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CONSIGLIO NAZIONALE. DEI DOTTORI COMMERCIALISTI E DEGLI ESPERTI CONTABILI mandato DOTT. ANDREA BONECHI

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CONSIGLIO NAZIONALE

DEI DOTTORI COMMERCIALISTI E DEGLI ESPERTI CONTABILI mandato 2008 - 2012

area di delega: R

IFORMA DELLE

P

ROFESSIONI Consigliere Delegato: DOTT.ANDREA BONECHI

DOTT.FABIO BATTAGLIA

Il mercato della professione di Dottore Commercialista:

a) efficacia economica della deontologia professionale e il valore della

autoregolazione;

b) "pig in poke phenomena" nei mercati credence goods e il paradossale riconoscimento delle associazioni in Italia.

ALLEGATO 2

al documento

PER UN MODELLO INTERPRETATIVO DEL MERCATO DELLE PROFESSIONI E NUOVI PROFILI DELLA CONCORRENZA

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Il mercato della professione di Dottore Commercialista:

a) efficacia economica della deontologia professionale e il valore della autoregolazione;

b) "pig in poke phenomena" nei mercati credence goods e il paradossale riconoscimento delle associazioni in Italia.

Il tema della concorrenza nelle libere professioni ed in particolare nel mercato della professione giuridico-economica, richiama la nostra categoria ad una profonda riflessione sulla modernizzazione della nostra professione, che ci spinge a sottolineare alcune questioni che sono attualmente fuori dal dibattito sulla concorrenza. I temi trattati nel presente articolo vogliono essere un contributo ad un dibattito forse troppo ingessato intorno a luoghi comuni e che non può nutrirsi soltanto di slogan, necessitando invece di un serio approfondimento scientifico.

a) efficacia economica della deontologia professionale e il valore della autoregolazione

Ha ormai più di dieci anni l’Indagine conoscitiva nel settore degli Ordini e dei Collegi professionali dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato. Quel pregevolissimo lavoro costituisce certamente una pietra miliare nell’approfondimento e nello studio del mercato professionale in Italia, ma riteniamo che lo stesso, soprattutto in riferimento alle professioni che non sono caratterizzate da accesso a numero chiuso e da esclusive di attività, meriti una revisione nelle sue conclusioni con particolare riferimento al ruolo della deontologia professionale. Il tema, affrontato ormai da anni1, tenta di superare la visione delle deontologie

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professionali come una sorta di male necessario da limitare al massimo, in quanto strumento delle professioni per rafforzare poteri monopolistici.

L’indagine dell’AGCM parte dal riconoscimento che nell’ambito professionale vi sono fattori che conducono al fallimento del mercato e come tali richiedono un certo grado di regolazione.

In primo luogo la adverse selection ossia il rischio che il cliente, non potendo determinare ex ante la qualità dei professionisti, tenda a selezionare solo i professionisti di qualità bassa, che non avendo investito sulla loro formazione, riescono a fare profitti a livelli di prezzo che spiazzano i professionisti di qualità e, in secondo luogo, il moral hazard e cioè il rischio che anche il professionista di alta qualità, non potendo il cliente neanche ex post misurare la qualità della prestazione e il grado di sforzo prodotto nella prestazione, tenda ad intascare una rendita mettendo nella prestazione uno sforzo minore. Partendo da questi presupposti l’indagine dell’AGCM richiama le categorie all’interno delle quali sono classificabili le prestazioni professionali:

1) search goods: le prestazioni la cui qualità è osservabile mediante una semplice ispezione all’atto della transazione;

2) experience goods: nel caso in cui il cliente sia in grado di valutare ex post la qualità della prestazione, dopo aver maturato una certa esperienza;

3) credence goods: le prestazioni in cui l’elevato grado di asimmetria informativa, non consente al cliente di identificare ex ante il tipo di prestazione di cui ha bisogno, né di valutare ex post la bontà della prestazione ricevuta.

Nei casi due e tre può accadere che il cliente riceva prestazioni di qualità inadeguata.

       

1Si fa riferimento al lavoro del Prof. Lorenzo Sacconi ed in particolare all’articolo ormai datato, ma quanto mai attuale, Fondamento ed efficacia delle deontologie professionali in Le professioni intellettuali tra liberalizzazione e nuova regolazione, a cura di Stefano Zamagni, Edizioni E.G.E.A. Il presente paragrafo è una sintesi del pensiero dell’autore.

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L’AGCM individua, inoltre, il concetto di “esternalità”. In taluni mercati la prestazione di un servizio può avere un impatto sui terzi oltre che sull’acquirente del servizio. Un controllo dei conti scorretto può essere fuorviante per i creditori o gli investitori. Un edificio mal costruito può mettere a repentaglio la sicurezza pubblica.

Vi è, dunque, il pericolo che i prestatori e gli acquirenti di questi servizi non tengano conto adeguatamente di questi effetti esterni.

Viene poi evidenziato il concetto di “beni pubblici”. Taluni servizi professionali sono destinati a produrre “beni pubblici” che presentano un valore per la società in generale. Tra tali servizi potrebbero rientrare la corretta amministrazione della giustizia o lo sviluppo di ambienti urbani di elevata qualità. In assenza di regolamentazione vi è il rischio che alcuni mercati di servizi professionali forniscano beni pubblici in quantità insufficiente o in modo inadeguato.

A seguito di ciò l’AGCM conclude che un certo grado di regolamentazioni restrittive sia necessario e che tali regolamentazioni siano da delegare agli stessi corpi professionali in virtù della competenza nel settore in cui operano, anche se ciò può condurre al rischio di un abuso nell’esercizio del potere delegato. In riferimento in particolare alla qualità di bene pubblico appare evidente che il professionista debba essere in grado di percepire una rendita dal proprio cliente tale da coprire i costi che lo stesso si sobbarca per far si che la sua prestazione non arrechi un vantaggio unicamente nei confronti del proprio cliente, ma che produca anche quelle esternalità positive di pubblico interesse. D’altra parte il cliente non sarà per propria volontà disponibile a pagare per la componente “bene pubblico” implicita nella prestazione.

Ammesso che sia possibile distinguere all’interno della prestazione la sua componente bene pubblico, potrebbe ipotizzarsi un professionista che, minimizzando la componente bene pubblico della sua prestazione, riduca i costi della prestazione del suo servizio potendo così offrire il servizio ad un minor prezzo, espellendo dal mercato dei servizi professionali coloro che si fanno carico della componente bene pubblico.

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L’esempio fatto consente di comprendere pienamente la necessità di prerogative degli Ordini tese a restringere l’accesso a quanti agiscono da free rider. Ciò non elimina il fatto che l’attribuzione di tali prerogative possa condurre ad un abuso di autorità.

In questo quadro l’AGCM sembra accogliere le deontologie come una sorta di male necessario, viste più come uno strumento di rafforzamento delle rendite e mai come un mezzo di tutela del consumatore. Insomma emerge il paradosso per cui etica professionale e tutela del consumatore appaiono come valori confliggenti.

Tale approccio deriva dall’avere quale riferimento il modello economico principale- agente. In base a tale approccio il principale assume l’agente per ottenere un servizio di lavoro per uno scopo e un risultato prestabilito, per il quale l’abilità e lo sforzo dell’agente sono ritenuti indispensabili in virtù della sua maggiore informazione.

Sotto questo assunto l’unico modo per il principale di garantire il massimo impegno dell’agente è quello di introdurre remunerazioni condizionali dipendenti dall’impegno profuso e dal risultato ottenuto. Tale rapporto si fonda su un presupposto di sfiducia che parte dalla coscienza che il principale è soggetto all’abuso dell’agente di cui non è in grado di valutare l’effettivo sforzo profuso, per cui la soluzione appare quella di costruire il rapporto principale-agente su forme di contrattazione incentivanti.

Tale teoria si fonda tuttavia sulla astratta possibilità di delineare contrattualmente il risultato concretamente voluto e l’impegno necessario del professionista per raggiungerlo. Tali elementi in realtà sono impossibili da predefinire. Lo sforzo da profondere in una pratica professionale e la valutazione dei risultati ottenuti, non sono precisamente definibili ex ante dai contraenti, per il fatto che alla stipula del contratto non è dato sapere in quali stati del mondo la funzione professionale verrà espletata e conseguentemente quanto sforzo sarà in essa necessario profondere. Vi sono variabili esogene che non sono prevedibili.

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Al di là di questo, l’impostazione proposta non tiene conto dell’archetipo della transazione professionale e cioè la relazione fiduciaria. Partendo da questo assunto, che meglio interpreta il rapporto tra professionista e cliente, si può tentare di costruire un modello nel quale il cliente si affida al professionista delegandogli autorità, a condizione che il professionista sia vincolato da precisi doveri fiduciari.

Se in base alla relazione fiduciaria è escluso un controllo puntuale dell’azione del fiduciario e, a seguito della particolar natura delle prestazioni professionali (credence goods), non è possibile al cliente verificare lo sforzo compiuto dal professionista e una valutazione del risultato raggiunto, allora la tutela del cliente si realizza attraverso l’imposizione di precisi doveri fiduciari.

Tali doveri possono essere sintetizzati nelle seguenti dimensioni:

- Conflitto, gli interessi del fiduciario non devono mai configgere con quelli del beneficiario;

- Influenza, il beneficiario deve potersi affidare al fiduciario senza essere mai impropriamente influenzato;

- Imparzialità, il fiduciario deve trattare in modo eguale beneficiari appartenenti ad una determinata classe ed in modo equo beneficiari appartenenti a classi diverse;

- Astensione, il fiduciario deve astenersi dal delegare ad altri i suoi doveri e dal porsi nelle condizioni da ridurre la sua capacità di agire nei confronti del beneficiario.

I doveri del fiduciario, quindi, costituiscono una sua limitazione di libertà che gli impediscono a monte di compiere atti in danno del beneficiario e che d’altra parte consentono al beneficiario di agire nei confronti del fiduciario senza essere gravato dal provare che un certo atto gli ha recato danno (cosa assai complessa vista la natura dei servizi prestati che necessitano di una particolare competenza), ma semplicemente dimostrando che il fiduciario ha agito violando quei doveri.

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Il delineare una cornice (i doveri fiduciari) all’interno della quale il fiduciario deve muoversi, consente altresì di superare la difficoltà di delineare un contratto che tenga conto di tutte le possibili variabili. Il contratto nel rapporto tra professionista e cliente sarà necessariamente incompleto, poiché è impossibile ex ante stabilire tutti gli stati del mondo possibili in cui il professionista dovrà operare nei confronti del cliente, le condizioni di partenza modificheranno di volta in volta sia lo sforzo necessario sia la qualificazione del risultato. Questo è il concreto significato da attribuire al concetto di “obbligo di mezzi e non di risultato”, il professionista dovrà approntare i mezzi necessari, dato un certo stato del mondo, per realizzare quel risultato che può essergli consentito date le condizioni di partenza e che, quindi, non è mai un risultato predefinibile all’atto della stipula del contratto. La lealtà ai doveri fiduciari consente di riempire i vuoti del contratto perché assicurano al beneficiario che il fiduciario compia lo sforzo necessario per realizzare il miglior risultato possibile, date le condizioni di partenza e gli eventi esogeni che si verificheranno durante la prestazione (appunto gli stati del mondo).

Questo modalità di rapporto deve peraltro tener conto delle esternalità e del carattere di bene pubblico della prestazione del professionista, per cui quel rapporto fiduciario non può esaurirsi tra cliente e professionista, ma deve allargarsi alla società, in una situazione di potenziale conflitto con il cliente, che naturalmente tenderà a non volersi sobbarcare i costi della componente bene pubblico della prestazione. Nel campo fiscale si pensi alla collusione tra professionista e cliente nella manipolazione dei dati fiscali al fine di aggirare l’obbligo fiscale.

Il discorso in realtà è molto più complesso di quanto qui sia stato brevemente delineato, anche se è possibile a questo punto delineare la deontologia come il punto di equilibrio degli interessi tra professionista e cliente, in armonia con gli interessi della collettività, sempre coinvolta, in via mediata, dagli effetti della prestazione professionale. In questo senso si spiega la necessità di cedere autorità al corpo professionale da parte dello Stato, proprio a tutela di un bene pubblico sotteso alla prestazione professionale. La delega di autorità effettuata dal cliente, che rimette

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decisioni che richiedono particolare competenza al professionista in assenza della possibilità di verificare l’esito della prestazione, e da parte dello Stato, avverranno nel quadro di un sistema etico di riferimento, la deontologia, che, quindi, in questo senso non può essere uno strumento per abusare dell’autorità, ma esattamente il contrario. La deontologia dovrà necessariamente essere costruita dal corpo professionale perché detentore delle conoscenze settoriali, ma lo stesso corpo professionale sarà interessato a far sì che la deontologia svolga proprio questa funzione, perché è essenzialmente attraverso queste norme superiori che gli sarà consentito espellere professionisti che agiscono al di fuori delle regole tentando di spiazzare i professionisti che agiscono lealmente, nonché tener fuori soggetti che del pari, in quanto privi di competenza e non avendo sostenuto i costi per costruirla, sono in grado di offrire i servizi professionali a prezzi inferiori o ancora che, non sentendosi vincolati alla deontologia, offrono tali servizi professionali, espellendo la componente bene pubblico, addossando ai terzi (collettività) le esternalità negative del loro agire.

Il sistema etico costruito attraverso la deontologia induce un gioco di reputazione applicato alle transazioni ripetute tra professionista e una serie di clienti. La deontologia non sarà, quindi, da intendersi come un complesso di regole astratte che il professionista dovrà applicare solo in ottemperanza ad un non ben definito senso di giustizia, ma come un sistema che per quanto limiti la sua libertà di azione, è accettato in quanto risponde al proprio interesse. La deontologia deve essere il luogo di incontro degli interessi in gioco di tutti gli stakeholder collegati all’attività professionale. In base a tale definizione la deontologia cessa di essere in conflitto con l’interesse del consumatore, non può costituire più un complesso di regole che favorisce l’abuso di autorità da parte dei professionisti, ma al contrario è il luogo della composizione dei conflitti potenziali esistenti tra professionista e cliente e tra relazione professionale e collettività. I clienti e la collettività, che non potevano trarre grandi informazioni dall’osservanza dei risultati della prestazione per i costi elevati che ciò comporterebbe, possono però verificare l’adesione del professionista agli

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reputazione che incentivano i professionisti ad aderire a quelle regole. Attraverso questo meccanismo si colma il gap cognitivo derivante dalla inevitabile incompletezza dei contratti tra il professionista e il cliente, dovuta alla non verificabilità sia dello sforzo profuso sia del risultato ottenuto.

In conclusione appare giusto mettere in discussione gli attuali codici deontologici, laddove alcune regole non appaiano realizzare questo intento, ma al contrario di quanto sembra essere l’indirizzo dominante, deve essere recuperato il valore economico delle deontologie, come luogo in cui si realizza la massimizzazione delle somme delle utilità di tutti i soggetti in gioco.

In una fase storica in cui tanto si parla di responsabilità sociale di impresa e di codici etici, apparirebbe assurdo non valorizzare, nel mercato professionale, la deontologia professionale, seppure rivisitata alla luce dei principi sopra esposti, non a tutela di ingiustificate posizioni di monopolio, ma a correggere i fallimenti del mercato dovuti all’intrinseca natura delle prestazioni professionali. La professione del Dottore Commercialista, non godendo di esclusive, né di limitazioni all’accesso, costituisce sicuramente un probante banco di prova per un sistema deontologico così delineato.

b) "pig in poke phenomena" nei mercati credence goods e il paradossale riconoscimento delle associazioni in Italia

Un proverbio inglese del XVI secolo così recitava: “I will neuer buy the pyg in poke”(2). La traduzione è “Io non comprerò mai un maiale in un sacco”.

Tale proverbio, divenuto nel tempo desueto, è stato assunto nella letteratura economica per indicare i mercati caratterizzati da prodotti le cui caratteristiche non possono essere verificate dal consumatore né ante né post acquisto. Si tratta appunto       

2Si noti che il termine “neuer” non è un errore in luogo di “never” bensì la sua antica etimologia.

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dei sopra citati credence goods. In questi mercati l’esperienza acquisita dal consumatore non è di per sé sufficiente per valutare il produttore/venditore, che dovrà essere giudicato in base a parametri diversi ed in particolare attraverso processi reputazionali che sono legati alle caratteristiche del produttore in quanto tale e non alle caratteristiche del prodotto offerto sul mercato. Il venditore, quindi, dovrà nel tempo essere in grado di costruirsi una reputazione fondata sulla adesione a determinati standard di qualità inevitabilmente forieri di costi. Se il processo funziona il venditore sarà stato in grado di costruire un brand che lo rende nel tempo riconoscibile dai consumatori, l’esperienza ripetuta e la conferma in termini di qualità, alimenta un circolo virtuoso nel quale il venditore vede tutelata la sua tensione alla qualità e il consumatore può acquistare con una ragionevole certezza che il prodotto acquisito sia di qualità e non cada in una truffa.

Questo è il processo positivo dei “pig in poke phenomena”, tuttavia vi è un aspetto negativo sempre in agguato. Nel breve-medio periodo infatti è possibile che venditori di bassa qualità spiazzino con prezzi inferiori i venditori di qualità, che non possono vendere a quei prezzi a causa del sostenimento dei costi dovuti all’elevato standard. I tempi sono tali da bruciare quel mercato e da rendere irreversibile l’uscita dal mercato dei venditori di qualità. Una volta eliminati i venditori di qualità, i venditori di bassa qualità avranno campo libero potendo ottenere rendite, adeguando i prezzi, in danno dei consumatori e comunque abbassando in modo irreversibile gli standard dei prodotti.

Il processo di analisi della qualità da parte dei consumatori, insomma, è assai complesso e sufficientemente lungo da favorire processi negativi di incentivazione dei venditori di bassa qualità.

Ciò è particolarmente vero nei mercati professionali in cui, nella maggioranza dei casi, i clienti solo sostenendo costi molto elevati potrebbero verificare la qualità della prestazioni, necessariamente ricorrendo ad altri professionisti dello stesso settore. A parte al diseconomicità di un tale controllo, nessun può poi garantire il cliente da

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stesso corpo professionale. Solo sistemi del tipo di quelli delineati nel precedente paragrafo possono realmente tutelare il consumatore.

In sostanza nei mercati dei credence goods si assiste ad un processo evolutivo complesso che contempla da una parte un processo di scelta del consumatore e dall’altra un conflitto tra venditori di qualità e non di qualità, in cui i venditori di qualità devono continuamente adoperarsi per distinguersi da quelli non di qualità, al fine di innestare nel processo evolutivo di conoscenza del consumatore le proprie

“credenziali”.

Ritengo che l’esperienza dei servizi contabili in Italia sia un esempio assai calzante di processo negativo. La contabilità è il principale strumento di controllo ed organizzazione per l’impresa, ma in Italia, soprattutto nelle imprese di piccole dimensioni, è stato essenzialmente percepito come un costo da sostenere per fare contento il Fisco. In questo processo nel quale il servizio contabile è stato fortemente svilito, le professioni contabili hanno purtroppo dato il loro negativo contributo. I professionisti avrebbero potuto utilizzare la contabilità a disposizione per sviluppare funzioni di consulenza aziendale di base a favore delle piccole imprese servite, ma invece di fare questo hanno preferito cogliere le rendite di posizione di una prestazione meramente materiale, la tenuta della contabilità, percependo compensi in media più alti dei costi sostenuti. Non appena sono intervenuti sul mercato soggetti assolutamente privi di qualità, ma con dimensioni organizzative importanti, hanno completamente spiazzato il mercato proponendo il servizio materiale di tenuta della contabilità a prezzi talmente bassi che nessun professionista poteva sostenere tenuto conto dei costi di formazione comunque sostenuti dal professionista e dall’assenza di economie di scala. Il servizio contabile è divenuto una mera attività materiale, senza alcuna reale utilità per l’imprenditore se non quella di adempiere ad un obbligo di legge.

Due processi hanno agito, il primo quello interno alle categorie professionali contabili, nelle quali professionisti di bassa qualità hanno portato ad un abbassamento della qualità della prestazione e successivamente da soggetti esterni

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che hanno completato l’opera riducendo il passaggio della contabilità ad una catena di montaggio.

I professionisti contabili di qualità sono stati totalmente espulsi dal mercato, in quanto ai prezzi attualmente praticati è impossibile tenere la contabilità, effettuando nel contempo la consulenza scaturente dalle informazioni da essa ritraibili. Ogni esternalità positiva della funzione contabile è stata annullata.

Questo processo conflittuale tra professionisti di qualità e non di qualità emerge con chiarezza nella professione contabile in quanto priva di esclusive. Esistono tutta una serie di soggetti che non hanno inteso affrontare la prova dell’esame (o semplicemente non hanno profuso l’impegno necessario per superarla), che non sono soggetti ad alcuna forma di controllo o autoregolazione e che, quindi, non hanno sostenuto alcun costo di formazione all’entrata ed in itinere. Oggi esistono tutta una serie di associazioni piuttosto autoreferenziali, nel senso che non hanno una vera e propria vita sindacale che coinvolge in modo organizzato una base, ma appaiono gestite dall’alto. Tali associazioni hanno svolto una forte attività di lobbying sfociata alfine nella proposta di un sistema duale (Ordini/associazioni), che se ha un qualche fondamento con riferimento a nuove professioni, non ha alcun motivo d’essere per le professioni giuridico contabili già esistenti. Il riconoscimento dello Stato o delle Regioni in favore di queste associazioni rischia di alimentare confusione nei consumatori.

Certo nessuno può impedire che alcuni soggetti per via privatistica si organizzino in associazioni, stabiliscano regole volte a distinguersi da altri professionisti non di qualità, sostengano i costi della formazione all’entrata ed in itinere, per presentarsi sul mercato con un marchio di qualità. Non pare però sia questa la finalità di queste associazioni, che invece è piuttosto quella di assumere un rigido statuto con il riconoscimento, ottenendo però un’entrata immediata e senza limitazioni per tutti coloro che adesso sono iscritti alla associazione stessa. L’impegnativo nuovo statuto rimarrebbe applicabile solo ai nuovi entrati, realizzando nell’immediato una sorta di

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intraprendere. Si finirebbe per celare dietro un percorso di qualità, tutta una serie di soggetti che non hanno sostenuto il costo di quel percorso e, quindi, si precostituirebbero le condizioni per il realizzo di rendite di posizione in favore di questi soggetti. Si tratta esattamente del processo negativo che sopra abbiamo osservato.

Ecco il paradosso! Le professioni contabili in Italia hanno conosciuto un virtuoso processo, certamente anche attraverso fallimenti, che ha condotto ad una selezione di soggetti caratterizzati da una qualità media sicuramente tutelante per i consumatori. Si può certamente ulteriormente perfezionare tale processo attraverso forme di autoregolazione sempre più rigorose per coloro che sono già nel sistema, senza creare ingiustificate barriere all’entrata, che oggi innegabilmente non esistono per le professioni contabili visto l’impressionante tendenza alla crescita degli ultimi anni ed ancora persistente. L’effetto di spiazzamento che, salvo il caso della contabilità, non è avvenuto per tutti gli altri tipi di consulenze, si sta realizzando non attraverso il mercato, ma attraverso una legge dello Stato. Insomma il sistema, con tutti i suoi limiti, ha garantito una cospicua entrata di nuovi soggetti, garantendo nel contempo un buon livello di qualità. Nelle professioni contabili, prive di numero chiuso e di riserve di attività, si è determinata una chiara distinzione tra iscritti ad Albi e Collegi e coloro che non lo sono, senza impedire l’operatività di questi soggetti certamente in media meno qualificati per l’incertezza del loro iter formativo.

Il processo di commistione e di potenziale spiazzamento dei professionisti di qualità lo sta creando lo Stato con una “legge-condono”. Un caso veramente unico al mondo e del tutto sconosciuto alla letteratura economica e sociologica del settore.

Avremmo voluto che l’Italia si distinguesse per i processi positivi e non per premiare la furbizia di soggetti che, in danno di migliaia di giovani che si sono sottoposti ad onerose prove, vogliono ottenere immeritati riconoscimenti che indurrebbero confusione nei consumatori e rischi di selezione avversa.

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Conclusioni

La nostra categoria non deve sottrarsi ad alcun confronto concorrenziale, ma deve desiderare farlo ad armi pari ed in un clima che riconosca gli sforzi di qualificazione e formazione nell’interesse certo dei professionisti stessi, ma anche dell’intera collettività ad ottenere i “pubblici benefici” intrinseci alle prestazioni professionali.

DOTT.FABIO BATTAGLIA

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

¾ Fenn Paul, Gray Alastair, Rickman Neil, Standard fees for legal aid: an empirical analysis of incentives and contracts, Oxford Economic Papers (2007),

¾ Arrow Kenneth, Uncertainty and the welfare economics of medical care, American Economic Review, 53, 941–73.

¾ Andersen Esben Sloth, Philipsen Kristian, The evolution of credence goods in customer markets: exchanging `pigs in pokes',

¾ Darby, M. R. and Karni, E.: Free competition and the optimal amount of fraud, in Journal of Law and Economics 16, 67-88.

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¾ Lorenzo Sacconi- Stefano Moretti, Fuzzy norms, default reasoning and equilibrium selection in games under unforeseen contingencies and incomplete knowledge, in LIUC PAPERS n. 104.

¾ Lorenzo Sacconi, Fondamento ed efficacia delle deontologie professionali in Le professioni intellettuali tra liberalizzazione e nuova regolazione, a cura di Stefano Zamagni, Edizioni E.G.E.A.

¾ Lorenzo Sacconi, Incomplete contracts and corporate ethics: a game theoretical model under fuzzy information, in LIUC PAPERS n. 91;

¾ Lorenzo Sacconi, Può l’impresa fare a meno di un codice morale?, quaderno n. 10, Associazione per lo Sviluppo degli Studi di Banca e Borsa e Università Cattolica del Sacro Cuore;

Riferimenti

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