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In caso di eredità, il mantenimento all’ex si modifica?

Autore: Redazione | 14/03/2022

Dopo le Sezioni Unite della Cassazione, l’assegno divorzile risente del contributo alla ricchezza della famiglia apportato dall’ex coniuge. La successione ereditaria è invece un fatto sopravvenuto alla separazione.

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Tra le tante implicazioni pratiche che ha comportato la famosa sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione, in materia di assegno di divorzio, pubblicata a luglio dello scorso anno [1], ve n’è una assai interessante, che stravolge decenni di giurisprudenza: riguarda l’eventuale modifica dell’importo del mantenimento nel caso in cui l’ex coniuge, tenuto a versare l’importo mensile, riceva dopo la separazione una eredità che migliori le sue condizioni economiche. Ma può verificarsi anche il contrario, ossia l’ipotesi in cui a ricevere l’eredità sia il coniuge beneficiario dell’assegno (di norma la moglie). I due esempi che faremo qui di seguito serviranno a spiegare meglio la problematica e a rispondere al quesito piuttosto comune: in caso di eredità, il mantenimento all’ex si modifica?

Immaginiamo che una coppia si separi. Il giudice, valutate le condizioni economiche dei due, impone al marito di versare alla moglie un assegno di mantenimento di 500 euro mensili. Dopo circa due anni dall’inizio del processo, e mentre le parti si accingono a preparare le carte per il successivo divorzio, l’uomo perde il padre a causa di un malore improvviso. Gran parte della sua eredità finisce al figlio: c’è un conto corrente, una casa e alcuni titoli. La moglie non si fa sfuggire l’occasione e, con il ricorso per il divorzio, chiede un aumento dell’importo del mantenimento proprio in ragione del miglioramento delle condizioni economiche dell’ex. Se è vero infatti che questi può disporre di una ricchezza patrimoniale superiore, è giusto ricalcolare anche l’assegno periodico.

Una situazione molto simile si è presentata, di recente, innanzi al tribunale di Roma che, salomonicamente, e tenendo appunto conto del nuovo indirizzo sposato dalla Cassazione in tema di assegno divorzile, ha sentenziato nel modo in cui spiegheremo più avanti.

Come anticipato c’è anche un secondo caso di modifica dell’assegno di mantenimento per eredità ed è quello in cui il beneficiario della successione sia il coniuge che sta ricevendo gli alimenti. Potrebbe in questo caso l’ex chiedere una revisione o addirittura una cancellazione del mantenimento? Sul punto ha deciso la Cassazione di recente [4].

Vediamo meglio entrambe le situazioni.

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Assegno di divorzio e assegno di mantenimento: come si calcolano?

Più volte, sulle pagine di questo stesso giornale, ci siamo occupati di come si calcolano l’assegno di mantenimento (quello cioè che scatta dopo la separazione) e quello di divorzio (quello cioè che interviene dopo il divorzio e sostituisce il mantenimento).

Queste due misure venivano un tempo calcolate con gli stessi criteri. Poiché l’obiettivo era di garantire al coniuge con un reddito più basso lo stesso tenore di vita che aveva durante il matrimonio, si finiva quasi sempre per compensare tra loro i due stipendi sino a raggiungere una sorta di parità sostanziale (al netto delle spese). In pratica, veniva eliminato ogni divario economico tra i due ex coniugi.

Oggi però le cose non stanno più così.

L’assegno di mantenimento oggi

Per l’assegno di mantenimento valgono ancora le vecchie regole. Esso continua ad essere una sorta di “cuscinetto” in favore del coniuge più debole che, dall’oggi al domani, si trova ad affrontare una vita da single e senza le prospettive del reddito dell’altro coniuge. Dunque rileva ancora, come parametro di riferimento, il tenore di vita della coppia.

L’assegno di divorzio oggi

Con l’assegno di divorzio, invece, tutto cambia. Nel maggio 2017, infatti, la Cassazione ha detto [3] che il divorzio recide ogni legame tra i due coniugi, ivi compreso l’obbligo del mantenimento. Sicché, tutto ciò che è necessario fare, è garantire all’ex più debole, che non può mantenersi da solo (non per propria colpa) lo stretto necessario per vivere decorosamente. Vien da sé che chi è ancora giovane, “abile di prima” e con una formazione post scolastica dovrà procacciarsi da solo il pane quotidiano senza accampare pretese dall’ex. In questo modo si vogliono evitare forme di “assistenzialismo coniugale” e spingere chi non ha un reddito a procacciarselo, laddove possibile. Solo la dimostrazione di aver tentato di occuparsi invano può garantire ancora una porta di accesso al mantenimento.

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Le Sezioni Unite sull’assegno di divorzio

Un anno dopo le Sezioni Unite [1] hanno chiuso il cerchio chiarendo che, nel calcolo dell’assegno di divorzio, bisogna anche tenere conto del contributo che il coniuge più debole ha fornito alla ricchezza familiare con il suo ménage quotidiano.

Il che, tradotto in termini pratici, significa che non si può liquidare con quattro soldi la donna che, per badare alla casa e ai figli, ha optato per la carriera di casalinga o è stata costretta a un part time vedendo così sfumare le proprie ambizioni di carriera.

Eredità: quanto incide sul mantenimento?

Ritorniamo ora all’esempio da cui siamo partiti. Nella situazione pre-riforma, l’arrivo di una eredità in favore del coniuge tenuto a versare il mantenimento era una manna dal cielo anche per l’altro che, in questo modo, vedeva rivalutato la propria “paghetta” mensile. Questo perché l’importo degli alimenti risentiva ancora del potere economico dell’ex: tanto più aumentavano le sue capacità, tanto più crescevano l’assegno di mantenimento e quello divorzile.

Oggi però, come detto, è tutto cambiato. Se infatti è vero che, ai fini del contributo economico, conta – oltre al divario di ricchezza – l’apporto fornito al ménage dal coniuge debole, questi non può rivendicare alcun merito per il lascito pervenuto all’altro dopo la separazione.

Risultato: se anche il marito diventa ricco dopo la separazione grazie alla morte del

“famoso” zio americano ultramilionario, l’ex moglie, benché disoccupata, resterà con non più di mille euro al mese.

Se l’ex moglie riceve una eredità perde il mantenimento?

L’eredità paterna e il beneficio derivante dall’assistenza fornita alla madre con lei convivente migliorano la posizione economica della donna e legittimano la pretesa dell’ex marito di vedere ridotto l’assegno divorzile che è obbligato a versarle ogni mese. Così ha deciso la Cassazione. Vittoria parziale per l’ex marito, che è riuscito a ottenere un ‘taglio’ dell’assegno da versare ogni mese, passato da 550 euro a 350 euro. Impossibile, però, secondo i giudici, ipotizzare addirittura una revoca

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totale del contributo in favore della ex. Ciò perché ella non è comunque autosufficiente dal punto di vista economico, avendo perso il lavoro, avendo un’età avanzata e dovendo anche badare alla madre.

Se il coniuge che versa il mantenimento riceve eredità si può chiedere un aumento?

Poniamo ora il caso inverso, quello cioè in cui a ricevere l’eredità sia il coniuge che versa il mantenimento e non quello che lo riceve. La Cassazione (n. 8057/2022) ha detto in proposito che il coniuge divorziato non può pretendere un aumento dell’assegno divorzile per via dell’eredità ricevuta dall’ex marito. Per i giudici di legittimità, infatti, non trattandosi di un incremento della ricchezza derivante da reddito da lavoro, l’ex non vanta alcuna aspettativa non avendo contribuito in alcun modo all’accrescimento patrimoniale.

È stato così accolto il ricorso dell’ex marito contro la sentenza del Tribunale di primo grado che nel 2017 che aveva determinato un contributo di 600 euro per il mantenimento della figlia (maggiorenne ma non autosufficiente economicamente e convivente con la madre), nonché di 2.200 euro a titolo di assegno divorzile.

Per la Suprema corte il giudice di secondo grado, nel rideterminare in 1.000 euro l’importo dovuto, ha compiuto una “corretta valutazione dei presupposti dell’assegno divorzile, non più parametrato come quello di mantenimento in sede di separazione al tenore di vita goduto durante la convivenza matrimoniale”.

Fermo restando, prosegue la Corte, il riconoscimento di un contributo, “considerata l’inadeguatezza dei redditi” della donna e “l’apporto dato dalla stessa al ménage familiare, essendosi dedicata alla famiglia ed alla crescita ed educazione delle figlie”.

In particolare la decisione ha dato rilievo al fatto che la ex «mentre non aveva dimostrato una personale inabilità lavorativa (essa aveva svolto, in passato, una, sia pure modesta, attività di addetta alla mensa), aveva visto migliorare la propria situazione economica rispetto all’epoca della separazione, avendo acquisito l’usufrutto sulla casa nella quale vive con la figlia maggiorenne ma non autosufficiente, grazie all’acquisto operato dall’ex coniuge (con intestazione della

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nuda proprietà dell’immobile, del valore di € 400.000,00, alla figlia), aveva potuto acquistare, con un finanziamento, un’autovettura nuova.»

Mentre, prosegue il ragionamento della Cassazione, la situazione dell’ex marito

«non si era modificata nel senso di un miglioramento sotto il profilo economico- patrimoniale, per effetto, invariata la situazione reddituale, di quanto ricevuto per eredità a seguito di decesso del padre nel 2011, perché non si trattava di un accrescimento derivante da attività lavorativa dell’ex coniuge, al cui nascere la richiedente l’assegno avesse potuto in qualche misura avere contribuito, così da poter vantare una legittima aspettativa».

Sentenza

Corte di Cassazione, sez. VI Civile - 1, ordinanza 2 luglio 2019 – 14 gennaio 2020, n. 506 Presidente Genovese – Relatore Bisogni Rilevato che 1. I coniugi Re. Ad. e

Da. Na. erano pervenuti nel 1999 a un accordo sulla base del quale avevano richiesto e ottenuto l'emissione di una sentenza di divorzio congiunto che

prevedeva l'attribuzione alla Na. di un assegno mensile di 550 Euro.

Successivamente il sig. Ad. aveva proposto ricorso ex art. 9 della legge n.

898/1970 chiedendo al Tribunale di Padova la revoca della assegno per sopravvenuto incremento del patrimonio e del reddito della Na. conseguente alla

sua successione ereditaria paterna e al beneficio derivante dall'assistenza alla madre con lei convivente. Il Tribunale di Padova ha accolto parzialmente il ricorso

del sig. Re. Ad., e ha ridotto l'assegno a 350 Euro. 2. Re. Ad. ha proposto appello che è stato dichiarato inammissibile per tardività della notifica alla controparte. La

Corte di Cassazione ha accolto il ricorso per cassazione proposto dal sig. Ad. e ha cassato con rinvio la pronuncia di inammissibilità dell'appello. 3. In seguito alla

riassunzione del giudizio da parte del sig. Ad. la Corte di appello di Venezia ha respinto la richiesta di revoca dell'assegno ritenendo che l'assenza di redditi da

lavoro, l'età della sig.ra Na., la sua dedizione alla assistenza della madre giustifichino la conferma della decisione di primo grado. 4. Ricorre per cassazione Re. Ad. proponendo tre motivi di impugnazione con i quali deduce: a) violazione di

legge ex art. 360 n. 3 c.p.c. in relazione all'art. 9 della legge n. 898/1970 e agli artt. 2 e 23 Cost. Secondo il ricorrente si sarebbe dovuto considerare l'intervenuto

cambiamento della giurisprudenza (Cass. 11504/2017) sui presupposti del riconoscimento dell'assegno divorzile; b) violazione di legge ex art. 360 n. 5 c.p.c.

e art. 111 Cost.; il ricorrente lamenta l'omesso esame di un fatto decisivo e cioè che la Na. è dipendente della madre come badante; c) violazione di legge ex art.

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360 n. 3 in relazione agli artt. 88, 91, 92, 96 c.p.c. Il ricorrente censura la decisione della Corte di appello che ha compensato le spese relative a tutti i gradi del giudizio. 5. Propone controricorso Da. Na. che contesta l'applicabilità della nuova

giurisprudenza in materia di assegno divorzile eccependo l'esistenza di un giudicato modificabile solo quanto alle modifiche sopravvenute delle condizioni economiche. La controricorrente nega di aver mai ricevuto alcun compenso dalla

madre e rileva che quest'ultima ha testimoniato in questo senso sul punto.

Contesta infine la ricorrenza di violazioni di legge quanto alla statuizione di compensazione delle spese processuali. 6. Le parti depositano memorie difensive.

Ritenuto che 7. Il primo motivo di ricorso è inammissibile e comunque infondato.

Esso consiste piuttosto che in una rappresentazione di una violazione di legge nella richiesta di riesame del diritto della Na. a percepire un assegno divorzile perché la

stessa non avrebbe mai avuto (e in particolare non l'avrebbe ora) una condizione di non autosufficienza economica. La prospettazione di circostanze idonee a determinare il venir meno del diritto all'assegno è tuttavia limitata a quanto già

valutato nel primo grado dal Tribunale di Padova che ha, in relazione a tale valutazione, ridotto l'ammontare dell'assegno divorzile. La Corte di appello ha respinto la richiesta di revocare o ridurre ulteriormente l'assegno in considerazione

di una valutazione complessiva delle condizioni sopravvenute favorevoli (la successione ereditaria) e sfavorevoli (la perdita del lavoro, la necessità di assistere

la madre e l'età raggiunta dalla Na. che impedisce di ipotizzare una persistente capacità lavorativa). A fronte di tale motivata statuizione di merito la richiesta di un riesame delle condizioni economiche delle parti è palesemente inammissibile e

non trova giustificazione neanche sotto il profilo della applicazione della giurisprudenza invocata (Cass. 11504/17) che peraltro risulta a sua volta, almeno

in parte, superata dalla pronuncia n. 18287/2018 delle Sezioni Unite di questa Corte. 8. Anche il secondo motivo è inammissibile perché la circostanza della assistenza prestata dalla Na. alla madre e quella dei vantaggi economici che ne sono derivati e potrebbero derivarne è stata presa in considerazione dai giudici del merito che hanno provveduto a ridurre notevolmente l'assegno divorzile fissato nel

1999 in somma corrispondente a 516,46 Euro e nel 2013 portato a 350,00 Euro mensili. La motivazione della Corte di appello richiama tali circostanze e le valuta espressamente nel confermare il diritto della sig.ra Na. a percepire l'assegno nella

misura ridotta di 350 Euro mensili. L'impugnazione non risponde pertanto ai requisiti richiesti dall'art. 360 n. 5 c.p.c. 9. Infine il terzo motivo è infondato non sussistendo la dedotta violazione di legge perché la Corte di appello ha confermato

ed esteso la compensazione delle spese processuali in applicazione del principio della reciproca soccombenza e in relazione al complessivo esito del giudizio. 10. Al

rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente alle spese del presente giudizio di cassazione e la presa d'atto, in dispositivo, dell'applicabilità dell'art. 13

del D.P.R. n. 115/2002. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al

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pagamento delle spese del giudizio di cassazione liquidate in complessivi Euro 3.100, di cui 100 per spese, oltre spese forfettarie e accessori di legge. Dispone che in caso di pubblicazione della presente ordinanza siano omesse le generalità e

gli altri elementi identificativi delle parti. Ai sensi dell'art. 13 comma 1 quater del D.P.R. n. 115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da

parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dell'art. 13 comma 1 bis del D.P.R. n.

115/2002.

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