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Protagonisti della vicenda sono, per l appunto, gli hobbit, piccoli esseri dolci come il miele e resistenti come le radici di alberi secolari, che

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Lo Hobbit

Pubblicato per la prima volta nel 1937, Lo Hobbit è per i lettori di tutto il mondo il primo capitolo del Signore degli Anelli, uno dei massimi cicli narrativi del XX secolo.

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Protagonisti della vicenda sono, per l‟appunto, gli hobbit, piccoli esseri “dolci come il miele e resistenti come le radici di alberi secolari”, che vivono con semplicità e saggezza in un idillico scenario di campagna: la Contea. La placida esistenza degli hobbit viene turbata quando il mago Gandalf e tredici nani si presentano alla porta dell‟ignaro Bilbo Baggins e lo trascinano in una pericolosa avventura. Lo scopo è la riconquista di un leggendario tesoro, custodito da Smaug, un grande e temibile drago. Bilbo, riluttante, si imbarca nell‟impresa,

inconsapevole che lungo il cammino s‟imbatterà in una strana creatura di nome Gollum.Questa edizione vede la nuova traduzione della Società Tolkieniana Italiana, e le splendide illustrazioni di Alan Lee.

John Ronald Reuel Tolkien nacque nel 1892 a Bloemfontein, nel Sudafrica, da genitori inglesi. Insegnò lingua e letteratura anglosassone a Oxford.

Morì a Bournemouth, nello Hampshire, nel 1973. I suoi testi sono stati tradotti in più di quaranta lingue.

La trilogia Il Signore degli Anelli è stata definita il libro del XX secolo. Tra le altre sue opere, tutte pubblicate da Bompiani, ricordiamo: Il Silmarillion, Lo Hobbit annotato, Albero e foglia, Le avventure di Tom Bombadil, Racconti perduti, Il cacciatore di draghi, La leggenda di Sigurd e Gudrún e I figli di Húrin.

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Titolo originale

THE HOBBIT OR THERE AND BACK AGAIN

© The J R R Tolkien Estate Limited 1937, 1965 New editionpublished by arrangement

with HarperCollinsPublishers Ltd.

77-85 Fulham Palace Road Hammersmith, London W6 8JB

Illustrazioni © Allan Lee 1997 Editing di Vincenzo Vega

Realizzazione editoriale: Perroni&Morli Studio – Taormina eISBN 978-88-58-75743-7

© 2003/2012 Bompiani/RCS Libri S.p.A.

Via Angelo Rizzoli 8 – 20132 Milano

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Prima edizione 2012 da edizione edizione Tascabili Bompiani luglio 2012

Illustrazione di copertina: © Alan Lee. Progetto grafico: Polystudio.

Quest‟opera è protetta dalla Legge sul diritto d‟autore.

È vietata ogni duplicazione, anche parziale, non autorizzata TASCABILI BOMPIANI 1210

Questa è una storia di tanto tempo fa. A quel tempo gli idiomi e le lettere dell‟alfabeto erano molto diversi da quelli dei nostri giorni. Per rappresentare quegli idiomi si è usata la nostra lingua.

Le rune erano lettere antiche, originariamente ottenute intagliando o graffiando legno, pietre o metalli, ed erano pertanto sottili e spigolose. Al tempo di questa storia solo i nani ne facevano uso regolare, specialmente per documenti privati o segreti. In questo libro le loro rune sono sostituite dalle nostre antiche rune, che ormai sono note solo a poche persone. Confrontando le rune della Mappa di Thror con la trascrizione in lettere moderne, se ne può scoprire l‟alfabeto, adattato alla lingua moderna, e si può anche leggere il titolo in runico all‟inizio di questa pagina. Sulla Mappa si trovano tutte le rune normali, tranne quelle per la effe, per la kappa, per la ics e per la ipsilon.

La j e la v si scrivono come la i e la u. Non c‟era nessuna runa per la q (si usi il gruppo cw); né per la z (se necessario, si può usare la runa nanesca ). Si noterà peraltro che alcune singole rune sostituiscono coppie di lettere moderne (per es. = th; = ea; = st; = ee). La porta segreta era contraddistinta da una P; questa era a sua volta indicata dal disegno laterale di una mano, sotto il quale era scritto:

Le ultime due rune sono le iniziali di Thror e Thrain.

Le rune lunari lette da Elrond erano:

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Sulla Mappa, i punti cardinali sono indicati in caratteri runici; l‟Est è in alto, come sempre nelle mappe dei nani; pertanto si leggono in senso orario: E(st), S(ud), O(vest), N(ord).

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UNA FESTA INATTESA

In un buco nella terra viveva uno hobbit. Non era un buco brutto, sudicio e umido, pieno di vermi e intriso di puzza, e nemmeno un buco spoglio, arido e secco, senza niente su cui sedersi né da mangiare: era un buco-hobbit, vale a dire comodo.

Aveva una porta perfettamente rotonda come un oblò, dipinta di verde, con un lucido pomello d‟ottone proprio nel mezzo. La porta si apriva su un ingresso a forma di tubo, simile a un tunnel: un tunnel molto confortevole, senza fumo, con pareti rivestite di legno e pavimento di piastrelle ricoperto di tappeti, provvisto di sedie lucidate e di un gran numero di attaccapanni per cappelli e cappotti: lo hobbit amava ricevere visite. Il tunnel, lungo e tortuoso, penetrava abbondantemente – anche se non fino in fondo – nel fianco della collina (o meglio della Collina, come la chiamavano gli abitanti della zona nel raggio di molte miglia) e molte porticine rotonde si aprivano su di esso, prima da un lato e poi dall‟altro. Per lo hobbit, niente piani superiori: le stanze da letto, i bagni, le cantine, le dispense (assai numerose), i guardaroba (c‟erano intere camere destinate agli abiti), le cucine e le sale da pranzo erano tutti sullo stesso piano, anzi sullo stesso corridoio. Le stanze migliori erano tutte sul lato sinistro (entrando), perché erano le uniche ad avere finestre: finestre rotonde e profondamente incassate, che davano sul suo giardino e più in là sui campi che digradavano verso il fiume.

Lo hobbit di cui parliamo era uno hobbit alquanto agiato, e il suo nome era Baggins. I Baggins vivevano nel circondario della Collina da tempi immemorabili, e la gente li considerava assai rispettabili, non solo perché molti di loro erano ricchi, ma anche perché non avevano mai avuto avventure né fatto niente di imprevedibile: si poteva presupporre l‟opinione di un Baggins su un argomento qualsiasi senza darsi la pena di chiedergliela. Questa è la storia di come un Baggins ebbe un‟avventura e si trovò a fare e dire cose del tutto imprevedibili. Può anche

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aver perso il rispetto del vicinato, ma guadagnò… be‟, vedrete voi stessi se alla fine guadagnò qualcosa.

La madre di questo particolare hobbit… Ma cos‟è uno hobbit? Immagino che oggigiorno gli hobbit vadano in qualche modo descritti, visto che sono diventati rari e timorosi della Gente Grossa, come ci chiamano. Gli hobbit sono (o erano) gente piccola, alta all‟incirca la metà di noi, e più bassa dei barbuti nani. Gli hobbit non hanno barba. In loro c‟è poco o niente di magico, a parte quella magia di tipo comune e quotidiano che li aiuta a sparire silenziosi e rapidi quando persone ingombranti e stupide come me e voi gli capitano intorno, con un rumore da

elefante che essi sono in grado di sentire a un miglio di distanza. Tendono a metter su un po‟ di pancia; vestono di colori vivaci (soprattutto verde e giallo); non

portano scarpe, perché i loro piedi sviluppano piante naturalmente coriacee nonché una fitta e calda peluria castana simile alla roba che hanno in testa (che è

riccioluta); hanno lunghe dita abili e scure, facce gioviali, e le loro risate sono profonde e pastose (soprattutto dopo il pranzo, che consumano due volte al giorno, quando ci riescono). Adesso ne sapete abbastanza per proseguire. Come dicevo, la madre di questo hobbit – cioè di Bilbo Baggins – era la famosa Belladonna Tuc, una delle tre notevoli figlie del Vecchio Tuc, capo degli hobbit che vivevano di là dall‟Acqua, ossia il piccolo fiume che scorreva ai piedi della Collina. Si diceva spesso (in altre famiglie) che in tempi remoti uno degli antenati dei Tuc dovesse avere preso in moglie una fata. Ovviamente era un‟idea assurda, ma c‟era

nondimeno qualcosa di non del tutto hobbit in loro, e di tanto in tanto qualche membro del clan Tuc si metteva in cammino e andava a caccia di avventure. Si dileguava con discrezione, e la famiglia metteva tutto a tacere; ma restava il fatto che i Tuc non fossero rispettabili come i Baggins, pur essendo indubbiamente più ricchi.

Non che Belladonna Tuc avesse mai avuto una qualsiasi avventura dopo aver sposato Bungo Baggins. Bungo, il padre di Bilbo, aveva costruito per lei (e in parte col denaro di lei) il più lussuoso buco da hobbit che si potesse trovare sotto la Collina o sopra la Collina o di là dall‟Acqua, e lì erano rimasti sino alla fine dei loro giorni. È tuttavia probabile che Bilbo, che era il loro unico figlio, pur avendo aspetto e modi identici a una seconda edizione del solido e tranquillo genitore, avesse ereditato dalla parte Tuc qualcosa di strano nella sua natura, qualcosa che aspettava solo l‟occasione buona per manifestarsi. L‟occasione buona non arrivò prima che Bilbo Baggins fosse adulto, quando aveva all‟incirca cinquant‟anni e viveva nel bel buco da hobbit costruito da suo padre, quello che vi ho appena descritto, e sembrava essersi sistemato per sempre.

Per un caso curioso, un mattino di molto tempo fa, nella quiete del mondo, quando c‟era meno rumore e più verde e gli hobbit erano ancora numerosi e prosperi, e Bilbo Baggins indugiava sulla soglia dopo colazione fumando un‟enorme pipa di legno che gli arrivava fin quasi alle lanose dita dei piedi

(accuratamente spazzolate), ecco arrivare Gandalf. Gandalf! Se aveste sentito su di lui solo un quarto di quello che ho sentito io, e anch‟io ho sentito ben poco di tutto quello che c‟è da sentire, vi aspettereste subito una qualche storia fuori dal

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comune. Storie e avventure spuntavano da ogni lato ovunque egli andasse, e del tipo più straordinario. Era da tantissimo tempo che Gandalf non si addentrava sotto la Collina, per l‟esattezza da quando era morto il suo amico Vecchio Tuc, e gli hobbit avevano quasi dimenticato il suo aspetto. Era andato oltre la Collina e di là dall‟Acqua per certi suoi affari quando loro erano ancora dei piccoli hobbit.

Tutto quello che l‟ignaro Bilbo vide quel mattino fu un vecchio con un bastone.

Aveva un alto cappello blu a punta, un lungo mantello grigio, una sciarpa argentea sopra la quale la sua lunga barba bianca penzolava fin sotto la vita, e immensi stivali neri.

“Buon giorno!” disse Bilbo; e lo pensava davvero. Il sole brillava e l‟erba era verdissima. Ma Gandalf lo guardò da sotto le lunghe sopracciglia irsute ancora più sporgenti della tesa del suo cappello.

“Cosa vuoi dire?” disse. “Mi auguri un buon giorno, o vuoi dire che è un buon giorno che mi piaccia o no? O che quest‟oggi ti senti buono, o che è un giorno in cui si deve essere buoni?”

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“Queste quattro cose insieme,” disse Bilbo. “È per di più un bellissimo giorno per una pipata all‟aperto. Se avete una pipa con voi, sedetevi e prendete un po‟ del mio tabacco! Non c‟è fretta: abbiamo tutto il giorno davanti a noi!” E Bilbo si sedette su un sedile accanto alla porta, incrociò le gambe e fece un bell‟anello di fumo grigio che si levò in aria senza rompersi e si diresse sopra la Collina.

“Che bello!” disse Gandalf. “Ma stamattina non ho tempo di fare anelli di fumo.

Cerco qualcuno con cui condividere un‟avventura che sto organizzando, ed è molto difficile trovarlo.”

“Lo credo bene… da queste parti! Noi siamo gente tranquilla e alla buona e non sappiamo che farcene delle avventure. Son cose brutte, fastidiose e scomode!

Fanno far tardi a cena! Non riesco a capire cosa ci si trovi di bello!” disse il nostro signor Baggins e, infilati i pollici sotto le bretelle, fece un anello di fumo ancor più grande. Poi tirò fuori la posta del mattino e cominciò a leggerla, fingendo di

ignorare completamente il vecchio. Aveva deciso che non era proprio il suo tipo, e voleva che se ne andasse. Ma il vecchio non si mosse. Stava fermo, appoggiato al suo bastone, fissando lo hobbit senza dire niente, finché Bilbo si sentì a disagio e anche un po‟ seccato.

“Buon giorno!” disse alla fine. “Non vogliamo nessuna avventura qui, grazie tante! Potete tentare sopra la Collina o di là dall‟Acqua.”

Con ciò voleva dire che la conversazione era conclusa.

“Quel tuo Buon giorno lo usi per un sacco di cose!” disse Gandalf. “Adesso vuoi dire che ti vuoi sbarazzare di me e che il giorno non sarà buono finché non me ne sarò andato.”

“Macché, macché, caro signore! Vediamo un po‟. Non credo di conoscere il vostro nome…”

“Massì, massì, caro signore! E io il tuo lo conosco, signor Bilbo Baggins. E tu il mio lo conosci, anche se non ricordi che sono io a portarlo. Io sono Gandalf, e Gandalf significa me! Non avrei mai immaginato di ritrovarmi buongiornato dal figlio di Belladonna Tuc, come se fossi un venditore ambulante di bottoni!”

“Gandalf, Gandalf! Che mi venga un colpo! Lo stregone vagabondo che diede al Vecchio Tuc un paio di magici gemelli di diamanti che si attaccavano da sé e non si staccavano finché non glielo si ordinava? Il tipo che alle feste raccontava storie meravigliose, con draghi, orchi, giganti, e salvataggi di principesse, e inattese fortune di figli di vedove? L‟uomo che sapeva fabbricare quei fantastici fuochi d‟artificio? Quelli sì che me li ricordo! Il Vecchio Tuc li faceva alla vigilia di Mezza Estate. Splendidi! Salivano come enormi gigli, bocche di leone e ginestre di fuoco, e rimanevano sospesi nel crepuscolo per tutta la sera!” Vi sarete accorti che il signor Baggins non era proprio così prosaico come amava credere, e che inoltre era molto amante dei fiori. “Che mi colga un fulmine!” continuò. “Sei proprio il Gandalf che spinse tanti bravi ragazzi e ragazze a partire per l‟Ignoto in cerca di pazze avventure? Qualunque cosa: dall‟arrampicarsi sugli alberi al visitare elfi o andare per nave e far vela per altri lidi! Che il cielo mi perdoni, la vita era proprio interess… voglio dire, un tempo avevi l‟abitudine di metter tutto sottosopra da queste parti! Ti chiedo scusa, ma non avevo idea che fossi ancora in affari!”

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“Che altro dovrei fare?” disse lo stregone. “Ma sono contento lo stesso di vedere che ricordi qualcosa di me. Sei gentile a ricordare almeno i miei fuochi d‟artificio, e questo mi fa sperare bene. Sì, certo! Per amore del tuo vecchio nonno Tuc e per amore della povera Belladonna, ti darò quello che mi hai chiesto!”

“Perdonami, ma io non ho chiesto niente!”

“E invece sì, e per ben due volte. Ti perdono. Anzi, farò di più: ti darò una bella parte in quest‟avventura, molto divertente per me, ottima per te, e anche proficua, probabilmente, se riuscirai a venirne fuori.”

“Nossignore! Io non voglio nessuna avventura, grazie! Non oggi! Buon giorno!

Però vieni pure a prendere il tè quando ti pare! Perché non domani? Vieni domani!

Arrivederci!” Detto questo, lo hobbit si girò, svignandosela per la verde porta rotonda, e chiudendola appena poté farlo senza apparire maleducato. In fondo, gli stregoni sono sempre stregoni.

„Come mi è venuto in mente di invitarlo a prendere il tè?‟ disse tra sé e sé

andando in dispensa. Aveva appena fatto colazione, ma pensò che una torta o due e un bicchierino gli avrebbero fatto bene dopo lo spavento.

Frattanto Gandalf era rimasto davanti alla porta, ridendo di cuore ma senza far rumore. Dopo un po‟ si mosse e con la punta del bastone tracciò uno strano segno sul bel portoncino verde dello hobbit. Poi si allontanò a grandi passi, più o meno mentre Bilbo finiva la sua seconda torta e cominciava a pensare che era stato molto abile nell‟evitare avventure.

Il giorno dopo, Bilbo aveva quasi dimenticato Gandalf. Non era bravo a ricordare le cose, a meno che non le annotasse sulla lavagnetta dove segnava gli appuntamenti, più o meno così: “Gandalf. Tè. Mercoledì”. Ma quel giorno era stato troppo agitato per poter fare qualcosa del genere.

Proprio un istante prima dell‟ora del tè, il campanello della porta suonò

furiosamente, e allora Bilbo ricordò! Corse a metter su la cuccuma per l‟acqua, tirò fuori un‟altra tazza e un piattino, una o due torte in più, e corse alla porta.

Stava per dire: “Mi dispiace tanto di averti fatto aspettare!”, quando vide che non era affatto Gandalf. Era un nano con una barba blu infilata in una cintura d‟oro, e occhi vivacissimi sotto il cappuccio verde scuro. Appena la porta fu aperta, il nano si infilò dentro, come se fosse atteso.

Appese il mantello con cappuccio sull‟attaccapanni più vicino e: “Dwalin, al vostro servizio!” disse con un leggero inchino.

“Bilbo Baggins, al vostro!” disse lo hobbit, troppo sorpreso per poter far domande. Quando il silenzio che seguì divenne imbarazzante, aggiunse: “Stavo proprio per prendere il tè; volete avere la cortesia di venire a prenderne una tazza con me?” Un po‟ troppo formale, forse, ma l‟intenzione era gentile. D‟altra parte, voi cosa fareste se vi arrivasse un nano inatteso e appendesse le sue cose nel vostro ingresso senza una parola di spiegazione?

Non erano a tavola da molto – in effetti, avevano a malapena attaccato la terza torta – quando il campanello suonò ancora, e più forte di prima.

“Scusatemi!” disse lo hobbit, e andò ad aprire la porta. “Finalmente sei

arrivato!” avrebbe detto a Gandalf. Ma non era Gandalf. Al suo posto, sulla soglia,

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c‟era un nano dall‟aspetto decrepito, con la barba bianca e il cappuccio scarlatto; e anche lui balzò all‟interno appena la porta fu aperta, proprio come se fosse stato invitato.

“Vedo che cominciano ad arrivare,” disse il nano, scorgendo il cappuccio verde di Dwalin appeso all‟attaccapanni. Vi appese accanto il suo cappuccio rosso, e con la mano sul petto, disse: “Balin, al vostro servizio!”

“Grazie!” disse Bilbo sbigottito. Non era la risposta giusta, ma la frase

cominciano ad arrivare l‟aveva sconvolto. I visitatori gli piacevano, ma gli piaceva conoscerli prima che arrivassero, e preferiva essere lui a invitarli. Fu colto dal terribile sospetto che le torte potessero scarseggiare, e che a quel punto – come anfitrione conosceva il suo dovere, e lo faceva anche se doloroso – gli sarebbe toccato rinunciare alla sua.

“Venite dentro a prendere un po‟ di tè,” riuscì a dire dopo aver tratto un profondo respiro.

“Preferirei un po‟ di birra, se per voi è lo stesso, mio caro signore,” disse Balin dalla barba bianca, “ma un po‟ di torta mi va benissimo: pan di spagna, se ne avete.”

“Altro che!” si trovò a rispondere Bilbo, con sua gran sorpresa, e si trovò anche a correre in cantina per riempire un boccale di birra da mezzo litro, e poi in dispensa a cercare due pan di spagna belli tondi, che aveva cotto nel pomeriggio per lo spuntino dopo cena.

Quando tornò, Balin e Dwalin stavano a tavola parlando come vecchi amici (per la verità erano fratelli). Bilbo posò seccamente la birra e le torte davanti a loro, ed ecco il campanello suonare di nuovo, e poi daccapo un altro squillo.

„Stavolta è senz‟altro Gandalf,‟ pensò mentre sbuffava nel corridoio. Invece no:

erano altri due nani, entrambi con cappucci blu, cinture d‟argento e barba gialla; e portavano un sacco di attrezzi e una vanga a testa. Appena la porta fu aperta balzarono dentro, e Bilbo non ne fu molto sorpreso.

“Cosa posso fare per voi, nani miei?” disse.

“Kili, al vostro servizio!” disse uno. “E Fili!” aggiunse l‟altro, ed entrambi si sfilarono il cappuccio blu e fecero un cortese cenno di saluto.

“Al vostro e della vostra famiglia!” replicò Bilbo, che questa volta si ricordò delle buone maniere.

“Vedo che Dwalin e Balin sono già qui,” disse Kili.

“Uniamoci alla folla!”

„La folla!‟ pensò il signor Baggins. „Questo modo di parlare non mi piace affatto! Devo proprio sedermi un attimo per riprendere fiato e bere qualcosa.‟

Aveva fatto appena in tempo a bere un sorso (in un angolo, mentre i quattro nani sedevano attorno alla tavola e parlavano di miniere e oro e problemi con gli orchi, e di razzie di draghi, e di un sacco di altre cose che Bilbo non capiva e non voleva capire, perché avevano l‟aria di essere troppo avventurose) quando, dlin-dlon-plin- plan, il campanello suonò di nuovo, come se un giovane hobbit discolo stesse cercando di strappare la manetta.

“C‟è qualcuno alla porta!” disse, sbattendo le palpebre.

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“Circa quattro, direi, dal suono,” disse Fili. “A parte questo, li abbiamo visti venire dietro di noi, in lontananza.”

Il povero piccolo hobbit si sedette nell‟ingresso e si prese la testa tra le mani, domandandosi cosa fosse accaduto, cosa stesse per accadere, e se intendessero restare a cena tutti quanti. Poi il campanello suonò di nuovo più forte che mai, e dovette correre alla porta. In realtà non erano quattro, erano CINQUE. Un altro nano era sopraggiunto mentre lui, nell‟ingresso, stava domandandosi cosa

succedesse. Aveva a malapena girato la maniglia, che furono tutti dentro, facendo cortesi cenni di saluto e dicendo: “Al vostro servizio!” uno dopo l‟altro. Dori, Nori, Ori, Oin e Gloin erano i loro nomi; e di lì a poco due cappucci purpurei, un

cappuccio grigio, un cappuccio marrone e un cappuccio bianco pendevano

dall‟attaccapanni e i nani si avviavano a grandi passi per raggiungere gli altri, con le manone ficcate nelle cinture d‟oro e d‟argento. Era già diventata quasi una folla.

Qualcuno chiese della birra chiara, qualcun altro della birra scura, uno il caffè e tutti delle torte; così tennero lo hobbit molto occupato per un po‟ di tempo.

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Un gran bricco di caffè era stato appena posto sul fuoco del camino, i pan di spagna erano spariti, e i nani cominciavano un giro di focaccine imburrate, quando si udì bussare forte. Non uno squillo, ma un duro rat-tat sulla porta verde dello hobbit. Qualcuno batteva violentemente con un bastone!

Bilbo si affrettò lungo il corridoio, arrabbiatissimo e profondamente smarrito e turbato: quello era il più strano mercoledì di cui avesse memoria! Aprì la porta con uno strattone, ed eccoli cadere tutti dentro, uno sopra l‟altro. Ancora nani, altri quattro! E dietro c‟era Gandalf, che rideva appoggiato al bastone. Aveva fatto una bella ammaccatura sulla porta; e in realtà aveva anche cancellato il segno segreto che vi aveva tracciato il mattino precedente.

“Attento! Attento!” disse. “Non è da te far aspettare gli amici sullo zerbino, Bilbo, e poi aprire la porta come un fulmine! Permettimi di presentarti Bifur, Bofur, Bombur… e soprattutto Thorin!”

“Al vostro servizio,” dissero Bifur, Bofur e Bombur mettendosi in fila. Poi

appesero due cappucci gialli e uno verde pallido, e anche uno azzurro cielo con una lunga nappa d‟argento. Quest‟ultimo apparteneva a Thorin, un nano estremamente importante, anzi, addirittura il grande Thorin Scudodiquercia in persona, che non era affatto contento di esser caduto sullo zerbino di Bilbo e con addosso Bifur, Bofur e Bombur. Anche perché Bombur era enormemente grasso e pesante! Thorin in realtà era molto altero, e non disse niente circa l‟essere o no al servizio; ma il povero signor Baggins gli chiese scusa tante di quelle volte, che alla fine egli grugnì un “di grazia, non importa” e spianò il cipiglio.

“Adesso ci siamo tutti!” disse Gandalf, osservando la fila di tredici cappucci (i migliori cappucci da festa rimovibili) appesi all‟attaccapanni insieme al suo cappello. “Proprio una bella combriccola! Spero che ci sia ancora qualcosa da mangiare per i ritardatari! Cosa ci sarà? Del tè! No, grazie tante! Per me un goccio di vino rosso, direi.”

“E anche per me,” disse Thorin.

“E marmellata di lamponi e torta di mele!” disse Bifur.

“E crostata di mele e frutta secca e formaggio!” disse Bofur.

“E pasticcio di maiale e insalata!” disse Bombur.

“E ancora dolci! e birra! e caffè! se non vi dispiace…” chiesero gli altri nani attraverso la porta.

“Metti su qualche uovo, da bravo!” gli gridò dietro Gandalf mentre lo hobbit arrancava verso le dispense.

“E già che ci sei, tira fuori il pollo freddo e i sottaceti.”

„Sembra che sappia meglio di me cos‟ho dentro le mie dispense!‟ pensò il signor Baggins, che si sentiva completamente a terra e cominciava a chiedersi se la più sciagurata delle avventure non gli fosse piombata addirittura in casa. Quando finalmente riuscì ad ammucchiare su grossi vassoi tutte le bottiglie, i piatti, i bicchieri, i cucchiai, le scodelle, e chi più ne ha più ne metta, era accaldato, rosso in faccia e molto seccato.

“Vadano in malora tutti quanti questi nani!” disse ad alta voce. “Perché non vengono a darmi una mano?” Detto fatto! Ecco lì Balin e Dwalin sulla soglia della

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cucina, e Fili e Kili dietro di loro, e, prima che Bilbo potesse dire lama, avevano portato di corsa nel salotto i vassoi e un paio di tavolinetti, e disposto bellamente ogni cosa.

Gandalf sedeva a capotavola coi tredici nani tutt‟intorno; e Bilbo sedeva su una seggiolina vicino al caminetto, mordicchiando un biscotto (l‟appetito gli era

passato quasi del tutto) e cercando di fingere che tutto fosse perfettamente normale e neanche lontanamente un‟avventura. I nani mangiavano e mangiavano, parlavano e parlavano, e il tempo passava. Alla fine spinsero indietro le sedie, e Bilbo si alzò per raccogliere piatti e bicchieri.

“Immagino che vi tratteniate a cena…” disse col tono di voce più educato e inespressivo.

“Ma naturale!” disse Thorin. “E anche dopo. Non risolveremo la faccenda fino a tardi, e prima dobbiamo fare un po‟ di musica. Adesso… sparecchiare!”

Al che i dodici nani – non Thorin, che era troppo importante e rimase a parlare con Gandalf – balzarono in piedi e sparecchiarono la tavola impilando le varie stoviglie. Senza aspettare i vassoi, si avviarono verso la cucina tenendo in

equilibrio con una sola mano colonne di piatti, ognuna con una bottiglia in cima, mentre lo hobbit gli correva dietro quasi squittendo per la paura: “Per piacere, fate attenzione! ”, e “Per piacere, non vi disturbate! Posso fare da solo!” Ma per tutta risposta i nani cominciarono a cantare:

Spacca i piatti, le coppe storta!

Lame e forchette torci non poco!

Ché Bilbo Baggins non lo sopporta.

Rompi bottiglie e da’ i tappi al foco!

Strappa tovaglie e cammina sull’unto!

Spargi quel latte nella dispensa!

Le ossa semina sul materasso!

Spruzza ogni uscio col vino di mensa!

Getta stoviglie nell’acqua che scotta, col gran pestello tritale bene;

e se qualcuna resta non rotta buttarla in terra tosto conviene!

Ché Bilbo Baggins non lo sopporta!

E allor di guai fanne una sporta!

Ovviamente non fecero nessuna di quelle cose orribili, e piuttosto pulirono e riposero ogni cosa sana e salva, mentre lo hobbit girava e rigirava nella cucina per vedere cosa stessero facendo. Poi tornarono indietro, e trovarono Thorin che fumava la pipa coi piedi sul parafuoco. Faceva anelli di fumo assolutamente enormi, che andavano ovunque egli dicesse loro di andare – su per la cappa del camino, dietro l‟orologio sopra la mensola, o sotto la tavola, o attorno al soffitto:

ma dovunque l‟anello di fumo andasse, non era mai abbastanza veloce da sfuggire a Gandalf. Pop! dalla sua corta pipa di terracotta spediva un anello di fumo più piccolo esattamente attraverso ciascuno di quelli di Thorin. Poi l‟anello di fumo di

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Gandalf diventava verde e tornava indietro a librarsi sopra la testa dello stregone.

Ce n‟era già una nuvola attorno a lui, e la fioca luce gli dava un aspetto strano e portentoso. Bilbo rimase immobile a guardare – gli piacevano molto gli anelli di fumo – e poi arrossì pensando a quanto si fosse sentito fiero di quelli che il mattino prima aveva fatto salire nel vento sopra la Collina.

“E adesso un po‟ di musica!” disse Thorin. “Tirate fuori gli strumenti!”

Kili e Fili si precipitarono a prendere le borse e tornarono portando dei piccoli violini; dall‟interno dei loro mantelli, Dori, Nori e Ori cavarono dei flauti; Bombur andò a prendere un tamburo nell‟ingresso; anche Bifur e Bofur uscirono e

tornarono con dei clarinetti che avevano lasciato insieme ai bastoni da passeggio.

Dwalin e Balin dissero: “Scusate, abbiamo lasciato i nostri strumenti fuori dalla porta”. “Già che ci siete, portate dentro anche il mio!” disse Thorin. Tornarono con delle viole alte quanto loro, e con l‟arpa di Thorin avvolta in un panno verde. Era una bella arpa d‟oro, e, quando Thorin la sfiorò, si sprigionò all‟istante una musica così inattesa e dolce che Bilbo dimenticò qualsiasi altra cosa, e fu trascinato in terre oscure sotto lune sconosciute, lontano al di là dall‟Acqua e lontanissimo dalla sua casetta sotto la Collina.

Il buio entrava nella stanza attraverso la finestrella che dava sulla Collina; la luce della fiamma vacillava – era aprile – e loro continuavano a suonare, con l‟ombra della barba di Gandalf che si muoveva ritmicamente sul muro.

Il buio invase la stanza, il fuoco si spense lentamente, le ombre si dissiparono, e loro continuarono a suonare. E d‟un tratto, mentre suonavano, presero a cantare, prima uno, poi un altro, poi tutti insieme: un roco canto di nani che sembrava salire dai recessi delle loro antiche case; e questo è un frammento della loro canzone, ammesso che possa somigliare alla loro canzone essendo privo della loro musica.

Lontan sui monti fumidi e gelati in antri fondi, oscuri e desolati prima che sorga il sol dobbiamo andare

i pallidi a cercar ori incantati.

Facevano i nani un dì magiche gesta, battendo mazze qual campane a festa dove dorme laggiù tetro un mistero,

negli antri sotto la rocciosa cresta.

Per prenci antichi degli elfi signori, gli accumulati e balenanti ori lavoravano ad arte, il dì lasciando fuori per dare a gemme d’elsa nuovi splendori.

Trapuntavan di stelle le collane i serti con baglior di drago immane,

poscia in ritorto fil di sole e luna intessevan le luci in filigrana.

Lontan sui monti fumidi e gelati in antri fondi, oscuri e desolati,

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prima che sorga il sol dobbiamo andare per potere alfin gli ori obliati riscattare.

Calici e arpe cesellavan d’oro e dove gli uomini non scavan, loro

vissero a lungo, ma dei lieti canti né uomo né elfo udì mai il coro.

I pini sulle alture eran ruggenti, alti gemean nella notte i venti.

Il rosso fuoco si spargeva parimenti, gli alberi come torce erano splendenti.

Le campane s’udivan per la vallata e la faccia d’ognuno era sbiancata;

l’ira del drago più feroce di fiammata distrusse torri e case all’ impazzata.

Fumava il monte nel chiaror lunare;

i nani udiron la morte pronta avanzare.

la lor casa lasciaron per morire sotto quel drago nel chiaror lunare.

Lontan sui monti fumidi e gelati in antri fondi, oscuri e desolati, prima che sorga il sol dobbiamo andare per l’arpe e l’oro a noi strappati riconquistare.

Mentre cantavano, lo hobbit sentì fremere intorno a lui l‟amore per le belle cose fatte a mano con abilità e magia: un amore fiero e geloso, l‟anelito che albergava nel cuore dei nani. Allora qualcosa che gli veniva dai Tuc si ridestò in lui, e desiderò andare a vedere le grandi montagne, udire i pini e le cascate, esplorare le grotte e impugnare la spada invece del bastone da passeggio. Guardò fuori della finestra: le stelle erano apparse nel cielo buio sopra gli alberi. Pensò ai gioielli dei nani che scintillavano in caverne buie. All‟improvviso, nel bosco di là dell‟Acqua guizzò una fiamma – probabilmente qualcuno che accendeva legna per fare il fuoco – e Bilbo immaginò draghi predatori che s‟insediassero sulla sua quieta Collina e appiccassero il fuoco dappertutto. Rabbrividì e, in men che non si dica, tornò a essere il posato signor Baggins di Casa Baggins, Vicolo Cieco, Sottocolle.

Si alzò tremando. Aveva meno di una mezza idea di andare a prendere una lampada, e più di una mezza idea di far solo finta, andando invece a nascondersi in cantina dietro i barili di birra, per non tornare finché tutti i nani non se ne fossero andati. A un tratto si rese conto che la musica e il canto si erano interrotti e che tutti lo guardavano con occhi che brillavano nel buio.

“Dove stai andando?” disse Thorin, e dal suo tono sembrava che avesse intuito entrambe le mezze idee dello hobbit.

“Che ne dite di un po‟ di luce?” disse Bilbo in tono di scusa.

“L‟oscurità ci piace!” dissero tutti i nani. “Oscurità per affari oscuri! Mancano molte ore all‟alba!”

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“Ma certo!” disse Bilbo, e si sedette in fretta. Mancò lo sgabello e si sedette sul parafuoco, urtando con gran fracasso la paletta e l‟attizzatoio.

“Ssst!” disse Gandalf. “Che Thorin parli.” E Thorin cominciò così:

“Gandalf, nani, signor Baggins! Ci siamo riuniti nella casa del nostro amico e compagno cospiratore, questo eccellentissimo e audace hobbit – che i peli dei suoi piedi non cadano mai! lode al suo vino e alla sua birra! …” Qui fece una pausa per riprender fiato e per un‟educata replica dello hobbit, ma i complimenti erano del tutto sprecati col povero Bilbo Baggins, che stava torcendo la bocca nel tentativo di protestare per essere stato chiamato audace e, peggio ancora, compagno

cospiratore, pur non riuscendo a produrre alcun suono, tanto era sconcertato.

Pertanto Thorin continuò:

“Ci siamo riuniti per discutere i nostri piani, i modi, i mezzi, le tecniche e i trucchi. Tra poco, prima che spunti l‟alba, intraprenderemo il nostro lungo viaggio, un viaggio da cui qualcuno di noi, o forse ognuno di noi (eccetto il nostro amico e consigliere, l‟ingegnoso stregone Gandalf), potrebbe non fare ritorno. È un

momento solenne. Il nostro scopo, non credo di sbagliare, è ben noto a tutti noi.

Per lo stimatissimo signor Baggins, e forse per uno o due dei nani più giovani (credo di non sbagliarmi se indico Kili e Fili, per esempio), l‟esatta situazione in cui ci troviamo potrebbe richiedere una spiegazione succinta ma esaustiva…”

Quello era lo stile di Thorin. Era un nano importante. Se gli fosse stato permesso, con molta probabilità sarebbe andato avanti così fino a restare senza fiato, senza dire a nessuno dei presenti nulla che non fosse già noto a tutti. Ma fu bruscamente interrotto. Il povero Bilbo non ce la fece più a sopportarlo. Al

potrebbe non fare ritorno aveva cominciato a sentir montare dentro di sé un grido che ben presto esplose come il fischio di una locomotiva che esce da una galleria. I nani balzarono in piedi, facendo sussultare la tavola. Gandalf fece sprizzare una luce blu dalla punta del suo bastone magico, e in quel vivido bagliore si vide il povero piccolo hobbit inginocchiato sul tappeto davanti al focolare, tremante come una gelatina squagliata. Poi cadde riverso sul pavimento e continuò a gridare

“colpito dal fulmine, colpito dal fulmine!” senza mai smettere; e questo fu quanto riuscirono a cavargli fuori per un bel po‟. Perciò lo presero e lo distesero sul

divano del soggiorno con qualcosa da bere vicino, e tornarono ai loro affari oscuri.

“Un tipetto impressionabile,” disse Gandalf quando si furono nuovamente seduti.

“Gli vengono questi strani attacchi buffi, ma è uno dei migliori, uno dei migliori – feroce come un drago messo alle strette.”

Se avete mai visto un drago messo alle strette, vi renderete conto che era solo un‟esagerazione poetica, se riferita a un qualsiasi hobbit, perfino al pro-prozio del Vecchio Tuc, Ruggitoro, che era così alto (per uno hobbit) da poter montare un cavallo. Aveva partecipato alla carica contro le schiere degli orchi di Monte Gram, nella Battaglia di Campiverdi, e aveva colpito e staccato di netto la testa del loro re Golfimbul con una mazza di legno. La testa era volata in aria per un centinaio di metri per poi cadere in una tana di coniglio: in quel modo si era vinta la battaglia e, al tempo stesso, si era inventato il gioco del golf.

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Nel frattempo, comunque, il ben più mite discendente di Ruggitoro stava riprendendosi nel soggiorno. Dopo un po‟ di tempo e un bicchierino, si trascinò nervosamente fino alla porta del salotto e udì Gloin che diceva: “Mah!” (o qualche altro sbuffo del genere). “Siete proprio sicuri che faccia al caso nostro? Mi rendo conto che per Gandalf questo hobbit è feroce, ma un urlo come quello, in un momento di eccitazione, basterebbe a svegliare il drago e tutti i suoi parenti e a far uccidere molti di noi. Anzi, sembrava più paura che eccitazione! In realtà, se non fosse per il segno sulla porta, direi che siamo entrati nella casa sbagliata. Appena ho posato lo sguardo su quel tipetto saltellante e sbuffante sullo zerbino mi sono sorti dei dubbi. Sembra più un bottegaio che uno scassinatore!”

Fu allora che il signor Baggins abbassò la maniglia ed entrò. Il suo lato Tuc aveva vinto. All‟improvviso si era reso conto che avrebbe volentieri rinunciato al letto e alla prima colazione pur di essere considerato feroce. Tra l‟altro, sentirsi definire tipetto saltellante sullo zerbino l‟aveva già fatto diventare quasi feroce. In seguito, molto in seguito, il suo lato Baggins avrebbe rimpianto ciò che fece a quel punto, ed egli si sarebbe detto: „Bilbo, sei stato uno stupido: te la sei proprio andata a cercare‟.

“Scusatemi,” disse, “se non volendo ho ascoltato le vostre parole. Non pretendo di capire di cosa stiate parlando, o il vostro riferimento agli scassinatori, ma penso di aver motivo di credere” (questo è quello che lui chiamava darsi un contegno)

“che mi giudichiate un inetto. Vi proverò il contrario. Non ho segni sulla mia porta – è stata ridipinta la settimana scorsa – e sono assolutamente sicuro che siate

entrati nella casa sbagliata. Appena ho visto le vostre buffe facce sulla soglia, ho avuto i miei dubbi. Ma ammettiamo pure che questa sia la casa giusta. Ditemi cosa volete che faccia, e io farò del mio meglio, anche se dovessi andare a piedi da qui fino all‟Oriente dell‟Oriente e combattere gli spietati Draghi Sanguinari

nell‟Ultimo Deserto. Una volta, un mio pro-pro-pro-prozio, Ruggitoro Tuc…”

“Sì, sì, ma è stato molto tempo fa,” disse Gloin. “Io stavo parlando di te. E ti assicuro che su questa porta c‟è un segno, quello comunemente usato nel mestiere, o quanto meno usato fino a qualche tempo fa. Scassinatore cerca buon lavoro, pieno di Emozioni e con ragionevole Ricompensa, ecco come lo si legge di solito.

Se preferisci, puoi dire Esperto Cacciatore di Tesori invece di Scassinatore.

Qualcuno lo fa. Per noi è lo stesso. Gandalf ci ha detto che da queste parti c‟era una persona del genere, che voleva subito un lavoro e aveva organizzato un incontro qui per questo mercoledì all‟ora del tè.”

“Certo che c‟è un segno,” disse Gandalf. “L‟ho fatto io stesso. Per ottime ragioni. Mi avevate chiesto di trovare un quattordicesimo uomo per la vostra spedizione, e io ho scelto il signor Baggins. Se qualcuno si permette di dire che ho scelto l‟uomo sbagliato o la casa sbagliata, potete restare in tredici e avere tutta la sfortuna che vi pare, oppure tornarvene a estrarre carbone!”

Rimproverò Gloin con tale ira, che il nano si rannicchiò in fondo alla sedia; e quando Bilbo tentò di aprir bocca per fare una domanda, si voltò e lo fissò

severamente aggrottando le sopracciglia irsute, finché Bilbo non chiuse di colpo la bocca. “Così va bene,” disse Gandalf. “Smettiamola di litigare. Io ho scelto il

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signor Baggins, e questo dovrebbe essere più che sufficiente per tutti voi. Se dico che è uno Scassinatore, Scassinatore è, o lo sarà al momento opportuno. È più in gamba di quanto possiate immaginare, e assai più di quanto creda lui stesso. Mi auguro che possiate tutti sopravvivere per ringraziarmi ancora. Adesso, Bilbo, ragazzo mio, va‟ a prendere la lampada e facciamo un po‟ di luce su questa…”

Alla luce di una grossa lampada schermata di rosso, spiegò sulla tavola una pergamena che somigliava molto a una mappa.

“Questa fu fatta da Thror, tuo nonno, Thorin,” disse in risposta alle concitate domande dei nani. “È una pianta della Montagna.”

“Non penso che ci aiuterà molto,” disse Thorin con un certo disappunto, dopo aver dato un‟occhiata. “Ricordo abbastanza bene la Montagna e le terre

tutt‟intorno. E so dov‟è Boscotetro, e la Brughiera Arsa dove sono nati i grandi draghi.”

“C‟è un drago segnato in rosso sulla Montagna,” disse Balin, “ma sarà facile trovarlo anche senza la mappa, se mai vi giungeremo.”

“C‟è una cosa che non avete notato,” disse lo stregone, “ed è la porta segreta.

Vedete quella runa sulla parte occidentale, e la mano che la indica dalle altre rune?

È il segno di un passaggio alle Sale Inferiori.” (Guardate la pianta all‟inizio di questo libro e vedrete le rune sulla sinistra.)

“Può darsi che fosse segreta un tempo,” disse Thorin, “ma come possiamo sapere se lo sia ancora? Il vecchio Smaug ha vissuto lì abbastanza a lungo per scoprire tutto quanto c‟è da sapere riguardo a quelle caverne.”

“Può darsi; ma non l‟avrà usata per anni e anni.”

“Perché?”

“Perché è troppo piccola. „La porta è alta un metro e mezzo e ci si può passare tre per volta‟, dicono le rune, ma Smaug non poteva infilarsi in un‟apertura di quelle dimensioni, neanche quand‟era un giovane drago, e certo non dopo avere divorato tanti nani e tanta gente di Conca.”

“A me sembra un‟apertura molto grande!” squittì Bilbo (che non aveva nessuna esperienza di draghi, ma solo di buchi da hobbit). Stava di nuovo entusiasmandosi e prendendo interesse, sicché dimenticò di tener chiusa la bocca. Amava le mappe, e nell‟ingresso ne teneva appesa una grande del territorio della Contea, con le sue passeggiate preferite segnate in inchiostro rosso. “Come può una porta così larga rimanere nascosta a tutti quelli all‟esterno, a parte il drago?” domandò. Non dimenticate che era solo un piccolo hobbit…

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“In molti modi,” disse Gandalf. “Per quanto riguarda questa porta in particolare, però, possiamo scoprire come sia rimasta nascosta solo andando a vedere. Da quanto dice la mappa, immagino che si tratti di una porta costruita in maniera da sembrare una parte del fianco della Montagna. Sbaglio o è il metodo comunemente usato dai nani?”

“Non sbagli affatto,” disse Thorin.

“Inoltre,” continuò Gandalf, “ho dimenticato di dirvi che assieme alla mappa c‟è una chiave, una chiave piccola e strana. Eccola qua!” disse, e porse a Thorin una chiave d‟argento dalla lunga barretta, con gole molto intricate. “Tienila al sicuro!”

“Puoi contarci!” disse Thorin, e la assicurò a una catenella che gli pendeva intorno al collo, sotto la giacca. “Adesso le cose cominciano ad apparire più rosee:

questa novità le migliora molto. Finora non sapevamo bene cosa fare. Pensavamo di andare verso Oriente, nel modo più silenzioso e prudente possibile, fino al Lago Lungo. I guai sarebbero cominciati lì…”

“In realtà molto prima, se so qualcosa delle strade che vanno a est,” lo interruppe Gandalf.

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“Da lì avremmo potuto risalire il Fiume Fluente,” continuò Thorin senza badargli, “e poi arrivare alle rovine di Conca – l‟antica città laggiù nella valle, all‟ombra della Montagna. Ma a nessuno di noi piaceva l‟idea della Porta Principale. Il fiume vien fuori proprio da lì, attraverso le grandi rupi a sud della Montagna, e da lì esce anche il drago, anche un po‟ troppo spesso, a meno che non abbia cambiato le proprie abitudini.”

“Non risolveremmo niente,” disse lo stregone, “senza un possente Guerriero, o addirittura un Eroe. Ho cercato di trovarne uno, ma i guerrieri sono occupati a combattersi l‟un l‟altro in terre lontane, e in questa zona gli eroi scarseggiano, o forse non ci sono affatto. Da queste parti le spade hanno perso il filo, le asce vengono usate per gli alberi, e gli scudi come culle o coperchi; i draghi, poi, sono comodamente lontani (e perciò leggendari). Ecco perché ho optato per lo

scassinamento, soprattutto quando mi sono ricordato dell‟esistenza di una Porta Laterale. Ed ecco qui il nostro piccolo Bilbo Baggins, lo scassinatore, il prescelto tra gli scassinatori. Perciò andiamo avanti e facciamo qualche piano.”

“Molto bene, allora,” disse Thorin, “sempre che l‟esperto in furto con scasso ci dia qualche buona idea o qualche suggerimento.” E si voltò con ironica cortesia verso Bilbo.

“In primo luogo mi piacerebbe saperne un po‟ di più,” disse lo hobbit, sentendosi confuso e interiormente un po‟ scosso, ma ancora, da buon Tuc, determinato ad andare avanti con quella faccenda. “Voglio dire riguardo all‟oro e al drago e compagnia bella, e come ci è arrivato e a chi appartiene e cose del genere.”

“Gran Cielo!” disse Thorin. “Non hai qui una mappa? E non hai sentito la nostra canzone? E non siamo stati a parlarne per ore e ore?”

“Mi piacerebbe lo stesso avere una spiegazione chiara e semplice,” disse Bilbo, ostinato, assumendo i suoi modi professionali (di solito riservati a chi tentava di chiedergli denaro in prestito) e facendo del proprio meglio per apparire saggio, prudente, professionale e all‟altezza della raccomandazione di Gandalf. “Inoltre mi piacerebbe saperne di più sui rischi, sulle spese da anticipare, sul tempo a

disposizione, sulla ricompensa e così via.” E voleva dire: “Cosa me ne verrà in tasca?” e “Tornerò indietro vivo?”

“Benissimo, allora!” disse Thorin. “Molto tempo fa, all‟epoca di mio nonno Thror, la nostra famiglia fu cacciata dal lontano Nord e tornò con tutti i suoi beni e i suoi attrezzi a questa Montagna indicata sulla mappa. Era stata scoperta dal mio lontano avo, Thrain il Vecchio, ma furono loro a scavare miniere e gallerie e a costruire sale più grandi e ancor più vaste fucine – e inoltre credo che vi abbiano trovato tanto oro e anche molti gioielli. In ogni modo, divennero immensamente ricchi e famosi, e mio nonno fu di nuovo Re sotto la Montagna, trattato con gran rispetto dagli uomini mortali, che vivevano al Sud e stavano gradualmente

espandendosi lungo il Fiume Fluente fino alla valle all‟ombra della Montagna. Lì in quei giorni gli uomini costruirono la prospera città di Conca. I loro re

ricercavano l‟opera dei nostri fabbri e ricompensavano con grande generosità anche i meno abili. I padri ci pregavano di prendere i figli come apprendisti e ci pagavano profumatamente, soprattutto con quei prodotti alimentari che noi non ci

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curavamo di coltivare o di procurarci noi stessi. Tutto sommato erano gran bei giorni per noi, e il più povero aveva soldi da spendere e prestare, e tutto il tempo che voleva per fare le cose più belle per puro diletto; per non parlare dei

meravigliosi e magici balocchi, dei quali oggi non esistono eguali al mondo. Così, le sale di mio nonno si riempirono di armature, gioielli, incisioni e coppe, e il mercato dei balocchi di Conca divenne la meraviglia del Nord.

“Senza dubbio fu questo che attirò il drago. Come sai, i draghi rubano agli uomini, agli elfi e ai nani oro e gioielli, dovunque possano trovarli; e fanno la guardia al proprio bottino finché vivono (il che in pratica vuol dire per sempre, a meno che non vengano uccisi) e non si godono nemmeno uno spillo di ciò che hanno rubato. In realtà, i draghi sanno a malapena distinguere un lavoro ben fatto da uno fatto male, anche se di solito ne conoscono bene il valore sul mercato; e non sono capaci di fare alcunché da soli, neanche riparare una scaglietta staccatasi dalla loro corazza. A quei tempi al Nord c‟erano molti draghi, e probabilmente l‟oro cominciava a scarseggiare da quelle parti, coi nani che scappavano a sud o

venivano uccisi, e con l‟aggravarsi della desolazione e della distruzione provocate dai draghi. C‟era un drago particolarmente avido, forte e malvagio, chiamato Smaug. Un giorno si levò in aria e volando venne a sud. La prima cosa che udimmo di lui fu un rumore come d‟uragano provenire da nord, e lo scricchiolio dei pini sulla Montagna che si schiantavano al vento. Con alcuni dei nani che per caso si trovavano all‟aperto (per fortuna ero uno di loro, un giovane avventuroso a quei tempi, sempre in giro, e questo mi salvò la vita quel giorno) – bene, vedemmo da lontano il drago calare sulla nostra montagna in una nube di fuoco. Poi scese la china, e, quando arrivò ai boschi, le sue fiamme li divorarono.

Contemporaneamente, a Conca tutte le campane suonavano e i guerrieri si armavano. I nani si precipitarono fuori dalla loro grande porta, ma trovarono il drago ad aspettarli. Nessuno si salvò per quella via. Il fiume ribollì di densi vapori e una fitta nebbia avvolse Conca, e nella nebbia il drago calò sulla città e annientò quasi tutti i guerrieri – la solita triste storia, fin troppo comune in quei giorni. Poi tornò indietro, si infilò dentro la Porta Principale e mise a soqquadro tutte le sale, i condotti, le gallerie, i corridoi, le cantine, le stanze e i passaggi. Quando ebbe finito, lì dentro non era rimasto vivo neppure un nano, e Smaug si impadronì di tutti i loro beni. Probabilmente, giacché questo è l‟uso dei draghi, ammassò tutto in un gran mucchio nel cuore della Montagna, per dormirvi sopra come se fosse il suo giaciglio. In seguito, prese l‟abitudine di strisciare fuori della grande porta

nottetempo, scendendo fino a Conca per rapire gente e mangiarsela, specialmente fanciulle, finché la città non fu in rovina, e tutta la sua gente non fu morta o scappata. Non so con certezza cosa stia succedendo adesso laggiù, ma credo che ormai più nessuno viva vicino alla Montagna, almeno non oltre l‟estremità più lontana del Lago Lungo.

“I pochi tra noi che erano abbastanza lontani da salvarsi, si sedettero e piansero, tenendosi nascosti, e maledissero Smaug; poi, inaspettatamente, fummo raggiunti da mio padre e da mio nonno, tutt‟e due con la barba bruciacchiata. Avevano un aspetto cupo e non dissero quasi niente. Quando domandai come fossero riusciti a

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scampare, mi dissero di star zitto e aggiunsero che un giorno, al momento

opportuno, l‟avrei saputo. Dopo di che ce ne andammo, e ci toccò guadagnarci da vivere come meglio potevamo, ora qui ora là, troppo spesso costretti a umiliarci lavorando come maniscalchi o addirittura come minatori. Ma non abbiamo mai dimenticato il nostro tesoro rubato. E ancor oggi, che abbiamo messo da parte un bel gruzzolo e non stiamo tanto male,” e qui Thorin accarezzò la catena d‟oro che aveva intorno al collo, “vogliamo riprenderci il nostro tesoro, e vendicarci

personalmente di Smaug, se possiamo.

“Mi sono spesso chiesto come abbiano fatto a scappare mio padre e mio nonno.

Adesso mi rendo conto che dovevano avere una Porta Laterale di cui solo loro conoscevano l‟esistenza. A quanto pare fecero una mappa, e mi piacerebbe sapere come sia riuscito Gandalf a impossessarsene, e perché non sia arrivata a me, il legittimo erede.”

“Non me ne sono impossessato: mi è stata data,” disse lo stregone. “Tuo nonno Thror fu ucciso, come ben ricordi, nelle miniere di Moria da Azog l‟Orco.”

“Sì, sia maledetto il suo nome,” disse Thorin.

“E Thrain, tuo padre, scomparve il 21 aprile, che giovedì scorso faceva cent‟anni, e tu non l‟hai più visto da allora.”

“Vero, vero,” disse Thorin.

“Bene, tuo padre me la diede per consegnarla a te; e se per dartela ho scelto il momento e il modo che preferivo, non puoi certo biasimarmi, considerate le difficoltà che ho avuto per trovarti. Tuo padre non riusciva neanche a ricordarsi il proprio nome quando mi diede la mappa, e non mi disse mai il tuo; perciò penso che tutto sommato dovrei essere lodato e ringraziato! Ecco qua,” disse,

consegnando la mappa a Thorin.

“Non capisco,” disse Thorin, e Bilbo pensò che gli sarebbe piaciuto dire lo stesso. La spiegazione non sembrava spiegare niente.

“Tuo nonno,” disse lo stregone con voce lenta e severa, “diede la mappa a suo figlio prima di recarsi nelle miniere di Moria. Tuo padre andò a tentare la sorte con la mappa dopo che tuo nonno fu ucciso, ed ebbe un gran numero di avventure del tipo più spiacevole, ma non arrivò mai vicino alla Montagna. Non so come vi fosse giunto, ma lo trovai prigioniero nelle segrete del Negromante.”

“Cosa c‟eri andato a fare?” disse Thorin con un fremito d‟orrore, e tutti i nani rabbrividirono.

“Non ti riguarda. Stavo scoprendo cose, come al solito; e la faccenda si mise molto male. Perfino io, Gandalf, riuscii a scappare per un soffio. Cercai di salvare tuo padre, ma era troppo tardi. Era stordito e vaneggiava, e aveva ormai

dimenticato quasi tutto, tranne la mappa e la chiave.”

“Tanto tempo fa ci siamo vendicati degli orchi di Moria,” disse Thorin. “In futuro dobbiamo ricordarci del Negromante!”

“Non essere sciocco! È un nemico molto al di sopra delle possibilità di tutti i nani messi assieme, se anche potessero essere riuniti di nuovo dai quattro angoli della terra. La sola cosa che tuo padre desiderava era che suo figlio leggesse la

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mappa e usasse la chiave. Il drago e la Montagna sono pericoli già abbastanza grandi per voi!”

“Senti senti!” disse Bilbo, e per caso lo disse ad alta voce.

“Senti cosa?” dissero tutti voltandosi di scatto verso di lui, ed egli ne fu così confuso che rispose: “Senti cosa ho da dire!”

“Cosa?” domandarono.

“Be‟, direi che dovreste andare a est a dare un‟occhiata in giro. Dopo tutto, c‟è la Porta Laterale, e immagino che i draghi debbano pur dormire ogni tanto. Secondo me, se restate seduti abbastanza a lungo riuscirete a escogitare qualcosa. Per quanto mi riguarda, be‟, penso che abbiamo parlato abbastanza per una notte sola, non so se mi spiego. Che ne dite di un letto, e di partire di buon‟ora e compagnia bella? Vi preparerò una buona colazione prima che partiate.”

“Prima che partiamo, vuoi dire,” disse Thorin. “Non sei tu lo scassinatore? E star seduto sulla soglia non è compito tuo, per non parlare di aprire la porta ed entrare? Ma sono d‟accordo per quanto riguarda il letto e la colazione. Prendo volentieri sei uova col prosciutto, quando mi metto in viaggio: fritte, non in camicia, e bada a non romperle.”

Dopo che tutti gli altri ebbero ordinato la loro colazione senza dire neanche una volta “per piacere” (cosa che a Bilbo seccò moltissimo), si alzarono. Lo hobbit dovette trovare posto per tutti, riempì ogni stanza disponibile, preparò i letti su sedie e divani, e finalmente, dopo averli sistemati, poté andare a dormire nel suo lettino, molto stanco e non del tutto contento. L‟unica cosa che riuscì a decidere fu di non darsi la pena di alzarsi presto per preparare la dannata colazione a tutti. Il suo lato Tuc si stava rapidamente squagliando e Bilbo non era più tanto sicuro che al mattino sarebbe partito per qualsivoglia viaggio.

Mentre giaceva a letto, udì Thorin che cantava piano, tra sé e sé, nella migliore camera da letto accanto alla sua:

Lontan sui monti fumidi e gelati in antri fondi, oscuri e desolati, prima che sorga il sol dobbiamo andare

il nostro gran tesoro a reclamare.

Bilbo si addormentò con nelle orecchie quelle parole, che gli provocarono sogni molto agitati. Era mattino inoltrato quando si svegliò.

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2

MONTONE ARROSTO

Bilbo balzò su e, messosi la vestaglia, andò in sala da pranzo. Non vi trovò nessuno, ma erano ben visibili i segni di una colazione abbondante e frettolosa.

Nella stanza c‟era un disordine spaventoso, e in cucina pile di stoviglie da lavare.

Sembrava che fossero state adoperate quasi tutte le pentole e le casseruole che possedeva. I piatti da lavare erano così malinconicamente reali, che Bilbo fu costretto a convincersi che la riunione della notte precedente non aveva fatto parte dei suoi incubi, come sperava vagamente. Ma si sentì proprio sollevato pensando che, dopo tutto, se ne erano andati senza di lui, e senza darsi disturbo di svegliarlo („ma senza neppure dire grazie‟, pensò); eppure non riusciva a fare a meno di provare una certa delusione. Questa sensazione lo sorprese.

Fine dell'estratto Kindle.

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