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MORTE E VITA AL SOLSTIZIO D INVERNO. di Luciano Romoli. Grafica, impaginazione, editing a cura di Franco Ardito

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Attualità, storia e cultura esoterica Dicembre 2020

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MORTE E VITA AL SOLSTIZIO D’INVERNO di Luciano Romoli

Grafica, impaginazione, editing a cura di Franco Ardito

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Morte e vita

al Solstizio d’Inverno

L

uciano

R

omoLi

Gran Maestro

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Sol Invictus

Gran Maestro

C’

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era un tempo in cui l’uomo era consape- vole di essere parte della natura, al pari degli alberi, dei fiumi e del- le montagne che scorgeva intorno a lui; quindi scoprì il ripetersi delle stagioni, la ciclicità dell’anno, del tempo, dell’universo, scoprì che il Sole era la fonte della vita, si accorse che il Solsti- zio d’Inverno era il giorno più corto dell’anno, che le tenebre vincevano sulla luce perché il sole giunge- va al suo livello più basso sull’orizzonte. Fu così che individuò il Solstizio d’In- verno come un momento di morte. Ma si rese anche conto che da questo punto il sole ri-

prendeva a crescere, continuan- do fino al Solstizio d’Estate.

Qui vide il trionfo del frutto che nasceva laddove al Solstizio d’Inverno il seme era morto, vide la regalità della spi- ga dorata, gonfia di chicchi che

a loro volta, nel prossimo inverno, sarebbero morti, ciascuno per dar vita ad una nuova spiga. E compre- se l’idea di Rinascita.

Tutta la natura segue lo stesso ciclo, anche l’uomo.

Una volta ne aveva piena coscienza, adesso è troppo preso dagli impegni della vita, dal lavoro, dalla fretta che gli impone di far presto a raggiungere il benessere, la notorietà, la posizione sociale. Questa ansia ha accorciato il suo tempo, togliendo spazio alla ri- flessione sulle cose che contano, ma la memoria di quella consapevolezza è rimasta dentro di lui, rima- nendo sopita fino a quan- do un’idea di morte non

interviene a riportarla alla mente, insieme al concetto di rinascita.

E pur se quest’anno un vi- rus pernicioso e pandemi- co ha riproposto la morte sotto il suo aspetto più totalizzante e definitivo, il Solstizio d’Inverno l’ha reinserita nella consueta ciclicità naturale, ripropo- nendo la natura che muore per cominciare a rinascere, e che in tal modo prepa- ra l’apoteosi di vita che si realizzerà al Solstizio d’Estate.

Sepolto nella terra in autun- no, il seme si è imputridito con l’acqua dell’inverno, dando vita ad una pianta

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Gran Maestro

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che spunterà all’aria in pri- mavera e darà frutti al calore del sole d’estate. I quattro elementi ne hanno determinato la rinascita.

L’essere, nelle sue tre com-

ponenti, si trasmuta ad opera dei quattro elementi per poi rinascere in una dimensione superiore.

A sottolineare questa ri- nascita il Cristo scende nella materia, incarnando-

si. Nasce da una Vergine, raffigurata anche come la donna che cammina sulle acque e schiaccia la testa del serpente; è colei che sconfigge il Caos primor- diale, l’Aqua mercurialis degli alchimisti, la parte più pura della materia, che nasce da questa per tornare ad agire su di essa e dare origine al sale, la materia purificata, il Cristo, appunto.

Nella “Tradizione Ermetica”

così la definisce Evola:

“l’Acqua divina è figurata da una Vergine, che è madre ri¬spetto al rinato, sorto da lei per immacolata concezio- ne”. La Mater, che crea la materia, nasce dalla ma- teria per rigenerarla. Al Solstizio d’Inverno la ma- ternità è quindi segno di rinascita nell’unificazione degli opposti.

Rappresenta il punto in cui vita e morte si incontrano:

nel buio della terra il seme sta marcendo perché da esso nasca la pianta. Ma proprio su questa nascita si appunta l’attenzione degli uomini: la morte non esiste se da essa origina la vita, secondo una simbologia ormai acquisita che dalla morte iniziatica fa nascere l’uomo nuovo.

I concetti apparentemen- te antitetici di “vita” e di

“morte” sono soltanto il frutto del mondo illusorio in cui materialmente ci

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Gran Maestro

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muoviamo e che ha biso- gno, per esistere, di consi- derare sempre le cose a due a due: il bianco e il nero, il bene e il male, l’amore e l’odio. Una concezione relativa dell’universo e dell’uomo medesimo; una trappola, tuttavia, dalla quale bisogna uscire se non ci si vuol sentire trascinati verso terra da quelle stesse ali che avrebbero dovuto condurci in alto.

Ma vita e morte non han-

no senso se consideriamo l’uomo nella sua vera es- senza: sovradimensionale, trascendente, immanifesta, oltre i limiti imposti dalla materia e del suo dualismo Per l’essere umano la vita e la morte sono tutto, per l’Es- sere Assoluto non esistono.

Se morire vuol dire ri- nascere, se per nascere è necessario morire l’Essere è al di sopra di nascita e morte: è eterno.

E poiché la morte è vita e la

vita è morte, e le due cose sono un tutto unico, nel Solstizio d’Inverno i masso- ni festeggiano la rinascita, la vita. Una celebrazione che dovrebbe essere una cerimonia funebre, che sa di umido e di putredine, di- venta momento di speranza e di certezze. Da questo punto il sole riprenderà a crescere fino al Solstizio d’Estate, il giorno in cui si ferma più a lungo con gli uomini; tuttavia il momen-

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to della massima esaltazio- ne della vita coinciderà con l’inizio della discesa, punto più alto di un’alternanza ciclica ed eterna che porta S. Giovanni d’estate e S.

Giovanni d’inverno a susse- guirsi di continuo, segnan- do i due stati della nascita e della morte, che conducono ancora alla rinascita in un livello di vita di ordine su- periore, e così di seguito.

Giovanni ha origine dal radicale ebraico Jom, che vuol dire giorno. Come Giano, lo Janus col cui nome i romani adoravano il sole, chiamando janua la

porta attraverso cui pene- trava il giorno.

Januarius, Gennaio, è quindi la porta dell’anno:

l’inizio. Per questo il Sol- stizio d’Inverno ripropone il concetto d’iniziazione.

Un’iniziazione che torna ogni anno, ciclicamente, in una continua rinascita.

Come conferma il doppio volto di Giano, all’indie- tro per esaminare il ciclo ormai trascorso e in avanti per guardare alla nuova vita. Per comprendere da dove veniamo e scorgere dove andiamo.

Resta da scoprire chi sia-

mo, condizione indispen- sabile per rispondere ai primi due interrogativi.

“Conosci te stesso” era scritto sul frontone del tempio di Apollo a Delfo; ed è alla conoscenza di se stessi che conduce la via iniziatica che i massoni percorrono, visitando interiora terrae per scoprire l’occultum lapidem, la nostra vera natura, spes- so molto diversa da quella che avevamo immaginato.

Le certezze umane sono il- lusorie, e il massone se n’è accorto; se vuole guardare in alto deve liberarsene, cercando di raggiungere

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certezze assolute. Ecco il vero significato dell’inizia- zione. Non basta attraver- sare per la prima volta una porta perché la rinascita avvenga; essa interviene un po’ per volta, lavorando su sé stessi, distruggen- do ogni giorno le proprie convinzioni ed ogni giorno costringendosi alla ricerca di convinzioni nuove, più adatte alla propria nuova condizione e valide fino a quando nuovi dubbi non le metteranno in discussione.

Avviene così il mutamento, la continua scoperta della nostra pietra ed insieme il

lavoro su di essa, lungo la strada che porta verso l’oro dei filosofi. Ogni giorno, ogni attimo si muore per rinascere ad un livello superiore. Fino a quando, in un irraggiungibile mo- mento, non serviranno più certezze, perché noi stessi saremo la certezza.

E’ possibile scorgere ora quella consapevolezza di aver sconfitto la morte che rende i massoni così diver- si: è nella presa di coscien- za che vita e morte sono una medesima cosa, un valico che definisce diversi stadi di un’esistenza ciclica

e ricorrente. Eterna. Come l’uomo, nella sua ricorren- za cosmica. E come Dio.

In nome di questa consa- pevolezza il massone si dà la morte per conquistare la vita, attraverso il processo ciclico delle tornate, degli anni massonici, attraverso le tappe della via inizia- tica, che lo porteranno ritualmente a concludere la sua esistenza terrena indossando il grembiule d’apprendista.

Poiché, quando tutto è giusto e perfetto, un ciclo concluso è solo l’inizio di un ciclo nuovo.

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via San Nicola de’ Cesarini, 3 - 00186 Roma

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