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Riflessi, tracce e frammenti. Le architetture di Lucca, Pisa e Livorno.

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Academic year: 2021

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Capitolo 3

Riflessi, tracce e frammenti.

Le architetture di Lucca, Pisa e Livorno.

« Il ponte si lancia “leggero e possente” al di sopra del fiume. Esso non collega soltanto due sponde già presenti. Solo nel passaggio da un lato all’altro del ponte le sponde si manifestano in quanto sponde. È il ponte a far sì che esse si contrappongano l’una all’altra. Grazie al ponte i due lati sono posti reciprocamente in risalto ».

Martin Heidegger

Il breve capitolo che seguirà avrà il compito di ricucire il lavoro di ricerca e analisi condotto sinora. Nella prima parte, i capitoli 1 e 2 hanno percorso le dinamiche economiche, politiche, culturali e sociali caratterizzanti gli anni oggetto di studio nella cultura architettonica italiana. Dal montaggio del Visual Storytelling, secondo i principi compositivi adottati dagli esponenti dell’architettura decostruttivista e postmoderna, mutuati dalle teorie cinematografiche, abbiamo cercato di “provocare” quelle suggestioni e quei temi che ci consentiranno di “gettare un ponte” tra la cultura internazionale e le tre provincie di Lucca, Pisa e Livorno.

La nostra ricerca ha mosso dalla schedatura di quelle architetture che in letteratura hanno avuto maggiori riscontri. Ha esplorato il clima culturale italiano ed internazionale nell’epoca oggetto di studio ed è, per così dire, tornata su se stessa operando una selezione delle opere individuate e schedate che, di quel clima, e del relativo modus operandi, recassero le tracce. Rispetto alla copiosa produzione edilizia del dopoguerra, in generale, le opere significative sul territorio rappresentano una minima percentuale in termini di quantitativi e qualitativi. Casi isolati per una felice convergenza di intenzioni e azioni tra committenti pubblici e privati, progettisti e realizzatori.

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Le dinamiche in atto a livello nazionale ed internazionale hanno recato tracce nel contesto locale, soprattutto grazie alla presenza sul territorio di esponenti che operavano sia sul piano delle realizzazioni che su quello teorico e all’operato dei loro discepoli.

Un esempio è costituito dalla Scuola di Architettura di Firenze, da cui provenivano architetti del calibro di Giovanni Michelucci [schede: PI02-EC60, LI02-CP60, LI07-EC90], Italo Gamberini [scheda: PI03-EC60], Leonardo Savioli, Leonardo Ricci [scheda: LU01-RV60], Edoardo Detti, che operarono sul litorale toscano. Molte delle opere degli anni ’60 e ’70, in Toscana e nelle province di Pisa, Lucca e Livorno sono a loro riferibili.

Ad essi si aggiunsero esponenti romani quali Saverio Muratori [scheda: PI01-EC60] e Luigi Pellegrin [scheda: PI04-IS70] con le loro differenti modalità di letture del contesto urbano.

E Aldo Rossi che operò direttamente [scheda: PI09-AT90], e collaborando in alcune realizzazioni, come con il gruppo FMTP, costituito dai quattro giovani architetti pisani che operarono nell’ambito delle cooperative edilizie [schede: LI04-CR80, LI06-CR80].

Il modo di procedere nel percorso formativo di un’opera, che parte dall’idea e si conclude con la sua realizzazione, è simile, per alcuni aspetti, nell’Architettura e nel Cinema.

Edificio e film sono frutto di un lavoro corale che necessita differenti competenze e professionalità a tutti i livelli del processo: ideazione, finanziamento, realizzazione.

Il progetto d’Architettura trova il suo corrispettivo nella sceneggiatura cinematografica; il regista, nell’Architetto; il set nel cantiere; il produttore nel committente e così via, con la possibilità, in entrambi i campi, di riunire in una sola figura più competenze e responsabilità.

Entrambe le discipline possono attingere il “materiale” creativo dagli stessi destinatari delle loro opere. Così si orienta la “progettazione partecipata” che coinvolge gli utenti finali nelle fasi della progettazione architettonica e urbanistica. Così hanno sperimentato il cinema neorealista e il cinema documentario, traendo dall’uomo della strada la materia dei propri racconti.

Sul cantiere o sul set, inoltre, l’affiatamento e la compartecipazione di ideatori, tecnici e operatori può giocare a favore della riuscita di un’opera a cui tutti, sul campo, possono contribuire con un’idea, una soluzione dettata da una necessità contingente e imprevista. Proprio come un tempo l’intera comunità concorreva all’edificazione dei propri monumenti.

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Tuttavia una differenza sostanziali divide i due campi. Mentre l’Architettura utilizza la materia inerte per realizzare le proprie opere, il Cinema utilizza gli attori, cioè l’essere umano. Una possibilità enorme, più a favore del Cinema, hanno entrambi i campi: la possibilità di far passare un messaggio, uno attraverso le immagini, l’altro attraverso le costruzioni.

L’architetto “demiurgo” e il regista cinematografico hanno il potere di influenzare, con opere che permangono nel contesto fisico o culturale in cui vengono realizzate.

Giovanni Klaus Koenig, a proposito della capacità di penetrazione culturale di un’opera d’architettura, su lavoro di Leonardo Ricci, sottolinea: « per chi crede che l’architettura sia un linguaggio significante, come quello della parola, gli esempi sperimentati da Ricci sarebbero il non plus ultra per condurre una serie di analisi antropologiche, sociologiche e psicologiche, per decidere, una volta per tutte, fino a che punto il fondamento dell’architettura moderna, voler essere “psicagogica”, cioè educare attraverso l’arte la psiche dei fruitori, sia una verità

dimostrata, e quanto invece di illusorio vi sia in questa operazione » (20).

54 - Palazzo di Giustizia di Novoli, Firenze, Leonardo Ricci , 1988-2010.

Il Palazzo di Giustizia di Novoli (fig. 54), presso Firenze, è un’opera che ci introduce ad alcuni aspetti oggetto delle nostre riflessioni. Un manufatto edilizio può offrirsi al contesto a due livelli: “cerca” una qualche forma di integrazione con il tessuto urbano entro il quale va ad inserirsi, dal punto di vista fisico e materiale, e dal punto di vista simbolico e percettivo.

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Integrandosi con la città e con il territorio, o volgendogli le spalle, potrà introdurre nel contesto elementi di continuità o meno con il paesaggio costruito o naturale.

Sul piano dell’immagine potrà, in egual misura, imporsi o differenziandosi.

I due aspetti non sono strettamente correlati, forma e contenuto di un edificio possono concordare o meno tra loro. Architetti della scuola a cui apparteneva Leonardo Ricci svilupparono il loro lavoro cercando una sintesi tra forma e contenuto: l’architettura è immagine di ciò che vuole essere e non rimanda ad altri significati.

Un edificio come quello di Novoli realizza quell’idea di sacralità dell’istituzione; si pone come una “cattedrale civile”, una città nella città che si organizza secondo relazioni interne e le esplicita in assonanza con l’idea di trasparenza ed equità dell’istituzione che accoglie. Forma e contenuto coincidono, e comunicano al tempo stesso, senza ambiguità.

Negli anni ’70 e ’80 si affiancò all’operato dei maestri dell’architettura italiana, quello della nuova generazione, che presso la loro scuola si era formata. Nell’ambito delle tre province, oltre ai successi di Massimo Carmassi [schede: PI06-IS80, PI078-EP80, PI08-AU80], che operò per l’Ufficio Progetti del Comune di Pisa, e di Francesco Tomassi [scheda: LU07-AU90], il gruppo FMTP composto dai quattro architetti pisani Maurizio Fregoli, Roberto Martini, Alberto Pacciardi, e Luca Tosi, optò per una scelta di campo “politica”, operando in un segmento di mercato specifico, legato ai bisogni sociali e alle sue emergenze.

Riccardo Roda ne ricostruisce la vicenda: « Fregoli, Martini, Pacciardi e Tosi, laureatisi a Firenze nel 1972, ma già operanti professionalmente da alcuni anni, operano una terza scelta, peculiare della loro generazione e di parte di quella successiva. Tra utopia e bieco realismo la scelta cadde su una via intermedia, che tendeva a conciliare pragmatismo e idealità, impegno

politico a sinistra, ed esercizio della professione » (21).

In questa fase socio politica, in Italia, si innestano le lotte per la casa a partire dal 1969. I temi dibattuti a livello culturale sono quelli della perdita d’identità delle periferie urbane, fisicamente slegate ai centri storici da cui dipendono. La città storica con la sua organizzazione non risponde più alle nuove esigenze mentre, quella contemporanea delle zone d’espansione, cresce in assenza di una logica funzionale e formale. I quattro architetti sposano quell’idea che vede nel mestiere un importante strumento per intervenire concretamente nella società, contribuendo a riequilibrare le distorsioni provocare dal suo sviluppo indiscriminato, con un uso corretto delle risorse ambientali.

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Fu una scelta in controtendenza rispetto al mondo accademico che rappresentava la cultura ufficiale.

Questo inaugurò una stagione teorica contraddistinta da una progettazione cartacea, un’architettura soltanto disegnata, ove il rifiuto netto di qualsiasi compromesso potette esprimersi senza oggettivi condizionamenti.

La scelta dei quattro giovani professionisti non consentì loro di incidere quantitativamente nei contesti in cui furono chiamati ad operare, ma ha lasciato realizzazioni importanti per qualità e coerenza.

Pacciardi e Tosi iniziarono a collaborare, già dal 1971, con l’UTCO (Ufficio Tecnico delle Cooperative), attorno al quale si organizzò, in Toscana, il nascente movimento cooperativo. Martini iniziò il suo tirocinio professionale nello studio di Francesco Tomassi e Fregoli affiancò all’insegnamento in un istituto tecnico un percorso da amministratore pubblico.

Con i finanziamenti concessi della legge n.865 del 1971, i quattro iniziarono ad organizzare cooperative sul litorale. La dimensione urbanistica, negli anni seguenti, sarà il loro punto di partenza: riusciranno a condensare attorno ai loro progetti e alle loro realizzazioni sia contenuti ideali che pratici. I progetti realizzati in quegli anni, sorti nel consenso politico-sociale delle assemblee nelle aree a più forte emergenza abitativa, furono caratterizzati da una forte innovazione e, sul piano simbolico, rappresentano modelli ideali di città, che si oppongono all’organizzazione tradizionale e privatistica del territorio.

La scelta di realizzare alloggi in uso anziché in proprietà, contraddistinse l’intero movimento cooperativo e consentì ai loro architetti un più ampio margine progettuale a livello urbanistico, con realizzazioni che riuscirono a conformarsi come parti autonome e di qualità della città. I servizi collettivi, indivisi, divennero il fulcro attorno al quale organizzare l’edificato. Sul piano formale gli architetti puntarono a rendere meno monotona la periferia, distribuendo i volumi edificabili con più libertà compositiva.

Dopo gli iniziali interventi per i Peep di Pontedera, Cascina e Ponsacco, il vero banco di prova per il gruppo fu il Peep La Rosa di Livorno (1976-80) che, in più fasi, portò alla realizzazione di 296 alloggi e alle urbanizzazioni primarie. Il progetto prevedeva la sostituzione dei tradizionali blocchi “in linea” con un sistema “a corte” che puntasse a ricreare un ambiente microurbano più intimo e protetto, strutturato su percorsi pedonali e giardini.

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Questo sarà il leitmotif degli interventi successivi a cui saranno chiamati gli FTMP.

Il tema dell’isolato urbano che si oppone al disordine circostante, proteggendo la vita dei residenti negli spazi privati e collettivi trova una felice dimensione nel progetto che prevedeva 68 alloggi in via Orosi, a Livorno [1978-83; scheda: LI03-CR70]. Alla compattezza dei fronti esterni si contrappongono le gradonate degli affacci interni degli alloggi, disposti ad “elle” ai margini di un lotto rettangolare, attraversato in diagonale da un percorso pedonale con verde attrezzato. Altra prova, a differente scala urbana, fu il Peep San Rocco di Piombino [1976-82; scheda: LI04-CR70], dall’accentuata contrapposizione tra volume costruito e giardino che ne conferisce un aspetto metafisico.

Sul versante sperimentale, il prototipo bioclimatico realizzato nel Peep Salviano, a Livorno [1980-82; scheda: LI05-CR80], parte integrante di un vasto programma sperimentale promosso a livello regionale dal Consorzio Cooper Toscana, combinò l’aspetto marcatamente pionieristico dell’edilizia bioclimatica di quegli anni, con gli usuali modelli progettuali dello studio pisano.

Negli anni ’80 l’assetto normativo obsoleto, l’esaurimento delle aree Peep, ormai in via di completamento, ridusse le possibilità di “manovra” della strategia progettuale del gruppo. Spartiacque fu il progetto per il Peep La Leccia, a Livorno [1983-86; scheda: LI06-CR80], circondato da un quartiere concettualmente sbagliato. Presto lasciato all’incuria, apparirà negli anni a seguire come un oggetto alieno, una cittadella sulla difensiva.

Negli anni ottanta l’attenzione al progetto, appartenuta al decennio precedente, cedette il passo ad un orientamento che guardò alla complessità del processo edilizio.

Il progetto, con la fine delle utopie, diventò uno degli ingredienti, al pari degli altri.

Il sodalizio costituito dai quattro architetti seguirà l’evoluzione della società che lo aveva prodotto che, per certi versi, rappresentò un periodo storico irripetibile. Il controllo rigoroso della geometria accompagnato da un isolamento rispetto alla città saranno gli elementi

caratterizzanti gli interventi di quegli anni (22).

A proposito di due lavori a Cisanello, negli anni ’80, Dario Matteoni afferma che l’elemento caratterizzante le due torri di Tosi e l’edificio-acquedotto di Carmassi è l’ordine gigante: « Di fronte al disordine si contrappone non solo l’unicità dell’oggetto, operazione fin troppo semplice, ma piuttosto un controllo esasperato del disegno stesso dell’oggetto. Le due

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torri non palesano forse tale volonta? La medesima intenzione traspare nell’edificio-acquedotto di Carmassi, dove proprio ciò che si esibisce è il controllo rigoroso dei due lunghi prospetti » (23).

Ancora un mondo/labirinto a cui opporre resistenza, entro cui trovare uno spazio dove trincerarsi, o da eludere magari con un pizzico di ironia.

Questo aspetto che abbiamo tratto dal nostro lavoro ci pare essere una sorta di pensiero dominante, o una “forma ritmica” che scompare e riaffiora costantemente nella nostra epoca.

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