nella tabella sottostante (Tabella 5) e ne ha analizzato i risultati di performance per l’arco temporale 2000-2011.

Tabella 5: Fondi SRI analizzati: caratteri principali.

Caratteristiche principali dei fondi

Intero arco temporale di riferimento Gennaio 2000 Gennaio 2006 Dicembre 2011 - Numero totale fondi

- TNA totale fondi5

- Fondi retail - TNA fondi retail

240 135 76 71158.10 60 6639.40 113 23 139.00 75 16 493.20 184 28 992.70 98 15 001.60 Tipologia di fondi (numero):

- Gestione attiva - Gestione passiva - ETF 190 38 12 65 11 0 86 25 2 152 25 7

Età media dei fondi (in anni) 3 6 7

Fonte: rielaborazione personale del campione oggetto dell’analisi.

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Come è possibile osservare dalla tabella, all’interno del campione iniziale di fondi SRI analizzato sono stati inseriti per la maggior parte fondi comuni aperti, di cui 135 fondi retail, con l’inclusione anche di 12 ETF. Per quanto attiene alle modalità di gestione, si tratta per la maggior parte di fondi a gestione attiva (190), cui si aggiungono 50 fondi a gestione passiva tra i quali, come già specificato, 12 ETF. Infine, l’indagine ha tenuto conto anche dei mutamenti subiti durante l’arco temporale di analisi dalla numerosità del campione che si è ridotta da un totale di 240 fondi nel 2000 a 184 fondi nel 2011.

Allo scopo di effettuare un’analisi comparata della performance dei fondi SRI e di quella dei competitors tradizionali , lungo l’arco temporale delineato, per ognuno dei fondi del campione selezionato sono stati individuati tre fondi convenzionali con caratteristiche similari in termini di obiettivi di gestione, anni di operatività e NAV (Net Asset Value)6.

Una volta definita la composizione dei due campioni di fondi , quello dei fondi SRI e quello dei fondi convenzionali, si è provveduto ad individuare all’interno dell’arco temporale di riferimento scelto per l’analisi, i cd “crisis period” allo scopo di scindere i risultati di performance osservabili a livello globale in corrispondenza dei due aggregati, da quelli ottenuti dai medesimi durante le fasi di crisi di mercato. In particolare, facendo riferimento all’andamento del mercato azionario, durante il periodo preso in analisi, sarebbe possibile identificare due periodi di crisi osservando l’andamento, nel medesimo arco temporale, dell’ S&P 500 Index. Il primo di questi si estenderebbe da marzo 2000 ad ottobre 2002, mentre il secondo dall’ottobre 2007 al marzo 2009; come sarà agevole dedurre per il lettore, mentre la prima fase di crisi viene collocata in corrispondenza dello scoppio della bolla Dot.com, in corrispondenza di una caduta dell’indice S&P 500, da un massimo di 1534.63 ad un minimo di 768.63,

6 In particolare, il matching è stato realizzato andando ad identificare in primo luogo i fondi convenzionali con i medesimi obiettivi gestionali e costituiti entro un anno dalla data di costituzione relativa al fondo SRI di riferimento. Successivamente sono stati individuati i tre fondi convenzionali associati al NAV più prossimo a quello relativo al fondo SRI di riferimento.

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la seconda fase si estrinseca nell’ambito della nota crisi finanziaria dei mutui subprime che ha visto il medesimo indice crollare da un massimo di 1576.09 ad un minimo di 666.79.

Per una maggiore oggettività circa l’individuazione dei “crisis periods” individuati dallo studio in parola, è utile osservare come anche la National Bureau Of Economic Research, abbia identificato nel periodo oggetto di analisi (2000-2011), due fasi di recessione economica: la prima, cui è stata associata una durata di 8 mesi, si estende da marzo a novembre 2001, mentre la seconda, di durata pari a 18 mesi, si colloca tra dicembre 2007 e giugno 2009. Come è possibile osservare, le fasi recessive identificate dal National Bureau, coincidono sommariamente con le due crisi individuate mediante osservazione dell’andamento del mercato azionario, fatta eccezione per il primo periodo di recessione individuato dal National Bureau che appare leggermente più corto rispetto alla crisi di mercato individuata dal nostro studio.

Infine, per ciò che attiene alle metodologie di calcolo e agli indicatori di performance utilizzati, sulla base delle time series dei rendimenti mensili rilevati per i fondi di entrambi i campioni nell’intero arco temporale di analisi, si è proceduto :

- Al calcolo del rendimento medio de ottenuto dai due aggregati ( fondi SRI e fondi convenzionali) sia per i periodi di crisi identificati che per le fasi di stabilità del mercato azionario

- Al calcolo degli alfa di Jensen 7 sia attraverso il modello CAPM sia attraverso due modelli multifattoriali (rispettivamente a tre e a quattro fattori di rischio8).

I rendimenti medi, e le stime effettuate per il valore del parametro alpha, su base annuale, in relazione all’intero arco temporale di analisi e all’intero campione mediante l’utilizzo dei tre modelli sopra indicati, sono riportati

7 Per la definizione e le modalità di calcolo dell’indicatore di performance “alfa di Jensen” si veda il paragrafo 3.1 del presente elaborato.

8 I modelli multifattoriali utilizzati per la stima degli alfa di Jensen, sono il 3-Factor Model (Fama e French, 1993) e il 4-Factor Model (Carhart, 1997).

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nella tabella sottostante (Tabella 6). Come è possibile osservare, i fondi SRI hanno riportato un rendimento medio del 2.56%, valore che non si discosta in maniera significativa da quello registrato per i fondi convenzionali oggetto del confronto (2.60%). Per quanto attiene alle stime dei parametri relativi ai fondi SRI effettuate mediante i tre modelli, si tratta di valori di scarsa entità o comunque non significativamente distanti dallo zero e, il medesimo risultato, è osservabile anche in corrispondenza dei tre fondi tradizionali. Per quanto attiene dunque ai risultati della matched pairs analysis effettuata senza operare alcuna differenziazione tra le fasi recessive e quelle di stabilità, i dati sembrano allinearsi a quanto osservato nel precedente paragrafo confermando che non sussisterebbero differenziali di performance statisticamente rilevanti tra i fondi SRI e i loro competitors tradizionali.

Tabella 6: Risultati rilevati in relazione alle stime degli indicatori di performance per il

campione dei fondi SRI, per quello dei fondi convenzionali e con riguardo al differenziale rilevato tra i due valori.

Stima SRI Fondi convenzionali Differenziale

Rendimento medio 2.56 2.60 -0.04

CAPM Alpha -0.37 -0.31 -0.06

3-Factor M. Alpha -0.76 -0.85 0.09

4-Factor M. Alpha -0.75 -0.86 0.11

Fonte: NOFSINGER J., VARMA A., 2014, Socially responsible funds and market crisis, “Journal of

Banking & Finance” 48,180-193.

Una volta effettuate le stime relative ai dati per l’intero periodo di analisi, il medesimo procedimento è stato effettuato operando un’adeguata distinzione tra i dati raccolti nelle fasi di stabilità dei mercati e quelli relativi alle fasi di crisi (Crisis period e Non Crisis period); i risultati di questa seconda tranche di misurazioni sono riportati nella tabella sottostante (Tabella 7).

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Tabella 7: Risultati rilevati in relazione alle stime degli indicatori di performance per il

campione dei fondi SRI e per quello dei fondi tradizionali, osservabili separatamente per il periodo di stabilità del mercato e per i cd “crisis periods”.

Stima SRI (Non-Crisis) SRI (Crisis) Fondi tradizionali (Non-Crisis) Fondi tradizionali (Crisis) Differenziale (Non-Crisis) Differenziale (Crisis) Rendimento medio 15.82 -18.69 16.61 -19.65 -0.69 1.18 CAPM Alpha -1.93 2.57 -0.99 0.95 -0.95 1.61 3-Factor M. Alpha -2.07 1.81 -1.35 0.11 -0.73 1.70 4-Factor M. Alpha -2.04 1.79 -1.37 0.13 -0.67 1.66

Fonte: rielaborazione personale dei dati raccolti da Nofsinger J., Varma A., (2013).

Come è possibile osservare, per quanto attiene ai valori relativi ai fondi SRI, è stato registrato un rendimento medio del 15.8% durante le fasi di stabilità a fronte di un rendimento medio negativo del -18.69% durante i periodi di crisi, dato che seppur indicativo di una performance negativa, acquisisce maggiore significatività ai fini della nostra analisi, se confrontato con quello osservabile per l’aggregato dei fondi convenzionali. Infatti, osservando i dati relativi al differenziale di rendimento, è possibile rilevare come la performance dei fondi SRI nei periodi di crisi sia superiore dell’1.18% rispetto a quella dei fondi tradizionali, a fronte di un differenziale di rendimento negativo dello 0.69% nella fase di stabilità dei mercati. Per quanto attiene poi alle stime effettuate in relazione alle fasi fisiologiche di mercato, dei parametri alpha, a conferma di quanto precedentemente individuato per l’analisi effettuata a livello globale, non sono state rilevate differenze statisticamente rilevanti tra le performance dei due aggregati. La medesima osservazione non può invece essere fatta in relazione alle stime dei parametri alpha effettuate per i fondi SRI in corrispondenza dei cd crisis periods; esse infatti, come è possibile dedurre dai dati riportati, appaiono più alte rispetto a quelle effettuate in corrispondenza dei fondi tradizionali (1.61%-1.70% il differenziale di performance rilevato). In base ai risultati ottenuti da Nofsinger e Varma (2013) dunque, sembrerebbe possibile

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affermare che le performance dei fondi SRI siano in grado di “resistere” meglio alle fasi di crisi di mercato rispetto a quelle dei competitors tradizionali, dando inoltre luogo ad una serie di ulteriori osservazioni.

In primo luogo, i risultati ottenuti sembrerebbero giustificare anche sotto il profilo quantitativo di analisi i dati rilevati circa una maggior diffusione degli investimenti in fondi SRI osservata durante le fasi recessive del ciclo economico. In secondo luogo poi, sembrerebbe possibile integrare tali risultati con le considerazioni precedentemente fatte circa l’esistenza di una serie di bias cognitivi che durante le fasi di crisi di mercato, contribuirebbero a veicolare gli investimenti proprio verso i fondi socially responsible. Se infatti, come sostenuto dai dettami della Prospect Theory ( Alemanni 2008), gli investitori risultano pesare maggiormente l’impatto negativo di una perdita potenziale piuttosto che quello positivo di un potenziale guadagno della medesima entità, a fronte di una maggior capacità dei fondi SRI di arginare il rischio di perdite nei periodi di crisi, essi sarebbero più inclini a veicolare le proprie risorse verso questi particolari strumenti.

Sebbene i risultati ottenuti e le conclusioni che da essi è stato possibile trarre siano senza dubbio dotati di una certa rilevanza, non si può soprassedere al fatto che basare tali conclusioni su un’unica analisi, avente per di più ad oggetto il solo mercato USA, risulti limitativo al fine di suffragare o meno le ipotesi inizialmente formulate. Allo scopo dunque di pervenire ad un risultato dotato di una maggiore completezza e di un grado più elevato di oggettività, andiamo adesso ad integrare quanto rilevato dal precedente contributo con i risultati di un ulteriore studio9.

La valenza dello studio in parola ai fini della nostra analisi risiede, oltre che nella rilevanza dei risultati che di seguito verranno riportati, anche nella straordinaria ampiezza del campione su cui l’indagine si esplica, sia dal punto di vista della numerosità dei dati, sia per l’ampiezza dell’arco temporale di riferimento, sia per

9 Lo studio di cui si riportano i risultati è “Socially responsible and convenytional investment funds: performance comparison and the global financial crisis” effettuato da L.Becchetti, R.Cicinetti, A.Dalo e S.Herzel, effettuato dall’Università Tor Vergata di Roma.

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