L’alimentazione della bovina in lattazione quale strategia per diminuire l’escrezione azotata
Stefania Colombini
Dipartimento di Scienze Agrarie e Ambientali – Università degli Studi di Milano
L’efficienza di utilizzazione dell’azoto per valutare la razione
L’efficienza di utilizzazione dell’azoto (azoto del latte/azoto ingerito*100) è il primo parametro stimabile a livello di mandria per valutare l’adeguatezza della dieta per il tenore proteico. Valori medi di efficienza del 30% sono comuni in stalle da latte “intensive”; va però evidenziato come valori >35% possano essere ottenuti senza compromettere la salute degli animali e con degli effetti positivi in termini economici e di sostenibilità ambientale.
Al contrario, bassi valori di efficienza (<25%) richiedono un intervento correttivo della dieta somministrata agli animali.
Somministrare diete con un adeguato tenore proteico
Uno studio di meta-analisi (Huhtanen e Hristov, 2009) ha infatti confermato che il tenore proteico della dieta è il fattore più importante per aumentare l’efficienza di utilizzazione dell’azoto e quindi diminuire l’escrezione azotata, soprattutto di quella urinaria. Nel passato, soprattutto nei paesi con una zootecnia intensiva, si tendeva a fornire razioni con un surplus di proteina con tutte le conseguenze negative sull’ambiente. Ad esempio, il livello di proteina grezza fornito a razioni per bovine da latte nel Wisconsin nel 1998, era pari a 19,4 % s.s. (con una produzione di latte nell’intera lattazione di 14200 kg) mentre nel 2010 il livello è stato di 16,9% senza nessun calo nella produzione di latte che è al contrario aumentata (15550 kg) (Broderick, 2016). Pirondini et al. (2012) riportano tenori proteici (% s.s) di 11,5 e 15,5 per razioni per bovine in asciutta o in lattazione raccolte nella pianura padana (produzione di latte di circa 30 l/d. In tabella 1 si riportano i risultati di uno studio statunitense (Colmenero e Broderick, 2006) finalizzato a valutare produzione di latte e escrezione azotata di bovine alimentate con diete con un diverso tenore proteico (da 13,5 a 19,4 % s.s.); i risultati migliori per quanto riguarda la produzione di latte, che è stata però molto elevata con una media di 37,1 kg/d, si sono ottenuti con la dieta con il 16,5% di PG; come atteso invece l’aumento di PG della dieta aumenta l’escrezione di azoto urinario (% azoto ingerito).
Tabella 1. Produzione di latte e escrezione azotata di bovine alimentate con diete con un diverso livello proteico (Colmenero e Broderick, 2006).
Proteina grezza dieta 13,5 15,0 16,5 17,9 19,4
SSI kg/d 22,3 22,2 23 22,3 22,9
Latte kg/d 36,3 37,2 38,3 36,6 37
Grasso % 3,14 3,27 3,27 3,47 3,44
Proteina % 3,09 3,15 3,09 3,18 3,16
Azoto feci % N ingerito 40,3 32,9 32,0 30,5 29,6 Azoto Urine % N ingerito 23,8 26,6 29,8 33,2 36,2
Analisi dell’urea del latte
L’analisi dell’urea del latte è un indicatore di facile determinazione che può consentire di valutare l’adeguatezza della razione in termini degli apporti proteici. In figura 1 è evidenziata la relazione tra efficienza di utilizzazione dell’azoto e urea del latte su un dataset di campioni molto ampio; a livello pratico quindi monitorare da una parte l’urea del latte e dall’altra stimare l’efficienza di utilizzazione dell’azoto sono buone pratiche gestionali che gli allevatore/tecnici dovrebbero fare come prassi routinaria di buona tecnica di allevamento. Il miglioramento dell’efficienza dell’azoto è altresì reso possibile bilanciando correttamente le razioni per quanto riguarda l’apporto di carboidrati; il lavoro di metanalisi precedentemente citato (Huhtanen e Hristov, 2009) ha infatti dimostrato come l’efficienza di utilizzazione dell’azoto sia positivamente influenzata dalla concentrazione di amido delle razioni e negativamente influenzata da quella in fibra.
Senza eccedere quindi con gli apporti, per evitare l’insorgere di dismetabolie, fornire all’animale ruminati fonti energetiche più rapidamente fermentescibili consente di utilizzare meglio l’azoto ingerito con la dieta, diminuendo quindi l’escrezione azotata urinaria.
Figura 1. Relazione tra efficienza di utilizzazione dell’azoto e urea del latte (Broderick, 2006 su dati di aziende svedesi e del Wisconsin).
Alimentazione per gruppi
Qualora la dimensione aziendale lo consenta, l’alimentazione per gruppi in funzione del livello produttivo e quindi dello stadio di lattazione o dell’ordine di parto, può essere utile per migliorare l’efficienza di utilizzazione dell’azoto. In particolare un tenore proteico superiore può essere utilizzato per la razione delle bovine più produttive o nella prima fase della lattazione. In tabella 3, sono riportati i valori dei principali costituenti chimici di razioni unifeed per bovine in lattazione di aziende lombarde che somministrano un’alimentazione per gruppi in funzione dello stadio di lattazione. Generalmente, in particolare per cinque delle sette aziende considerate, il tenore proteico risulta superiore per le bovine “fresche” (16,3 vs 15,4 % s.s. rispettivamente per le bovine fresche e quelle del gruppo unico).
Tabella 2. Composizione chimica di razioni unifeed lombarde in funzione dello stadio di lattazione
azienda gruppo PG NDF amido
1 bassa produzione 15.2 36.2 24.9
1 fresche 15.9 33.5 26.9
2 bassa produzione 14.7 35.5 26.9
2 fresche 15.9 33.1 28.9
3 bassa produzione 16.7 29.6 26.9
3 fresche 16.5 29.9 29.8
4 bassa produzione 15.5 32.4 25.1
4 fresche 16.4 30.1 25.7
5 bassa produzione 14.7 34.7 25.2
5 fresche 15.9 34.6 22.5
6 bassa produzione 16.8 30.8 25.3
6 fresche 17.2 29.1 25.1
7 bassa produzione 16.3 30.1 27.9
7 fresche 15.9 32.2 28.5
Media bassa produzione 15.7 32.8 26.0
Media Fresche 16 32 27
In maniera analoga, seppure non venga fatto come si dovrebbe anche nelle aziende di grosse dimensioni, diminuire il tenore proteico della dieta nell’ultimo stadio di lattazione, è un’ulteriore strategia da considerare. Law et al. (2009) hanno evidenziato come a partire dal 151 giorno di lattazione una diminuzione del tenore proteico della razione da 17,3 a 14,4 % s.s. non abbia comportato effetti negativi sulla produzione di latte. In maniera analoga Barros et al. (2017) hanno testato quattro livelli proteici (16,2; 14,4; 13,1 e 11,8%) della razione di bovine con più di 150 giorni di lattazione evidenziando come un tenore proteico del 14,4% sia riuscito a mantenere la produzione di latte che è stata rispettivamente di 31,8 – 31,4 – 29,0 e 25,5 kg/d per i quattro livelli considerati.
Proteina metabolizzabile e fabbisogni amminoacidici
Per quanto riguarda la nutrizione azotata, la conoscenza del solo tenore proteico della dieta non è però più sufficiente a valutare la correttezza della razione, è infatti importante conoscere anche il contenuto in proteina metabolizzabile e la composizione in
aminoacidi, con particolare attenzione ai due amminoacidi essenziali maggiormente limitanti la produzione di latte: lisina e metionina. Concettualmente la proteina metabolizzabile rappresenta la quantità di aminoacidi che giungono all’intestino della bovina; questi aminoacidi sono derivati in parte dalla quota di proteina della dieta indegradata nel rumine e in parte dalla proteina microbica che si forma durante le fermentazioni ruminali.
Un adeguato tenore in metionina e lisina delle razioni (specialmente se rumino-protette) può consentire di abbassare il tenore proteico della dieta con una diminuzione dell’impatto ambientale dell’allevamento. A questo riguardo, ad esempio, uno studio di Chen et al. (2011) ha dimostrato che bovine altamente produttive (41,7 kg latte/d), alimentate con diete con un tenore proteico del 15,6% e integrate con diverse fonti di metionina rumino-protetta, hanno avuto una minore escrezione azotata e performance produttive simili a quelle di bovine alimentate con diete con un tenore proteico del 16,8%.
Lee et al. (2015) hanno testato gli effetti di una dieta controllo rispetto ad una dieta carente in proteina metabolizzabile e a una dieta carente in proteina metabolizzabile integrata con metionina o lisina rumino-protette. L’utilizzo di aminoacidi rumino-protetti ha consentito di diminuire l’escrezione giornaliera di azoto urinario senza compromettere l’ingestione di sostanza secca, la produzione di latte (circa 40 kg/d) e la digeribilità della frazione fibrosa. Questo studio inoltre ha mostrato dei risultati interessanti circa l’efficienza di utilizzazione degli aminoacidi per la sintesi di proteina del latte che è risultata maggiore per la dieta carente in proteina metabolizzabile; in prospettiva futura, in un’ulteriore ottica di miglioramento dell’efficienza, è quindi importante, nei modelli di razionamento, utilizzare efficienze di utilizzazioni variabili per ogni singolo amminoacido anche in funzione delle caratteristiche della dieta (Lee et al. 2015).
Precision feeding e alimentazione azotata
Definire correttamente la quota di proteina metabolizzabile non è facile poiché numerosi sono i fattori che la influenzano. L’utilizzo di modelli di razionamento, implementati in software, consente oggigiorno di poter stimare gli apporti al fine di formulare/correggere la dieta in funzione delle materie prime (disponibili in azienda o acquistabili sul mercato) e della loro composizione chimica. Questi aspetti si inseriscono in un’ottica di alimentazione di precisone o di “precision feeding”, ossia formulare razioni
“personalizzate e controllate per le bovine,” che permettano agli allevatori di fare scelte
alimentari razionali ed efficaci a seconda delle specifiche esigenze degli animali grazie all’ausilio dell’informatica, della telematica e della robotica.
Secondo quanto riportato in una recente revisione (Mireille et al., 2016) nell’ottica di un’alimentazione di precisione, oltreché fornire adeguati quantitativi di nutrienti in funzione dei fabbisogni, andrebbero implementati approcci che possano migliorare la digestione dei nutrienti e la disponibilità degli stessi nell’ottica di un miglioramento complessivo dell’efficienza alimentare (kg latte/kg SS ingerita). Secondo quanto riportato dalla FAO (2012) e da Bewley (2014), nell’ottica di diminuire l’impatto delle produzioni zootecniche alcuni aspetti cruciali da considerare sono:
uso efficiente di risorse prodotte a livello locale;
aumento della dairy efficiency;
aumento della produzione e qualità del latte;
riduzione dei costi di alimentazione e conseguente aumento del reddito.
Gli approcci individuati dagli autori dello studio in particolare riguardano: analisi rapida delle materie prime della dieta che non considerino la sola composizione chimica, alimentazione individuale degli animali, ottimizzazione della digestione nel rumine e nei tratti successivi e ottimizzazione dell’efficienza di assorbimento degli aminoacidi. Tra lesoluzione pratiche consigliate, ad esempio, l’utilizzo di foraggi insilati piuttosto che affienati è una strategia che può consentire di aumentare l’ingestione di sostanza secca e la produzione di latte, diminuendo quindi l’impatto per kg di prodotto ottenuto.
Bibliografia
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