• Non ci sono risultati.

Guglielmo Cazzulani. Dietro a me. Storia dei primi quattro apostoli

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2022

Condividi "Guglielmo Cazzulani. Dietro a me. Storia dei primi quattro apostoli"

Copied!
11
0
0

Testo completo

(1)

Dietro a me

Storia dei primi quattro apostoli

Guglielmo Cazzulani

(2)

Se non ci sono ancora stati abbastanza santi e sante, mandacene altri, mandacene quanti ce ne vorrà;

mandacene finché il nemico sia stanco.

Noi li seguiremo, mio Dio.

Faremo tutto quello che vorrai.

Faremo tutto quello che vorranno.

Faremo tutto quello che ci diranno da parte tua.

Noi siamo i tuoi fedeli, mandaci i tuoi santi.

Sai quello che ci manca. […]

Ci vorrebbe forse qualcosa di nuovo, qualcosa di mai visto prima.

Qualcosa che non fosse ancora mai stato fatto.

C. Péguy, Il mistero della carità di Giovanna d’Arco

(3)

7

Introduzione

Forse, di questi tempi, non è un discorso che va di moda.

Farebbe più fortuna la predica di un santone, che raccomanda al discepolo di trarre fuori il meglio da sé. Che lo convince di essere un uomo che ha sfruttato solo parzialmente le sue potenzialità. Per cui, una volta trascinato nella sequela, avrebbe dilatato senza misura il suo «io». Il mercato pullula di corsi e di training che garantiscono il successo.

Il ragionamento rischia di deragliare nel narcisismo.

Alla fine uno pensa di non essere ancora diventato il messia che tutto il mondo aspettava. O di non essere vincente: come se in questa vita tutti quanti fossimo obbligati a tagliare per primi il filo di lana di qualche traguardo. Ma davvero la vita serve per vincere?

A volte, l’importantissimo pronome «io» si trasfor- ma in una malattia.

C’è un simpatico detto dei santi d’Israele, raccolto in forma aneddotica, che fustiga in maniera ironica tutte quelle persone perennemente in ricerca del proprio

«io». Tutte quelle che vivono per espandere la propria persona, in una vertigine senza fine, senza mai chieder- si se in tutto ciò risiede il vero senso della vita.

(4)

8

Rabbì Raffaele di Berschad diceva: «Si dice che gli or- gogliosi rinascano come api. Perché l’orgoglioso dice in cuor suo: “Io sono uno scriba, io sono un cantore, io sono uno studioso”. E poiché essi, come è detto, non si ravvedono neppure sulla soglia dell’inferno, rinascono dopo la morte come api. Rombano e ronzano: “Sono, sono, sono!”»1.

Ecco che cosa è l’io. Per noi è un assillo, la fame di un riconoscimento e di un amore. Ma per tutto il resto del mondo è un noiosissimo ronzio di calabrone.

A nessuno degli uomini che si mettono al suo segui- to, Gesù propone di avvitarsi su se stessi, in una discesa introspettiva di cui non si coglie mai il fondo.

È vero che il cammino cristiano prevede l’ascesi.

È vero anche che il cristiano è chiamato a essere sale della terra e luce del mondo (cf Mt 5,13-14): per cui, in qualche misura, apparirà seducente agli occhi di tutti.

Ma il primo regalo che gli viene messo in grembo è una relazione. Non un «io» che si espande, ma un «tu».

Seguimi! Io sto davanti, e tu cammina dietro a me. La salvezza viene da lì.

Anche perché, questi discepoli, scopriranno pre- sto di avere un ridicolissimo «io». Si lanciano pieni di entusiasmo in un programma di vita radioso, che pensavano essere ricolmo di soddisfazioni e di suc- cessi. S’immaginano salvatori della patria e di tutto il mondo, seduti su qualche poltrona di velluto rosso in quella che reputavano essere la capitale dell’universo.

1 M. Buber, I racconti dei Hassidim, Guanda, Parma 1992, p. 100.

(5)

9 E invece scoprono di essere braccati da belve che fanno tremare tutti: la paura, l’arrivismo, la lotta, l’angoscia.

Ogni profeta, anche il migliore di Israele, conosce la notte in cui tutto vacilla, fino alla confessione di «non essere migliore dei miei padri» (1Re 19,4).

Dietro Gesù, i discepoli arrossiscono. Scoprono la sacrosanta verità, caratteristica di ogni «io»: vale a dire che, in fin dei conti, non riusciamo a salvarci da soli, facendo leva su noi stessi. Eroi donchisciotteschi, finiamo impigliati nelle pale di qualche mulino a vento.

Però, nel giorno delle sconfitte più cocenti, Gesù è ancora lì, che ci cerca con il suo sguardo mite e festoso.

È stata l’esperienza di Pietro, sulla sponda del lago di Tiberiade, quando pensava che tutto fosse ormai finito. «Hai visto dove ti ha condotto il tuo io?», sembra investigare Gesù. Pietro si sente rivolgere la domanda che ogni narcisista patologico spera primo o poi di ascoltare: «Simone di Giovanni, mi vuoi bene tu più di costoro?» (Gv 21,15).

Più di tutti, Pietro! Più degli altri, più di tutti i cri- stiani, più dei discepoli, più di tutti gli uomini in un colpo solo! Tu solo capace di realizzare ciò che gli altri non riescono nemmeno a sfiorare!

Pietro piange amaramente, contempla i cocci del suo piccolissimo «io», non gli resta in mano che un pugno di sabbia. Scopre di aver avuto dei sogni mastodontici, purtroppo enormemente più grandi della goffaggine del suo corpo.

Però, per lui, è ancora disponibile la stessa parola del primo giorno. «Seguimi!» (Gv 21,19). È la prima e ultima parola di ogni cristiano.

(6)

10

Forse è la storia di tutti noi. Dei nostri mille tentativi di vivere e di provare a far del bene, che poi si risolvono in un nulla di fatto.

Alla fine di tutto non c’è però un sentimento di de- lusione, come se ogni battaglia fosse inutile, e noi dei perfetti inetti, incapaci di portare a termine il compito che la nostra ambizione ci aveva suggerito. Alla fine del cunicolo in cui ci siamo infilati c’è ancora lui, che ci aspettava con enorme dolcezza, e che voleva ripeterci quella parola da cui siamo fuggiti per tutta la vita.

«Seguimi!».

Cammina dietro a me.

(7)

Dal vangelo secondo Marco (1,14-20)

14Dopo che Giovanni fu arrestato, Gesù andò nella Galilea, proclamando il vangelo di Dio, 15e diceva: «Il tempo è com- piuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo».

16Passando lungo il mare di Galilea, vide Simone e Andrea, fratello di Simone, mentre gettavano le reti in mare; erano infatti pescatori. 17Gesù disse loro: «Venite dietro a me, vi farò diventare pescatori di uomini». 18E subito lasciarono le reti e lo seguirono. 19Andando un poco oltre, vide Giacomo, figlio di Zebedeo, e Giovanni suo fratello, mentre anch’essi nella barca riparavano le reti. 20E subito li chiamò. Ed essi lasciarono il loro padre Zebedeo nella barca con i garzoni e andarono dietro a lui.

(8)

13 1

La sorpresa

Novità in Galilea

C’è anzitutto un senso di novità in questo brano evangelico, potremmo dire di cesura.

Gesù non è un personaggio sconosciuto al lettore del vangelo. L’incipit dell’opera è pirotecnico: fin dal primo versetto l’autore mette nelle mani del suo lettore tutto ciò che c’è da sapere sul conto dell’eroe, come se fosse un mortaretto pronto per esplodere: «Inizio del vangelo di Gesù, Cristo, il Figlio di Dio» (Mc 1,1). In questo brevissimo prologo c’è un cerchio completo, anulare, che combacia perfettamente, senza nemmeno una scollatura. Marco spiega che il libro che si sta per leggere è una buona notizia, che questa buona notizia è anzitutto una persona, che questa persona porta il nome di Gesù, che Gesù è il Cristo, e infine che questo personaggio è il Figlio di Dio.

Ecco: il vangelo potrebbe concludersi anche qui, come un romanzo giallo di cui, casualmente, siamo venuti a scoprire fin da subito, addirittura alla prima pagina, che l’assassino è il maggiordomo. Alla fine della narrazione non sapremo molte più cose sul conto di Gesù rispetto a queste informazioni basilari, fornite proprio all’inizio del viaggio.

(9)

14

Il pensiero molesto

Certo, in mezzo c’è una storia. E la storia è raccon- to, sussulto, pelle d’oca, indignazione, trasalimento.

Per cui, questa definizione di Gesù che adesso appare brachilogica e asettica, poco alla volta si colorerà, as- sumendo tonalità caldissime. Giocoforza chi legge la vicenda di questo schivo profeta di Galilea, che non aveva nemmeno troppa voglia di dare nell’occhio, ne ri- sulterà invischiato. Come se fosse un pensiero molesto che non ci lascia in pace, che c’importuna e c’insegue, un pensiero di cui non ci si sbarazza tanto facilmente, anche se mettessimo tutto il nostro impegno per scrol- larcelo di dosso.

Però, dopo questo incipit spettacolare, il racconto di Marco s’inabissa, per parlare di altro. L’atteso campio- ne, il paladino senza macchia e senza paura – benché gravato di un’identità così ingombrante; potremmo az- zardare: il massimo carico di responsabilità che si può depositare sulle spalle di un uomo – ebbene, quest’eroe si defila. Lo si direbbe un personaggio umile, addi- rittura timido. Così, dopo aver ascoltato un roboante rullo di tamburi, il tappeto rosso da cerimonia che tutti quanti ci aspetteremmo venga presto calpestato da qualcuno, finisce inspiegabilmente deserto. Dopo l’annuncio, Gesù scompare.

La figura del Battista

A occupare per intero le prime pagine del vangelo di Marco, a divorarle quasi, è invece la figura del Battista.

(10)

15 È lui a cucirsi addosso le impegnative parole di Isaia:

«Voce di uno che grida nel deserto».

È lui che s’incarica del compito di spianare la strada, di dissodare il terreno perché le armate dell’Onnipo- tente possano procedere veloci: «Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri».

È soprattutto lui a tendere allo spasimo, come una corda di violino, quell’ideale di santità che era il sogno ricorrente di Israele. Perché – è bene ricordarlo – Israele non era un popolo corrotto in radice, rancido, lontano con il cuore e il pensiero da Dio. L’accusa d’indifferenza religiosa non gliela possiamo sicuramente rivolgere: al suo interno una conventicola di cittadini cercava addi- rittura di mettere in pratica tutti i comandamenti della legge. Nel primo secolo della nostra era, c’era perfino gente straniera che si avvicinava all’ebraismo perché affascinata dal suo rigore etico. Magari si trattava di un popolo un po’ ingessato, così moralista da paralizzare in un reticolo di barocchismi la vita dei suoi credenti;

ma certamente non si trattava di un popolo freddo, ribelle rispetto alle imposizioni religiose.

Ebreo all’ennesima potenza

Dunque il Battista è figlio del suo popolo: porta all’e- stremo il sogno di santità e di purezza che è l’eredità del miglior Israele.

La pratica ascetica raggiunge nella sua persona livelli eccezionali, che non saranno mai più pareggiati: si ciba di locuste, abita nel deserto, si rifiuta di indossare abiti civili. Rampollo di una famiglia sacerdotale, si lascia

(11)

16

alle spalle gli agi e gli ozi della sua condizione di privi- legiato. Poi c’è il capitolo della predicazione, che non fa una grinza rispetto al suo stile di vita: omelie infuocate, veementi, capaci di ravvivare il senso di colpa anche tra le persone apparentemente più innocenti del mondo.

Perché, a farsi battezzare nel Giordano, non sono soprattutto i pubblicani e le prostitute; almeno così sembra. Più probabilmente ci va una folla di gente ben disposta; ci vanno le persone più inquadrate del suo tempo: i residenti di Gerusalemme, i farisei, gli uomini perennemente genuflessi davanti alla legge di Dio.

Il Battista in fondo è uno di loro. Solo che si è messo in mente di camminare parecchi passi più avanti di loro.

Ne è testimonianza il fatto che Giovanni, al con- trario di Gesù, non soffrirà molestie da parte dei suoi correligionari, e tanto meno dalle autorità del Tempio.

Nei primi versetti di vangelo si racconta perfino, forse calcando un po’ la mano, che tutta la città di Gerusa- lemme è ai suoi piedi. Il Battista dovrà invece patire persecuzioni da parte di un altro nemico, di natura totalmente estranea, vale a dire di una persona che solo di striscio ha a che fare con quel popolo di bigotti tutti preoccupati di piacere a Dio: stiamo parlando di Erode Antipa. Come sappiamo, l’insaziabile amante del re non perdonerà a quell’iradiddio, che ficca il naso nelle questioni sentimentali altrui, di aver de- nunciato una tresca amorosa che tutti fanno finta di non vedere.

Riferimenti

Documenti correlati

Attorno a loro aleggia uno strano mistero, un segreto che le tre donne custodi- scono con molta attenzione, perché la sua rivelazione comporterebbe la perdita di quanto di

ROSSI: Il senso della storia intrinseco all’arte: tempi e tem- peste. Giovedì

Ci spiegano che in questo progetto le regole della matematica sono risultate molto pre- ziose: le formule studiate sono state essenzia- li, e in più ne hanno imparate anche

Lascio che la suspense cresca, e poi dico: ‘Medicina dello stile di vita - una dieta sana a base vegetale; 30 mi- nuti al giorno di attività fisica; riduzione dello

The monitoring of transparency requirements in the case of MTI could actually be based on Art 11(1) of the new Regulation 713/2009 on cross- border exchanges which clearly states

in numerosi spazi di ricerca (ad esempio sistemi complessi adattivi, teoria della complessità algoritmica, epistemologia della complessità, teoria della complessità

“La diffusione del culto della piena salute comporta anche l’intolleranza verso qualsiasi situazione di malessere , anche passeggero, considerato come una sconfitta”

dei volontari del gruppo di intervento ha raggiunto l’obiettivo di più di 240 minuti a settimana 48. In realtà, l’applicabilità di que- sti interventi nella pratica quotidiana