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LA PROCURA EUROPEA

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LA PROCURA EUROPEA

Roma, lunedì 29 novembre 2021, Aula virtuale Teams REPORT

A cura del Dott. Andrea Venegoni, Magistrato addetto all’Ufficio del Massimario della Corte di Cassazione

Ludovica Giancola e Giorgia Andrea Feltri, tirocinanti presso la Corte di Cassazione

In data 29 novembre 2021, presso l’Aula virtuale Teams, ha avuto luogo l’incontro di studio organizzato dalla Struttura della formazione decentrata della Corte di Cassazione dal titolo “Procura europea e giudice nazionale”.

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I lavori, presieduti dal Procuratore Generale aggiunto della Corte di cassazione Luigi Salvato, sono stati introdotti dal Consigliere Antonio Corbo, Componente della struttura di formazione decentrata della Corte di cassazione e dalla Presidente della Corte di cassazione Margherita Cassano che ha rivolto saluti introduttivi.

Il Consigliere Antonio Corbo ha introdotto questo incontro, che prende spunto dall’inizio dell’attività di indagine della Procura europea a partire dal primo giugno 2021, per effetto della decisione di esecuzione dell’UE del 26 maggio 2021. La Procura europea è un organismo previsto dall’art. 86 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione europea, istituita con il Regolamento UE 2017/1939 e divenuta operativa solo quest’anno per la necessità di una pluralità di interventi di attuazione da parte degli ordinamenti nazionali (in species, in Italia è stata fondamentale l’adozione del D.lgs. 2 febbraio 2021, n. 9). La Procura europea ha, allo stato, una competenza specifica nello svolgimento di indagini sui reati che attentano agli interessi finanziari dell’Unione europea, ma potrebbe allargare in futuro le sue competenze. É un organismo assolutamente nuovo e, pertanto, le conseguenze che potranno derivare dalla sua attività nell’esperienza giudiziaria, anche dell’ordinamento nazionale italiano, non sono ad oggi agevolmente preventivabili nei contenuti.

Dunque, è evidente l’esigenza di definire il rapporto e le interazioni tra Procura europea e autorità giudiziaria nazionale, anche in prospettiva della notevole quantità di procedimenti che dovranno essere trattati. In questa logica, il primo momento di riflessione è quello relativo all’analisi della struttura, dei moduli organizzativi e delle competenze, come disegnate dalla disciplina sovranazionale. Questa fondamentale analisi costituisce l’oggetto della relazione del Procuratore europeo Danilo Ceccarelli, che tratterà anche il tema relativo alla distribuzione delle competenze tra la Procura europea e le Procure della Repubblica, nella prospettiva dell’ordinamento giuridico italiano.

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Il Consigliere Corbo ha evidenziato come i profili problematici non sono pochi proprio per l’assoluta novità di tale organismo e per l’inedita soluzione di una azione penale che per la prima volta non viene esercitata dal Pubblico Ministero italiano. In questa prospettiva, è fondamentale fare chiarezza su quali sono le materie specificamente riservate alla Procura europea e quali le categorie di reato invocate, in particolare con riferimento ai reati indissolubilmente connessi, la cui definizione non è di agevole soluzione. Inoltre, è presente una disciplina in sede sovranazionale e nazionale che concerne sia i contrasti e il modo di derimere essi che le richieste di consenso all’esercizio di indagini da parte della Procura europea in casi altrimenti di competenza dell’autorità nazionale. Inoltre, sussiste il problema della trattazione dei procedimenti che saranno rinviati all’autorità nazionale dalla Procura europea. In questi ambiti, è centrale il ruolo della Procura generale presso la Corte di cassazione, sulla base di quanto specificatamente previsto dall’art. 9 del D.lgs. 2 febbraio 2021, n. 9.

É fondamentale, altresì, analizzare il regime degli atti di indagine compiuti dagli organi della Procura europea, con il connesso aspetto delle garanzie spettanti alla difesa e delle patologie derivanti dalla loro violazione, delle eventuali difformità tra gli atti concretamente adottati dall’autorità investigante e il modello legale prefissato. Momento finale di questa riflessione, ma centrale nella prospettiva dell’ordinamento, concerne gli strumenti che le parti del processo hanno davanti al giudice per far valere tutte le loro ragioni e per richiedere la verifica della corretta applicazione delle discipline sovranazionali e nazionali, quanto per esempio al riparto di competenza tra Procura europea e autorità nazionali, ai problemi di giurisdizione tra giudici di Stati diversi e alle conseguenze collegate alle violazioni delle disposizioni sul funzionamento della Procura europea.

Il Consigliere Corbo ha concluso il suo intervento introduttivo, ringraziando i vertici della Corte di cassazione che hanno voluto supportare questa attività, gli ospiti internazionali, la Procuratrice europea Laura Kodruta e il Procuratore italiano presso la Procura europea Danilo Ceccarelli, e tutti i relatori che offrono le prime riflessioni su tale tema che necessita ancora di ampie indagini.

Ha poi preso la parola per un saluto introduttivo la Presidente Margherita Cassano che a sua volta ha ringraziato tutti i presenti, soprattutto la Procuratrice europea Laura Kodruta, la cui presenza ha una particolare importanza. La Presidente Margherita Cassano ha sottolineato come tale iniziativa costituisce la prima forma di confronto tra magistrati requirenti e magistrati giudicanti sul tema della Procura europea. Questa è un organo dell’Unione di natura indivisibile, che opera come un unico ufficio con struttura decentrata, assimilabile ad un vero e proprio ufficio di Procura di dimensione europea, competente allo stato a svolgere le indagini su una particolare categoria di reati, quelli offensivi degli interessi finanziari dell’UE ai sensi dell’art. 86, comma 11, TFUE. L’operatività della Procura europea è destinata ad assumere rilievo non solo nella fase delle indagini ma anche in sede

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di giudizio, dove dovranno essere affrontati e risolti i problemi relativi alla legalità del procedimento probatorio, alla valutazione delle prove assunte nel rispetto del paradigma normativo, il quale deve essere fondato sull’osservanza dei diritti fondamentali della persona. La Procura europea, nascendo sottoforma di cooperazione rafforzata, è destinata a rapportarsi non già rispetto a tutti gli Stati dell’UE ma unicamente a quelli che hanno aderito a tale iniziativa.

La Presidente Margherita Cassano ha individuato due ordini di questioni che possono emergere nel presente dibattito: la prima attiene al quadro dei rapporti, in un contesto pur sempre di cooperazione, tra Procura europea e Stati membri non aderenti all’E.P.P.O.; la seconda concerne invece il quadro di rapporti, in un contesto di non cooperazione, tra Procura europea e Stati extracomunitari. La prima questione è destinata a trovare soluzione nel tessuto dello spazio giuridico mediante regolamentazioni specifiche che riguardano le forme di collaborazione con l’E.P.P.O.; la seconda può invece trovare soluzione solo mediante la stipula di specifici accordi internazionali. La Presidente Cassano ha lasciato, dunque, al dibattito il compito di affrontare tali quesiti, riservandosi di intervenire successivamente, in sede di conclusioni, per analizzare alcune questioni di rilievo costituzionale e processuale.

Il Procuratore generale aggiunto Luigi Salvato ha preso la parola, ringraziando di essere stato invitato e riportando il saluto del Procuratore generale Giovanni Salvi, il quale è dispiaciuto per la sua mancata partecipazione al dibattito per sopravvenuti impegni istituzionali. Il Procuratore generale Salvato ha compiuto un breve intervento introduttivo, iniziando con il ricordo di uno dei massimi studiosi del diritto comunitario, il professor Giuseppe Tesauro, scomparso quest’estate, citando quanto da lui scritto nella premessa della seconda edizione del suo manuale. Ha evidenziato, con le parole del professor Tesauro, che l’aspetto più significativo del processo di integrazione europea debba essere osservato proprio nel sistema giuridico europeo, il quale ha permesso il progressivo affermarsi nella vita di ognuno dei valori della pace, della dignità, della persona senza distinzione di genere e della libertà. Il sistema dell’Unione rinviene la sua forza proprio nell’essere una comunità di diritto, in particolare sia nel procedimento di formazione delle norme comunitarie, che non è solamente convenzionale, che nel meccanismo del rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia.

L’architettura giurisdizionale è basata sull’attribuzione di specifici compiti ai giudici nazionali, piuttosto che sulla duplicazione di leggi giudiziarie concorrenti, tipiche dei sistemi federali, e in questa stessa linea si è proceduto con l’introduzione di EPPO, a cui si è aggiunto un ulteriore passaggio. Difatti, i Procuratori delegati europei sono magistrati nazionali a loro volta protagonisti della vocazione sovranazionale dell’ordinamento comunitario. Ebbene, gli elementi di radicale novità di EPPO attengono sia alla nuova struttura che supera la dimensione del mutuo riconoscimento – su

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cui si basa il MAE e gli OIE – in favore di una logica di integrazione dei diversi livelli dell’amministrazione, che alla sua natura di organo dell’UE che presuppone una cessione di porzioni della sovranità statale in materia penale. La Procura europea riflette, altresì, gli elementi essenziali del Pubblico Ministero italiano, in quanto è dotata di solide garanzie di indipendenza.

Il Procuratore generale Salvato ha concluso, osservando che l’importanza di EPPO attiene proprio al fatto di aver aggiunto un ulteriore tassello necessario a rafforzare la comunità europea di diritto, nonostante la sussistenza di alcuni profili problematici che tuttavia non devono spaventare.

Come osservato dal Procuratore Giovanni Salvo, bisogna considerare EPPO un punto di arrivo di un lungo percorso di elaborazione ma, soprattutto, un punto di partenza di una costruzione che si realizzerà nel tempo.

Sia il Procuratore generale aggiunto Luigi Salvato che il Consigliere Antonio Corbo hanno ringraziato nuovamente la Procuratrice europea Laura Kodruta per la sua disponibilità a partecipare a questo dibattito, dandole la parola.

La Procuratrice europea Laura Kodruta ha svolto il suo intervento in lingua inglese, che è stato successivamente tradotto dalla dott.ssa Susanna Ranucci, che ha prestato la sua assistenza linguistica.

La Procuratrice europea Laura Kodruta ha – secondo quanto letto dalla dott.ssa Susanna Ranucci – ringraziato, anzitutto, per essere stata invitata a partecipare a tale incontro e per l’opportunità di presentare il suo punto di vista in relazione ai rapporti tra la Procura europea e le autorità giudiziarie nazionali. La Procuratrice europea Kodruta ha evidenziato che la Procura europea è un organismo specializzato nell’attività di indagine e indipendente sia dalle autorità nazioni che dalle Istituzioni, organi e agenzie europei. Le indagini di EPPO vengono svolte su reati quali le frodi sui fondi europei, che concernano somme di denaro superiore ad euro 10.000, le frodi transfrontaliere dell’IVA, che procurano danni superiori a dieci milioni di euro, la corruzione, il riciclaggio di denaro, la criminalità organizzata collegata all’utilizzo dei fondi europei o a frodi fiscali relative ad imposte e tributi. Tutti i tipi di reati, che potenzialmente rientrano nella competenza, devono essere segnalati alla Procura europea, perché nella maggior parte dei casi sola essa può indagare, perseguire ed esercitare l’azione penale davanti al giudice nazionale competente. L’EPPO ha una struttura complessa: al livello centrale vi sono 22 Procuratori europei, provenienti dagli Stati aderenti, che lavorano insieme in 15 Camere permanenti, le quali controllano e dirigono le investigazioni e le azioni penali, condotte dai Procuratori europei delegati. Le Camere permanenti, inoltre, assicurano il coordinamento delle indagini nei casi transfrontalieri e decidono sulle questioni principali concernenti, per esempio,

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l’eventuale archiviazione o l’esercizio dell’azione penale, il ricorso ad una procedura semplificata, la restituzione del caso alle autorità nazionali oppure la riapertura delle indagini. A livello decentrato vi sono almeno 100 Procuratori europei delegati, integrati nei rispettivi sistemi nazionali con pieni poteri investigativi. L’EPPO svolge funzione di pubblica accusa davanti a giudici nazionali e opera in 22 ordinamenti penali e processuali, in cui non è facile trovare soluzioni per tali diversi sistemi giudiziari.

Nonostante ciascun Procuratore europeo abbia un suo bagaglio e una cultura specifica, è necessario che tutti agiscano come un’unica squadra. Ovviamente, il lavoro di EPPO genererà con il tempo una giurisprudenza nuova e innovativa da parte della Corte di giustizia europea e dei giudici nazionali, e avrà un impatto sulla vita quotidiana di tutti gli operatori del diritto dei diversi Stati membri. Per tale ragione, per EPPO è importante lavorare insieme con le autorità nazionali per avere un confronto continuo e costruttivo, per seguire la giurisprudenza nazionale e le decisioni vincolanti delle Corti supreme.

Dai diversi reati di competenza della Procura europea, emerge chiaramente che i principali avversari sono i gruppi della criminalità organizzata e per contrastarli EPPO necessita dell’esperienza e della competenza della magistratura italiana. Per contro, la Procuratrice europea osserva che sarà una vera sfida per i giudici nazionali e gli avvocati essere coinvolti nei procedimenti in cui opera EPPO, proprio in ragione della novità del suo modo di lavorare e di operare come un unico ufficio in 22 Stati membri, con la capacità di combinare insieme le indagini e i procedimenti a livello transfrontaliero. La Procuratrice europea osserva, concludendo, che si è solo all’inizio di questo nuovo percorso, perché non esiste alcun precedente della Procura europea e bisogna crearlo insieme, attraverso un lavoro arduo e nobile, motivato da un senso di lealtà – non solo verso nobili ideali – ma verso tutti i colleghi e gli operatori giuridici.

É intervenuto il Procuratore Generale aggiunto Luigi Salvato che ha dato le linee direttive per lo svolgimento del dibattito e ha sottolineato la novità e peculiarità dell’Istituto della Procura europea, ponendo l’accento sulla particolarità della contestuale presenza di Procuratori europei e Procuratori europei delegati che hanno uno status particolare e non pienamente coincidente. Il Procuratore Generale ha, altresì, sollecitato l’attenzione sulla peculiare modalità di funzionamento di quest’organo incentrato sulle Camere, che operano con il principio maggioritario e con il meccanismo del silenzio assenso su proposte di decisioni (elementi di novità assoluta per gli organi requirenti).

Inoltre, peculiare è anche la non operatività del principio di autonomia del PM in udienza, che invece opera nel nostro ordinamento, ove il Pubblico Ministero italiano gode di una totale autonomia di cui è invece è sprovvisto il Procuratore europeo delegato. Infine, un altro degli elementi di maggiore

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novità attiene al potere di archiviazione delle indagini riconosciuto al Procuratore europeo nei casi dell’art. 39, che al Pubblico Ministero italiano non è invece riconosciuto.

Il Procuratore Generale aggiunto Luigi Salvato ha concluso, dando la parola al Procuratore europeo Danilo Ceccarelli per iniziare la sua relazione.

Il Procuratore europeo Danilo Ceccarelli è intervenuto, ringraziando anzitutto la Corte di cassazione e la formazione decentrata per l’invito al convegno e ricordando che in questi primi mesi di operatività dell’EPPO e nel periodo precedente è stata svolta attività formativa diretta esclusivamente ai colleghi della Procura e alla polizia giudiziaria, mentre sussiste l’evidente esigenza di avere un confronto diretto anche con gli organi giudicanti.

Con l’aiuto di slides, il Procuratore europeo ha iniziato la sua relazione, facendo un quadro della struttura e organizzazione della Procura europea, con l’obiettivo di affrontare alcuni dei problemi dell’attività operativa di questi primi mesi, facendo un riferimento rapido alle basi giuridiche, al mandato, alle funzioni, all’esercizio della competenza e alle modalità, alle caratteristiche peculiari delle indagini transfrontaliere e ala loro ricaduta in tema di controllo giurisdizionale e, infine, al ruolo del giudice dello Stato membro e della Corte di giustizia dell’Unione europea. Le basi normative consistono nell’art. 86 TFUE, che, oltre a istituire la Procura europea con il suo mandato, prevede che le sue funzioni vengano svolte davanti agli organi giurisdizionali degli Stati membri. La Procura europea, pertanto, costituisce il primo passo per la costituzione di un ordinamento giudiziario europeo, separato da quello degli organi nazionali, il quale si ferma però ad oggi al livello di organo inquirente e requirente; il legislatore europeo ha infatti ritenuto che per l’organo giudicante europeo i tempi non fossero ancora maturi, escludendo la possibilità di tale istituzione già a livello di trattato.

L’atto fondamentale è il Regolamento EPPO 2017/1939, la direttiva PIF 2017/1371 che costituisce la base del diritto sostanziale comune e, con riferimento all’ordinamento italiano, il già citato d.lgs.

9/2021 in vigore dal 06/02/2021.

Per quanto concerne le caratteristiche fondamentali dell’EPPO, l’ordinamento giudiziario è separato e indipendente da quelli degli Stati membri e si tratta di un ufficio di Procura sovranazionale, totalmente indipendente da ogni autorità nazionale ed europea. Tale totale indipendenza esterna è un valore importante e non scontato a livello europeo. La Procura europea è un ufficio unitario – che è una grande novità, avendo un potere diretto in 22 Stati membri – sia al livello centrale che a quello periferico, fino ai Procuratori europei delegati che sono parte integrante di EPPO, nonostante gli stessi siano inseriti a livello operativo nelle Procure nazionali. L’EPPO ha competenza per i procedimenti

“PIF” sia nella fase delle indagini che in quella processuale. Altra caratteristica importante è che la Procura europea nelle indagini transnazionali opera, non con le modalità della cooperazione

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giudiziaria dell’Unione europea, ma con uno strumento nuovo ex art. 31 del Regolamento 2017/1939.

Importante è anche l’operatività del principio di leale collaborazione tra EPPO e autorità nazionali, soprattutto alla luce della natura ibrida degli uffici della Procura europea a livello decentrato, in cui è impossibile per l’EPPO svolgere le proprie funzioni senza un supporto materiale e amministrativo delle autorità nazionali.

Altro aspetto peculiare è dato dal sistema di competenze concorrenti tra l’EPPO e le autorità nazionali “a priorità” EPPO, termine coniato da alcuni studiosi che disegna quell’equilibrio asimmetrico, previsto dal Regolamento nel momento dell’esercizio della competenza. Il Regolamento in merito ai profili procedurali è chiaro nell’affermare che questi sono disciplinati principalmente dallo stesso Regolamento che prevede norme processuali che si applicano a livello trasversale nei 22 Stati membri, sovrapponendosi alla disciplina dei rispettivi codici di procedura penale. In verità tali norme procedurali sono abbastanza minimali, in quanto si è consapevolmente scelto – per ragioni storiche e pratiche, nonostante vi siano critiche da parte dell’ambiente accademico e dell’avvocatura – di non creare un codice di procedura penale europeo. Dunque, la legislazione nazionale si applica solo sugli aspetti non disciplinati dal Regolamento (che non sono moltissimi) e in ogni caso questo prevale sulle norme nazionali eventualmente non compatibili.

La Procura europea è basata sulla cooperazione rafforzata; i cinque Paesi che non partecipano sono Ungheria, Polonia, Svezia – che ha comunicato che aderirà nel corso del 2022 – Irlanda e Danimarca, le quali hanno invece un opt-out dal settore giurisdizionale. La struttura della Procura europea è costituita da un ufficio centrale a Lussemburgo, composto dal Procuratore Capo europeo, dai 22 Procuratori europei (tra cui sono stati eletti i due Vice Procuratori Capi europei), dal Collegio composto da tutti i Procuratori europei e dal Procuratore Capo europeo (che assume decisioni strategiche e linee guida generali), dalle Camere permanenti (che assumono invece decisioni operative e investigative), oltre a tutto lo staff di supporto. Per quanto concerne le Camere permanenti, costituisce una caratteristica totalmente peculiare il ruolo che esse svolgono all’interno di un ufficio di Procura quale quella europea, il cui modello di struttura è molto simile a quello italiano, ove si ha il PM che coordina le indagini dal momento dell’apertura e per tutto il loro corso, con il pieno coordinamento della polizia giudiziaria, e rappresenta l’accusa in giudizio, essendo titolare effettivo e reale dell’indagine. Questo sistema si è invece scontrato con Stati membri quali la Francia e la Spagna, in cui i giudici istruttori hanno un potere molto rilevante nella fase delle indagini, che hanno dovuto modificare la loro normativa per adeguarsi al sistema dell’EPPO. Le Camere permanenti sono strutture collegiali, composte da componenti di Stati diversi, uno dei quali è sempre il Procuratore europeo dello Stato membro in cui si svolge principalmente l’indagine. Ciò significa che tutte le decisioni più importanti vengono assunte su proposta del Procuratore europeo delegato che è

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assegnatario del procedimento penale, ma la decisione finale motivata è della camera permanente, cioè di un organo collegiale composto da Procuratori che non provengono in maggioranza dallo Stato in cui si realizza indagine. I procedimenti vengono assegnati a rotazione, per cui vi è una straordinaria circolazione delle conoscenze dei sistemi giudiziari dei diversi Stati, delle tecniche investigative e delle c.d. best practices, che diventano rapidamente patrimonio comune per tutti i Procuratori e giudici nazionali. Le Camere hanno per legge il dovere di assumere decisioni – concernenti l’archiviazione, l’esercizio dell’azione penale o il ricorso ai riti alternativi – e hanno il potere di adottare istruzioni specifiche sul procedimento, il quale però ha natura discrezionale e viene utilizzato in realtà solo ove strettamente necessario, lasciando spesso un’ampia autonomia ai Procuratori europei delegati. Il Regolamento, pur affidando alle Camere tale potere e la possibilità di esercitarlo, prevede come sistema ordinario che i Procuratori europei delegati siano autonomi in udienza – salvo che vengano date agli stessi delle istruzioni specifiche – e nelle fase delle indagini preliminari, in quanto non esiste un principio secondo cui il Procuratore Capo è titolare esclusivo dell’azione penale, il quale è un mero membro di una delle Camere permanenti su quindici, il cui potere è identico a quello degli altri Procuratori europei. Mentre in Italia vi sono atti che richiedono necessariamente un’autorizzazione interna della gerarchia della Procura della Repubblica, ciò è totalmente estraneo e assente nella Procura europea. Ciò che viene richiesto, invece, dal Regolamento è un costante flusso informazioni, sempre aggiornato e attivo, nel canale di comunicazione tra Procuratori europei delegati e la rispettiva Camera permanente assegnataria del procedimento. Pertanto, vi sono elementi sia di spiccata gerarchia che di maggiore libertà e indipendenza interna rispetto al sistema nazionale.

A livello decentrato operano i Procuratori europei delegati (che sono in totale 140, almeno due per ogni Stato membro), i quali sono gli effettivi Pubblici Ministeri operanti sul territorio, assegnatari dei procedimenti e sono coloro che coordinano le indagini e che di fatto esercitano l’azione penale su autorizzazione della Camera permanente. Tutto lo staff di supporto e le strutture logistiche, amministrative e informatiche, che sono necessari per garantire l’integrazione operativa (che è l’unica integrazione che i Procuratori europei delegati hanno all’interno della magistratura nazionale), devono essere forniti dagli Stati membri.

La struttura in Italia è composta dai Procuratori europei delegati con funzioni esclusive di Procuratori europei, con competenza su tutto il territorio nazionale (tale modello è parimenti utilizzato in tutti gli Stati membri). Questo consente di avere un Procuratore europeo delegato di turno su tutto il territorio nazionale, con uno schema interno che ha carattere organizzativo e non ordinamentale, caratterizzato da nove sedi nei distretti di riferimento. Ciò tuttavia non esclude, laddove sia necessario, che un procedimento possa essere assegnato o co-assegnato a Procuratori europei delegati che operano in diversi distretti e che potranno comunque indagare. Tale sistema si è rivelato, in questi

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primi mesi di operatività, utile per svariate ragioni. Per esempio, proprio il fatto che la dimensione territoriale nelle frodi IVA transnazionali è molto complessa, essendovi associazioni che operano da diverse aree del territorio nazionale, rende utile avere una Procura unica che non si pone il problema della competenza territoriale nel momento delle indagini, ma solo successivamente quando dovrà operare dinanzi al giudice.

La competenza per materia della Procura europea consiste nell’individuare, perseguire e portare in giudizio gli autori dei reati PIF in tutti gli stati e gradi del processo, fino alla pronuncia della sentenza definitiva. Oltre ai reati PIF, la Procura europea ha la competenza, ai sensi dell’art. 22 della direttiva PIF, per le frodi IVA connesse al territorio di due o più Stati membri (partecipanti a EPPO) con danno complessivo a 10.000.000 di euro – le quali non sono necessariamente reati PIF – e per la criminalità organizzata, qualsiasi sia la sua natura, che ha come reati fine i reati PIF. Il legislatore nazionale ha scelto inoltre di assegnare alla competenza dell’EPPO anche i reati indissolubilmente connessi a quelli PIF, a determinate condizioni. Infine, ai sensi dell’art. 4 della direttiva PIF, la Procura europea esercita la competenza anche per i reati di riciclaggio, laddove i reati presupposto siano quelli PIF. Le specificazioni che il Regolamento detta sulla competenza concernano la previsione che essa si applichi ai soli reati commessi dopo l’entrata in vigore della normativa regolamentaria – la quale apre una serie di problemi per il reato continuato – la previsione in merito al danno potenziale o concreto cagionato dai reati agli interessi finanziari dell’UE che deve essere almeno pari a euro 10.000. In tutti i casi in cui il danno è compreso tra i 10.000 e i 100.000 euro, la competenza della Procura europea o la sua permanenza dipende da linee guida, pubbliche sul sito internet EPPO, ed è a esercizio facoltativo e discrezionale.

In caso di reati connessi il criterio principale è quello del reato più grave, a cui fanno eccezione i casi in cui i reati non PIF siano strumentali alla commissione di quelli PIF, in cui la Procura europea è competente anche per quelli più gravi. Tale rapporto di strumentalità tra il reato non PIF commesso per assicurarsi il profitto o il provento del reato PIF – che consiste proprio nell’ipotesi dell’art. 61, n.

2 c.p. – comprende anche la fase successiva. Solo per i reati di contrabbando, il criterio non è quello del reato più grave ma quello del maggior danno cagionato all’UE o allo Stato nazionale. In Italia questa situazione si applica solo al contrabbando di tabacchi per lavori esteri, essendo l’unica ipotesi in cui un solo reato che cagiona danno all’UE (evasione dei dazi doganali) e allo Stato italiano (evasione dell’accise).

Si è tentato di elaborare un elenco dei reati potenzialmente PIF (il quale non è chiuso), che prevede reati contro p.a., reati di malversazione, truffa, frode e turbativa d’asta – qualora i progetti siano finanziati o co-finanziati dall’UE – reati tributari in materia IVA, reati connessi e strumentali,

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reati di contrabbando, tutte le fattispecie di criminalità organizzata, reati di riciclaggio e qualsiasi altro reato che possa ledere gli interessi finanziari dell’UE.

La Procura europea esercita la competenza in tre modi diversi. Il primo, che è il più semplice e diretto, è l’apertura dell’indagine autonoma quando si riceve una comunicazione di notizia di reato da qualsiasi fonte, da un’autorità nazionale o europea, da EUROPOL o da un privato; è necessario precisare che la Procura europea ha sempre l’onere di comunicare all’autorità nazionale competente qualsiasi decisione di aprire o meno un’indagine. Quando la notizia di reato proviene dalla polizia giudiziaria si prevede una modalità particolare di trasmissione, consistente nella comunicazione della notizia di reato contestuale sia alla Procura della Repubblica che alla Procura europea (si è anche creato un registro apposito per tali tipo di comunicazioni). La prima deve attendere la comunicazione della decisione della Procura europea, la quale se comunica di aver aperto l’indagine ne consegue l’eliminazione della notizia di reato nel registro nazionale, mentre se comunica il contrario la Procura della Repubblica riassume le sue prerogative e decide autonomamente se aprire o meno l’indagine.

La seconda modalità con cui la Procura europea esercita la propria competenza è l’avocazione – la quale non ha nulla in comune, se non la sua natura unilaterale, con l’avocazione del nostro ordinamento – che è lo strumento ordinario e fisiologico con cui un procedimento viene trasferito da una procura nazionale alla procura europea (questo è l’unico mezzo di trasmissione degli atti per le Procure nazionali). Il meccanismo ex art. 24.2 parte da una informazione che viene trasmessa in modo trasparente e tempestivo dalla Procura nazionale alla Procura europea, la quale decide se esercitare o meno il proprio diritto di avocazione. La Procura nazionale può essere in disaccordo con tale decisione dell’EPPO solo nei casi previsti dall’art. 25.6, concernenti i procedimenti in ordine a reati indissolubilmente connessi o di criminalità organizzata, determinando un contrasto di competenza che viene risolto dalla Procura Generale della Corte di cassazione. In questi primi sei mesi di attività non vi sono ancora stati casi di conflitti di competenza, in quanto si è tentato di prevenire il più possibile eventuali frizioni con le Procure nazionali, aprendo tempestivamente un canale di comunicazione preventivo per sapere che tipo di informazione sarebbe stata successivamente trasmessa. Sono state, inoltre, adottate delle linee guida sull’esercizio del diritto di avocazione per i fascicoli pregressi (cioè quelli aperti da novembre 2017 al primo giugno 2021), prevendendo criteri più leggeri rispetto a quelli dell’avocazione ordinaria, consentendo in tal modo di evitare la trasmissione di procedimenti rientranti nella competenza dell’EPPO ma per i quali le Procure nazionali avevano già svolto ampie attività di indagine.

Per quanto concerne le indagini transnazionali secondo il nuovo meccanismo dell’art. 31, i cui principi generali sono disciplinati dall’art. 26, comma 4, è necessario evidenziare che anzitutto la Procura europea dovrebbe aprire un unico procedimento per tutti gli Stati membri in cui vi è

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giurisdizione (che è una precondizione necessaria). Il Regolamento detta una serie di criteri per decidere a quale Procuratore europeo delegato di quale Stato membro deve essere assegnato il procedimento, i quali attengono al centro dell’attività criminosa o al luogo in cui è stata commessa la maggior parte dei reati. Il secondo aspetto rilevante in merito alle indagini transnazionali attiene alle misure investigative. Queste vengono affrontate all’interno di un ufficio di Procura unitario, in cui sia i Procuratori europei che i Procuratori delegati agiscono come parte non solo dello stesso ufficio ma come assegnatari della stessa indagine, agendo all’interno della stessa squadra investigativa, con un forte coinvolgimento del livello centrale EPPO in termini di coordinamento e di gestione del procedimento. Infine, le misure investigative vengono assegnate dal PED titolare al PED di altri Stati membri. Questo sistema sta dando ad oggi grandi risultati in termini di efficienza e di tempistiche per i procedimenti interamente gestiti dai Pubblici Ministeri, mentre sta sollevando alcune problematicità per i procedimenti in cui necessitano autorizzazioni dei giudici, in quanto su tale aspetto il Regolamento prevede condizioni particolari.

Sull’argomento dei giudici nazionali degli Stati membri – che verrà trattato approfonditamente dal Consigliere De Amicis – il Procuratore europeo Ceccarelli ha sollecitato l’attenzione su tre questioni fondamentali. La prima attiene alla ripartizione di competenza tra Procura europea e Procure nazionali, in cui spesso si pone il quesito se e entro quali limiti gli avvocati difensori e le parti private possono contestare le decisioni della Procura europea o della Procura nazionale circa l’esercizio e la ripartizione della competenza. Il Procuratore europeo Ceccarelli osserva a riguardo – esprimendo la sua personale opinione – che tale materia deve essere ritenuta sottratta alla possibile impugnazione da parte delle parti private, essendo una materia riguardante esclusivamente la ripartizione della competenza concorrente tra due autorità pubbliche. Ciò in quanto il Regolamento in esame prevede che tale ripartizione si fonda su una decisione unilaterale (avocazione o “referral”) della Procura europea, non prevedendo alcuna possibilità di conflitto o intervento delle parti private ma ammettendo invece solo una possibilità di contrasto tra le autorità pubbliche nei casi di cui all’art.

25, comma 6, e una possibilità di rifiuto nei casi di cui all’art. 34, comma 2. Dunque, si ritiene che la decisione unilaterale di avocazione non sia impugnabile dalle parti private, anche alla luce del principio di tassatività dei mezzi di impugnazione proprio del nostro ordinamento nazione.

Al livello nazionale italiano, la competenza del P.M. è sempre un riflesso della competenza del giudice (anche ai sensi degli art. 54 e ss. c.p.) e ciò si differenzia nettamente da quanto previsto dal Regolamento, il quale tratta di una sorta di distinzione di competenza nativa tra la Procura europea e quella nazionale. Anche l’art. 54-quater c.p. – che viene richiamato dall’art. 16 del D.lgs. 9/2021 nei limiti della compatibilità – che è l’unica disposizione che assegna un ruolo nel procedimento alle parti private, fa comunque riferimento alla competenza del giudice. E’ necessario sottolineare che per la

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Procura europea non si pone alcun problema di competenza territoriale del giudice perché essa ha una competenza nazionale su tutto il territorio nazionale. Dunque, tali osservazioni e problematicità nascono proprio in ragione del fatto che sussiste un sistema di competenze concorrenti e, pertanto, non esiste una Procura radicalmente incompetente tra le Procure nazionali e quella europea. Di conseguenza, è difficile immaginare un interesse ad impugnare in capo alla parte che si lamenta della decisione di esercizio di tale concorrenza.

A conseguenze differenti bisogna giungere sulla scelta, compiuta dall’EPPO, dello Stato membro i cui organi giurisdizionali saranno competenti a procedere, ovvero del PED di quale Stato membro.

Per tale decisione rilevante, il Regolamento detta criteri di scelta autonomi ex art. 26 (4). Questi atti procedurali dell’EPPO sono destinati a produrre effetti giuridici nei confronti di terzi, in particolare della parte privata, e sono assoggettati al controllo giurisdizionale degli organi giurisdizionali nazionali, come affermato espressamente dal considerando 87 e 88, insieme all’art. 42. Ciò ha una ricaduta sul principio del giudice naturale, nonostante l’art. 26 detti solo criteri di orientamento e per i soli Stati che hanno giurisdizione.

Ultimo punto di riflessione riguarda le misure investigative ex art. 31. Il Regolamento afferma che la giustificazione e l’adozione di dette misure sono disciplinate dal diritto dello Stato membro del PED incaricato del caso. Se è richiesta un’autorizzazione giudiziaria nello Stato membro del PED incaricato di prestare assistenza, è quest’ultimo a ottenere tale autorizzazione. Solo nel caso in cui l’autorizzazione è richiesta nello Stato membro del PED incaricato del caso, è quest’ultimo che la ottiene. In ogni caso deve essere ottenuta una sola autorizzazione giudiziaria, come previsto dal considerando 72 del Regolamento. Infatti, si sono già avuti casi concreti in cui è il PED italiano a essere incaricato al caso e l’autorizzazione per procedere alla misura investigativa proviene dal giudice tedesco. Questo pone quindi una serie di quesiti, in primis, su quale sia l’ambito di valutazione del giudice che autorizza e, in secundis, su quale sia la modalità di impugnazione, mancando una disciplina apposita simile a quella prevista per l’OEI. Questi quesiti rimangono problemi aperti, che presto richiederanno una risoluzione da parte dei singoli giudici nazionali in concreto investiti. Tutte le questioni poste possono essere affrontate dalla Corte giustizia, che rimane l’unico organo che può dettare una giurisprudenza unitaria. L’art. 42 e il considerando 88 prevedono che la Corte di giustizia è competente a pronunciarsi in via pregiudiziale sulla validità degli atti procedurali dell’EPPO, sulla base del diritto dell’Unione, sull’interpretazione e validità delle disposizioni del diritto europeo, compreso il Regolamento EPPO, sull’interpretazione degli artt. 22 e 25 del Regolamento relativamente a eventuali conflitti di competenza tra l’EPPO e le autorità nazionali competenti. Ciò sollecita altresì l’attenzione sul ruolo della Procura generale della Cassazione, che decide in posizione di terzietà tale contrasto di competenza, e sulla sua possibilità di rimettere la questione alla Corte di

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giustizia. Come norma di chiusura, infine, nei considerando si afferma che è opportuno che gli organi giurisdizionali nazionali sottopongano sempre questioni pregiudiziali alla Corte di giustizia, qualora nutrano dubbi sulla validità di tali atti rispetto al diritto UE.

Il Procuratore Generale aggiunto Luigi Salvato ha ringraziato il Procuratore europeo Ceccarelli per la sua relazione e si è limitato a evidenziare una serie di problemi – relativi all’incertezza dei criteri di competenza, al difetto del Procuratore generale di porre questioni pregiudiziali alla Corte di giustizia e alla disciplina di dettaglio dei procedimenti per la risoluzione dei contrasti in caso di rinvio da parte di EPPO dell’indagine – che derivano dall’esistenza di una competenza concorrente a priorità EPPO e dall’individuazione del Procuratore generale della Cassazione come organo chiamato a risolvere i contrasti, sui quali si incentra la relazione del Sostituto Procuratore generale della Corte di cassazione Pasquale Fimiani, a cui il Presidente Salvato cede la parola.

Il Sostituto Procuratore generale della Corte di cassazione Pasquale Fimiani è, dunque, intervenuto ringraziando sia gli organizzatori del seminario che, soprattutto, il Procuratore europeo Ceccarelli per la sua disponibilità in questi mesi di operatività.

Il Sostituto Procuratore generale Fimiani ha iniziato la sua relazione evidenziando che la Procura generale della Corte di cassazione ha delle competenze specifiche, che entrano di pieno diritto nella competenza concorrente c.d. a geometria variabile, nella quale è necessario individuare la linea di confine tra la Procura europea e le Procure nazionali. Tema centrale è, dunque, quello dei contrasti ai sensi del par. 6 dell’art. 25, il quale prevede fattispecie – rientranti anche in altre competenze della Procura generale – quali l’espressione del consenso, laddove vi sia una richiesta da parte di EPPO di procedere per reati rispetto ai quali non sarebbe la stessa competente, e tutte le decisioni sulla richiesta di rinvio (“referral”) da parte di EPPO all’autorità nazionale competente. Il Sostituto Procuratore generale Fimiani ha osservato che il criterio metodologico del suo intervento consiste nell’evidenziare le criticità del trapianto di tale nuova disciplina, sottolineando la sussistenza di una diversa impostazione metodologica tra EPPO e la Procura generale della Cassazione. La prima ha, invero, già emanato delle linee guida – come richiesto dal Regolamento – contenenti direttive generali relative anche al tema della competenza. La Procura generale, invece, ha scelto di utilizzare il metodo della valutazione caso per caso, al fine di elaborare criteri applicativi calibrati sull’esperienza applicativa..Ad oggi risultano ancora pochissimi i casi pervenuti alla sua attenzione. In species, in questi mesi la Procura generale ha ricevuto quattro richieste di consenso, due o tre richieste di rinvio del caso da EPPO all’autorità nazionale. Dunque, tale impostazione metodologica consiste nella

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valutazione caso per caso con aggiustamenti, che ovviamente porteranno all’individuazione – con l’auspicabile aiuto della Corte di giustizia – di linee guida condivise e applicabili senza incertezze, le quali invece ad oggi sono numerose.

I contrasti di cui all’art 25, par 6 possono essere sollevati nelle ipotesi di reati indissolubilmente connessi ad un reato di competenza dell’EPPO, ai sensi dell’art. 22, par. 3 e art. 25, par. 3 (che prevede la deroga nel caso di reato non EPPO di maggior gravità di quello di competenza EPPO, salvo che sia strumentale). Tali contrasti possono essere sollevati anche nell’ipotesi di blocco per quanto riguarda i reati in materia di IVA e i reati ad essi indissolubilmente connessi. Il Sostituto Procuratore generale osserva quanto sia allo stato attuale difficoltoso individuare dei parametri certi in merito al concetto di indissolubile connessione. Invero, in relazione a esso vi sono come riferimenti normativi, da utilizzare come dati di base, il Regolamento, i considerando di questo – che non sono però vincolanti – e le linee guida di EPPO, che riguardano soltanto i criteri dalla stessa dettati per la sua operatività.

Il considerando 54 sull’indissolubile connessione fa riferimento come parametro – al fine principale di assicurare l’efficienza delle indagini – all’esigenza di prevenire un bis in idem, quindi all’esigenza di unità di indagini laddove vi è un idem factum, secondo i criteri elaborati anche dalla Corte di giustizia in materia. Questa esigenza viene ripresa dalla decisione del Collegio dell’EPPO n.

29 del 2021, la quale non si ferma al succitato ne bis in idem ma evidenzia una serie di altre ipotesi quali, ad esempio, il reato continuato o i fatti sottostanti ai reati interconnessi in modo tale che la conduzione separata delle indagini, l’esercizio dell’azione penale o il giudizio separato potrebbe artificiosamente frazionare una serie di eventi che forma il naturale sviluppo dell’azione delittuosa.

Dunque, il tema principale attiene al confronto tra la previsione del Regolamento, che parla di indissolubile connessione, ed il codice di procedura penale in cui è netta e chiara la distinzione tra connessione e collegamento investigativo. La connessione ha una chiara finalità di tutela della re iudicanda ed è un criterio originario della competenza del giudice; il collegamento investigativo invece non attiene al tema dell’originaria attribuzione della competenza ma soltanto ad una esigenza di efficienza delle indagini. Pertanto, alla luce della loro diversità, secondo l’interpretazione della citata decisione del Collegio dell’EPPO, l’attribuzione della titolarità dell’indagine a EPPO o ad un Procuratore nazionale può basarsi su criteri che non necessariamente debbano far riferimento alla connessione. Vi è però un ulteriore riferimento normativo che non può essere ignorato, quale l’art. 3, par. 4 del Regolamento Eurojust, dettato per la cooperazione giudiziaria, che – a differenza del Regolamento EPPO – disciplina i criteri di connessione e li individua nei reati commessi per agevolare o compiere o per procurare l’impunità degli autori dei reati gravi per cui opera la cooperazione. Questo dato normativo potrebbe rappresentare un riferimento per interpretare la

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locuzione di inscindibile connessione, in ragione del fatto che il Regolamento EPPO si iscrive nell’ambito della cooperazione giudiziaria, anche se di natura rafforzata. Dunque, il Sostituto Procuratore generale ha evidenziato come una possibile chiave interpretativa potrebbe essere quella di superare questa netta distinzione tra connessione e collegamento investigativo, per entrare in una prospettiva del tutto nuova.

Altro tema problematico è quello delle associazioni criminali che hanno come reati-fine sia quelli PIF che quelli non PIF, in quanto la competenza EPPO è prevista per associazioni che hanno come reati fine esclusivamente reati PIF. Le linee guida EPPO, per disciplinare questa ipotesi, fanno riferimento a tre parametri distinti. Il primo è quello della sanzione massima prevista per il reato fine PIF o reato fine nazionale strumentale alla commissione del reato PIF, il secondo è il criterio del danno causato agli interessi finanziari UE e il terzo è il parametro delle ripercussioni, del danno o pericolo di danno alla reputazione dell’Unione. Il criterio principale deve attenere al momento della nascita dell’associazione con determinate finalità, per cui il secondo e il terzo parametro non sono funzionali, venendo essi in rilievo solo dopo che l’associazione criminosa è sorta. Dunque, il sodalizio criminoso può essere valorizzato attraverso un’attenta verifica dei reati fine. Secondo il Sostituto Procuratore generale, ai fini di comprendere i criteri con cui compiere tale verifica, è necessario analizzare la versione in inglese delle linee guida EPPO – piuttosto che la sua traduzione italiana – che parla espressamente di focus dell’attività criminale, il quale identifica sia dal punto di vista oggettivo il campo di applicazione ma anche dal punto di vista soggettivo la finalità stessa dell’associazione. Quesito che viene a riguardo in rilievo è se si possa o meno parlare di focus dell’attività criminale come medesimo disegno criminoso ai sensi dell’art. 81 cpv. c.p. In tal caso, si potrebbe applicare l’orientamento giurisprudenziale secondo cui la continuazione tra associazione e reati fine è ipotizzabile solo se quest’ultimi siano stati programmati fin dalla fase genetica dell’associazione stessa. Anche per questo tema il confronto tra la normativa nazionale e quella sovranazionale è particolarmente problematico.

Tra gli aspetti problematici vi è l’ipotesi del riciclaggio di denaro proveniente da reati PIF e da reati non PIF. Le linee guida EPPO identificano una serie di criteri, tra i quali risulta fondamentale il criterio dell’indissolubile connessione o meno, con tutte le conseguenze che ne deriverebbero ai sensi dell’art 25, comma 3, lett. a). Altri aspetti problematici concernono le fattispecie di danno per le quali è sollevabile il contrasto. La prima attiene ai reati con danno o pericolo di danno inferiore ad euro 10.000, che sono di competenza PIF nel caso di ripercussione al livello dell’Unione. Per tale ipotesi, i “considerando” prevedono alcuni criteri generici e non decisivi, quali la portata transnazionale, la sussistenza di un’organizzazione criminale finalizzata a tali reati di danno, la derivante grave minaccia per gli interessi finanziari dell’UE, per la reputazione delle Istituzioni dell’UE e la fiducia

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dei cittadini. Un altro tema rilevante attiene ai criteri di quantificazione del danno, in particolare quello previsto per gli appalti che fa riferimento al valore del contratto, nell’ipotesi in cui la condotta fraudolenta ha causato una effettiva perdita materiale degli interessi finanziari UE e senza la quale il contratto non sarebbe mai stato aggiudicato. Anche qui si pone il problema del confronto con la giurisprudenza italiana, che accoglie la nota tesi della distinzione tra reato contratto e reato in contratto, per la quale il profitto del danno, nelle ipotesi di contratto ottenuto con condotte fraudolente, non può essere inclusivo dell’utilità comunque conseguita dall’operazione negoziale, pur essendo frutto di attività corruttiva. Non vi sono invece problemi interpretativi per quanto riguarda l’ipotesi di cui all’art. 25, par. 3, lett. b) che attiene al reato unico plurioffensivo, rispetto al quale opera la deroga soltanto se vi è il consenso da parte dell’autorità nazionale, laddove il danno causato alla persona offesa diversa dall’Unione Europea sia maggiore di quello cagionato a quest’ultima.

L’unico caso di tale ipotesi è quello del contrabbando di tabacchi per lavori esteri, con riferimento alla violazione delle accise.

Per quanto concerne l’aspetto procedurale della decisione del contrasto, la norma regolamentare rinvia nei limiti dell’applicabilità alle disposizioni del codice di rito in materia di contrasti. Si concorda con la soluzione della non applicabilità dell’art. 54-quater c.p.p. (“Richiesta di trasmissione degli atti a un diverso pubblico ministero”) che fa espresso riferimento alla competenza del giudice e che, pertanto, non è applicabile per l’ipotesi in cui la parte chieda a EPPO o all’autorità nazionale di trasferire il procedimento. Si ritiene, invece, applicabile la disposizione normativa che prevede che gli atti di indagine compiuti dal PM successivamente ritenuto non competente siano utilizzabili in seguito.

Altro tema importante concerne la richiesta di pronuncia pregiudiziale alla Corte di giustizia dell’UE e la legittimazione della Procura generale della Corte di cassazione. In merito a tale tema, sussistono due tesi contrapposte che ruotano intorno al quesito sull’applicabilità o meno, con riferimento alla Procura generale della Cassazione, di quei parametri individuati dalla Corte di giustizia per qualificare l’autorità giurisdizionale legittimata a fare rinvio pregiudiziale. Tali criteri sono: la costituzione ex lege dell’organismo, il suo carattere permanente, l’obbligatorietà della giurisdizione, la necessaria applicazione delle norme di legge, l’indipendenza e svolgimento dei procedimenti in contraddittorio. Con riferimento a questi sei parametri, l’orientamento negativo ritiene che il PM non sia legittimato a proporre rinvio pregiudiziale, in quanto – a seconda delle diverse tesi – o non svolge la funzione giurisdizionale in senso stretto o non decide in contraddittorio.

A sostegno di quest’orientamento viene richiamata una pronuncia della Corte di giustizia del 1996, concernente la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Torino. Al richiamo di tale precedente, si obbietta tuttavia la diversità del caso in esame della Procura generale della Corte di cassazione, la

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quale risolve un contrasto in contraddittorio tra due soggetti. Il vero aspetto problematico riguarda – non il criterio del contraddittorio che infatti sussiste – il quesito se tale attività di decisione della Procura generale della Corte di cassazione, su quale ufficio di Procura sia competente, debba considerarsi di natura giurisdizionale o meno. Il dubbio nasce in quanto la stessa Corte di legittimità – da ultimo, Sez. I, n. 36879/2021 – ha affermato che la competenza dell’organo inquirente in fase di indagini preliminari costituisce un mero criterio di organizzazione del lavoro investigativo, che assume valore giuridico solo nei rapporti tra Pubblici Ministeri e non comporta profili di nullità o di inutilizzabilità. Tale tesi è stata affermata dal 2009 con riferimento alla questione del riparto delle competenze tra la Direzione Distrettuale Antimafia e le Procure circondariali. D’altra parte, però, deve essere evidenziata una recentissima sentenza della Corte di giustizia che ha dichiarato irricevibile la questione pregiudiziale in tema OIE sollevata dalla Procura della Repubblica di Trento, alla quale è stata negata la qualificazione di organo operante all’interno di un contraddittorio inter partes, ma nello stesso tempo è stata invece riconosciuta, dalla Corte di giustizia, natura giurisdizionale all’attività di esecuzione di un OIE. Dunque, in ordine a tale tema, il relatore si interroga sull’ipotizzabile scenario futuro delle decisioni della Corte di giustizia dell’UE, che potranno determinare una scelta tra un’accezione ristretta e una lata di giurisdizione, ai fini della legittimazione per il rinvio pregiudiziale.

Le altre competenze della Procura generale della Cassazione concernono l’ipotesi del consenso richiesto dall’EPPO laddove si trovi in una posizione migliore, nonostante il danno cagionato dal reato alla vittima diversa dall’UE sia maggiore di quello sofferto dall’ordinamento comunitario (il concetto di posizione migliore è definito dal considerando 60). Per la Procura generale della Corte di cassazione può essere utile una previa interlocuzione con l’autorità nazionale competente e, infatti, la prassi che è stata in concreto seguita, anche d’intesa con EPPO, è stata quella di chiedere alla Procura europea – laddove essa richiede il consenso alla Procura generale – di consultare preventivamente, ancorché non espressamente previsto, la Procura nazionale e di trasmettere gli atti in modo da apprezzare in maniera congrua gli elementi di valutazione. Dalle risposte concretamente date dalla Procura generale, rileva come il carattere transnazionale del reato non comporti automaticamente la necessità di dover prestare consenso, perché occorre valutare preventivamente la posizione espressa dalla Procura nazionale, che potrebbe rappresentare esigenze tali per cui la stessa autorità nazionale debba ritenersi in posizione migliore. Altra competenza della Procura generale della Cassazione attiene al rinvio del caso da parte di EPPO alla autorità nazionale, di cui all’art 34 che prevede tre ipotesi di rinvio. Il paragrafo 1 attiene al caso in cui la Procura europea si convinca che la competenza sui fatti appartiene all’autorità nazionale e per tale ipotesi non è necessario il consenso della Procura nazionale. Questo è invece necessario nelle due diverse ipotesi dei paragrafi

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2 e 3 nei quali l’ufficio potrebbe in teoria rifiutare il rinvio del caso. Il paragrafo due attiene al dinamismo dell’indagine, cioè all’ipotesi in cui nel corso delle indagini emerge che non vi sono più le condizioni previste dai par. 2 e 3 dell’art. 25. Il paragrafo tre dell’art. 34 in esame attiene ai reati che comportano un danno tra i 10.000 e i 100.000 euro; in tale ipotesi il rinvio è oggetto di una valutazione compiuta dalla Camera permanente di EPPO, sulla base delle linee guida che indicano una serie di parametri, in forza dei quali EPPO decide per tali tipo di procedure di avocare o di rinviare il caso all’autorità nazionale. Ci si chiede quali siano i controlli in tale sede esercitabili dalla Procura generale della Cassazione. La prima questione che si pone è quella della previa consultazione dell’autorità nazionale competente, che è dovuta nel caso di cui al par. 2 e che non è invece espressamente prevista nel par. 3. Ciò nonostante, la prassi in concreto formatasi in questi mesi prevede comunque anche in tal caso una previa consultazione informale. In tutte le ipotesi previste, il rinvio rappresenta una mera investitura dell’autorità nazionale per valutare se questa debba accettare o meno il caso, ma non determina un trasferimento del fascicolo che avviene solo successivamente. La valutazione che deve essere compiuta dalla Procura generale per il par. 2 consiste in un mero accertamento sulla sussistenza delle condizioni di cui ai par. 2 e 3 dell’art. 25. Con riferimento all’ipotesi del paragrafo 3, esula invece dal controllo della Procura generale la verifica del rispetto da parte della Camera permanente dei criteri generali dati dal Consiglio, riguardando un atto meramente interno di EPPO rispetto al quale la Procura generale non ha alcun potere di sindacato.

Il tema affrontato, infine, dal Sostituto Procuratore generale Fimiani riguarda la mancanza di parametri di riferimento in ordine all’accettazione, da parte dell’autorità nazionale, del caso che EPPO chiede di rinviare sia ai sensi dell’art. 34 sia per quanto riguarda le ipotesi di archiviazione, per le quali non vi è alcuna indicazione di criteri (come invece previsto dall’art. 25, par. 4 in cui vi è un riferimento, seppur generico, alla posizione migliore di EPPO). Il regolamento, quindi, prevede un potere meramente discrezionale dell’autorità nazionale. Il Sostituto Procuratore generale ritiene che possa intervenire, al fine di individuare dei criteri di riferimento per l’accettazione del rinvio del caso, l’Organizzazione delle Procure generali (cioè il circuito dell’art. 6 relativo all’uniforme esercizio dell’azione penale), che può essere in grado di elaborare in modo unitario e congiunto dei criteri di riferimento, affinché non si proceda ad accettazioni caso per caso ma si dia un’indicazione di carattere generale. Tale tema è ancor più complesso in ragione del fatto che il nostro sistema nazionale prevede delle priorità, cosicché si pone l’interrogativo se i relativi criteri debbano essere considerati anche ai fini dell’accettazione. L’altro quesito che si pone in tale ambito riguarda la natura giuridica dell’atto di accettazione, alla luce dell’unico parametro normativo sussistente che prevede che detta accettazione debba essere comunicata al Ministro, da cui pertanto si desume la natura di atto organizzativo e non solo giurisdizionale. Inoltre, ci si chiede se l’accettazione venga compiuta in

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nome e per conto dell’ufficio destinatario della trasmissione del procedimento, quindi per conto di terzi. Il Sostituto Procuratore generale Fimiani, a riguardo, ha ritenuto di escludere tale interpretazione, osservando che in realtà l’accettazione è un mero meccanismo anticipato di prevenzione di possibile contrasto e non un atto per conto di terzi. Inoltre, il relatore ha evidenziato che le Procure generali con un atto del 02/07/2021 hanno elaborato un documento condiviso, che è stato posto alla base della modifica di tutti i modelli organizzativi delle stesse Procure generali, i quali sono stati adatti in modo tale da integrarli attraverso la formulazione di modalità di controllo, di verifica e vigilanza anche su come le Procure generali si regolano nella gestione delle procedure EPPO.

Il Sostituto Procuratore generale Fimiani ha concluso la sua relazione chiedendosi quale sia lo scenario di lavoro prossimo in materia di contrasti, in cui occorre individuare un punto di equilibrio tra i criteri EPPO e le norme nazionali – che hanno un’impostazione chiaramente incentrata sul concetto di connessione parametrato sulla competenza del giudice – in cui sono prospettabili due alternative metodologiche. La prima è quella di dare una lettura testuale al Regolamento, con una sua interpretazione restrittiva, valorizzando la previsione dell’applicabilità delle norme nazionali laddove mancano quelle regolamentari. La seconda è quella di interpretare lo spirito del Regolamento e quindi in sostanza di fare applicazione del criterio, elaborato dalla Corte di giustizia, dell’effetto utile quale mezzo per accrescere l’effettività e l’utilità del Regolamento stesso. Ai fini dell’individuazione dei criteri con cui concretizzare tale effetto utile, si potrebbe valorizzare il considerando 12 che individua i due parametri di riferimento, quali il principio di sussidiarietà e il principio di proporzionalità. Si tratterebbe in tal modo di un cambio di prospettiva, abbandonando le vecchie categorie della connessione e del collegamento investigativo, in una logica che è tutta nuova e da costruire. Tale principio dell’effetto utile potrebbe anche essere valorizzato dalla Corte di giustizia in sede di esame della legittimazione del Procuratore generale ai fini della proposizione del rinvio pregiudiziale.

Rimangono aperte, altresì, tutte le altre questioni relative alle nuove funzioni della Procura generale della Cassazione, che sono funzioni di merito del tutto estranee alla tradizione e alla storia di questo ufficio, le quali pertanto dovrebbero essere interpretate in modo da non snaturare il suo ruolo ma, al contrario, al fine di arricchirlo e integrarlo mediante la cooperazione e il dialogo.

Il Procuratore Generale aggiunto Luigi Salvato ha ripreso la parola osservando come le relazioni appena concluse abbiano affrontato diversi problemi dal punto di vista del pubblico ministero. Pertanto, evidenzia che esiste al contempo la necessità di avere una visione più ampia, che concerna anche le garanzie degli indagati e delle indagini. Sono tre le norme centrali del regolamento EPPO da considerare, ossia gli artt. 5, 41 e 43, le quali che pongono numerose questioni: se la mancata

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adozione di specifiche regole comuni per le attività processuali e di assunzioni delle prova da parte dell’EPPO possa determinare delle disomogeneità sensibili nelle forme di tutela da Stato a Stato;

quali siano gli atti processuali della Procura europea impugnabili; quale sia il rapporto tra giudice nazionale e Corte di Giustizia; a quali condizioni gli atti siano destinati a produrre effetti verso i terzi e quando siano impugnabili; se il cambio di giurisdizione, ove ripensata la scelta iniziale di individuazione del PED, possa ledere i diritti difensivi di chi abbia fatto affidamento sul sistema penale dell’originario Stato membro. Su questi temi ha quindi dato la parola al Prof. Caianiello.

È intervenuto il Prof. Michele Caianiello, docente di diritto processuale penale nell’Università di Bologna, sul tema “atti di indagine della procura europea e garanzie per l’indagato”.

L’intento della relazione è quello di dare una lettura accurata del testo, cercando anzitutto di comprenderne il significato testuale, di metterlo in relazione con le altre norme riservando qualche considerazione critica finale, consapevoli del fatto che si è di fronte ad un istituto nuovo, unitario e al tempo stesso altamente complesso, ragione per cui occorrerà attendere del tempo e vedere i primi sviluppi del case law per comprenderne l’operatività concreta. Il focus della presentazione sarà prevalentemente sulle indagini e le prove, considerando anche i diritti della difesa ma non ex professo come se fosse una relazione sugli stessi, bensì solo quando risulteranno legati al tema principale.

Anzitutto è utile riepilogare le suddivisioni delle attribuzioni – ovverosia delle indagini da svolgere – di questo nuovo organismo speciale che è l’ufficio del pubblico ministero europeo. Come già anticipato, gli operatori sul territorio che devono in prima battuta dirigere le indagini sono i Procuratori europei delegati nazionali (PED), come sancito espressamente dall’art. 28, par. 1 del regolamento UE 2017/1939, che riconosce tale competenza e richiede che le indagini vengano svolte conformemente al diritto nazionale. Questa è una cifra caratteristica del regolamento EPPO e, al tempo stesso, un aspetto critico perché si potrebbero avere tante normative nazionali di conduzioni delle indagini quanti sono gli Stati membri parte dell’EPPO, salvo alcune disposizioni generali che cercano di fornire una disciplina comune, tuttavia molto limitata. In questo quadro di divisione dei compiti il Procuratore europeo, assegnato alla supervisione del caso, esercita principalmente un ruolo di supervisore, con la precisazione che a determinate condizioni (di cui infra) può subentrare ed eventualmente, subentrando, diventare anche un investigatore con compiti di conduzione delle indagini sostituendosi al Procuratore europeo delegato; si tratta tuttavia di un’ipotesi residuale ed eccezionale, come specificato dall’art. 28, par. 4 del regolamento. Su tutto ciò presiede la Camera preliminare, alla quale spetta l’adozione delle scelte strategiche, ex art. 10 del regolamento, tra cui la scelta di agire o meno, di assegnare il caso ad un PED di altro Stato, la scelta del foro, la possibilità

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di riunione o separazione dei procedimenti ed, eventualmente, la scelta di disporre l’incarico per avviare un’indagine nel caso in cui il Procuratore europeo delegato non si sia attivato per varie ragioni.

Sui criteri relativi alla scelta del Procuratore europeo delegato bisogna, anzitutto, considerare le regole sulla competenza generale delle procure nazionali, ex artt. 22-24 del regolamento UE, per individuare poi la scelta in relazione al foro nel quale si suppone sarà essere esercitata l’azione penale.

Su quest’ultimo aspetto l’art. 26, par. 4 del regolamento EPPO offre alcuni criteri principali e sussidiari. Tra i criteri principali rileva, in primo luogo, quello qualitativo relativo al «centro dell’attività criminosa», criticabile per la sua indeterminatezza che crea delle problematiche per i paesi che devono interfacciarsi con questo testo normativo. Ad esempio, nella cultura italiana solitamente se esiste un reato associativo con reati fine il centro dell’attività criminosa si considera essere il reato associativo; ciò potrebbe non essere condiviso da altre culture giuridiche ove i reati fine sono preponderanti rispetto al reato associativo, e tutto sommato lo stesso regolamento lascia intendere ciò laddove definisce la competenza, ponendo l’accento sui reati fine salvo poi allargare la competenza al reato associativo se strumentale alla commissione dei primi. In secondo luogo rileva l’altro criterio principale, meno problematico, di tipo integrativo e quantitativo concernente la

«maggior parte dei reati», rilevante laddove il primo criterio non sia sufficiente. Accanto ad essi esistono, poi, i criteri sussidiari eventualmente adottati, tra cui la «residenza», la «nazionalità», il

«luogo del maggior danno». La Camera preliminare deve o può adottare l’allocazione del caso presso un PED diverso, ma in ogni caso qualora decida di spostare da un Procuratore ad un altro ha il dovere di informare le autorità nazionali.

A questo punto è opportuno analizzare il tema della conduzione delle indagini. La competenza spetta al Procuratore europeo delegato, ai sensi dell’art. 28 del regolamento, però le autorità nazionali dovrebbero subito attivarsi, anche prima che il PED abbia preso in carico il caso, per effettuare ed adottare le misure urgenti nelle more di un intervento del Procuratore europeo. Ciò ricorda la tipologia di intervento che il pubblico ministero può effettuare nell’attesa che la condizione di procedibilità sopravvenga, perché può comunque compiere gli atti urgenti. È possibile che la Camera preliminare decida di riassegnare il caso ad altro Procuratore europeo delegato dello stesso ordinamento – tenendo conto che il PED sono suddivisi per area geografica negli Stati membri – e ciò avviene nei casi di impossibilità (ove rientrano anche i casi di astensione) o di inerzia. Lo stesso art. 28, par. 4, del regolamento prevede che su approvazione della Camera preliminare il Procuratore europeo, che dovrebbe fungere soltanto da supervisore, possa intervenire, prendere in carico il caso, guidarlo come se fosse un PED, ma soltanto in casi eccezionali ove sia indispensabile per l’efficienza delle indagini o dell’azione, tenuto conto di tre parametri: gravità del reato, considerando le ripercussioni sugli

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interessi dell’Unione europea; coinvolgimento di funzionari o agenti dell’UE; fallimento della riassegnazione ad altro PED.

Il tema ulteriore è quello della tipologia delle indagini da svolgere. Il regolamento è concepito tendenzialmente per lasciare ai Procuratori europei delegati il compito di sviluppare le indagini secondo le normative nazionali, come sancito dall’art. 30, par. 4 del regolamento UE. Questa regola generale non pone particolari problemi, senonché questa unica soluzione rischiava di lasciare troppe discrepanze e disparità tra i vari ordinamenti, motivo per il quale il legislatore europeo è intervenuto con una disposizione, visivamente precedente perché collocata al par. 1 della stessa norma, ma che sarebbe corretto leggere successivamente perché qualificabile come normativa di integrazione. In particolare le misure investigative integrative di cui il PED può sempre disporre, indipendentemente dallo Stato in cui ci si trova, sono: perquisizioni locali, produzione documentale, produzione di dati, congelamenti di beni, intercettazioni, tracciamento. Per poter usufruire di tali misure, però, sono necessarie delle condizioni minime, nel senso che gli Stati sono legittimati ad adottare condizioni più rigorose, limitanti ed ulteriori, fermo restando il rispetto di dette condizioni stabilite nel regolamento.

Le condizioni minime sono che si proceda per un reato punito almeno con quattro anni di reclusione nel massimo e che ci sia un controllo di proporzionalità rigoroso (rigoroso perché bisogna fornire una giustificazione relativa al se sia possibile utilizzare una misura meno intrusiva di quella che si intende proporre, perché ove possibile non si dovrebbe procedere con quell’atto investigativo a scapito di quello meno intrusivo). Quanto al quomodo e alle modalità con le quali si possono disporre queste misure, il Procuratore europeo può disporle oppure chiederle, secondo quanto previsto dagli ordinamenti nazionali. Volendo esemplificare l’ipotesi della perquisizione: ci sono degli ordinamenti, come quello italiano, in cui essa è disposta dal pubblico ministero senza bisogno di intervento del giudice; in altri, invece, è necessario prima l’autorizzazione di un organo giurisdizionale. Ebbene, ove si voglia procedere ad una perquisizione l’elemento minimo comune a tutti gli Stati è che il reato sia punito con almeno quattro anni di reclusione nel massimo e che ci sia un controllo di proporzionalità con giustificazione, dopodiché il PED la disporrà direttamente oppure la chiederà ad un giudice in base alla normativa nazionale.

Un punto apparentemente complesso è relativo alle indagini transfrontaliere, ovverosia ai casi nei quali ci sia un Procuratore europeo delegato incaricato del caso che necessita di svolgere un’indagine ovvero di acquisire una prova che si trovi in un territorio diverso dal proprio, pur sempre parte dell’EPPO. In questo caso si prevede che egli debba rivolgersi ad un altro Procuratore europeo delegato che presti assistenza. E allora questo tipo di operazione investigativa si compie applicando la legge del Procuratore europeo incaricato del caso – denominata lex fori perché si ipotizza che in questa sede si radichi l’azione penale e quindi il foro in cui si deciderà la causa – oppure la legge

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