Poste italiane S.p.A. Sped. in A.P. - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/04 n. 46) art. 1, comma 1 - DCB Brescia Editrice La Scuola - 25121 Brescia Expédition en abonnement postal taxe perçue - tassa riscossa Pubblicazione mensile - Anno 122 - ISSN 0036-9888
S CUOLA I TALIANA
M ODERNA
R i v i s t a p e r l a s c u o l a p r i m a r i a
Fuori dalla, dentro la scuola:
E D I T R I C ELA SCUOLA
marzo
7 2015
E ditoriale La scuola, la libertà e la guerra
di Pier Cesare Rivoltella, Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano
Nei mesi scorsi mi è capitato – come spesso mi succede – di essere chiamato per una relazione. Il te- ma assegnatomi – Le sfide dell’educazione oggi – era perfettamente congeniale alle finalità dell’even- to entro cui il mio intervento era stato richiesto: l’incontro dei referenti scuola della regione medi- terranea di un ordine religioso – le Suore della Carità di S.ta Giovanna di Antida - il cui carisma è, appunto, l’educazione dei giovani. La mattina della mia relazione, la prima parte della sessione dei lavori era dedicata a un workshop di presentazione di alcune delle scuole partecipanti: Egitto, Li- bano e Siria. Ho voluto essere presente per curiosità. Ne sono uscito carico di spunti di riflessione e anche molto commosso.
Libertà vo’ cercando
In Egitto il sistema nazionale dell’istruzione impone, tanto alle scuole statali che a quelle che noi chiameremmo paritarie, di seguire gli stessi programmi e adottare gli stessi libri. L’unico margine di scelta autonoma che viene lasciato alle scuole è relativo al libro di testo della lingua 2. In Libano i quasi due milioni di profughi siriani (su quattro milioni di cittadini libanesi) negli ultimi anni han- no prodotto un inserimento massiccio e forzato di nuovi studenti nel sistema dell’istruzione nazio- nale: l’arabo è imposto a tutti come lingua ufficiale. Infine la Siria. Qui, nonostante come in Libano la tradizione parli di una lunga consuetudine del Paese con la lingua e la cultura francesi, l’unica lingua ufficialmente accettata nelle scuole oltre all’arabo è l’inglese.
Mentre ascoltavo il report delle insegnanti e delle dirigenti, e mi scorrevano di fronte le immagini di scuole-modello dal grande dinamismo e dalla straordinaria vocazione culturale, andavo con la men- te ai nostri insegnanti, alla scuola italiana, a noi.
Pensavo a come l’autonomia che la legge riconosce alle nostre scuole sia ancora oggi in larga parte sottovalutata, scarsamente sfruttata nelle opportunità che può garantire alle scuole.
Pensavo anche alle nostre lamentele, alla nostra insoddisfazione, al nostro ipercriticismo.
Pensavo a tutto questo mentre ragionavo su come la libertà di insegnamento si possa ridurre a sce- gliere un libro di testo (uno solo!), a poter continuare a insegnare una lingua straniera senza dover- la sostituire con un’altra.
Due questioni si aprono qui per l’insegnante italiano. La prima è di trovare più spesso lo spazio e la voglia per delle aperture internazionali. Conoscere la scuola degli altri può servire a rivalutare la propria. La seconda è di guardare con maggiore ottimismo alla propria situazione: essere liberi di insegnare è un bene che né la mancanza di fondi, né le altre difficoltà del nostro fare scuola posso- no annullare.
La guerra in cortile
Le Suore della Carità, a Damasco, fino al 2012 avevano un grande istituto. Un edificio modello, mo- derno, dotato di tutte le tecnologie didattiche. Avevano oltre 2000 studenti. Il quartiere perifieri- co della Capitale in cui si trovava diviene una delle zone calde della città durante la guerra civile. E
Editoriale
così una mattina di novembre un bombardamento colpisce l’edificio adiacente distruggendo un’ala della scuola. Gli studenti rimangono miracolosamente illesi. La scuola viene evacuata, l’edificio di- chiarato inagibile. Ci si trasferisce nei locali della Curia: i numeri sono necessariamente più che di- mezzati; ai grandi spazi si sostituisce un angusto cortile. I disegni dei bambini sono terribili. Testi- moniano lo sguardo sulla guerra di chi la sta vivendo. L’insegnante che ci sta raccontando gli eventi non trattiene le lacrime.
Anche in questo caso penso. Penso alle immagini della guerra dei telegiornali e le confronto con le istantanee in presa diretta incollate sul power point di questa scuola della periferia di Damasco.
Penso all’infanzia violata, derubata dei suoi anni migliori, a questi bambini fatti crescere troppo in fretta dall’idiozia di noi adulti.
La rappresentazione mediale della sofferenza è funzionale alla conoscenza, ma non alla partecipa- zione. Essa serve a produrre indignazione – secondo quella che Luc Boltanski (2000) chiama topi- ca della denuncia – commozione (secondo la topica delle emozioni), o più spesso la spettacolariz- zazione di quel che viene mostrato (secondo la topica estetica), ma rischia di non produrre più la partecipazione.
Occorre andare al di là delle immagini e chiedere a questi insegnanti senza scuola cosa potremmo fare per loro. Io l’ho capito mentre all’inizio del mio intervento ringraziavo la maestra di Damasco per la sua testimonianza, l’ho capito da come mi guardava: è sufficiente sapere che ci siamo.
Il grooming didattico
Vanessa Rodriguez (2012) è una ricercatrice dell’Università di Harvard. Nel 2012 ha pubblicato un articolo in cui restituiva il risultato della sua ricerca sul Teaching Brain, sul cervello dell’insegnan- te. L’idea che ne sta alla base è che sistema nervoso e insegnamento in qualche modo si rispecchino, funzionino in modo analogo. Come a dire che l’insegnamento dipende dal sistema nervoso, ma che vale anche il contrario.
Una delle conseguenze del lavoro della Rodriguez è di indicare per la scuola non solo un ruolo edu- cativo, ma di promozione della salute dell’individuo. E infatti l’epidemiologia indica che se l’indivi- duo è istruito e mantiene in esercizio il proprio cervello, questo finisce per ritardare i sintomi neu- rodegenerativi. Ma l’aspetto che a noi interessa è un altro, ovvero l’incidenza dell’educazione sulla parte ventrale (o anteriore) dell’ippocampo cui si deve la modulazione dello stress.
Quando l’insegnante in classe si prende cura dei suoi allievi, quando la relazione tra loro è positiva, si verifica qualcosa di molto simile al grooming tra le scimmie (ovvero il rituale attraverso il quale con il pretesto di spulciarsi si prendono di fatto cura l’una dell’altra). Il “grooming didattico” pro- duce serotonina; essa attiva fattori di trascrizione in grado di modulare il recettore del cortisolo che è appunto conosciuto come l’“ormone dello stress”.
La relazione didattico-educativa fa bene sia all’insegnante che allo studente. È la conferma delle tesi del neuropsichiatara americano Mark Cozolino (2008) sulle basi neurofisiologiche dell’attaccamen- to. Prendersi cura degli altri fa bene: agli altri e a se stessi.
E con questo torniamo al nostro punto di partenza. Quando la scuola è minacciata, sia nelle sue idealità (quando la libertà è limitata) che nella sua materiale possibilità (quando la guerra ne mette a rischio l’esistenza), certo la resilienza de-
gli insegnanti è fondamentale: i primi giorni dopo il bombardamento a Damasco si faceva scuola dove capitava, nelle case, ovunque.
Ma oltre a questo la percezione è che con- ti soprattutto la relazione. Servono carez- ze, serve correggere l’umore, serve inibire lo stress. Grooming didattico, appunto.
R isorse
L. Boltanski, Lo spettacolo del dolore. Morale umanitaria, media e politica, Raffaello Cortina, Milano 2000 M. Cozolino, Il cervello sociale. Neuroscienze delle relazioni umane, Raffaello Cortina, Milano 2008V. Rodriguez, The teaching brain and the end of the empty vessel, «Mind, Brain, and Education», 6(4) (2012), pp. 177-185
S IM-PIC Gioco
di Serena Triacca e Davide MoncecchiIl 28 maggio si celebra il World Play Day, la giornata mondiale del gioco: si tratta di un’inizia- tiva lanciata dall’Associazione Internazionale Ludoteche (IT- LA, International Toy Library Association) il cui obiettivo è sottolineare il diritto al gioco per i bambini – ma anche per gli adulti – che possono recu- perare e riscoprire tempi e spa- zi di qualità spesso dimenticati nella vita di tutti i giorni.
Al gioco vogliamo dedicare questo numero di SIM. Le im- magini fotografiche proposte illustrano giochi all’aperto in cui, spesso, l’unico “strumen- to” è il proprio corpo, giochi di manipolazione, di simula- zione, con le carte, in scatola, videogiochi… ma l’elenco po- trebbe continuare.
Come anche le Indicazioni Na- zionali per il curricolo sottoli- neano il gioco è un aspetto do- minante nella vita del bambi- no, non solo nei suoi primis- simi anni di vita1: è attraverso la dimensione ludica che egli conosce il mondo e acquisisce competenze cognitive, relazio-
1 Non possiamo non citare la ricerca A che gioco giochiamo. Indagine sul gioco e il tempo libero condotta nel 2009 dal team CREMIT e Pepita Onlus. In Internet, URL: http://goo.gl/IbPEMe il report della ricerca
nali, motorie; attraverso la gui- da dell’adulto, impara il rispet- to delle regole, il fair play, l’as- sunzione di ruoli.
Una delle prime attività sul te- ma potrebbe essere quella di visionare le foto e operare clas- sificazioni adottando criteri di- versi. A partire da ciò, si pos- sono poi approfondire giochi praticati da parte dei bambini della classe, provando a pen- sare al tempo dedicato al gio- co nell’arco di una settimana, di una giornata o dell’interval- lo. A partire dalla rappresenta- zione grafica di una torta, pos- siamo far disegnare al bambi- no l’organizzazione delle at- tività della propria giornata, cercando di riprodurre la gran- dezza delle fette in relazione al- la quantità di tempo dedicata a ciascuna attività (tempo per la scuola, per attività extrascola- stiche, per il riposo, per il gio- co, per gli spostamenti, ecc.).
Se non emersi dal gruppo clas- se, si potrebbero recuperare i
“giochi di una volta” (mondo, corda, pallamuro…) anche con l’ausilio di testimonianze dei nonni e i giochi nel mondo, con apporti dei bambini stra- nieri.
Un’ulteriore attività potrebbe essere la stesura di un sempli-
ce testo regolativo per un gio- co condiviso, magari inventato dai bambini stessi, grazie a cui avviare una riflessione sul va- lore del rispetto di sè e dell’al- tro, della lealtà, della respon- sabilità e del controllo dell’ag- gressività.
Infine, riallacciandoci a quanto scritto nell’Editoriale (pp. 1-2) a proposito della scuola nei pa- esi devastati dalla guerra, desi- deriamo concludere non con la consueta citazione, ma con le parole della fondatrice del World Play Day, nel messaggio lanciato nel 2011:
«Voglio sottolineare quanto sia importante il gioco per i bambi- ni di tutto il mondo che hanno subito traumi a causa dei mol- ti disastri naturali e delle guerre che continuano senza fine.
Sarebbe facile dimenticarsi del- le semplici attività dei bambini, mentre si fronteggiano situazio- ni molto urgenti come la ricerca di cibo, di un alloggio, di denaro.
Tuttavia, mentre gli adulti han- no coscienza di questi disastri e sono in grado di verbalizzare, i bambini hanno bisogno di af- frontare il trauma nelle loro vi- te attraverso il gioco»2.
2 F. Kim (2011). World Play Day message 2011. In Internet, URL: http://goo.gl/
iVeHqI
S ommario
Direttore
Pier Cesare Rivoltella Redazione
Gloria Sinini [email protected] Comitato scientifico
Renza Cerri (Università di Genova) Floriana Falcinelli (Università di Perugia) Luigi Guerra (Università di Bologna) Alessandra La Marca (Università di Palermo)
Daniela Maccario (Università di Torino) Elisabetta Nigris (Università di Milano Bicocca)
Achille Notti (Università di Salerno) Loredana Perla (Università di Bari) Pier Giuseppe Rossi (Università di Macerata)
Comitato di Redazione
Progettare: Simona Ferrari (Università Cattolica di Milano)
Comunicare: Alessandra Carenzio (Università Cattolica di Milano)
Valutare: Lorella Giannandrea (Università di Macerata)
Professione insegnante: Davide Parmigiani (Università di Genova)
Studi di caso: Elena Mosa (INDIRE di Firenze) L’angolo del dirigente: Laura Fiorini (Dirigente scolastico del Liceo Maffeo Vegio di Lodi)
Bookmark: Serena Triacca (Università Cattolica di Milano)
Sim-kit: Paola Amarelli (Dirigente scolastico, Adro, BS), Alessandro Sacchella (Insegnante, tutor di tirocinio, Università Cattolica di Brescia) Autori in redazione
Daniele Barca, Stefano Bertora, Elena Borgnino, Giacomo Buonopane, Sonia Claris, Laura Comaschi, Cristina Cuppi, Mina De Santi, Clara Farina, Chiara Friso, Paolo Gallese, Rita Marchignoli, Laura Margutti, Stefania Massaro, Donatella Musella, Francesca Musetti, Francesca Panzica, Francesca Pascolini, Giuseppe Pelosi, Eva Pigliapoco, Fabiola Scagnetti, Nunzia Schiavone, Sabrina Sironi, Anna Soldavini, Isa Sozzi, Elena Valdameri, Elena Valgolio, Sergio Vastarella, Viviana Vinci, Evelina Zamboni, Ivano Zoppi, Lia Zunino
Bookmark
L’onda
di Evelia Maria Zamboni, pag. 7 Ponyo sulla scogliera di Antonella Mazzoni, pag. 17 Cooltext
di Paolo Gallese, pag. 37 A Faithful attempt
di Chiara Friso, pag. 52 Navighiamo insieme…
il sito di Didatticarte di Chiara Friso e Serena Triacca, pag. 54
Integrazione scolastica (seconda parte)
di Mario Falanga, pag. 94
Risorse web
Inserite alle pagine 28, 36, 45
S i m - p i c
Gioco
di Serena Triacca e Davide Moncecchi, pag. 3
Editoriale
La scuola, la libertà e la guerra
di Pier Cesare Rivoltella, pag. 1
La gallery di SIM-Pic è disponibile sul sito, nella sezione Approfondimenti per abbonati
Progetto grafico e impaginazione Overtime di Olivia Ruggeri
Produzione e Editing fotografico SIM-PIC Davide Moncecchi
Segreteria di Redazione Annalisa Ballini
[email protected] Copertina e Area Web Progettazione e Sviluppo Editrice La Scuola Illustrazioni di copertina
Rielaborazione a cura di Monica Frassine
“Scuola Italiana Moderna”, mensile per la scuola primaria
Autorizzazione del Tribunale di Brescia n. 12 del 4 marzo 1949
ISSN 0036-9888 Quote di abbonamento
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Zoom
Educazione ambientale e sviluppo sostenibile di Luigi Guerra, pag. 74 Quando l’educazione ambientale puòeducare alla sostenibilità
di Michela Schenetti, pag. 76
“Dentro” e “fuori” la scuola
di Luigi Guerra, pag. 81
Outdoor education di Roberto Farné, pag. 84 L’ambiente stradale e la mobilità sostenibile di Elena Pacetti, pag. 88
Bibliografia ragionata di Zoom
a cura dell’Università degli studi di Bologna, pag. 92
Focus
Progettare
Contributo per una
“buona scuola”
di Edoardo Zin, pag. 11
Comunicare
Scuola e famiglia di Rita Marchignoli, pag. 21 Un progetto di scuola di Serena Triacca, pag. 26
Valutare
Le molte facce della valutazione di Teresa Magnaterra, pag. 30
Professione insegnante
Numeri in prima di Ilaria Rebella, pag. 40
Realtà e visione di Giuseppina Caviglia, pag. 46
Studi di caso
Tecnologia e manipolazione di Giuseppina Grasselli, pag. 57
Angolo del dirigente
La scuola multiculturale di Mario Uboldi, pag. 64 Intercultura
e cittadinanza di Alessandra Grassi, pag. 69
Sim-kit
KIT del mese di Paola Amarelli e Alessandro Sacchella pag. 96 ,
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aggiornato con la Prova Nazionale2012, 2013 e 2014 Roberta Del Vecchio
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Matematicar 4 Prove di simulazione (dalla Prova A alla Prova D) che l’insegnante può adoperare
nel corso dell’anno scolastico come avvicinamento alla Prova Nazionale, accompagnamento all’apprendimento, strumento HMZIVMƙGEHIPPIGSQTIXIR^II
per saggiare o rinforzare il livello di apprendimento dell’alunno e della classe.
r 3 Prove Nazionali (2012, 2013, 2014)
In più per ogni materia una Guida per l’insegnante (pp. 48), completa di soluzioni e suggerimenti metodologici e comprensiva della Prova rivolta EKPMEPYRRMMRHMJƙGSPX£4VSZE,
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B ookmark Libro didattico
Suzy Lee
L’onda
Edizioni Corraini, Mantova, 2008, pp. 40, € 16,00
Recensione di Evelia Maria Zamboni, insegnante di scuola primaria
Nella storia della nascita di un’amicizia ho ritrovato le mo- dalità di approccio e le dinami- che che tante volte ho visto ne- gli alunni: la timidezza, la cu- riosità, la spavalderia e il timo- re, e poi l’invadenza, l’aggres- sività, la fuga e il pianto, per conquistare la stima, la confi- denza e la tenerezza.
La narrazione scorre lascian- do emergere di volta in volta i diversi personaggi. Così l’on- da potente e minacciosa di- venta l’amica degna di rispet- to, che si lascia anche acca- rezzare. La bimbetta irrefre- nabile ed entusiasta si soffer- ma a distanza di sicurezza per osservare e capire. I gabbiani divertono, come quei nostri amici da non prendere troppo sul serio. La mamma infine, l’adulto, sullo sfondo aspetta, lascia fare, presente ma a de- bita distanza.
Piacevole è osservare i partico- lari, scoprendo che anche gli apparenti errori di stampa so- no frutto della cura e dell’amo- re per i dettagli, della ricerca di capacità espressiva e narrativa di tutto ciò che non è parola.
Le parole le lasciamo ai bambi- ni che con questo libro in ma- no si raccontano e ci racconta- no storie ed emozioni.
Il libro in classe:
proposte didattiche
Trattandosi di un silent book non è attuabile la lettura a tutta la classe. Un primo approccio è consigliabile nel piccolo gruppo per favorire l’interpretazione e l’elaborazione individuale. Gra- zie alle diverse possibili chiavi di lettura, si possono ipotizzare percorsi di taglio diverso.
Attività 1: Ti racconto la sto- ria (consigliata alle classi pri- me e seconde)
Gli alunni raccontano la sto- ria che vedono, intervenendo a ruota libera per aggiungere par- ticolari o suggerire letture di- verse. Sarà cura dell’insegnante fare in modo che tutte le elabo- razioni, purché sensate, venga- no ascoltate e tenute in consi- derazione. Potrà offrire sugge- rimenti linguistici se necessari.
I bambini saranno portati a ri- conoscere, in alcuni casi, qua- li caratteristiche dell’immagine abbiano portato a determinate interpretazioni. La registrazio- ne delle voci permetterà la rea- lizzazione di un video che rac- colga e componga le diverse let- ture. Può essere infine muta- to l’ordine nella sequenza delle immagini per provare a far na- scere una diversa storia.
Mi sono imbattuta per caso in questo libro, uno straordinario silent book, cercando una storia da proporre a Giulia, una bam- bina di otto anni sorda, non ancora alfabetizzata. Cercavo una storia illustrata, ma mi so- no sentita deliziata per la for- za narrativa delle immagini che mi scorrevano tra le dita, nel- la semplicità del tratto e nella limpidezza dei colori. Quando ho ripreso a sfogliare il libro, la mia attenzione è stata catturata dal ritmo e dalla musicalità del movimento dell’onda e dei per- sonaggi, in una danza dalla co- reografia spontanea e giocosa.
Nello spazio a destra riservato ai movimenti dell’acqua l’onda avanza e si ritrae, colpita dal- la bimba cresce, esplode fino a invadere lo spazio delle pagine di sinistra, riservate alla bimba e al suo buffo seguito di gab- biani, che si ritraggono preci- pitosamente verso il limite del foglio; poi la scena si distende nuovamente su due pagine.
Libro didattico
Attività 3: La danza dell’on- da (consigliato alle classi quar- te e quinte)
Un adeguato accompagnamen- to musicale (per esempio Aria di Giovanni Allevi) può porta- re anche a una danza con mo- vimenti improvvisati, avviati spontaneamente e poi struttura- ti per scelta comune, nella sug- gestione del ritmo e del movi- mento della bimba e dell’onda.
La classe è suddivisa in tre grup- pi che si alterneranno nei ruo- li. Il primo gruppo sarà costitu- ito dagli osservatori. Il secon- do gruppo si muove in riga e tenendosi per mano imiterà il movimento dell’onda con oscil- lazioni avanti e indietro. Il mo- vimento si amplia con l’aggiun- ta di passi e l’accompagnamen- to delle braccia. I passi aumenta- no e si fanno più veloci, mentre il rientro è per contrasto accen- tuato nel raccoglimento del cor- po. Nella maggior espansione, la riga si rompe e le parti dell’on- da, pur rimanendo ravvicinate per non perdere identità, occu- pano più spazio con salti e ge- stualità adeguate. Poi, esaurita l’energia, ci si ricompone pren- dendosi nuovamente per mano e trovando a terra una posizione consona. I componenti del terzo gruppo saranno bimbi e gabbia- ni che, in un duetto con l’onda Obiettivi: descrivere immagi-
ni e verbalizzare sequenze nar- rative con linguaggio adegua- to; arricchire il proprio vo- cabolario; ascoltare e ricono- scere punti di vista differenti.
Tempo previsto: 3 ore, suddivi- se in 2 momenti successivi.
Attività 2: Amicizia (consi- gliata alle classi terze, quarte) Brainstorming per cercare pa- role inerenti l’amicizia. Faccia- mo raggruppare le parole in tre gruppi: piacevoli, neutre, sgra- devoli. Suddividiamo la classe in tre gruppi, uno per ognuna delle tre liste di vocaboli. Ogni grup- po dovrà cercare nelle immagi- ni della storia le espressioni del- la bambina, e successivamente dell’onda, che potranno colle- gare al gruppo delle parole asse- gnato. La ricerca e l’abbinamen- to sono frutto della discussio- ne all’interno del gruppo e delle esperienze di simulazione. Ora chiediamo di porre in relazione le espressioni e gli atteggiamenti della bimba con quelli dell’onda, cercando le relazioni di causa- effetto, le influenze di altri per- sonaggi, le alternative. I grup- pi comporranno poi il lavoro e motiveranno la loro scelta facen- do riferimento alla propria espe- rienza. Conserviamo infine il gu- sto della leggerezza, sollecitando la ricerca dello scherzo e del gio- co nel rapporto di amicizia.
Obiettivi: individuare e rico- noscere nell’altro l’espressio- ne di gradimento o di disagio;
riconoscere, confrontare e condividere esperienze nelle dinamiche relazionali; spe- rimentare diverse modalità di approccio all’altro.
Tempo previsto: 10 ore.
si ritrarranno e avanzeranno con movimenti di scherzo, di gio- co, di provocazione. Batteranno l’aria con mani e piedi, gambe e braccia, pur fuggendo a ogni avanzamento dell’onda. Cerche- ranno di scomparire per tornare invadenti e spavaldi. Reagiran- no nel momento della massima espansione dell’onda, e torna- ta la quiete, riprenderanno pian piano lo spazio, giocando con le mani dell’onda.
Obiettivi:
raccontare ed esprimere col linguaggio del corpo; osserva- re il movimento dei compagni ed adeguarvi il proprio; gu- stare la piacevolezza del ritmo e del movimento armonioso.
Tempo previsto: 3 o 4 ore in 3 momenti separati.
L’Autrice
Suzy Lee è nata a Seoul ma vi- ve e lavora a Singapore. Ha par- tecipato a mostre ed esposizio- ni di book art riscuotendo ri- conoscimenti e premi in tutto il mondo. L’onda fa parte della Honour List che raccoglie quel- li che sono stati giudicati i dieci migliori silent books provenien- ti da tutto il mondo e presentati a Roma alla mostra “Libri senza parole. Destinazione Lampedu- sa” nel maggio del 2013. Si trat- ta di un progetto internaziona- le, una mostra laboratorio che raccoglie la miglior produzione editoriale, da donare a Lampe- dusa, primo approdo per quan- ti arrivano dai paesi d’oltre ma- re per costituire una biblioteca per bambini italiani e migran- ti. L’onda fa parte di una trilogia insieme a Mirror e L’ombra, Edi- zioni Corraini.
I silent books (o wordless books) sono i libri senza parole, che riescono a superare le barriere linguistiche affidando la narrazione ad un sapiente e creativo uso delle immagini, dei colori e degli spazi, linguaggio universale comune a bambini di ogni cultura, al di là dei diversi livelli di abilità e competenze.
lossario
G
F ocus Progettare
La scuola
di Simona Ferrari, Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano
In questo numero, passiamo dalla progettazione micro alla progettazione macro. Ci spostiamo quin- di dagli elementi della progettazione legati a scelta di azioni, metodologie, spazi, tempi, strumenti, risorse tipici della micro-progettazione vista come “sequenza di attività educative che si prolunga nel tempo e che è diretta a promuovere il raggiungimento degli obiettivi intesi dalla comunità edu- cante” (Pellerey) per offrire una riflessione a monte sulla cornice progettuale in cui ci si muove.
Lo facciamo per due ragioni.
La prima perché “La buona scuola”, reso disponibile sul sito https://labuonascuola.gov.it dal 15 set- tembre al 15 novembre 2014, ha consentito di accendere un dibattito proponendo in modalità 2.0 alcune linee per ri-progettare la scuola e offrendo allo stesso tempo la sua vision su tale contesto.
Senza entrare qui nel merito di una valutazione (per una prima problematizzazione rimandiamo a “Renzi e la scuola. L’ultima occasione?”, La Scuola, 2014), la proposta ha suscitato fermento. La consultazione pubblica ha generato 2043 dibattiti, ha raccolto 115 paper che presentano la posizio- ne assunta dalle diverse organizzazioni in merito (da partiti a associazioni di studenti, da centri di ricerca ad associazioni di categoria) e 20 documenti prodotti dagli USR nella discussione online in
“16 stanze” tematizzate.
Come si può vedere dalla sintesi presentata sul sito (fig. 1), l’attivazione è stata elevata.
La modalità basata su interazione, condivisione, partecipazione che dal basso raccoglie spunti, cri- tiche, commenti è sicuramente risultata vincente perché, sfruttando gli strumenti di comunicazione del web 2.0, ha consentito di “dar voce” alla scuola italiana, di migliorare la proposta, di procedere indicando norme e risorse.
Indipendentemente dai processi che si attiveranno a ricaduta, sicuramente è un successo per la scuola italiana il movimento “espressivo” che si è generato. Segno di quanti l’hanno a cuore, segno della sua importanza e richiesta di rivalsa.
Un secondo motivo più pragmatico è scaturito da un contributo pervenuto in redazione. Le rifles- sioni del maestro Zin1, provando a rispondere all’appello della Buona scuola, tratteggiano linee di lettura e intervento sul contesto scuola che meritano attenzione.
1 L’autore collabora con eurcom.org
Figura 1
Come vedrete stimolano la riflessione sulla progettazione della scuola, sul pensarsi e progettarsi co- me docente. Proviamo a leggere questo contributo collocandoci nella prospettiva dell’analisi di con- testo:
qual è lo sfondo teorico (attenzioni e priorità, parole chiave, indicazioni europee e ministeriali, Leg- gi) della scuola del 2015?;
e quello culturale? Zin è mosso dal personalismo comunitario di Mounier e di Maritain, interro- garci sul nostro quadro culturale, sul recupero della dimensione pedagogica e sul tornare alle fon- ti. Che siano poi Agazzi, Montessori, Fröbel, Radice, Dewey, Freinet, Pestalozzi, Freire, importante è che recuperando questi autori e rileggendoli abbiamo la possibilità di lasciarci sfidare nel nostro punto di vista sulla società, sull’educazione, sulla scuola;
l’articolo ci sfida a prestare attenzione ai modelli culturali (immagini, trame, principi, metafore) circolanti in particolare sulla scuola e sulla figura dell’insegnate. Non tanto per verificare se siano falsi o veri ma per evitare che tali modelli diventino per noi un modus operandi, un pilota automa- tico, che agiscano tramite noi in modo inconsapevole;
ci porta a riflettere sulla differenza tra parole come finalità (riguarda la sfera alta, ad esempio “pro- muovere lo sviluppo integrale della persona”), propositi (hanno a che fare con intenzionalità sog- gettive , le “mie proposte”), mete (riguardano l’area dei risultati, l’esito che voglio raggiungere) e obiettivi (principio ispiratore dell’attività);
ci richiama all’analisi della domanda e dei bisogni (i nostri bambini sono il target di interevento, sono solo loro? È legittimo o no pensare anche alle famiglie?).
Si tratta di elementi che ci portano alla “cornice di progetto” dentro la quale si muoverà la micro progettazione.
Dalla scuola (macro) si può arrivare a rileggere, progettare la classe (micro). Un progettare che tor- na quindi a porsi domande sul senso. Per trovare le risposte, le vostre risposte, vi lascio alla lettura.
F ocus Progettare
Di questo problema, su tutti gli altri, s’impone quello della for- mazione, della selezione e del reclutamento degli insegnan- ti. I buoni insegnanti – quel- li veri – sono le prime vittime del disinteresse della società: le insufficienti risorse che l’Italia destina alla scuola producono insicurezza, appiattimento sa- lariale, scarsa considerazione sociale.
Tra le molte riforme che si so- no susseguite nell’ultimo cin- quantennio, nessuna ha cerca- to di delineare la personalità del docente sul piano umano, culturale, professionale. I vari governi, appoggiati dai sinda- cati, si sono preoccupati solo di trovare un posto ai precari, il- ludendo i vincitori di concorso di immetterli successivamente in ruolo e creando le scorciato- ie delle abilitazioni. È nata co- sì una classe di docenti che ti- ra a campare, che mal digerisce
Progettare la buona scuola
In questo articolo provo a in- dicare alcuni elementi di ri- flessione frutto sia di 42 anni di insegnamento nella scuola primaria e secondaria di primo grado, sia dagli appunti pre- si durante i corsi di aggiorna- mento organizzati proprio da SIM durante le settimane di Montevelo, gli “itinera magi- stri” alla Mendola.
Sottopongo queste riflessioni ben conscio che i tempi, la so- cietà, i ragazzi sono cambiati, ma altrettanto consapevole che solo là dove tradizione e inno- vazione si abbracciano, c’è spa- zio per una scuola intesa come palestra di educazione, la sola che possa garantire una miglio- re vita alla nostra società.
La scuola è una priorità mi- sconosciuta da tutti i nostri governi.
Progettare la scuola
Contributo per una “buona scuola”
L’importanza e deontologia del maestro, Fine, finalità e obiettivi
di Edoardo Zin, Insegnante di scuola primaria e secondaria di primo grado
le ingiustizie, si sente vessata e avvilita dalla burocrazia e dalle pedanti riunioni.
Accanto a questa minoranza, c’è una maggioranza che è mo- tivata, preparata, che si affan- na per creare nuove mete, che integra la preparazione ricevu- ta con nuovi doveri, una buona capacità di lavorare in gruppo e di interloquire con i genitori.
A me pare che gli insegnanti debbano ricoprire il loro ruolo applicando queste dieci regole.
Regola 1. L’insegnante è colui che lascia un “segno”
Un docente può influire in modo drastico e irrimediabile sull’esistenza futura di un allie- vo. Non esiste un’educazione
“neutra”: si può ispirare all’al- lievo amore o disamore per lo studio, fiducia o sfiducia ne- Da dove si parte per progettare una “buona scuola”?
Il presente contributo offre, sotto forma di regole guida per la fase di macro-progettazione, la possibilità di tornare su elementi e parole della progettazione come “fine”, “obiettivi”, “deontologia professionale” per riempirli di significato.
Questo consente di collegare tradizione e innovazione nella scuola, integrando i due piani e tracciando linee di valutazione della propria scuola e del proprio ruolo come maestri.
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Regola 2. L’insegnante non insegna quello che vuole, neppure quello che sa,
ma quello che “è”
Insegnare non è solo trasmette- re nozioni, saperi o competen- ze, non bastano le parole raffi- nate, le argomentazioni inec- cepibili. La cultura non è eru- dizione. S’insegna anche con la testimonianza di vita, con la coerenza, con la competen- za che porta a trasmettere po- che cose, ma belle e necessarie, piuttosto che molte, di poco conto e inutili.
L’allievo presta attenzione a quello che un insegnante fa piuttosto che a quello che di- gli adulti, atteggiamenti critici
o passivi, affetto o rivolta nei confronti delle istituzioni.
Agli insegnanti sono affidati i bambini, i ragazzi e i giovani:
i danni che essi possono fa- re, abbeverando i loro allievi di imbecillità o pascolando- li tra quisquilie o nutrendoli di idee false, sono enormi e si ripercuoteranno sulla società futura. Dipende dagli educa- tori d’oggi se il domani sarà fraterno o ostile.
Se l’insegnante avrà passione, sarà legato a un ideale, dedito all’insegnamento come a una missione (parola tanto deni- grata e oltraggiata da coloro che concepiscono la scuola co- me una “fabbrica”!), condurrà l’allievo verso la completa ma- nifestazione di sé.
ce. La parola che viene appresa è quella che, detta a un bambi- no o a un ragazzo, viene capita senza bisogno di difficili spie- gazioni.
Se la cultura dell’insegnante fa parte del suo stile di vita, egli usa parole comuni per espri- mere concetti poco comuni, in- segna con sicurezza e con chia- rezza anche quando trasmette conoscenze complesse, che di- venteranno valori perché co- municate con un’anima piena di calore umano e passione.
Oggi sembra che per molti il fine della scuola sia la forma- zione dell’uomo che conosce (non che “sa”) e così il rappor- to educativo è ridotto ad adde- stramento.
Si imbottisce l’allievo di nozio- ni mentre “il discepolo non è
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un vaso da riempire, ma una fiamma da suscitare” (come di- ceva Rabelais). Se si risveglierà in lui la passione per l’appren- dimento, sarà capace di sbri- garsela da solo al momento op- portuno.
Si tenta inoltre di insegnare sempre più in anticipo nozioni astruse. Il precocismo scolasti- co è un grave errore perché non rispetta le tappe dell’apprendi- mento che esige che ogni cono- scenza venga impartita al mo- mento opportuno.
Regola 3. L’insegnante non elargisce saperi, competenze, nozioni ma la sua sapienza
Sapienza deriva da “sapère” (=
dar sapore) e studiare da “stu- dere” (= appassionarsi). Sapere non vuol dire essere sapienti.
La sapienza è un dono, una do- te e l’insegnante sapiente è co- lui che ha raggiunto la pienez- za della maturità della persona.
Da una sapienza robusta può nascere talvolta lo scetticismo, ma anche ciò è un modo di in- terrogarsi per ricercare la verità.
L’insegnante sapiente non è lo scienziato o l’erudito. La scien- za è fatta di nozioni come una casa è fatta di pietra, ma un am- masso di nozioni non è scienza come un mucchio di pietre non è una casa.
Per questo l’insegnante non impone la sua particolare visio- ne del mondo, ma assicura op- zioni e informazioni come tes- sere di un mosaico che, unite assieme, formano la vera cultu- ra, cioè un modo per interpre- tare e vivere la realtà.
Ciò dà sapore all’insegnamento e appassiona l’allievo.
L’interesse dell’allievo nasce dal- la sapienza dell’insegnante.
Regola 4. Maestro deriva dal latino
“magis”: è colui che è “di più”
Negli ultimi anni si è sviluppa- to nella scuola italiana il deli- rio della parità tra insegnante e allievo: la “signora maestra” è diventata la “Cicci”, il profes- sore qualcuno con cui si va al bar a bere il caffè. Tutto in no- me dell’amicizia, di un dissen- nato egualitarismo: “Diamoci del tu: siamo amici”.
Le conseguenze di questo mo- do sono sotto gli occhi di tut- ti. I docenti hanno perso la loro autorevolezza.
Nell’amicizia, la reciprocità suppone la parità, ma il mae- stro è colui che è “di più” per- ché è “più grande” in quanto ha già compiuto un tratto di strada più lunga del suo allie- vo. Come potrà il maestro chi- narsi sull’allievo se egli non sta
“più in alto”? Chi tratta l’allie- vo come un suo pari, lo inse- risce in un tutto, in un collet- tivo, mentre l’educazione è so- prattutto una relazione interio- re tra due persone.
Regola 5. L’insegnante è autorevole, non autoritario
Tutto cominciò nel 1974 con i “decreti delegati”. Chi lesse ancora la legge – tutta infarci- ta di regolamenti, di articoli e di commi per regolare consi-
gli di classe, d’interclasse, di istituto, di consigli provincia- li – capì subito che la collabo- razione con i genitori, fondata sul reciproco rispetto, sul dia- logo franco e sulla spontanei- tà, si sarebbe trasformata con il tempo in conflitto.
Si capì subito che il sogno della partecipazione democratica si sarebbe trasformato, dopo in- terminabili, faziose discussio- ni in schieramenti tra progres- sisti e conservatori. Le idee si trasformarono subito in ideo- logia.
Gli insegnanti incominciaro- no a perdere la loro autorevo- lezza, anche perché i genitori si fecero paladini della scarsa considerazione con cui la so- cietà tratta i suoi insegnanti:
il macellaio o il pizzicagnolo o l’idraulico raccontava ai pro- pri figli, entusiasti per l’astuzia genitoriale, che loro guadagna- vano in un giorno quello che l’insegnante guadagnava in un mese. I migliori insegnanti, ap- pena poterono, fuggirono dalla scuola.
Incominciò così a crearsi il
“proletariato docente”: in cam- bio di molte assunzioni e nes- suna valutazione, col permesso dei sindacati, si introdussero in ruolo docenti insipienti, ineffi- cienti e indifferenti che diven- tarono inamovibili.
Di fronte a questa moltitudi- ne di malcontenti, i genitori trovarono un buon terreno di coltura per diventare arrogan- ti, proclamarono la “loro” di- dattica e la “loro” pedagogia, pretesero di insegnare anche ai docenti preparati e capaci.
In caso di bocciatura, fiocca- rono i ricorsi al TAR. Così, dal
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rilevante autoritarismo si pas- sò al permissivismo.
Da lì il passo verso il servilismo dei docenti nei riguardi dei ge- nitori fu breve. I bravi docenti si trovarono soli, provarono il di- sagio, il malessere, ma non su- birono la generale atmosfera di mediocrità e continuarono a vo- tarsi alla loro professione senza risparmio di sé.
Tentarono di battere strade nuove, illuminandosi con la fiamma della loro autorevolez- za. Continuarono a collabora- re con i genitori e a dialogare con loro con senso di giustizia, di incorruttibilità, con assenza assoluta di preconcetti di qual- siasi natura e con libero e spre- giudicato ingegno.
Continuarono a guadagnarsi la stima e la riconoscenza dei ge- nitori perché vedevano in loro una garanzia per la vita futura dei loro figli.
Regola 6. “Per insegnare il latino a Pierino occorre conoscere il latino o Pierino?”
Così scriveva Jacques Maritain nel lontano 1945. È l’eterno dilemma. Se l’insegnante tra- smette solo ciò che ha impa- rato, senza preoccuparsi se ciò che è stato insegnato viene an- che appreso e vissuto dall’allie- vo, ha fallito.
Il più delle volte, le difficoltà che l’allievo incontra nell’ap- prendere dipendono dalle sue emozioni, dai suoi stati d’ani- mo, dalle sue capacità, dall’am- biente in cui vive. Il vero in-
segnante va alla ricerca delle cause del mancato apprendi- mento.
Non si limita a valutare l’allie- vo, valuta piuttosto se stesso, riflette, parla a se stesso.
È capace di spiegare e contem- poraneamente di comprendere le difficoltà che l’allievo incon- tra. È chiaro nell’insegnare per- ché la chiarezza è carità.
Prima di interrogare gli allievi il vero insegnante interroga se stesso.
Interrogare l’allievo non è una cosa facile!
Condizione prima perché l’in- segnamento diventi apprendi- mento è creare un clima di si- lenzio, di ascolto, di interes- se. L’insegnate che comunica con il suo discepolo in mezzo al chiasso, alla baldoria, alla confusione non può farsi com- prendere. C’è un tempo per parlare e un tempo per ascol- tare: entrambi hanno bisogno di un clima di silenzio perché solo ciò assicura una chiara co- municazione.
Regola 7. Il vero insegnante non confonde il fine con i mezzi
Il fine è alto, nobile: educare le giovani coscienze attraver- so l’insegnamento e l’apprendi- mento.
Negli ultimi anni c’è stata una rincorsa alla didattica creativa:
una zelante corte di aggiorna- tori ha pontificato con lessico criptico su “amplificazioni, im- plementazioni, distanziamen- ti, individualizzazione e speri- mentazioni”.
Le nuove tecnologie oggi offro- no miriadi di tecniche tutte va- lidissime.
L’immagine ha sostituito la pa- rola. La tecnica però rimane solo un mezzo per rendere più facile il cammino per raggiun- gere l’unico fine. Non è tanto importante saper usare inter- net, bensì comprendere l’infor- mazione offerta da questo mez- zo per collocarla al giusto po- sto nel mosaico delle proprie conoscenze. Internet rimane solo un punto di partenza.
Leggere un libro è molto im- portante perché si può con- versare interiormente con chi lo ha scritto, riflettere sul suo pensiero.
I ragazzi e i giovani d’oggi par- lano prima di pensare perché la velocità della comunicazione li rende pronti, ma non riflessi- vi. Talvolta, pongono domande ancor prima di ascoltare non perché spinti dalla ricerca della verità, ma perché smaniosi di parlare. La fretta non è segno di operosità, bensì d’irrequietezza della mente. Quando parlano, spesso i giovani non cercano il confronto con il dialogo, ma la banalità della chiacchiera. Se i mezzi non motivano e non coinvolgono l’intera persona dell’allievo e non lo spingono a riflettere, restano solo stru- menti asettici che non parlano alla mente e non appassionano il cuore dell’allievo.
“Perché l’allievo impari occor- re coinvolgerlo, perché ricordi occorre fargli vedere, perché di- mentichi, basta…parlargli”: così si esprimeva Benjamin Franklin.
Motivazione e coinvolgimento dell’intera persona dell’allievo costituiscono il fine delle tec-
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niche, non il contrario. La tec- nica esonera l’utente dal pen- sare e dal crearsi giudizi critici.
Regola 8. Il vero insegnante
è un “conservatore”
L’insegnante è colui che con- serva in sé e consegna ai nuovi arrivati la tradizione (da “tra- dère” = consegnare) e propone valori perenni.
L’insegnante è sì innovativo sul piano didattico, usa le tecnolo- gie dettate dal mutamento del- la storia e dalle nuove esigen- ze della società, ma è custode della memoria di un popolo.
In un momento in cui i media trasformano i costumi, sono gli
insegnanti che trasmettono la passione per ciò che è immu- tabile: il vero, il bello e il bene.
Il vero è ricerca, relazione, dia- logo, proposta. Gli educatori che pianificano le loro azioni sono pedanti e ammazzano la parola dei discepoli.
Il bello non va confuso con la creatività e lo spontaneismo: il bello è anche osservare un tra- monto, scoprire i segreti di un prato, far silenzio per udire il cinguettio di un uccello. I gio- cattoli elettronici che la socie- tà consumistica e massifican- te offre spengono il desiderio del bello.
Il bene non va confuso con la felicità e con la sfrenata libertà:
la felicità si conquista con fati-
ca, con sforzo, con un forte ca- rattere. L’insegnante conserva e tramanda ciò che più vale. Il popolo che non si riconosce in valori condivisi si spegne.
Regola 9. Esperto in umanità, l’insegnante si giova degli
specialisti, ma è lui che conduce tutto a unità: l’educazione integrale
della persona
Nella scuola sono entrati gli specialisti di settore: il vigile urbano per l’educazione stra- dale, il medico per l’educa-
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zione alimentare, il sessuolo- go per l’educazione sessuale, l’ecologo per l’educazione am- bientale, il nonno per insegna- re a vangare l’orto, il fotogra- fo per insegnare a inquadrare un’immagine, l’esperto di tec- niche marziali… e così via. Lo prevede il P.O.F.
La scuola è così mutata da luo- go dove si apprende a pensare
“con la propria testa” e, quin- di, da essere luogo di educa- zione a luogo del “fare”. A queste educazioni settoriali si aggiungono i viaggi scolastici, le feste, le escursioni didatti- che. Sono tutti mezzi utili solo se inseriti in un progetto che porti alla formazione dell’in- tegralità della persona. In sen- so contrario restano tecniche di addestramento. Si posso- no, infatti, conoscere le rego- le stradali, tutti gli organi e gli apparati digerenti e sessuali, ma se non si rispettano i se- gnali e non si ha una sana af- fettività non si può avere una coscienza chiara e retta, preci- pitando così nel male e nella vergogna.
Il dramma del nostro tempo è che la persona è stata “spezzet- tata” in mille frammenti. Oc- corre riportare tutto a unità: la sola ragione e il pragmatismo non esauriscono la potenzialità dell’amare, del distinguere tra vero e falso, nel volere costan- temente il bene, nell’ammirare il bello.
Compito dell’insegnante è quello di riportare tutto a uni- tà. Lo specialismo eccessivo è lo specialismo di chi “conosce”
solo un frammento dell’univer- so, ma ignora i diversi sape- ri che sono tali quando forma-
no il “tutto” cioè la persona. Il
“tutto” deve prevalere sul “par- ticolare”.
Regola 10.
L’insegnante è
inserito nella storia quotidiana
Nella società complessa e complicata d’oggi, in cui le tensioni sociali s’incrociano con quelle economiche, in cui famiglia e persona si dimostra- no fragili, in cui eventi dolo- rosi intervengono a trasfigua- re la persona, in cui la dispe- razione, la deformazione men- tale e la devastazione morale agiscono anche sull’operare della scuola, l’insegnante è chiamato a dimenticare – die- tro il volto degli allievi- quello delle loro famiglie, della socie- tà, del mondo.
Egli non opera come un assi- stente sociale, ma avverte le ur- genze della società.
A tal fine s’informa, legge, par- tecipa alla vita della comuni- tà dando l’esempio di come si possa essere attivissimi nell’in- segnamento e trovare contem- poraneamente il tempo per ri- flettere sulle necessità della storia.
Aggiornarsi non solo sul piano professionale e culturale, leg- gere giornali e riviste specia- lizzate, andare a un concerto, visitare una mostra incidono in modo rilevante sulle basse retribuzioni degli insegnanti.
Per esigere da questi la qualità che le famiglie pretendono, oc- corre dare loro un trattamento economico che premi la meri- tocrazia, che non è contrario
della democrazia: valutare un insegnante in base al merito è un’esigenza morale, prima che economica. Natalia Ginzburg scriveva – agli inizi degli anni
’70 – “Pagate gli insegnanti co- me se fossero ministri” ma ag- giungeva “purchè non insegni- no imbecillità”.
L’importanza del maestro
Il presidente uscente della Commissione Europea, parlan- do davanti al Parlamento Euro- peo dello stato dell’Unione, si è così espresso: “Ma dovremo cominciare dapprima ad affi- nare le competenze dei nostri cittadini europei. Dalla Scuo- la. Dai maestri. Ogni maestro che vale, lo sappiamo, può au- mentare il reddito della vita degli studenti di una classe di 200.000 euro.
Lavorano tanto, spesso mal pa- gati, spesso trovando le risorse per conto proprio per insegna- re. I maestri sono così impor- tanti. Rimettiamoli al centro della nostra opera. I bravi ma- estri trattengono gli studenti, li entusiasmano, li fanno diplo- mare in tempo, li tengono lon- tani dalle strade. I bravi mae- stri insegnano a uno studente olandese la bellezza dell’Italia, a un francese le grandezze dei Vichinghi. Un’istruzione euro- pea solidifica la nostra fratel- lanza. Dovremo aumentare le possibilità per i nostri alunni di almeno un anno obbligato- rio all’interno del loro percorso di liceo.”
Parole sacrosante. Chi non le sottoscriverebbe? Speriamo che non restino solo parole.