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RISCHIO PROFESSIONALE IN ECOGRAFIA OSTETRICA

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Academic year: 2022

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RISCHIO PROFESSIONALE IN ECOGRAFIA OSTETRICA

Dr. Domenico Corea

L'ecografia ha visto estendere progressivamente ed in modo esponenziale il campo delle sue applicazioni grazie al miglioramento della tecnica di formazione dell'immagine ottenuto attraverso la introduzione della scala dei grigi.

Nell'ultimo decennio l'ecografia ha letteralmente invaso l'ostetricia nei suoi vari settori.

Pur in mancanza di dati precisi, si può senz'altro affermare che ormai la quasi totalità delle donne gravide si sottopone a più di uno o due esami ecografici nel corso della gravidanza.

Da tutto ciò :

a) deriva sicuramente un preciso obbligo di aggiornamento per il ginecologo, relativo alla conduzione e alla interpretazione dell'esame e alla conoscenza delle possibilità diagnostiche offerte dalle metodiche ecografiche;

b) deriva la necessità di individuare la evoluzione della giurisprudenza nella valutazione della responsabilità professionale del medico;

c) sorgono nuovi problemi di valutazione della colpa professionale in caso di danni fetali e/o materni riconducibili ad una mancata indicazione o ad una errata conduzione e/o interpretazione dell'esame ecografico, che interessa la prestazione dell'ecografista, anche in relazione alla legge 22 Maggio 1978, n° 194 sulla interruzione volontaria della gravidanza;

d) emerge che, in sede di accertamento di responsabilità, la ricostruzione della catena causale del danno può raggiungere, fino ad interessarla, la stessa amministrazione ospedaliera laddove la stessa non doti la divisione di Ginecologia ed Ostetricia di adeguate attrezzature ecografiche.

La responsabilità professionale dell'ecografista va inquadrata nell'ambito della responsabilità professionale medica, regolata da norme civili e penali ed orientata dalla giurisprudenza.

Specialista in Medicina legale e delle Assicurazioni; Specialista in Ginecologia ed Ostetricia U.O. di Ginecologia ed Ostetricia, Università degli Studi “Magna Graecia” di Catanzaro

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Dall'analisi della casistica giudiziaria si evince che l'ecografia ostetrico-ginecologica è una metodica diagnostica gravata da notevoli rischi inerenti alla responsabilità professionale, specie, ma non solo, per quanto attiene alla mancata diagnosi di malformazione fetale.

Un'analisi delle cause responsabili di tale situazione, che sono molteplici e di varia natura, permette tuttavia un inquadramento delle stesse nei seguenti ordini:

• enfatizzazione delle possibilità diagnostiche dell’ecografia (fig1);

• negli ultimi due decenni gli standard qualitativi medi dell’esame ecografico sono migliorati ma in misura molto inferiore rispetto a quanto sono aumentate le aspettative dell’utenza (fig. 2):

dalla divaricazione di queste due rette nasce il contenzioso medico legale.

Tale divaricazione, unitamente ad una sempre più generalizzata tendenza a chiamare in causa il medico che "sbaglia", spiega il sempre più frequente ricorso al giudice da parte dei pazienti che ritengono di essere stati danneggiati.

L'enfatizzazione delle possibilità dell'esame ecografico proveniente spesso dagli ambienti scientifici, viene amplificata successivamente dai mass-media e viene percepita in modo ulteriormente distorto dall'utenza. Il risultato è che progressivamente e attraverso tali passaggi ci si discosta dalla realtà e si chiede alla ecografia un'attendibilità diagnostica che la stessa può non essere in grado di garantire.

Per tali motivi è evidente come un buon approccio del problema non possa prescindere dalla giusta

consapevolezza dei limiti (e, per esclusione, delle possibilità) dell'esame ecografico.

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Fig.1-

Rappresentazione della “divaricazione”, che si accentua nel tempo, tra le aspettative di un esame ecografico e gli standard di qualità. La divaricazione di tali rette è correlata al progressivo incremento del contenzioso giudiziario per responsabilità professionale nella pratica della ecografia ostetrica.

Fig.2-

Le reali possibilità diagnostiche degli ultrasuoni non corrispondono alle aspettative della società. Per adeguare le reali possibilità alle aspettative è necessario migliorare gli standard, ma soprattutto ridimensionare le aspettative.

RESPONSABILITA' PROFESSIONALE IN CASO DI MANCATA DIAGNOSI DI MALFORMAZIONE FETALE

La mancata diagnosi di una malformazione fetale è rilevante, ai fini della responsabilità professionale, se è causa di un danno (materno e\o fetale).

Il feto, protagonista dell'esame di valutazione, può essere portatore di una anomalia visibile o non visibile, identificabile o non identificabile, che non è causata dall’azione del medico ecografista, ma è già presente all'interno del suo organismo, per motivi embriogenetici, per infezioni virali, per problemi ambientali o a causa di predisposizione personale.

Per quanto riguarda la responsabilità professionale nell'ecografia ostetrica in caso di malformazione fetale si possono prospettare varie ipotesi di responsabilità per una mancata diagnosi nel secondo trimestre e per una scorretta gestione del feto malformato.

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a) mancata diagnosi di malformazione fetale entro il limite di tempo utile per effettuare l'interruzione di gravidanza con pregiudizio della facoltà della donna ad esercitare tale diritto quando, dalla nascita del feto malformato, derivi un danno alla salute fisica e/o psichica della donna .

La legge sulla interruzione volontaria di gravidanza (IVG) prevede la possibilità di IVG, anche nel secondo trimestre, qualora "siano accertati processi patologici, tra cui quelli relativi a rilevanti anomalie o malformazioni del nascituro, che determinino un grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna".

Tra i "processi patologici accertati” rientrano anomalie e malformazioni fetali che sono diagnosticabili con l'esame ecografico.

Nella ricostruzione della catena causale che porti ad un danno (fisico e/o psichico) di una donna per la nascita di un feto malformato può essere chiamato in causa chi, pur avendo sottoposto la donna ad un esame ecografico, non diagnosticò la presenza della malformazione con la conseguenza che la donna non ebbe la possibilità di interrompere la gravidanza.

a) mancata diagnosi di malformazione fetale, anche nel terzo trimestre, ove una precisa e tempestiva caratterizzazione della stessa avrebbe permesso la scelta di un timing e/o di un luogo del parto e/o di una via del parto tali da consentire un esito positivo dell'outcome neonatale.

Esistono delle malformazioni fetali che impongono, per un positivo outcome neo-natale, che l'espletamento del parto avvenga secondo determinate modalità, relative alla via del parto (via laparotomica o via vaginale), all'epoca gestazionale, al luogo del parto (centri attrezzati per tempestivi e particolari interventi chirurgici): il non aver diagnosticato correttamente la presenza di malformazioni fetali che avrebbero potuto trarre giovamento da un corretto inquadramento prima che la nascita si verificasse, può obbligare chi non eseguì la diagnosi a rispondere (civilmente ma anche penalmente) del danno fetale e/o materno causato.

Quanto detto non significa che il ginecologo che non diagnostica una malformazione fetale sia sempre e comunque responsabile di tutto ciò che quella mancata diagnosi può causare.

Le anomalie e le malformazioni fetali infatti a volte non sono assolutamente diagnosticabili (es.

cecità), a volte sono solo eccezionalmente diagnosticabili (es. mancanza di un dito o di una falange), a volte richiedono una particolare e settorializzata esperienza da parte dell'operatore ( es.

alcune cardiopatie).

Inoltre elementi circostanziali decisivi nella prospettiva della responsabilità professionale per spiegare la mancata diagnosi di una malformazione fetale, anche rilevante sotto un profilo

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morfologico, possono essere rappresentati: dall'epoca in cui viene eseguito l'esame, dalla posizione fetale, dalla scarsità di liquido amniotico, dalla eccessiva adiposità addominale o dalla presenza di abbondante tessuto cicatriziale, dalla qualità dell'apparecchiatura, dalla assenza di un preciso fattore di rischio.

La valutazione dei singoli casi, ai fini medico-legali, deve tener conto di tutti questi fattori.

b. Scorretta gestione del feto malformato(o sospetto tale)

Oltre alle ipotesi della diagnosi di una malformazione fetale che in realtà non esiste (ipotesi che nella realtà ricorre molto più frequentemente di quanto non si pensi e che sicuramente può comportare responsabilità professionale a carico di chi eseguì quella diagnosi), bisogna prendere in considerazione la gestione del feto malformato.

Infatti il compito del ginecologo non si esaurisce con la diagnosi della malformazione fetale.

E' necessario, per quanto possibile ed eventualmente con il ricorso ad un consulto con altri sanitari, caratterizzare la stessa malformazione in ordine:

• alla gravità e alla prognosi ed anche in relazione alla possibile concomitanza di altre malformazioni o di anomalie cromosomiche;

• alle possibilità di correzione;

• all'accettabilità da parte della donna (o meglio della coppia) del feto malformato.

E' evidente che si tratta di pratica molto difficile che richiede notevole doti di umanità e di comprensione, oltre che precise conoscenze mediche ed eventuali consulti presso centri che abbiano una specifica e qualificata esperienza.

Non sempre si possono dare risposte sicure a tali quesiti, che sovente riguardano malformazioni poco conosciute o malformazioni la cui ricaduta sulla qualità di vita del neonato è assolutamente imprevedibile.

E' comunque necessario che il ginecologo, secondo scienza e coscienza, dia una informazione che sia la più corretta e la più documentata possibile in ordine a tali interrogativi.

Il rappresentare in modo distorto (o incompleto), altre che essere censurabile sotto il profilo deontologico ed etico, la situazione può fare incorrere il ginecologo in responsabilità professionale.

Facendo riferimento ai parametri classici di valutazione rappresentati dall'imprudenza, imperizia e negligenza, possiamo schematizzare le situazioni di responsabilità professionale nell'uso dell'esame ecografico nel campo ostetrico nel modo seguente.

Possono costituire comportamenti censurabili sotto il profilo dell’imprudenza la:

• Mancata effettuazione dell'ecografia in ostetricia;

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• Mancata valutazione dell'adeguatezza delle apparecchiature per esami di 2° livello;

• Mancata segnalazione ai responsabili di eventuali inadeguatezze tecniche delle apparecchiature ecografiche;

• Mancata rivalutazione in caso di sospette patologie.

Il profilo della imperizia\negligenza può essere invocato in caso di:

• Uso scorretto dell'apparecchio;

• Mancato rilievo dei parametri standard ecografici del I, II e III trimestre;

• Mancato approfondimento diagnostico di sospette patologie fetali (anche attraverso consulti) e mancata rivalutazione a distanza del caso;

• Assenza di documentazione iconografica;

• Mancata refertazione;

• Assenza di elementi di identificazione del caso.

ALTRE IPOTESI DI RESPONSABILITA' PROFESSIONALE IN ECOGRAFIA OSTETRICA

Anche se il contenzioso più ricorrente nella casistica giudiziaria per responsabilità professionale connessa all’esercizio dell’ecografia ostetrica è rappresentato dalla mancata diagnosi di malformazione fetale, sicuramente tale evenienza non è la sola e nemmeno la più grave.

L’elenco che segue, senza avere la pretesa di essere esaustivo, prospetta solo alcune ipotesi di responsabilità professionale cui può incorrere il ginecologo nella pratica dell’ecografia ostetrica:

1) gravidanza extra uterina non diagnosticata che determini la morte della donna ovvero ponga la stessa in serio pericolo di vita;

2) erronea datazione della gravidanza in caso di interruzione volontaria di gravidanza (IVG), sia nel senso di una sovrastima dell’epoca gestazionale (con mancata esecuzione dell’IVG e conseguente lesione del diritto della donna ad avvalersi della legge 194/1978), sia nel senso di una sottostima dell’epoca gestazionale (con effettuazione di una IVG illegale, cioè al di fuori dei limiti cronologici previsti dalla legge 194/1978);

3) erronea diagnosi di sesso (situazione che può avere delle conseguenze civilistiche);

4) mancata diagnosi di placenta previa, ove la stessa determini la morte della donna e/o morte del bambino e/o sofferenza del bambino, ovvero ponga in serio pericolo di vita la donna;

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5) mancata diagnosi di difetto di crescita fetale (con sequele di danno fetale e neonatale) laddove un tempestivo ed attento monitoraggio ecografico avrebbe permesso l’adozione di efficaci misure terapeutiche e/o una scelta del timing del parto atti scongiurare l’instaurarsi di un danno fetale e neonatale;

6) mancata diagnosi di malattia trofoblastica gestazionale con un ritardo nel trattamento che sia decisivo per l’insuccesso della terapia stessa;

7) diagnosi (errata) di malattia trofoblastica gestazionale in caso di gravidanza (singola o, più verosimilmente plurima) in realtà in fisiologica evoluzione laddove l’errore determini la somministrazione di antiblastici che provochino aborto o malformazione a carico del feto (o dei feti);

8) mancata diagnosi di macrosomia fetale che comporti una non corretta valutazione della compatibilità feto-pelvica ai fini della scelta della via del parto con conseguenti danni fetali (ad esempio: distocia di spalla);

9) mancato rilievo di massa previa lungo il canale del parto (ad esempio: fibroma) che determini distocie fetali con conseguenti danni a carico del feto e/o della madre;

10) mancato rilievo di gravidanza plurigemina (che esiti poi in aborto) laddove la possibile opzione della madre per la soppressione di uno o più embrioni avrebbe potuto consentire la prosecuzione della gravidanza;

11)negli interventi ecoguidati (amniocentesi, cordocentesi, prelievo di villi coriali, riduzione embrio-fetale) il provocare alla madre o al prodotto del concepimento danni per una non corretta applicazione della tecnica o per l’uso di strumenti non idonei (la Cassazione Penale – Sent. del 7/11/1980, n. 7224 – ha riconosciuto la colpa di un medico che utilizzando un ago non adatto nell’eseguire una puntura sternale, causò la morte del paziente trapassando il cuore).

CENNI GIURISPRUDENZIALI RACCOLTA GIURISPRUDENZIALE

La giurisprudenza, nell'accertamento della responsabilità professionale del medico

per mancata diagnosi di malformazione fetale e nella quantificazione del danno

derivante, non appare orientata in modo univoco adottando, di volta in volta, criteri

più larghi o più ristretti nell'affermazione della stessa e motivazioni molto varie fino

all'affermazione di un "danno esistenziale" nel risarcimento del danno; ipotizzando

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il reato di omissione di atti di ufficio e di violazione del diritto all'informazione nel caso in cui la malformazione era nota al medico ma non comunicata alla paziente.

Dalla giurisprudenza emerge che l'ipotesi più frequente di riconoscimento del danno consiste nella lesione del diritto della donna ad interrompere la gravidanza.

La Corte di Cassazione osserva che per questa fattispecie di danno devono essere valutati due diversi elementi: da una parte l'inadempimento da parte del medico dell'obbligo di informazione o dell'errata diagnosi, dall'altra l'esistenza delle condizioni previste dalla legge per procedere all'interruzione della gravidanza.

Per quanto riguarda il secondo punto bisogna tener presente che trascorsi novanta giorni, dall'inizio della gravidanza, l'interruzione della stessa non dipende più dalla volontà della gestante ma dal verificarsi di processi patologici di natura grave nella gestante, pertanto non può sussistere un "diritto" della donna alla interruzione della gravidanza.

In base all'art. 6 della legge 194/1978 per l'interruzione della gravidanza oltre il novantesimo giorno: "solo la sussistenza delle condizioni per procedere alla interruzione della gravidanza consente di ritenere esistente il nesso di causalità tra il comportamento dei sanitari e il danno".

E' necessario che vengano accertate gravi malformazioni nel nascituro e che queste ultime siano causa di un "grave" pericolo per la salute della donna.

Il "grave" processo patologico deve essere accertato ed in atto.

E' onere della ricorrente provare che la "grave" patologia, si sarebbe manifestata in conseguenza della conoscenza della malattia di cui era affetto il nascituro.

In merito al ristoro del danno da mancata interruzione della gravidanza o da mancata

informazione circa possibili malformazioni del nascituro, in particolare,

l'elaborazione giurisprudenziale è ancora agli albori in Italia e presenta un certo

ritardo rispetto ad altri paesi.

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Per quanto riguarda il risarcimento del danno da mancata interruzione della gravidanza la giurisprudenza ha avuto un cambiamento di orientamento.

Negli anni immediatamente successivi all'entrata in vigore della legge 194/1978 le poche pronunce che si rinvengono in tema negano la risarcibilità del danno conseguenza della mancata interruzione della gravidanza applicando il principio secondo il quale " la nascita di un figlio rappresenta un dono d'inestimabile valore"

(Catalucci, in ordine al quesito se la nascita di un figlio non voluto costituisca danno risarcibile ai sensi dell'art. 2043, in Riv. It. medicina legale, 1983, 501 s).

Solo nel 1985 il Tribunale di Padova, prima decisione edita che si rinviene (Trib.

Padova, 9 agosto 1985, in Nuova Giur. Comm., 1986, I, 115), accorda il risarcimento del danno conseguente all'insuccesso di un intervento di interruzione di gravidanza cui si era sottoposta una minorenne e lo computa in relazione ai disagi affrontati dai genitori per la nascita avvenuta in un momento non desiderato, liquidando la somma di lire 15.000.000.

Dopo questo primo caso di risarcimento danni, si nota di volta in volta nelle pronunce un certo imbarazzo nel qualificare il tipo di danno subìto legato alla nascita di un bambino e nell'individuare l'interesse leso in un caso di fallimento dell'intervento di interruzione della gravidanza, la Corte d'Appello di Bologna (App. Bologna, 19 dicembre 1991, in Riv. It. medicina legale, 1994, 1082) accorda il risarcimento dei danni distinguendoli in danni diretti, costituiti dalla lesione del diritto alla salute, e indiretti, rappresentati dagli oneri di mantenimento, educazione e istruzione della prole non voluta vista come "causa di conseguenze negative sulla vita della madre";

individua nei soggetti passivi sia il medico sia l'ente ospedaliero); qualifica la responsabilità sia come contrattuale sia come extracontrattuale; nega il risarcimento al padre poiché la legge 194/1978 tutela esclusivamente la madre.

Sul seguente tema interviene la Corte di Cassazione nel 1994 (Cass., 8 Luglio 1994,

in Riv. It. medicina legale, 1995, 1282), puntualizzando che il diritto al risarcimento

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del danno può essere riconosciuto alla donna non solo per il fatto dell'inadempimento del sanitario ma se sia anche provata la sussistenza di un "grave" danno effettivo alla salute fisica o psichica della donna.

Viene anche precisato l'onere probatorio del richiedente.

Sempre in questa sentenza si specifica che il danno risarcibile è solo quello conseguente al pregiudizio della salute fisico -psichica della donna, tutelato dalla legge e non quello dipendente da ogni pregiudizievole conseguenza dell'inadempimento del sanitario; "l'entità del risarcimento deve essere determinata in quella somma necessaria a rimuovere le difficoltà economiche idonee ad incidere negativamente sulla salute della donna ovvero a risarcire quest'ultima dei danni alla salute in concreto subiti".

Il problema della risarcibilità del danno conseguente alla mancata interruzione della gravidanza per la mancata conoscenza da parte della donna delle malformazioni del figlio per scorretta lettura dell'esame ecografico, viene affrontato dal tribunale di Roma (Trib. Roma, 13 Dicembre 1994, in Riv. It. medicina legale, 1998, 162).

La ratio decidendi è la stessa: pur in presenza di gravi malformazioni del nascituro non vi è risarcimento se le malformazioni non hanno determinato un "grave" pericolo per il benessere psico-fisico della madre.

Un diverso orientamento presentano le due sentenze del tribunale di Bergamo (Trib.

Bergamo, 2 Novembre 1995, in Danno e Resp., 1996, 249; Trib. Bergamo, 16

Novembre 1995, in Giust. Civ., 1996, i, 867): in un caso di errore di lettura

dell'esame ecografico da parte del medico ravvisano una colposa mancata

informazione alla madre circa le malformazioni del nascituro determinante

responsabilità diretta, ad un tempo contrattuale ed aquiliana, del sanitario e

dell'ospedale datore di lavoro del primo, per avere "escluso in radice la possibilità

della donna di interrompere la gravidanza a norme dell'art. 6, lett. b della legge

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194/1978, e liquida nella somma di lire 750.000.000 in favore di entrambi i genitori, e di lire 252.000.000 in favore della madre per future spese".

Decisioni queste controcorrente che condannano al risarcimento senza richiedere la prova del "grave" danno alla salute della donna.

Il grave pericolo per la salute fisica della donna racchiude tutte quelle patologie che da sole causerebbero l'aborto e per le quali in passato si ammetteva il ricorso all'

"aborto terapeutico" (ipertensione arteriosa grave, diabete, obesità, cardiopatie cianogene, anemie, ecc.).

Il panorama offerto dalla disamina delle pronunce della giurisprudenza sul tema è molto vario: la responsabilità del medico e dell'ente ospedaliero è definita talvolta contrattuale - da inadempimento-, talvolta aquiliana, più spesso contrattuale ed aquiliana insieme; per la qualificazione dei danni da risarcire, i giudici si sono affidati a criteri diversi.

Anche per quanto riguarda la responsabilità del medico di fronte il dovere di informazione alla madre sulle malformazioni del figlio, la giurisprudenza presenta tendenze contrastanti.

Riguardo al dovere di informazione sulla diagnosi, prognosi e prospettive terapeutiche il medico del Servizio Sanitario Nazionale vi è tenuto a norma dell'art. 2 della legge 833/1987 e dell'art. 30 del Codice di Deontologia medica che nell'ultima versione approvata nel 1998, non lascia alcuna discrezionalità al medico affermando che "le informazioni riguardanti prognosi gravi o infauste o tali da poter procurare preoccupazione e sofferenza alla persona devono essere fornite con prudenza, usando terminologie non traumatizzanti e senza escludere elementi di speranza".

Per quanto attiene all'atteggiamento della giurisprudenza, riguardo questo specifico argomento, in un primo tempo (Trib. di Pordenone, 18 Marzo 1992, in Riv. It.

medicina legale, 1998, 136) non ha ravvisato nel comportamento del medico il reato

di omissione di atti di ufficio, previsto dall'art. 328 C.P.. Osserva in merito il

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tribunale di Pordenone che l'informazione non costituisce "un atto che per ragioni di sanità doveva essere posto in essere senza ritardo" dal momento che l'alterazione genetica è emersa alla trentesima settimana di gestazione, e nulla più poteva essere fatto per evitare o limitare l'entità delle malformazioni.

Nelle sentenze più recenti si osserva un'inversione di tendenza conseguente ad una più ponderata e profonda riflessione: l'informazione circa le patologie del nascituro riveste il carattere della indilazionabilità e pertanto la sua omissione concreta il reato previsto dall'art. 328 C.P.

I giudici osservano che nel caso di omissione della informazione circa lo stato di salute del nascituro, i medici abbiano scelto la strada più brutale "ponendo la paziente nel modo più violento ed inaspettato di fronte alla atroce verità".

La tempestiva informazione avrebbe consentito la predisposizione di idonei supporti specialistici e terapie psicologiche a cui la paziente aveva diritto evitando al momento del parto, di per sé già delicato, l'ulteriore complicanza di una siffatta rivelazione.

Senza contare poi che entrambi i genitori hanno diritto ad essere preparati alla particolare nascita che li attende e che tale preparazione è idonea ad incidere sulla salute psichica del nascituro, destinato ad una esistenza difficile e pertanto meritevole di avere dei genitori equipaggiati di tutti gli strumenti atti ad accoglierlo.

LA RESPONSABILITA’ PROFESSIONALE IN ECOGRAFIA OSTETRICA ALLA LUCE DELLA SENTENZA N° 30328 DELL’11.9.02

La Sentenza della Corte di Cassazione a Sezioni Unite n° 30328 dell’11.9.2002 potrebbe presentare importanti implicazioni nell’accertamento della responsabilità professionale connessa all’esercizio dell’ecografia ostetrica ed in particolare nella omessa diagnosi di malformazione fetale.

Come già riportato in precedenza la ratio che ispira il risarcimento del danno nella maggior parte delle sentenze è costituita dalla tutela della salute psichica della madre del concepito (la legge 194\78 non prevede l’aborto eugenetico per cui ogni individuo concepito ha il diritto di nascere

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anche se tale diritto viene sacrificato se entra in contrasto con un bene che il legislatore ritiene meritevole di maggiore tutela e cioè la salute della donna).

Le precedenti ipotesi di responsabilità professionale necessitano, in caso di omessa diagnosi, di un accertamento puntuale, circostanziato e riferito al caso specifico.

Così, alla luce della suddetta sentenza l’accertamento del nesso di causa tra la nascita del figlio malformato e il danno alla salute materna non avviene in modo automatico ma necessita di essere provato non in modo astrattamente probabilistico ma di essere accertato nel singolo e specifico caso escludendo in particolare altre cause che siano state in grado di provocare quello stesso danno (ad esempio una maternità non desiderata, escludendo che anche in caso di aborto del feto malformato la madre non avrebbe presentato le medesime turbe psichiche etc).

Così per quanto riguarda la responsabilità in caso di cattiva gestione del feto malformato nel terzo trimestre perché sia affermata la colpa è necessario arrivare con criterio di probabilità logica e non solo di probabilità statistica alla conclusione che il feto si sarebbe sicuramente avvantaggiato di cure rese possibili da una diagnosi prenatale delle patologie presentate.

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