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Strategie cognitivo-comportamentaliper incoraggiare l’uso dell’attivitàfisica nello stile di vita delle persone con diabeteIl progetto “Io Muovo la Mia Vita”

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(1)

Rassegna

Strategie cognitivo-comportamentali per incoraggiare l’uso dell’attività fisica nello stile di vita

delle persone con diabete

Il progetto “Io Muovo la Mia Vita”

RIASSUNTO

I crescenti livelli di inattività fisica e la facile disponibilità di cibo ad alta densità calorica stanno portando un numero sempre maggiore di persone a sviluppare condizioni patologiche quali l’obesità, l’insulino-resistenza e il diabete mellito di tipo 2.

L’inattività fisica è responsabile di circa 2 milioni di morti all’anno nel mondo e causa del 10-16% di casi di diabete, di cancro del colon, di cancro della mammella e del 22% dei casi di cardiopa- tia ischemica. Identificare strategie che facilitino la partecipazio- ne all’attività motoria in quantità adeguata a produrre benefici, rappresenta una particolare sfida per coloro che lavorano nel campo sanitario. In questa rassegna sono presentate le differen- ti strategie che sono state usate per promuovere e mantenere i cambiamenti di comportamento nei riguardi dell’attività fisica, includendo teorie basate su interventi, approcci interpersonali, individuali o di gruppo, strumenti motivazionali, approcci ecolo- gici e interventi plurimi. Vengono, inoltre, riportati i dati prelimina- ri del progetto Io Muovo la Mia Vita che coinvolge un gruppo di diabetologi, pazienti con obesità e/o diabete che hanno l’obiet- tivo di correre la Maratona di Milano e utilizza un nuovo promet- tente modello che sta sperimentando l’uso dell’autobiografia narrativa come strategia cognitivo-comportamentale di gruppo per favorire l’adesione di persone con obesità e/o diabete a un impegnativo programma di attività fisica.

SUMMARY

Cognitive behavioural strategies to promote an active life style - The project : I Move My Life

Physical inactivity causes about 2 million deaths worldwide annually. Globally, it is estimated to cause about 10-16% of cases each of breast cancer, colon cancers and diabetes, and about 22% of ischemic heart disease. There is a large evidence in literature about the beneficial effects of regular aerobic physi- cal activity with a significant dose response relationship. This review summarizes the effective strategies used to augment physical activity levels of diabetic population. In addition, a novel cognitive behavioural approach based on the use of narrative autobiography is introduced. The innovative project “I Move My

D. Battistini 1 , N. Piana 2 , P. De Feo 1

1

Dipartimento di Medicina Interna, Sezione Medicina Interna, Scienze Endocrine e Metaboliche, Università di Perugia, Perugia;

2

Dottore di Ricerca in Pedagogia, Facoltà di Scienze della Formazione, Università degli Studi Milano-Bicocca, Milano

Corrispondenza: prof. Pierpaolo De Feo, DIMI, via E. dal Pozzo, 06126 Perugia

e-mail: pierpaolodefeo@gmail.com

G It Diabetol Metab 2007;27:129-137

Pervenuto in Redazione il 25-02-2007

Accettato per la pubblicazione il 04-04-2007

Parole chiave: attività fisica, diabete, obesità,

maratona, autobiografia narrativa, tecniche

cognitivo-comportamentali, stile di vita

Key words: physical activity, diabetes, obesity,

marathon, narrative autobiography, cognitive

behavioural strategies, life style

(2)

Life” involves a group of endocrinologists and their patients affected by obesity and/or diabetes in a one year training pro- gramme to run the Milano City Marathon. Periodically, all partici- pants report to the entire group their feelings, beliefs and difficul- ties in a written form. The preliminary results show that narrative autobiography is a potent instrument to increase the adherence of participants to the training programme and the perception of participants to be a compact group which shares and fights against the same problem.

Introduzione

In confronto alla prima metà del secolo scorso la nostra società sta diventando sempre più sedentaria. I crescenti livelli di inattività fisica e la facile disponibilità di cibo ad alta densità calorica stanno portando un numero sempre mag- giore di persone a sviluppare condizioni patologiche quali l’o- besità, l’insulino-resistenza e il diabete mellito di tipo 2 (DM2). In un recente documento, l’Organizzazione Mondiale della Sanità sostiene: “L’inattività fisica è responsabile di circa 2 milioni di morti all’anno nel mondo e causa del 10- 16% di casi di diabete, di cancro del colon, di cancro della mammella e del 22% dei casi di cardiopatia ischemica”

1

. La situazione è allarmante non solo per i Paesi industrializzati, ma anche per quelli in via di sviluppo

2

.

È ben documentato dagli studi della letteratura scientifica che crescenti livelli di attività fisica giocano un ruolo chiave nella prevenzione e terapia dell’obesità, del diabete e della condizione di insulino-resistenza

3

. Società scientifiche come l’American College of Sports Medicine e il Centro per il con- trollo e la prevenzione delle malattie statunitense (Centres for Disease Control and Prevention), hanno fornito raccomanda- zioni su quanta attività fisica si dovrebbe fare per mantenere lo stato di salute e ridurre i fattori di rischio per un gran numero di malattie

3

. Queste linee guida raccomandano di praticare un minimo di 30 minuti consecutivi di attività fisica moderata, almeno 5 giorni alla settimana, preferibilmente tutti i giorni

3

. Il Ministero della Sanità del Regno Unito ha pub- blicato nel 2004 una rassegna sul rapporto tra attività fisica e salute

4

. La rassegna ha concluso che in molte persone, senza dover ridurre l’introito calorico, 45-60 minuti di attività fisica ogni giorno potrebbero essere sufficienti per prevenire lo sviluppo dell’obesità. Inoltre, le persone che sono state obese e hanno perso peso, dovrebbero aver bisogno di 60- 90 minuti di attività al giorno al fine di mantenere tale perdita di peso

4

. Questi suggerimenti hanno un ruolo importante nei soggetti con insulino-resistenza o DM2, poiché la maggior parte di questi individui è obesa o in sovrappeso.

Il problema è che circa il 65% della popolazione adulta dei Paesi anglosassoni

4

e circa l’80% di quella italiana (dati ISTAT 2006) non pratica i livelli minimi di attività fisica consi- gliati dalle società scientifiche per migliorare e mantenere la salute. Inoltre, la quantità di attività fisica tende a ridursi signi- ficativamente con l’età proprio nel periodo della vita in cui si riduce la sensibilità insulinica e ciò contribuisce ad aumenta- re l’incidenza del DM2 con l’invecchiamento.

Identificare strategie che facilitino la partecipazione all’attività

motoria in quantità adeguata a produrre benefici, rappresenta una particolare sfida per coloro che lavorano nel campo sani- tario. In realtà, non vi sono molti lavori focalizzati sulle strategie ottimali per promuovere e mantenere l’attività fisica in questi pazienti. A questo riguardo, le linee guida delle Società Scientifiche raccomandano che gli interventi di attività fisica siano basati su un valido costrutto teorico. Tuttavia, non ci sono ancora dimostrazioni definitive su quale sia la struttura teorica da preferire o la migliore combinazione di esse.

A breve termine, è stata dimostrata l’efficacia nello stimolare sostanziali incrementi nell’attività fisica mediante strumenti motivazionali come pedometri, sensori portatili che misurano il dispendio energetico e suggerimenti sul tipo di attività fisi- ca, ma sono richieste ulteriori strategie per mantenere i cam- biamenti di comportamento a lungo termine.

Il counseling per l’attività fisica ha dimostrato una sua effica- cia per periodi fino a due anni in pazienti con DM2. Le ricer- che future dovrebbero identificare gli effetti a lungo termine di questo tipo di intervento e la produttività dei diversi metodi di somministrazione.

In questa rassegna saranno presentate le differenti strategie che sono state usate per promuovere e mantenere i cambia- menti di comportamento nei riguardi dell’attività fisica, inclu- dendo teorie basate su interventi, approcci interpersonali, individuali o di gruppo, strumenti motivazionali, approcci ecologici e interventi plurimi. Successivamente, saranno rias- sunte le conclusioni di queste ricerche, suggerite alcune rac- comandazioni e proposto un nuovo promettente modello sperimentale per le ricerche future.

Teorie per indurre la modifica del comportamento

Capire i fattori che motivano le persone a essere fisicamen- te attive è essenziale per lo sviluppo di interventi efficaci per la promozione dell’attività motoria.

Numerosi modelli teorici sono stati proposti e usati con l’o-

biettivo di definire il comportamento nei confronti dell’attività

fisica. I modelli proposti includono: il modello di percezione

della salute (health belief model)

5

, la teoria di motivazione per

la prevenzione (protection motivation theory)

6

, entrambi

basati sul concetto che la modifica comportamentale è lega-

ta alla tendenza di proteggersi nei confronti delle malattie e a

cercare di migliorare la propria salute. Altri modelli utilizzati

sono: la teoria dell’auto-efficacia (self efficacy theory)

7

che si

basa sulla fiducia nella capacità di modificare il proprio com-

portamento, la teoria dell’azione motivata (theory of reason-

ed action)

8

che esamina l’intenzione della persona nel met-

tere/non mettere in pratica un nuovo comportamento, il

modello socio-cognitivo (social cognitive model)

9

che esplo-

ra le influenze ambientali, i fattori personali e le caratteristiche

stesse del comportamento e i modelli teorici di cambiamen-

to (transtheoretical model of behaviour change)

10

che pro-

pongono che le persone si muovono attraverso stadi, nel

momento in cui decidono di cambiare passando da uno sta-

dio a uno successivo o precedente.

(3)

In realtà, non c’è un accordo sul miglior modello o sulla miglio- re combinazione di modelli da usare per cambiare il compor- tamento nei confronti dell’attività fisica. Molte ricerche sono a favore dell’uso nella popolazione generale di un modello transteorico di cambiamento

11

. Attualmente, abbiamo ulterio- ri ricerche a favore dell’efficacia di questo modello anche per la promozione dell’attività fisica in persone con DM2

12-14

. Nel modello transteorico di cambiamento del comportamen- to sono stati identificati 5 stadi: pre-contemplativo, contem- plativo, in preparazione, in azione e in mantenimento

15

. La progressione da uno stadio all’altro non sempre avviene secondo una rigida sequenza e le persone possono in ogni momento progredire in avanti o ricadere indietro in uno o più stadi. Il modello propone che diverse strategie di intervento dovrebbero essere usate nei differenti stadi di cambiamento per aiutare il progredire della persona verso uno stadio più alto o per evitare le ricadute. La definizione di ogni stadio è presentata nella tabella 1 insieme ai consigli per le strategie più appropriate.

Il modello transteorico di cambiamento del comportamento incorpora tre componenti che sono l’auto-efficacia (fiducia nella capacità di cambiare), il bilancio decisionale (pro e con- tro del cambiamento) e i processi cognitivi e comportamen- tali del cambiamento (dieci strategie usate dalle persone nel cambiare il comportamento).

Nel 2001, una metanalisi di 71 lavori pubblicati ha analizzato i risultati degli interventi con i modelli transteorici per pro- muovere l’attività fisica nella popolazione generale, e la rela- zione tra i livelli di attività fisica e i singoli componenti alla base della struttura del modello (stadi di cambiamento, bilancio decisionale, auto-efficacia e processi di cambiamen- to)

11

. I risultati di questa metanalisi hanno supportato forte- mente l’applicazione del modello transteorico per l’attività fisica, visto che ogni componente differiva attraverso gli stadi nella direzione prevista dalla teoria

11

.

Il modello transteorico sembra essere un buon modello per scegliere una base teorica per capire e influenzare il compor-

tamento verso l’attività fisica anche nelle persone con DM2.

Mau et al. hanno dimostrato la validità di questo modello in soggetti con DM2 o a rischio di DM2, riportando gli stadi di cambiamento e il movimento tra gli stadi in riferimento ai cambiamenti di comportamento nei confronti dell’esercizio fisico

13

. Anche l’American College of Sport Medicine consi- glia l’uso del modello transteorico per promuovere l’attività nelle persone con DM2

16

. Ciò spiega perché numerosi studi hanno usato questo modello come una struttura teorica per gli interventi di promozione dell’attività in persone con dia- bete

12,14,17-19

.

Approcci interpersonali

Una rassegna sugli interventi di attività fisica rivolti a persone adulte o anziane ha dimostrato che gli interventi efficaci hanno usato strategie comportamentali o cognitivo-compor- tamentali, mentre sono risultati poco efficaci gli interventi basati sulla semplice educazione alla salute o sulla prescri- zione dell’esercizio fisico

20

.

Le strategie usate per l’approccio interpersonale includono l’individuazione degli obiettivi, l’auto-monitoraggio, il feed- back, il supporto, il controllo degli stimoli e l’educazione alla prevenzione delle ricadute.

Due approcci interpersonali rilevanti nella promozione dell’at- tività fisica sono il colloquio motivazionale (motivational inter- viewing) e il counseling per l’attività fisica (physical activity consultation).

Colloquio motivazionale

Il colloquio motivazionale (motivational interviewing) è stato originariamente proposto per il trattamento delle dipendenze ed è descritto come “una strategia centrata sul paziente che viene consigliato a esaminare e risolvere le incertezze nei confronti della modifica del suo comportamento”

21

.

Tabella 1 Gli stadi del cambiamento nei confronti dell’attività fisica e le strategie di counseling appropriate per ciascuno stadio.

Stadio Definizione Strategia appropriata

Pre-contemplativo Sedentario, non intende cambiare Informazione e consigli sui rischi della nei successivi 6 mesi condizione di sedentarietà e sui benefici

dell’attività motoria

Contemplativo Sedentario, ma pensa di diventare Bilancio decisionale (analisi dei pro e attivo nei successivi 6 mesi dei contro della modifica).

Colloquio motivazionale

In preparazione Ha già fatto qualche tentativo Programmare degli obiettivi realistici per diventare attivo e stabilire il supporto

In azione Attivo, ma da meno di 6 mesi Rinforzo dei risultati e dei benefici ottenuti. Consigli sul superamento di eventuali ostacoli

Mantenimento Attivo da più di 6 mesi Prevenzione delle ricadute, di infortuni

e proposta di attività alternative

(4)

Durante il colloquio motivazionale vengono esplorati i senti- menti di conflitto relativi a un comportamento sbagliato.

Attraverso un ascolto riflessivo e domande aperte, l’individuo è incoraggiato a esprimere le proprie motivazioni, la soluzio- ne dei problemi ai propri limiti, per cambiare e formulare nuovi traguardi. Un punto fondamentale dell’intervento è la responsabilità personale nel cambiare. Il colloquio motivazio- nale è generalmente applicato a persone nello stadio pre- contemplativo, dove l’incertezza nel cambiare raggiunge il picco.

Il colloquio motivazionale è stato recentemente applicato al cambiamento d’approccio verso l’attività fisica. Uno studio pilota, randomizzato, ha esaminato l’efficacia di aggiungere le strategie di colloquio motivazionale al programma di con- trollo comportamentale del peso per donne con DM2

22

. Le partecipanti a cui è stato somministrato il colloquio motiva- zionale hanno dimostrato in modo significativo una migliore risposta, in quanto hanno monitorato più spesso la glicemia e raggiunto un miglior controllo della glicemia in seguito al trattamento

22

. Anche la frequenza di esercizio e la registra- zione dell’introito calorico aumentavano, sebbene in manie- ra non significativa

22

.

Harland et al. hanno valutato l’efficacia del colloquio motiva- zionale, breve e intenso, con o senza incentivi economici per promuovere l’attività fisica nella popolazione

23

. La percentua- le dei partecipanti che riferivano un aumento di attività fisica dopo 12 settimane era significativamente maggiore in tutti i gruppi dell’intervento rispetto ai controlli

23

. La percentuale dei partecipanti che aumentava la propria attività non era diversa tra i gruppi che avevano un colloquio motivazionale breve o intenso. Tuttavia, un maggior numero di partecipan- ti che aveva ricevuto insieme al colloquio motivazionale intenso anche gli incentivi economici ha aumentato l’attività fisica rispetto agli altri gruppi di intervento. Gli incrementi di attività fisica riferiti a 12 settimane non erano mantenuti a un anno, indipendentemente dall’intensità dell’intervento

23

. Diversi limiti metodologici sono presenti in questo studio, ed è chiaro che un’ulteriore ricerca è richiesta per stimare accu- ratamente l’efficacia del colloquio motivazionale nel promuo- vere e mantenere l’attività motoria.

Counseling per l’attività fisica

Il counseling è simile al colloquio motivazionale

24

.

L’approccio è centrato sull’individuo ed è semi-strutturato con delle variabili basate sui bisogni dell’individuo

24

. Il coun- seling per l’attività fisica è spesso basato sul modello trans- teorico della modifica comportamentale e, di norma, è costi- tuito da una discussione vis a vis con un individuo, che inglo- ba una serie di strategie basate sull’evidenza di promuovere e mantenere l’attività motoria.

Le strategie usate includono: l’analisi dell’attuale comporta- mento, il bilancio decisionale, il supporto sociale, lo stabilire obiettivi precisi e la prevenzione delle ricadute.

Uno studio pubblicato nel 2005 da Rollnick et al. ha descrit- to l’importanza dello stile del consulente per indurre la modi- fica comportamentale, sottolineando il valore di una linea guida piuttosto che di un atteggiamento direttivo, dove fon-

damentalmente il paziente decide se cambiare o meno il pro- prio comportamento e come fare per cambiarlo

25

. Coloro che promuovono la salute sono propensi a rimanere un passo indietro nella consulenza, in modo da evitare la per- suasione, incoraggiando invece il paziente a prendersi la responsabilità del cambiamento comportamentale, ed esplorare e sviluppare le proprie motivazioni e i propri tra- guardi. Anche lo stile di vita di chi conduce la consulenza gioca un ruolo nello stimolare i pazienti con DM2 a cambia- re il proprio comportamento sedentario. Il consiglio sulle abi- tudini di vita da parte di medici che hanno un corretto stile di vita ha più efficacia rispetto al consiglio dei medici che hanno un cattivo stile di vita

26

. Durante il counseling la comunicazio- ne non verbale è una dinamica importante che influenza il bilancio decisionale del paziente. Questo concetto è stato ben espresso dal filosofo latino Lucius Annaeus Seneca, che ha scritto in una delle sue lettere a Lucilio: “le persone cre- dono molto di più ai loro occhi che alle loro orecchie”.

Un numero di esperimenti randomizzati e controllati supporta l’uso del counseling per la promozione dell’attività fisica nella popolazione in generale

27-31

e, in particolare, nella popolazio- ne con diabete. Riguardo alle persone con diabete, due studi pilota randomizzati hanno dimostrato l’efficacia del counse- ling per la promozione dell’attività fisica a breve termine (1 mese) in soggetti con DM1 e DM2

17,18

. Lo studio di Kirk et al.

ha dimostrato l’efficacia del counseling per la promozione dell’attività fisica a distanza di 6-12 mesi in soggetti con DM2

14

. I partecipanti assegnati ai gruppi di intervento hanno ricevuto un counseling sull’attività fisica all’inizio e a 6 mesi con telefonate di supporto da 1 a 3 mesi dopo ogni consu- lenza. I partecipanti nel gruppo di controllo hanno ricevuto un trattamento standard in cui veniva promossa l’attività fisica con un foglio illustrativo sui benefici dell’esercizio nel diabete.

L’analisi dei risultati ottenuti a sei e dodici mesi rispetto al basale ha incluso i parametri di attività fisica (auto-compilazio- ne di un questionario, monitoraggio dell’attività, stati e pro- cessi comportamentali verso l’attività), variabili fisiologiche (pressione sanguigna, BMI, funzionalità cardiorespiratoria), variabili biochimiche (Hb glicosilata, profilo lipidico, fibrinoge- no) e parametri di qualità della vita. Rispetto al gruppo di con- trollo, i partecipanti che ricevevano il counseling hanno dimo- strato consistenti miglioramenti nelle misure oggettive e sog- gettive dei livelli di attività fisica, la progressione attraverso stadi di modifica comportamentale verso l’esercizio e un incremento nella frequenza d’uso dei 10 processi di modifica comportamentale. Dal basale al 6°-12° mese il gruppo di intervento ha avuto una crescita media di 150 minuti di attivi- tà fisica moderata e di 130 minuti di attività fisica vigorosa.

Effetti favorevoli sono stati anche documentati nel controllo

glicemico, funzionalità cardiorespiratoria, pressione sangui-

gna, colesterolo totale e in alcuni parametri della qualità della

vita. Al contrario, il gruppo di controllo ha avuto una diminu-

zione nei livelli di attività fisica e un deterioramento nel control-

lo glicemico

14

. Ciò sottolinea il fatto che la semplice educazio-

ne, quando si limita a essere istruzione e illustrazione sul dia-

bete, come avviene di routine, non ha efficacia nello stimola-

re il cambiamento comportamentale verso l’attività fisica in

soggetti con DM2. In uno studio analogo di Chun et al. è

(5)

stata valutata l’efficacia del counseling per l’attività fisica, sempre basato sul modello transteorico del cambiamento comportamentale e strutturato in stadi di comportamento, in un periodo di più di tre mesi

12

. Questo studio ha usato un gruppo di controllo che ha ricevuto i consigli educativi stan- dard. Anche in questo studio il gruppo di intervento, rispetto al controllo, ha mostrato significativi miglioramenti nella fase di cambiamento comportamentale verso l’esercizio, nei livel- li di attività fisica, glicemia a digiuno ed emoglobina glicosila- ta. Il gruppo di controllo non ha dimostrato significativi cam- biamenti

12

. Infine, Di Loreto et al. hanno dimostrato una effi- cace promozione dell’attività motoria per più di due anni in soggetti con DM2, mediante un counseling, somministrato da medici, per l’attività fisica

32

. L’intervento usato in questo studio è stato individualizzato e ha incorporato strategie cognitivo-comportamentali simili a quelle prima descritte senza che l’intervento fosse strutturato in stadi di cambia- mento comportamentale

32

. A ogni intervento il partecipante riceveva una consulenza di base riguardo all’attività fisica e questo era supportato da una chiamata telefonica un mese dopo e da appuntamenti ambulatoriali ogni 3 mesi. Il gruppo di controllo riceveva l’abituale trattamento in forma di consigli educativi generici. Dopo 2 anni il gruppo di intervento docu- mentava un incremento di sette volte nei livelli di attività fisica, oltre a una significativa riduzione del BMI e dell’emoglobina glicosilata. Il gruppo di controllo aveva un significativo aumen- to del BMI e cambiamenti non significativi nei livelli di attività fisica o dell’emoglobina glicosilata. L’analisi post-hoc dell’in- tervento dimostrava che maggiore era il dispendio energetico dovuto all’attività fisica praticata nel tempo libero e maggiori erano gli effetti benefici in numerosi parametri biologici e nel risparmio dei costi

33

. Nella tabella 2 sono riportati gli effetti benefici previsti in relazione a incrementi progressivi nel dis- pendio energetico dei pazienti con DM2

33

. Questi dati dovrebbero essere usati durante la consulenza per l’attività fisica per influenzare positivamente il processo di bilancio decisionale dei pazienti.

Per cambiare comportamento una persona dovrebbe perce- pire un incentivo

7

, così il counseling dovrebbe essere indivi- dualizzato in modo da convincere il paziente che un’attività fisica regolare è la giusta strategia per realizzare i propri tra- guardi. A questo riguardo è molto efficace capire le aspetta- tive del paziente perché questo permette di centrare la con- versazione sui risultati individuali.

Nella popolazione generale la consulenza per l’attività fisica è stata sperimentata con varie modalità che includono contatti vis a vis, sessioni di gruppo, contatti con medici per via telefo- nica o attraverso internet. Nel DM2 la maggior parte di consu- lenze per l’attività fisica è stata eseguita mediante il contatto diretto, faccia a faccia. Questo metodo può richiedere tempo e c’è un po’ di confusione su quale sia la figura professionale più idonea per questo tipo di interventi. A nostro avviso il diabeto- logo, esperto di tecniche cognitivo-comportamentali, è in grado di gestire il counseling in maniera efficace nella maggior parte dei casi, soprattutto perché rappresenta la figura profes- sionale a cui la persona con diabete si rivolge per risolvere il suo problema. Il diabetologo deve essere in grado di capire se esi- stono disturbi della personalità che richiedono la consulenza di uno specialista psicologo o, se necessario, di uno psichiatra.

Interventi di gruppo

Le sessioni d’esercizio strutturate con interventi di gruppo sono state criticate per non avere basi teoriche, perché for- mano un limitato numero di persone veramente motivate, per non utilizzare un approccio individualizzato, centrato sulla persona, e per avere un elevato tasso di ritiri.

Un lavoro preliminare di Dishman (dati non pubblicati) ha documentato che circa la metà degli individui che inizia un programma d’esercizio di questo tipo, si ritira nei primi 6 mesi. Tuttavia, le sessioni di gruppo possono servire come un importante supporto per gli individui e potrebbero essere più utili per coloro che necessitano di un ulteriore consiglio e guida, dopo il counseling individuale.

Tabella 2 Benefici attesi dal camminare a passo svelto (km/settimana) in pazienti con diabete mellito di tipo 2, dopo 2 anni di attività

33

.

Km / settimana 15 20 25 30 40 50

BW (kg) -1,2 -1,6 -2,0 -2,4 -3,2 -4

Cir. vita (cm) -2,4 -3,2 -4,0 -4,8 -6,2 -8,0

HBA

1c

(%) -0,3 -0,4 -0,5 -0,6 -0,8 -1,0

PA max (mmHg) -2,1 -2,8 -3,5 -4,2 -5,6 -7,0

PA min (mmHg) -1,2 -1,6 -2,0 -2,4 -3,2 -4,0

FC riposto (bpm) -2 -3 -4,0 -5 -6 -8

COL HDL (mg/dl) +2,1 +2,8 +3,5 +4,2 +5,6 +7,0

TG (mg/dl) -19 +2,1 -48,2 -55,2 -57,4 -68,4

CHD (% a 10 anni) -1,2 -1,6 -2,0 -2,4 -3,2 -4,0

Insulina (UI/die) -5 -7 -9 -11 -14 -18

Farmaci ( €/anno) -300 -400 -500 -600 -800 -1000

CHD: rischio di coronoropatia

(6)

Alcune ricerche indicavano che corsi di esercizio strutturati su interventi di gruppo potrebbero essere più efficaci nella popolazione anziana che nella popolazione generale. Kirk et al. hanno indagato l’adesione a tali corsi di gruppo nei pazienti sottoposti a riabilitazione cardiaca

34

.

I risultati hanno documentato che l’83% dei pazienti in riabi- litazione cardiaca stava ancora partecipando ai corsi di atti- vità motoria dopo 6 mesi. Questa ricerca inoltre ha dimostra- to che le persone con diabete avevano un tasso significati- vamente minore di adesione rispetto alle persone senza dia- bete

34

.

In teoria, una conveniente strategia per ottenere elevati livelli di aderenza e per non sprecare tempo e soldi, potrebbe con- sistere in una iniziale consulenza con esercizi individualizzati seguita da attività di gruppo una volta che i pazienti migliora- no il proprio stadio di comportamento.

Strumenti motivazionali

Pedometri

Molte ricerche hanno documentato il beneficio di cammina- re per la persone con DM2. Camminare ha un immediato effetto sui livelli di glicemia

35

. Inoltre, camminare regolarmen- te migliora la funzionalità cardiorespiratoria, la composizione corporea, l’Hb glicosilata, il profilo lipidico e l’insulino-resi- stenza

36,37

. In uno studio prospettico di gruppo, Gregg et al.

riportano che le persone con diabete che camminano per lo meno 2 ore alla settimana, rispetto alle persone inattive con diabete, hanno un 39% in meno di tasso di mortalità da tutte le cause e un 34% in meno di tasso di mortalità cardiovasco- lare

38

. Di Loreto et al. hanno dimostrato un significativo beneficio oltre che in termini di salute anche da un punto di vista economico da un intervento di counseling per l’attività fisica che ha primariamente promosso il camminare

34

. In un periodo di due anni, i costi a carico del servizio sanitario nazionale si sono ridotti nel gruppo di intervento in media di circa 1000 euro per persona all’anno (Tab. 2)

34

.

I pedometri sono stati recentemente promossi dai media come strumenti efficaci per promuovere la camminata, con l’obiettivo di raggiungere 10.000 passi al giorno.

Tudor Locke et al. hanno dimostrato che i pedometri sono efficaci strumenti motivazionali per promuovere la cammina- ta in persone con DM2 per un periodo da 4 a 16 settimane

39

. Comunque, il cambiamento non veniva mantenuto a 24 set- timane

39

. Anche Mutrie et al. hanno dimostrato che l’incre- mento nel numero dei passi con i pedometri era evidente solo a breve termine ma dopo 52 settimane i livelli di attività erano ritornati al minimo

40

.

Alcune ricerche recenti con il pedometro si sono focalizzate sull’identificare la migliore strategia da combinare con l’uso dello strumento. L’evidenza ha trovato appropriato l’obiettivo dei 10.000 passi al giorno, come un obiettivo universale, indipendente dalle variazioni riportate nei sottogruppi di popolazioni differenti

39

.

La ricerca indica che i futuri programmi di camminata

dovrebbero essere basati su obiettivi personalizzati con l’o- biettivo finale di raggiungere i 30 minuti al giorno di attività fisica. A questo riguardo, ricerche condotte da Baker et al., hanno dimostrato che l’obiettivo passi (pedometro) è più effi- cace dell’obiettivo tempo

41

.

Monitor del dispendio energetico

La recente disponibilità di strumenti portatili per il monitorag- gio del dispendio energetico offre una misurazione diretta del- l’attività quotidiana più accurata in confronto ai pedometri.

Uno di questo strumenti, il Sensewear Armband® (Body Media, Inc.) è stato convalidato in soggetti normali a riposo e durante l’attività e in un piccolo gruppo di soggetti con DM2, come misurazione dell’attività fisica giornaliera

42

. In 6 soggetti con diabete il confronto con la tecnica dell’acqua doppiamente marcata ha dimostrato una significativa corre- lazione (r = 0,9696, p = 0,0014) e gli autori hanno evidenzia- to un limite stretto di conformità tra i due metodi

42

.

Il Sensewear ArmBand® usa un insieme di sensori per racco- gliere l’informazione per calcolare il dispendio energetico quali il movimento, il flusso di calore, la temperatura corporea, la temperatura ambientale vicina e la risposta galvanica della cute insieme a dati come sesso, età, altezza e peso

43

. Dal punto di vista pratico il Sensewear Armband® potrebbe essere usato in soggetti con DM2 per ottenere informazioni su: livello di meta- bolismo basale dei pazienti (dispendio energetico medio duran- te le ore di riposo); dispendio energetico consumato mediante l’attività fisica spontanea, moderata o a elevata intensità; stato di adattamento fisico registrando il picco di METS raggiunti durante un esercizio molto intenso; ore e qualità di sonno (costante o intermittente); accuratezza di un diario di attività fisi- ca. Inoltre, l’analisi del monitoraggio del dispendio energetico può essere usata per discutere col paziente se i target di attivi- tà fisica sono stati raggiunti e per programmare insieme i passi successivi da raggiungere, allo scopo di aumentare l’aderenza a lungo termine a una regolare attività fisica

43

.

Approccio ambientale

Gli interventi di attività fisica di gruppo o individuali, sebbene molto utili, difficilmente portano un cambiamento vero nella popolazione.

L’attività fisica è influenzata da molti fattori che includono fat- tori intra- e interpersonali, regolamenti e condizioni ambien- tali

44

. Idealmente gli interventi di promozione dell’attività fisi- ca dovrebbero controllare tutte le variabili, ma questo non è sempre possibile a causa della complessità e del costo di tali approcci.

Alcuni semplici interventi ambientali hanno dimostrato signi-

ficativi effetti sui livelli di attività fisica. Un esempio è il pro-

gramma point of decision prompts. Questo può essere orga-

nizzato con dei cartelli posti vicino agli ascensori per motiva-

re le persone a scegliere di usare le scale invece dell’ascen-

sore. Questa è una sola componente di un intervento teori-

camente molto complesso in cui il collocamento dell’avviso

(7)

è l’unico intervento sull’attività fisica. Kahn et al. hanno riva- lutato l’uso di questi interventi nel 2002, notando inizialmen- te che i livelli base dell’uso delle scale erano bassi, con solo un 12% circa di potenziali partecipanti che le usavano

45

. Con la presenza dei cartelli l’aumento medio nell’uso delle scale saliva al 53,9%

45

.

Una sistematica revisione della letteratura è stata condotta per determinare l’impatto di interventi complessi sociali e ambien- tali sull’attività fisica e sui comportamenti alimentari

46

. Un clas- sico approccio multicomportamentale è il modello di interven- to del programma di prevenzione del diabete USA (DPP)

47

e dello studio di prevenzione del diabete finlandese (FPS)

48

. Il DPP ha incluso una iniziale fase di intervento di durata di 24 settimane, che includeva le seguenti componenti: 16 sessioni di auto-gestione di auto-comportamento, classi di attività sor- vegliate fornite due volte alla settimana, un istruttore che gesti- va incontri almeno ogni 2 mesi e accesso a uno staff di sup- porto sullo stile di vita, come dietologi, esperti nel comporta- mento e specialisti dell’attività motoria. La fase di manteni- mento poi coinvolgeva l’incontro dei partecipanti con i loro istruttori ogni due mesi, tramite una chiamata telefonica.

L’intervento del FPS era meno intenso rispetto al DPP e con- sisteva in consulenze individuali associate a classi struttura- te di attività fisica e passeggiate di gruppo

48

.

Entrambi gli studi erano disegnati con lo scopo di raggiunge- re la massima potenzialità di cambiamento dello stile di vita, ed entrambi raggiungevano tale obiettivo con successo. Nel DPP il 75% dei partecipanti all’intervento ha raggiunto l’obiettivo di almeno 150 minuti di attività fisica settimanale

47

, nel FPS l’86%

dei volontari del gruppo di intervento ha raggiunto l’obiettivo di più di 240 minuti a settimana

48

. In realtà, l’applicabilità di que- sti interventi nella pratica quotidiana è difficilmente proponibi- le. Però molto possiamo apprendere dal disegno di questi interventi. Entrambi gli interventi presentavano componenti multiple, includendo possibilmente tutti i potenziali elementi che si erano dimostrati promuovere il cambiamento compor- tamentale verso l’esercizio fisico. Entrambi erano centrati su un modello individuale di trattamento e sullo sviluppo di capa- cità cognitivo-comportamentali, raccomandati anche dalla maggior parte di rassegne sull’attività fisica.

Conclusioni e progetto Io Muovo la Mia Vita

Il cambiamento di comportamento nei confronti dell’esercizio fisico è complesso. I cambiamenti a breve termine dei livelli di attività fisica sono raggiungibili attraverso interventi come pedometri basati su programmi, suggerimenti nelle scelte, consulenza per l’attività fisica e classi strutturate di esercizio.

Il cambiamento a lungo termine è più difficile da raggiungere e non è stato ancora ben studiato.

Un limitato numero di ricerche suggerisce che le seguenti componenti sono necessarie a promuovere e mantenere il cambiamento comportamentale a lungo termine: sviluppo di capacità cognitivo-comportamentali, supporto continuativo e approccio individualizzato.

Per mettere in atto e mantenere il cambiamento della popo- lazione verso l’attività fisica, saranno richiesti interventi a livelli più complessi.

In generale c’è la necessità di essere molto più focalizzati sulla ricerca nell’area del miglioramento dell’adesione a un programma di attività fisica in persone con insulino-resisten- za e DM2.

Aree che sarà necessario approfondire sono:

1) esaminare la validità dei modelli attuali di cambiamento comportamentale e dello sviluppo di nuovi modelli di guida per la promozione dell’attività fisica;

2) studi con una maggior durata. In particolare, interessa se i cambiamenti comportamentali vengono mantenuti nel tempo una volta che gli interventi vengono interrotti, met- tendo quindi in discussione la necessità di un intervento continuo per mantenere il cambiamento comportamentale;

3) molti studi hanno dimostrato che gli interventi di consulen- za per l’attività fisica sono efficaci per promuovere e man- tenere l’attività fisica per un periodo maggiore di due anni.

Comunque, prestare questo tipo di intervento alle persone può essere dispendioso, in tempo e denaro. Possiamo prestare questi interventi usando altri metodi, come com- puter o siti web, materiale scritto, sessioni di gruppo;

4) studi diretti ad accrescere la quantità d’attività fisica svol- ta tra coloro che si occupano di promuovere la salute e programmi di attività fisica che coinvolgono pazienti con diabete e medici diabetologi;

5) pedometri e interventi nelle scelte sembrano dare incre- menti nell’attività fisica rapidi ma non duraturi. A questo riguardo la tecnologia attuale mette a disposizione sen- sori del dispendio energetico con lettura istantanea e allarmi per gli obiettivi che potrebbero essere un approc- cio promettente. Nei prossimi anni sarà valutata l’effica- cia della trasmissione automatica dei valori di dispendio energetico depositati da questi dispositivi in un diario web accessibile ai medici, che potrebbero supportare i loro pazienti con e-mail;

6) uso dei media per convincere le persone obese sedenta- rie a usare strategie pubblicitarie, e far testimoniare per- sone che, grazie al miglioramento dello stile di vita, hanno avuto la possibilità di percepire in prima persona i vantaggi che si ottengono in termini di qualità di vita gra- zie all’attività fisica.

In quest’ultima prospettiva si colloca il progetto sperimentale in corso che si chiama “Io Muovo la Mia Vita” (www.iomuovola- miavita.diabeteitalia.it). Promotori dell’iniziativa sono Diabete Italia con il Gruppo Attività Fisica e il Centro Marathon del dott.

Gabriele Rosa. L’obiettivo è quello di sensibilizzare l’opinione pubblica sull’efficacia dell’attività fisica aerobica per curare obesità e DM2. Gli strumenti utilizzati sono i media (stampa, TV, sito web di Diabete Italia) per raccontare una sfida che dura un anno: un gruppo di persone con solo obesità o con obesi- tà e DM2, e i loro medici, partendo da zero comincia sotto la guida di uno dei più grandi esperti al mondo di maratona (dott.

Gabriele Rosa di Brescia) un programma che li porterà attra-

verso tappe intermedie (10 km a marzo, 21 km a giugno) a

tentare di completare la maratona di Milano (ottobre 2007).

(8)

L’impresa maratona viene proposta per attirare l’interesse del- l’opinione pubblica e far passare il messaggio che tutti posso- no ritenere fattibile: “Una moderata attività fisica come cammi- nare 4-5 km al giorno, tutti i giorni, serve a curare obesità e dia- bete”. Quindi la maratona è solo una scusa per valorizzare l’at- tività fisica compatibile con lo stato di obesità e DM2. La sfida maratona servirà anche a rinforzare da un punto di vista emo- tivo la convinzione che chi si impegna, grazie alla costanza, può ottenere risultati impensabili. Nella sfida i medici non sono spettatori passivi ma si mettono in gioco al pari dei loro pazien- ti per testimoniare al meglio che credono nella validità del mes- saggio. Sono coinvolti 18 Centri Diabetologici universitari, ospedalieri e territoriali distribuiti in modo omogeneo in tutta Italia. Ogni centro partecipa con 3 persone: 1 medico, 1 sog- getto con obesità viscerale e 1 con DM2 (di durata 1-5 anni), in più parteciperanno come testimonial Dario Laruffa, giornali- sta conduttore del TG2 RAI e lo scrittore Giannermete Romani che sta curando la stesura di un libro su tutta la storia. L’età dei partecipanti è compresa tra 20 e 65 anni. In totale si inizia con 56 persone seguite per la preparazione atletica dal Centro Marathon di Brescia con test da sforzo e curva acido lattico. A inizio e fine esperienza sono determinati la composizione cor- porea e i principali fattori di rischio cardiovascolare. Inoltre, per tutta la durata del progetto, il gruppo viene seguito attraverso un sostegno pedagogico che si avvale dell’approccio narrati- vo-autobiografico come utile strumento per analizzare e descrivere meglio le emozioni e i vissuti dei partecipanti.

Da un punto di vista del counseling per l’attività fisica, i parte- cipanti al progetto (tranne qualche medico) sono classificabili negli stadi di cambiamento 2 e 3 della tabella 1: stadio con- templativo (la maggior parte) o in preparazione (una minoran- za). La novità delle strategie per indurre la modifica del com- portamento sperimentate per la prima volta con il progetto Io Muovo la Mia Vita sono l’uso dell’approccio narrativo-autobio- grafico, finora utilizzato per favorire l’accettazione di una con- dizione patologica, e la visibilità data ai singoli partecipanti, cia- scuno dei quali è testimonial del progetto nella sua area geo- grafica. L’approccio autobiografico inserito nel progetto Io Muovo la Mia Vita permette un rafforzamento ulteriore di quelli che sono gli scopi del progetto stesso: conoscenza, consape- volezza, azione e, infine, cooperazione. La persona, scrivendo di sé, raggiunge una maggior consapevolezza della sua con- dizione psicofisica, potendo esprimere e fissando sulla carta la propria esperienza. Nella sua apparente semplicità, il fatto di scrivere di sé e ascoltare le storie e i vissuti degli altri, genera apprendimenti significativi e permette di “fissare” i cambia- menti in corso condividendoli con altre persone che vivono e attraversano la stessa esperienza. In ogni incontro di gruppo avviene che ciascuno, attraverso la narrazione e la scrittura, dona una piccola parte di sé agli altri, favorendo la conoscen- za reciproca e la condivisione dei vissuti e delle emozioni lega- te all’esperienza del progetto Io Muovo la Mia Vita, quali paura, inadeguatezza, entusiasmo, pessimismo, sofferenza. Questo crea una grandissima solidarietà. La consapevolezza di esse- re un gruppo, fa sì che “l’essere insieme” non venga mai meno, che ciascuno si prenda cura di sé ma anche dell’altro, che l’ottimismo ma anche la fatica e la paura di non farcela diventino patrimonio collettivo da affrontare e gestire insieme.

In Io Muovo la Mia Vita la scrittura autobiografica dà esperien- za di riflessività e raccoglimento personale, si fa dunque nar- razione da leggere e condividere in gruppo, fino a diventare testimonianza collettiva. E proprio la responsabilizzazione dei partecipanti con una valenza non solo privata ma pubblica aumenta fortemente l’adesione all’attività fisica e al gruppo.

La forza di questo strumento educativo, è proprio quella di fissare con la scrittura le tappe del percorso, per valorizzar- lo, per non dimenticare, per testimoniare anche al di fuori e oltre l’obiettivo maratona che cambiare è possibile e che questo cambiamento può migliorare la propria vita.

Infatti, se è prevedibile che non tutti ce la faranno a comple- tare i 42 km della maratona, è altrettanto sicuro che tutti ci proveranno a cambiare la loro vita di sedentari, in quanto si sentono al centro della gestione del loro problema di obesi- tà o di diabete. Per approfondire questi aspetti è utile la let- tura delle impressioni dei partecipanti raccolte attraverso la scrittura autobiografica nel sito web del progetto:

www.iomuovolamiavita.diabeteitalia.it.

Nota: per un aggiornamento sul progetto Io Muovo la Mia Vita vedi pag. 175.

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