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: 2. LA CRISI D’IMPRESA E LE MISURE DI ALLERTA PREVISTE DALLA LEGGE DELEGA 155/2017

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Capitolo 2

2. LA CRISI D’IMPRESA E LE MISURE DI ALLERTA PREVISTE DALLA LEGGE DELEGA 155/2017

Sommario: 2.1 La crisi d’impresa. – 2.2. Un approccio alla definizione di crisi in ottica di procedure di allerta. – 2.3. Crisi come probabile futura insolvenza. – 2.4. Creazione di misure idonee ad incentivare l’emersione tempestiva della crisi. – 2.5. Le procedure di allerta e composizione assistita della crisi.

2.1. La crisi d’impresa

Al centro della riforma della Commissione Rodorf si pone lo stato di crisi dell’impresa, concetto attorno al quale ruota il complessivo impianto delle soluzioni offerte per procedere alla riorganizzazione dell’impresa e al superamento della crisi.

Il legislatore, tuttavia, non fornisce una definizione del concetto di “crisi”, a differenza di quanto compie, con l’art. 5, comma II, L. Fall., riguardo allo stato di insolvenza1. Lo stato di crisi viene richiamato unicamente nell’art. 160 L. Fall., all’interno del quale vengono delineati i presupposti del concordato preventivo. È stato stabilito che può accedere alla procedura di concordato preventivo anche l’impresa in stato di insolvenza; inoltre, è stato chiarito legislativamente che lo stato di insolvenza rientra nello stato di crisi, in particolare che lo stato di insolvenza rappresenta una situazione di dissesto più avanzata rispetto allo stato di crisi.

Le classificazioni inerenti alla crisi dell’impresa non derivano dunque direttamente dalla Legge ma sono il frutto delle elaborazioni della dottrina e della giurisprudenza.

1 L’art. 5, comma II, dispone che l’insolvenza «si manifesta con inadempimenti od altri fatti esteriori i quali dimostrino che il debitore non è più in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni».

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L’assenza nel nostro sistema della nozione di crisi è il frutto di una scelta consapevole del legislatore di utilizzare la tecnica di normazione per clausole generali, al fine di adeguare la nozione alle rinnovate esigenze che, nel tempo, promanano dal sistema economico.

Secondo parte della dottrina, «la crisi si sostanzia nell’instabilità della redditività che porta a rovinose perdite economiche e di valore del capitale, con conseguenti dissesti nei flussi finanziari, perdita della capacità di ottenere finanziamenti creditizi per un crollo di fiducia da parte della comunità finanziaria, ma anche da parte dei clienti e fornitori, innescando così, un pericoloso circolo vizioso»2.

Tuttavia, già da tempo è stato sottolineato che la crisi non è necessariamente un evento negativo, quanto piuttosto una fase necessaria dell’impresa, fase da cui l’impresa può addirittura trarre giovamento per non commettere nuovamente gli stessi errori in futuro: la crisi d’impresa, talvolta, può essere un fattore decisivo di processi di ristrutturazione economica indissociabili dal funzionamento stesso di un’economia di mercato. Anche grazie a questa nuova concezione della crisi di impresa, vista non più necessariamente come elemento negativo e di disvalore, la ratio delle ultime riforme è stata quella di favorire l’accesso alla procedura concorsuale concordata anche a chi non è ancora in stato di insolvenza, per evitare che si verifichi quest’ultima, sempre nell’ottica di tutelare l’attività d’impresa e il valore dell’azienda3.

In chiave aziendalistica si è resa necessaria una distinzione di fondo fra crisi di tipo patrimoniale, consistente in squilibri economico – finanziari4 e crisi di tipo non patrimoniale, che riguarda il funzionamento dell’organizzazione.

Spostando l’attenzione sugli elementi propri del concetto di crisi, è fondamentale porre l’attenzione sui sintomi della crisi stessa, nell’ottica di anticipare e, dunque, cercare di

2 In questi termini, L. GUATRI, Turnaround, Declino, crisi e ritorno al valore, 1995.

3 Tuttavia siamo arrivati a un consolidato indirizzo giurisprudenziale, secondo il quale lo stato di insolvenza è ricompreso nel più ampio stato di crisi.

4 Le crisi patrimoniali possono essere ulteriormente distinte in crisi economiche, date dallo sbilancio fra attivo e passivo, e crisi finanziarie, che si traducono nella incapacità di soddisfare regolarmente gli impegni (obbligazioni) verso i terzi e che vengono in generale qualificate sul piano giuridico ed aziendalista come insolvenza. Così A. NIGRO – D. VATTERMOLI, Diritto della crisi delle imprese. Le procedure concorsuali, Bologna, 2014.

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prevenire l’emergere dello stato di dissesto.

La riforma della Commissione Rodorf va nella direzione dell’introduzione, nel nostro sistema, di meccanismi di allerta e prevenzione della crisi. Inoltre, si muove nella direzione di rendere l’imprenditore partecipe a una sorta di scambio con i creditori: egli sarà disposto a informare il ceto creditorio circa la propria situazione in cambio di una ristrutturazione ovvero di una riformulazione della propria esposizione debitoria. Così, tali strumenti di prevenzione ed allarme, assolvono una funzione anticipatoria dell’insolvenza consentendo la predisposizione di adeguati piani di risanamento, oppure una più proficua liquidazione del patrimonio aziendale5.

A livello di struttura societaria, possono essere sintomi di crisi: il capitale insufficiente; la dipendenza unilaterale nei confronti di certi committenti; le spese per il personale molto elevate e non giustificate da particolari specializzazioni.

Invece, i sintomi interni all’azienda sono: la mancanza di apporti economici da parte dei soci, quando necessari; il ricambio troppo frequente delle strutture manageriali di vertice, con conseguente cambio continuo di strategie e politiche aziendali; la riduzione del capitale sociale rispetto a quello inizialmente versato; le richieste di rimborso dei prestiti effettuati dai soci.

Possono essere sintomi della crisi anche alcuni elementi contabili come ad esempio: ritardi o irregolarità nella tenuta dei conti e nella predisposizione dei bilanci; l’utilizzazione delle riserve economiche fino ad allora accumulate.

Sono infine possibili segnali di crisi anche i pagamenti effettuati solo dopo lettere di messa in mora; i ritardati pagamenti delle retribuzioni dei lavoratori o delle fatture commerciali relative alla fornitura di servizi primari (elettricità, telefono, rete internet); il ricorso sempre più frequente ai prestiti bancari e, talvolta, anche le cessioni in blocco delle merci; le domande di fallimento presentate e poi ritirate previo compromesso.

La presenza di un solo sintomo di crisi tra quelli indicati (che non costituiscono un’elencazione tassativa e nemmeno completa) non significa necessariamente che vi sia crisi: maggiori sono i segnali che si manifestano contemporaneamente, maggiori

5 Così R. MARINO – M. CARMINATI, Interpretazione estensiva del presupposto oggettivo di cui all’art. 160 L. Fall. e prevenzione dell’insolvenza, in Fallimento, 2015, 4.

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sono le probabilità che l’impresa stia effettivamente attraversando un momento difficile6.

Altrettanto ampio appare il profilo delle cause7 e dei livelli di gravità8 della crisi, dal momento che, come detto, il legislatore non definisce il concetto di crisi in modo preciso così da lasciare che l’operato della dottrina e della giurisprudenza adegui il concetto al caso concreto e segua l’evoluzione del contesto economico e sociale all’interno del quale la crisi dell’impresa si manifesta.

Provando, a fornire una definizione più precisa, sulla base dell’opinione che si è andata affermando negli anni, lo stato di crisi consiste nella fase che precede lo stato d’insolvenza vero e proprio e che fa prefigurare all’imprenditore accorto di essere di fronte ad un “rischio di insolvenza”, inteso quale situazione in cui versa l’imprenditore che, pur potendo adempiere i debiti scaduti, non sarà probabilmente in grado di adempiere i debiti di prossima scadenza9.

In questo senso, le procedure concordate, hanno lo scopo essenziale di favorire la prosecuzione dell’impresa e la sua attività, basandosi su una segnalazione in tempi opportuni dello stato di crisi, in modo che l’imprenditore proponente possa mantenere l’amministrazione e la disponibilità dei beni aziendali o che, in alternativa, venga comunque mantenuta l’unità del complesso aziendale stesso, evitando la sua disgregazione e conseguente liquidazione.

Una volta emerso lo stato di crisi, l’imprenditore, dopo essersi adoperato nel processo di gestione della stessa10, ed aver constatato la reversibilità11 o meno12 della

6 F. SASSANO, Il nuovo concordato preventivo nella riforma fallimentare, Padova, 2006.

7 La crisi di azienda non dipende quasi mai da un’unica causa ma è il risultato di una combinazione di condizioni, sia esterne che interne, che possono produrre effetti differenti. 8 La crisi dell’impresa può essere classificata a seconda della sua gravità: maggiore sarà la gravità, maggiore sarà la difficoltà di risanare l’impresa e mantenerne i valori produttivi. 9 In giurisprudenza, si veda la pronuncia Trib. Di Sulmona, decr. 2.11.2010, in www.ilcaso.it. 10 Si vede A. DE STEFANO (direttore responsabile), Fallimento, Memento pratico IPSOA, 2009. 11 La crisi è sanabile quando nell’impresa è presente un potenziale aziendale che, pur deteriorato, risulta recuperabile o riconvertibile. Cfr. Cass. 23.8.1991, n. 9046, in Pluris.

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crisi, nel caso in cui si trovi davanti ad una crisi sanabile può procedere con una delle modalità di risanamento13 offerte dall’ordinamento e potenziate (specie le modalità di risanamento esterne) con l’ultima riforma che, come detto, cerca di consentire all’imprenditore di salvaguardare la continuità aziendale del complesso produttivo.

2.2. Un approccio alla definizione di crisi in ottica di procedure di allerta

A fronte di una sicura situazione di insolvenza derivante dal conclamarsi di un contesto di crisi non gestita e divenuta definitiva, possono verificarsi situazioni di difficoltà, anche profonde, che possono essere considerate temporanee o, quantomeno, non strutturalmente definitive14. Fatto sta che l’azienda deve essere molto attenta ai segnali che il sistema di controllo interno, di cui dovrebbe essere dotata15, invia all’imprenditore. Con la Legge delega n. 155 del 19 ottobre 2017 per la riforma organica delle discipline della crisi di impresa e dell’insolvenza, all’art. 4, comma 1, è fatto esplicito riferimento alla natura non giudiziale e confidenziale della procedura di allerta e di composizione assistita della crisi. Rimanendo nell’ambito delle imprese collettive dotate di organo di controllo, e confermate

obbligazioni assunte alle previste scadenze e con l’utilizzazione dei mezzi normali di pagamento. Cfr. Trib. Como, 9.12.1994, in Pluris.

13 In generale il risanamento dell’impresa può essere interno ad essa oppure esterno, ossia con l’aiuto e l’intervento dei creditori. Il salvataggio con l’ausilio dei creditori può a sua volta essere di tipo stragiudiziale oppure giudiziale, quest’ultimo disciplinato dalla legge e sottoposto a verifiche più o meno penetranti dell’autorità giudiziaria.

14 Si veda Consiglio Nazionale Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili - Gruppo di Lavoro Interdisciplinare Area procedure concorsuali e Area aziendale, Informativa e valutazione nella crisi d’impresa, par. 5 “Relazione fra crisi e insolvenza”, 2015, pag. 13.

15 Al riguardo la Legge delega n. 155 del 19 ottobre 2017, al punto b) dell’art. 14 “Modifiche al Codice civile”, prevede “il dovere dell’imprenditore e degli organi sociali di istituire assetti organizzativi adeguati per la rilevazione tempestiva della crisi e della perdita della continuità aziendale, nonché di attivarsi per l’adozione tempestiva di uno degli strumenti previsti dall’ordinamento per il superamento della crisi e il recupero della continuità aziendale”.

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le perplessità rappresentate nel presente contributo riguardo il ruolo proattivo attribuito ex

lege all’incaricato della revisione legale e all’organo di controllo interno, appare evidente come, nell’accertamento del proprio stato di crisi, l’impresa debba affiancare un approccio di tipo consuntivo, ovvero basato sull’analisi delle situazioni contabili infrannuali internamente elaborate, ad altro di tipo previsionale16; entrambi di natura interna, è solo con l’applicazione dell’approccio previsionale che risulta possibile la valutazione dell’evoluzione della gestione nell’ambito di un determinato orizzonte temporale e l’eventuale evoluzione in situazione di insolvenza prospettica. L’impiego del piano è pertanto necessariamente da prevedere con l’applicazione dell’approccio previsionale. È inoltre sull’orizzonte temporale di questo documento che il principio di revisione ISA Italia 570 richiama l’attenzione del revisore alla valutazione della direzione sulla capacità dell’impresa di continuare ad operare come un’entità in funzionamento. La redazione di un piano industriale e finanziario è poi da considerare strettamente legata all’applicazione di adeguati sistemi di pianificazione e controllo interno, contestualizzati in un più generale assetto organizzativo, sulla cui adeguatezza è chiamato a vigilare il collegio sindacale17. L’attuazione di un siffatto sistema consentirebbe di intercettare con tempestività, perfino preventivamente, situazioni di criticità gestionale che potrebbero portare alla generazione di perdite economiche e al progressivo assorbimento di risorse finanziarie, tali da non garantire il soddisfacimento delle obbligazioni assunte e di quelle future.

L’applicazione della procedura di allerta in seguito alla segnalazione di fondati indizi di crisi da parte degli organi di controllo societari, del revisore contabile e della società di revisione, ancorché soggetti interni all’impresa, è da considerarsi problematica in presenza di un “ignaro” organo amministrativo. Nei casi in cui la crisi, o la sua gravità, sia percepita ancor prima che dall’imprenditore da un altro soggetto, interno o esterno, le perplessità sul buon esito dell’intera procedura non possono che aumentare, soprattutto se poste in

16 Si veda Consiglio Nazionale Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili - Gruppo di Lavoro Interdisciplinare Area procedure concorsuali e Area aziendale, Informativa e valutazione nella crisi d’impresa, par. 7 “Modalità di accertamento della crisi”, 2015, pag. 13.

17 Si veda Consiglio Nazionale Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili con la collaborazione della Commissione per le norme di comportamento degli organi di controllo legale delle società, norma 11.1.

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relazione ad un intervallo temporale ragionevolmente incompatibile con l’esecuzione di un processo di risanamento.

Improbabile, infatti, ricondurre la composizione assistita della crisi ad un lasso di tempo, non superiore ai sei mesi, che decorra dal momento in cui è affidato ad un soggetto scelto tra soggetti di adeguata professionalità nella gestione della crisi d’impresa18. Il limitato orizzonte temporale previsto dalla Legge delega n.155/2017 è infatti da considerare inconciliabile con qualsiasi articolato programma di ristrutturazione economica e finanziaria. Si ritiene più coerente pensare a questa procedura come un “passaggio” nell’ambito di un più strutturato e pianificato percorso funzionale alla rimozione delle criticità imputabili ad una fase di difficoltà, di declino, di crisi o di insolvenza reversibile. Così come descritto nella relazione allo schema di Legge, la prospettiva di successo di una tale procedura dipende in gran parte dalla propensione degli imprenditori ad avvalersene tempestivamente. In particolare, all’art. 4, comma 1, lett. c) della più volte richiamata Legge Delega, è prevista la situazione in cui la segnalazione del perdurare di inadempimenti delle proprie obbligazioni da parte dell’impresa avviene da parte di creditori qualificati come l’Agenzia delle entrate, gli agenti della riscossione delle imposte e gli enti previdenziali.

Fattispecie di questo tipo confermano la mancata gestione interna della crisi a partire dai primi segnali e la percezione da parte di soggetti esterni all’azienda di una situazione di difficoltà, magari grave. Generando, in molti casi, la sensazione, spesso corretta, che la crisi sia stata affrontata solo all’ultimo momento. Ecco perché l’affidamento, su istanza del debitore, da parte dell’organismo di composizione della crisi, ad un soggetto scelto tra soggetti forniti di adeguata professionalità nella gestione delle crisi d’impresa, iscritti presso l’organismo stesso, l’incarico di addivenire a una soluzione della crisi concordata tra il debitore e i creditori entro un termine massimo di sei mesi, può risultare quantomeno difficoltoso e dall’incerto risultato19.

18 Si veda art. 4, comma 1, lett. e) Legge delega n. 155 del 19 ottobre 2017 per la riforma organica delle discipline della crisi di impresa e dell’insolvenza.

19 Si veda C. BAUCO e A. PANIZZA, Prevenzione dell’insolvenza e continuità aziendale: il ruolo della procedura di allerta, in Amministrazione e Finanza, 7/2016.

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2.3. Crisi come probabile futura insolvenza

Lo scopo principale della procedura di allerta è quello di riconoscere, preventivamente al ricorso all’autorità giudiziaria, lo stato di emergenza in cui versa una società e di porre pertanto in essere le azioni correttive mirate a “tamponare” e a risolvere la crisi prima dell’instaurazione di procedure concorsuali. La stessa Raccomandazione n. 2014/135/UE, tra i suoi principali obiettivi, prevede di “consentire alle imprese sane in difficoltà finanziaria di ristrutturarsi in una fase precoce, per evitare l’insolvenza e proseguire l’attività”. Il fine, appare evidente, è quello di favorire l’emersione tempestiva della crisi, percepita come stadio potenzialmente anticipatorio di una situazione di insolvenza.

Da qui la necessità di introdurre una definizione dello stato di crisi, intesa come probabilità di futura insolvenza, mantenendo l’attuale nozione di insolvenza di cui all’art. 5 del Regio Decreto 16 marzo 1942, n. 267.

Nella prassi avviene frequentemente che il momento di verifica della crisi sia fatto coincidere con quello di “grave insolvenza”20, rendendo di fatto improbabile l’applicazione degli istituti prefallimentari che prevedono il risanamento e la continuità gestionale. Qualora all’interno dell’azienda venga posta l’attenzione all’andamento gestionale, tramite un controllo continuo e costante della propria situazione economica-finanziaria-patrimoniale, si è in grado di capire quando “la crisi è alle porte”. Nel più frequente caso, al contrario, la crisi è percepita quando ormai appare evidente l’incapacità di adempiere alle obbligazioni aziendali, rendendo gli sviluppi e le manifestazioni non più circoscrivibili al perimetro aziendale.

Espressione finanziaria di una carenza reddituale che si protrae nel tempo, l’insolvenza, in quanto percepibile dall’esterno, rappresenta l’espressione di una situazione di crisi probabilmente non avvertita e, tantomeno, affrontata per tempo da un punto di vista strategico. L’anticipazione del momento nel quale è identificato lo stato di crisi consente di

20 Si veda A. QUAGLI, Il concetto di crisi d’impresa come incontro tra la prospettiva aziendale e quella giuridica, in www.ilcaso.it, 02/02/2016.

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evitare una prospettiva fallimentare e di approcciare al meglio agli istituti proposti dalla legge fallimentare ed eventualmente a quello di allerta, così come previsto dalla Riforma Rodorf. Si rende perciò necessaria una definizione del concetto di crisi che possa essere considerata “operativa”, ovvero riscontrabile con una certa precisione in relazione al suo momento iniziale, e verificabile anche da parte di un soggetto diverso dall’imprenditore con un ridotto grado di discrezionalità21. Ovviamente senza dimenticare la natura dinamica che caratterizza il fenomeno della crisi.

2.4. Creazione di misure idonee ad incentivare l’emersione tempestiva della crisi

La gestione della crisi di impresa ha rappresentato il punto di riferimento di tutte le riforme della legge fallimentare che si sono susseguite in questi anni; il legislatore, avendo però registrato un uso distorto degli strumenti di risanamento dell’impresa, ha deciso di inserire nella Delega al Governo “per la riforma organica delle discipline della crisi d’impresa e dell’insolvenza” la creazione di idonee misure d’allerta in grado di prevenire la crisi.

Il lavoro della Commissione Rordorf ha inteso contestualizzare il concetto di crisi proponendone una tassonomia, per poi avanzare una ipotesi di sistema di allerta combinando gli strumenti messi a disposizione dall’esperienza aziendalistica.

Le riforme che negli ultimi anni hanno interessato le procedure concorsuali non hanno avuto una significativa valenza in ambito di allerta e prevenzione della crisi, o meglio non è stato previsto un meccanismo di tempestiva emersione della crisi d’impresa, sebbene già la riforma introdotta dal D.L. 27 giugno 2015, n. 83, sia stata varata nella vigenza dei lavori della Commissione Rordorf, le cui linee guida prevedevano tale attenzione.

Invero, lo strumento del concordato in bianco è stato creato proprio per sopperire a questa mancanza; in assenza di adeguati strumenti di allerta, ovvero rilevando che l’imprenditore tenda ad accedere alla procedura di concordato preventivo quando la sua situazione sia ormai degenerata, il c.d. “preconcordato” consente di garantire almeno quella

21 Si veda C. BAUCO e A. PANIZZA, Prevenzione dell’insolvenza e continuità aziendale: il ruolo della procedura di allerta, in Amministrazione e Finanza, 7/2016.

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tutela al patrimonio del debitore, necessaria per preservare la par condicio creditorum. Tuttavia, la funzione che il legislatore aveva affidato al concordato in bianco è stata snaturata nella pratica con un uso distorto dello strumento, facendo emergere l’esigenza di intervenire anticipatamente rispetto alla irreversibilità della crisi.

La Commissione Rodorf si è posta l’obiettivo di mettere in luce anticipatamente le difficoltà economiche in cui versa un’impresa, affidandone la competenza agli organismi di composizione della crisi (istituiti con la legge n. 3/2012 per il “Sovraindebitamento”), costituiti sia da enti pubblici sia da professionisti, che avranno il compito di ricevere le segnalazioni d’allarme effettuate dagli organi di controllo deputati.

Tali procedure di allerta, almeno nelle intenzioni, dovrebbero permettere, attraverso il riconoscimento di benefici e anche di procedure sanzionatorie, di anticipare l’emersione delle difficoltà d’impresa.

2.5. Le procedure di allerta e composizione assistita della crisi

Nell’ottica di incentivare l’emersione anticipata della crisi, e dunque in un momento in cui si riscontra la probabilità di futura insolvenza, il Governo è delegato ad introdurre procedure di allerta e di composizione assistita della crisi, di natura non giudiziale e confidenziale gestite da un’apposita Sezione specializzata degli organismi di composizione della crisi da sovraindebitamento di cui alla Legge n. 3/2012, e successive modificazioni ed integrazioni, e di cui al Decreto ministeriale n. 202/2014.

Entrando nel merito di quanto previsto dalla Legge delega n. 155/2017, si osserva come si tratti, a ben vedere, di tre differenti procedimenti o subprocedimenti: uno strettamente negoziale gestito dalla Sezione specializzata che verrà istituita presso gli organismi di composizione della crisi di cui alla Legge n. 3/2012, i restanti due di allerta vera e propria, intesa come procedura di segnalazione e di tempestiva emersione di segnali e sintomi di crisi.

La scelta di far ricadere sull’organismo di composizione di cui alla Legge n. 3/2012 la gestione della composizione assistita della crisi trova motivazione nella volontà di non intimorire ed allarmare gli imprenditori e i terzi con la presenza del Tribunale che, al

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contrario, potrebbe indurre il sospetto di dare inizio ad una procedura di insolvenza. Che si tratti di organi terzi rispetto agli organi delle procedure è innegabile. È del pari innegabile che tali organismi svolgano ben altre funzioni rispetto alla attività di mediazione. Essi, infatti, collaborano nella definizione dell’accordo di composizione, nella stesura del piano di composizione della crisi (sovente utilizzato dall’imprenditore non fallibile ammesso al sovraindebitamento) e, all’occorrenza, gestiscono la fase della liquidazione dei beni.

In linea di principio, alla luce di alcune previsioni di cui alla Legge n. 3/2012 e del Decreto n. 202/2014 gli organismi di composizione appaiono indicati per gestire in modo adeguatamente consapevole e dunque professionale la procedura di allerta.

In considerazione delle tipologie e degli aspetti dimensionali delle imprese che potranno accedere all’istituto, non trattandosi di sovraindebitati persone fisiche o imprenditori sotto soglia, in sede di elaborazione occorrerebbe peraltro chiarire che i soggetti iscritti nella Sezione specializzata non siano solamente dotati di adeguata professionalità, bensì che gli stessi siano professionisti regolamentati, indipendenti e specializzati nella gestione della crisi di impresa22.

22 Ai sensi dell’art. 15 della Legge n. 3/2012 possono costituire organismi per la composizione della crisi da sovraindebitamento enti pubblici dotati di requisiti di indipendenza e professionalità determinati con Regolamento adottato dal Ministero della Giustizia di concerto con il Ministero dello Sviluppo economico e del Ministro dell’Economia e delle Finanze. Gli organismi costituiti presso le camere di commercio, il segretariato sociale e gli ordini professionali degli avvocati, dei commercialisti e dei notai sono iscritti di diritto nel registro tenuto presso il Ministero della Giustizia. Il Decreto n. 202/2014 del Ministero della Giustizia, adottato di concerto con il Ministero dello Sviluppo economico e del Ministero dell’Economia e delle Finanze. Da quanto è dato evincere dal quadro normativo, non tutti gli organismi di composizione della crisi possono vantare competenze specifiche nella materia della crisi di impresa; tra quanti in astratto potrebbero annoverare nei loro elenchi soggetti con esperienza nel settore, non tutti sembrano poter vantare professionalità adeguate rispetto alla composizione della crisi di un’impresa non piccola e, se del caso, esercitata in forma collettiva, a seguito dell’allerta degli organi di controllo o del revisore legale. Trattandosi di Sezione specializzata costituita da soggetti con adeguata professionalità, si confida nell’individuazione di precipui requisiti di professionalità da parte del legislatore delegato, in modo analogo a quanto fatto nel passato. Del resto già in altra occasione, il legislatore ha specificatamente

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Passiamo ad esaminare le disposizioni relative alla vera e propria procedura di allerta.

La chiara ispirazione francese della filosofia che è il filo conduttore di tutta la riforma e le esigenze di uniformare l’ordinamento italiano alle indicazioni della Raccomandazione 2014/135/UE, hanno condotto gli estensori ha elaborare un meccanismo di allerta declinato essenzialmente su due livelli: un meccanismo di “allerta interna” che impone agli organi di controllo e all’incaricato della revisione legale di avvisare immediatamente l’organo di amministrazione della società dell’esistenza di fondati indizi di crisi e, in caso di sua omessa o inadeguata risposta, di informare direttamente l’organismo di composizione della crisi; ed un meccanismo di “allerta esterna” in cui i creditori qualificati, come Agenzia delle entrate, agenti della riscossione e enti previdenziali, sono obbligati, a pena di inefficacia dei privilegi accordati ai crediti di cui sono titolari, a segnalare immediatamente agli organi di controllo della società, o in mancanza all’organismo di composizione della crisi, il perdurare di inadempimenti di importo rilevante.

Restringendo l’ambito delle riflessioni alla c.d. allerta interna nelle imprese collettive dotate di organo di controllo, il testo della Legge delega non trova impreparati i professionisti iscritti all’albo dei Commercialisti che svolgono funzioni di controllo o di revisione. Restano tuttavia alcuni passaggi poco chiari sul ruolo proattivo attribuito ex lege all’incaricato della revisione legale e all’organo di controllo interno. Solo per inciso, poi, occorre notare che mentre questa allerta non coglie impreparati coloro i quali svolgono funzioni di sindaco, già tenuti a porre in essere una serie di poteri doverosi nell’esercizio delle proprie funzioni di vigilanza che sono esercitati anche in una prospettiva di anticipazione ovvero di emersione tempestiva della crisi23, maggiori difficoltà, a livello pratico, troveranno i componenti del consiglio di sorveglianza e quelli del comitato di controllo sulla gestione nei sistemi alternativi al tradizionale, in quanto nell’un caso, come è noto, il consiglio di sorveglianza approva il bilancio e delibera, in presenza di espressa previsione di statuto, in ordine alle operazioni strategiche e ai piani industriali e finanziari

individuato nei professionisti in possesso dei requisiti di cui all’art. 67, comma 3, lett. d), l.f. soggetti con specifica competenza tecnica per le soluzioni negoziali e procedimentali della crisi di impresa.

23 CNDCEC, Norme di comportamento del collegio sindacale. Principi di comportamento del collegio sindacale di società non quotate, settembre 2015, Norma 11.


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della società predisposti dal consiglio di gestione, nell’altro caso il comitato per il controllo sulla gestione è interna corporis del consiglio di amministrazione di cui condivide la natura e la qualificazione, pur trattandosi di comitato composto da amministratori non esecutivi24.

Limitando l’analisi alla disciplina dettata per il collegio sindacale - e per il sindaco unico qualora quest’ultimo fosse stato nominato nella s.r.l. - è indiscutibile che le previsioni della Legge delega recuperano e pubblicizzano un meccanismo incentrato su una serie di poteri doverosi che già esistono nella legge e che sono naturalmente destinati a trovare impiego per la risoluzione della crisi della società dall’interno.

Un meccanismo di allerta, infatti è già declinato nella legge (Codice civile e T.U.F.)25: la corretta osservanza dei precetti di legge da parte degli organi di controllo consentirebbe di intercettare tempestivamente segnali di crisi ovvero i c.d. sintomi di pre-crisi, risolvendo per tramite dei flussi informativi e per tramite di provvedimenti adeguati alla realtà imprenditoriale, dunque con rimedi esclusivamente endosocietari, il pericolo di insolvenza26.

Quindi, l’ordinamento già prevede una serie di strumenti validi al fine di intercettare segnali di assenza di continuità e di tentare una soluzione all’interno della società.
Tali strumenti ruotano attorno ad un organo, il collegio sindacale per quanto di nostro interesse, che per legge è già chiamato a vigilare sul rispetto della legge, sul rispetto dello statuto, sul rispetto dei principi di corretta amministrazione e sull’adeguatezza dell’assetto organizzativo, amministrativo e contabile adottato dalla società.

E dal momento che la legge assegna al collegio sindacale la vigilanza a che l’assetto organizzativo, amministrativo e contabile risulti adeguato (e per la dottrina più autorevole

24 L’aspetto non è di poco conto, considerato che viene previsto che gli organi di controllo della società devono avvisare immediatamente l’organo di amministrazione e in caso di inadeguata o omessa risposta da parte di quest’ultimo informare direttamente l’organismo di composizione della crisi. È di una certa evidenza come nel sistema tradizionale di amministrazione e controllo, dove la separazione tra la funzione di gestione e quella di vigilanza è netta, la tempestiva informativa all’organo di amministrazione da parte dell’organo di controllo interno troverà proficua applicazione. Su tali aspetti, cfr. CNDCEC, cit., Norma 11.1.

25 Con riferimento al c.d. modello tradizionale, cfr. artt. 2403 ss. c.c. e artt. 148 ss. del T.U.F.

26 Il tema della prevenzione della crisi è stato indagato da molti autori, tra cui, M. FABIANI, Misure di allarme per le crisi d’impresa, in Fall., 2004, pag. 827.

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un assetto è adeguato non solo to going concern bensì anche a rilevare tempestivamente la crisi)27 e che consenta di utilizzare tutte le informazioni acquisite dagli organi di amministrazione e dal revisore nell’esercizio dei propri poteri, la segnalazione agli organi di amministrazione declinata nella Legge delega n. 155/2017 potrebbe apparire superflua rispetto a quanto già previsto negli artt. 2381, 2403-bis, 2409-septies c.c. e negli artt. 150 e 151 T.U.F. (sempre che si parli di S.p.A. o di altre società di capitali, laddove tali previsioni si rendano applicabili, nei limiti di compatibilità).

Con riferimento ai termini, la Legge delega indica che la procedura di composizione assistita della crisi non può superare i sei mesi e che l’organismo di composizione è tenuto a comunicare al presidente della Sezione specializzata in materia di imprese del Tribunale competente territorialmente gli esiti negativi del tentativo di composizione.

A tale asserzione si potrebbe agevolmente replicare che l’intervento del presidente della Sezione specializzata in materia di impresa, altera la natura non giudiziale e confidenziale delle procedure di allerta e composizione. A ben vedere, tale fondamentale requisito delle procedure connota solamente la c.d. allerta interna, vale a dire la procedura di composizione gestita dagli organismi di composizione su segnalazione degli organi societari e del revisore legale e descritta in occasione dell’espletamento delle funzioni di vigilanza (per quanto concerne il collegio sindacale) già previste nell’ordinamento vigente.

In proposito, non si può trascurare che l’esternalizzazione della crisi e la pubblicità della procedura di composizione si verifica, oltre che nei casi della segnalazione da parte dei creditori qualificati, perfino al ricorrere della circostanza in cui il debitore richieda al Tribunale l’adozione di misure protettive, non solo nella fase di chiusura della procedura (cfr. il passo della relazione illustrativa dove si dichiara che ai fini di incoraggiare l’imprenditore ad adottare misure di allerta, “... si è previsto che esse siano contrassegnate

27 Aspetto già messo in evidenza nelle indicazioni diffuse dalle autorità di settore con riferimento alla vigilanza su società soggette a legislazione speciale, rispetto alle quali si è precisato che un assetto è adeguato quando esso è diretto a rilevare sintomi di crisi in modo tempestivo ed effettivo. Il pensiero corre alle Istruzioni di vigilanza per le banche, emanate da Banca Italia con circolare del 21 aprile 1999, n. 229, in forza del quale il sistema dei controlli interni è l’insieme delle regole, delle procedure e delle strutture finalizzate anche alla salvaguardia del valore delle attività e protezione delle perdite, concetti ribaditi anche da Isvap.

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da confidenzialità e si è preferito collocarle inizialmente al di fuori del Tribunale, per evitare che l’intervento del giudice possa essere percepito dal medesimo imprenditore o dai terzi come l’anticamera di una successiva procedura concorsuale di insolvenza....”).

Per tal motivo, nella audizione del CNDCEC si era dubitato della reale portata della natura non giudiziale e confidenziale della procedura di composizione: per essere tale e per non destare scalpore e allarme, la procedura dovrebbe a rigore restare interna alla società ed essere gestita attraverso le ordinarie dinamiche tra organi e soci. Osservazione condivisibile, dal momento che la corretta osservanza dei precetti di legge da parte degli organi di controllo consentirebbe di intercettare tempestivamente segnali di crisi ovvero i c.d. sintomi di pre-crisi, come già accennato. Occorre al riguardo precisare che i segnali di crisi dovrebbero coincidere con i casi in cui la continuità dell’attività venga a mancare, individuati sulla base delle valutazioni del revisore legale (cfr. principio di revisione ISA Italia 570) - e di cui il collegio sindacale non incaricato della revisione legale viene informato per tramite dello scambio di flussi informativi con il revisore ex art. 2409-septies c.c..

Nell’accertamento dello stato di crisi, è pertanto inequivocabile che l’impresa debba necessariamente affiancare ad un approccio di tipo consuntivo un altro di tipo preventivo.

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