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I PAZIENTI SCOAGULATI: COSA FARE

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Academic year: 2022

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I PAZIENTI SCOAGULATI: COSA FARE

Gualtiero Palareti*

Sempre più frequentemente cure dentarie devono essere praticate in soggetti che per svariati motivi sono sottoposti a terapia anticoagulante orale (TAO) cronica.

Ciò è il risultato della forte crescita del numero di persone, specie anziane, avviate alla TAO.

Il rischio emorragico dopo chirurgia dentale in pazienti anticoagulanti Una recente rassegna dei lavori che hanno affrontato questa problematica (1) ha raccolto e analizzato oltre 2000 procedure chirurgiche dentali effettuate in 774 pazienti che avevano continuato ad assumere gli anticoagulanti orali.

L’autore ha riscontrato che in oltre il 98% dei casi non si è registrata alcuna emorragia severa, definita come quella che non era stata possibile controllare mediante unicamente misure locali, ma solo episodi di sanguinamenti minore a livello locale. Solo 12 episodi emorragici (< 2%) avevano richiesto misure di carattere generale e non solo locale. L’esame dettagliato di questi 12 eventi dimostrava che in nessuno di questi casi il problema era legato alla prosecuzione del trattamento anticoagulante e che non sarebbe stato evitato dalla preventiva sospensione del trattamento stesso.

È possibile una valutazione preventiva del rischio emorragico legato alle manovre odontoiatriche stesse. In linea generale si può ritenere che il rischio sia basso in caso di: cure locali senza coinvolgimento sottogengivale, di anestesia locale in zone delimitate da osso e di anestesia non coinvolgente tessuto connettivo lasso.

*U.O. di Angiologia e Malattie della Coagulazione “Marino Golinelli” Policlinico S. Orsola- Malpighi

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Un rischio moderato può essere atteso in caso di: manovre sottogengivali, estrazione semplice con possibilità di chiusura/compressione e di anestesia regionale. Il rischio sarà verosimilmente più alto in caso di: chirurgia estesa e di iniezioni in zone vascolarizzate.

Per quanto riguarda il timing del rischio emorragico da manovre odontoiatriche in pazienti anticoagulati si ritiene (2) che l’incidenza di comparsa di un’emorragia immediatamente dopo un’estrazione dentaria in soggetti anticoagulanti non sia diversa da quella in soggetti non anticoagulati, ma che possa manifestarsi in modo maggiore 1-5 gg dopo l’estrazione. Essa è comunque facilmente controllabile con misure locali, a patto che l’INR sia nel range terapeutico e che sia eseguita un’accurata sutura della cavità.

Vi sono indubbiamente fattori che aumentano il rischio emorragico in seguito a cure dentarie in pazienti anticoagulati. Tra questi ricordiamo la presenza di infiammazione gengivale/periodontite, la necessità di chirurgia estesa, il tipo e la sede di anestesia (specie quella tronculare) e il numero delle sedute previste.

Il rischio e la gravità delle complicanze trombotiche in caso di sospensione temporanea della TAO

Certamente, sia il rischio che la gravità delle complicanze trombotiche quando la TAO sia sospesa non sono uguali in tutti i pazienti trattati, ma variano considerevolmente sia in relazione alla condizione morbosa di base per la quale viene fatto il trattamento anticoagulante, che alla storia personale del paziente e all’accumularsi di più fattori di rischio alla indicazione clinica per la TAO, e infine anche alla distanza dall’evento trombotico (in caso di terapia prescritta per profilassi secondaria dopo un evento trombotico).

Il rischio deve essere considerato massimo in caso di:

a) tromboembolia venosa acuta (trombosi venosa profonda e/o embolia polmonare) insorta entro un mese;

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b) fibrillazione atriale con dilatazione delle cavità cardiache e/o con valvulopatia e/o con pregressi eventi tromboembolici;

c) sostituzioni valvolari meccaniche;

d) qualora si siano già verificate complicanze o vi sia presenza di particolari fattori di rischio personali. In tutti questi casi la sospensione della terapia anticoagulante è controindicata o è comunque da valutare con estrema prudenza.

Pazienti anticoagulati per protesi valvolari cardiache meccaniche

Il rischio e la gravità delle complicanze trombotiche (specie l’occlusione trombotica della valvola protesica) che possono verificarsi in questi pazienti sono più elevate che in pazienti affetti da altre patologie cardiovascolari.

Per questo motivo il trattamento anticoagulante raccomandato in questi casi è più intenso (attualmente è raccomandato un range di 2,5-3,5 INR).

Poiché il rischio emorragico in pazienti trattati con anticoagulanti orali è correlato alla intensità dell’anticoagulazione, una più frequente comparsa di eventi emorragici deve essere attesa quando le procedure dentarie sono effettuate in questi pazienti. D’altro canto, proprio costoro presentano il rischio trombotico più elevato e più grave qualora il trattamento anticoagulante venga temporaneamente sospeso.

Un recente studio italiano effettuato in questo tipo di pazienti (3) ha dimostrato l’efficacia e la sicurezza di una procedura basata su:

1) controllo dell’INR due giorni prima dell’intervento in modo da confermare che l’INR sia nell’intervallo terapeutico (2.0 e 4.5 INR nello studio);

2) non somministrazione dell’anticoagulante per due giorni;

3) ripresa dell’anticoagulazione la sera stessa della procedura. Nello studio in oggetto, se l’INR due giorni prima dell’intervento era < 2 non veniva praticata nessuna sospensione dell’anticoagulante; se, viceversa, era > 4.5

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sono stati seguiti per tre mesi, per registrare l’eventuale comparsa di complicanze emorragiche intra- e post-operatorie, o di quelle tromboemboliche. Tutti i pazienti hanno ovviamente ricevuto una adeguata profilassi antibiotica dell’endocardite. Solo in 2 su 123 procedure si è avuta la comparsa di emorragie minori. Un paziente (con INR immediatamente pre-operatorio di 2.32) ha avuto un sanguinamento gengivale per 4 ore, risoltosi con misure locali; l’altro (INR pre-operatorio 3.4) ha avuto un sanguinamento gengivale per 12 ore ed è stato trattato con misure locali, sciacqui con acido tranexamico e riduzione della dose di Coumadin nei giorni successivi. Nessuna emorragia maggiore è stata osservata nel periodo post-operatorio come pure, cosa estremamente importante, nessun evento tromboembolico.

È ipotizzabile che lo schema suddetto sia applicabile in modo favorevole anche a quei pazienti, i più numerosi, i quali essendo affetti da patologie cardiovascolari a più basso rischio tromboembolico e che richiedono livelli più moderati di anticoagulazione (range terapeutico 2.0-3.0 INR) possono con più efficacia e sicurezza essere preparati all’intervento chirurgico dentale tramite due giorni di sospensione dell’anticoagulante, con ripresa del trattamento la sera stessa dell’intervento.

Anche se un comportamento uniforme non è stato ancora definito, alcuni studi hanno però concordemente concluso che il rischio emorragico di effettuare procedure chirurgiche dentali in soggetti durante TAO è realmente basso e che, con i range terapeutici anticoagulanti attualmente impiegati (più moderati di quelli utilizzati in passato) e con cure locali adeguate, la prosecuzione dell’usuale trattamento anticoagulante non comporta un incremento significativo del rischio di emorragie dopo chirurgia dentale.

Souto e coll. (4) hanno trattato pazienti, anticoagulati per valvulopatie o protesi valvolari cardiache, randomizzandoli a diversi schemi di condotta terapeutica in

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occasione di estrazioni dentarie, riconducibili sostanzialmente a due distinti protocolli:

A) Riduzione del livello di anticoagulazione prima dell’estrazione dentaria:

mediante somministrazione di metà della dose usuale nei due giorni precedenti l’estrazione e somministrazione di eparina calcica sottocute (7.500 UI x 2 al dì) il giorno precedente e quello dell’estrazione, a scopo di profilassi anti- tromboembolica.

B) Nessuna modifica del livello di anticoagulazione: l’estrazione dentaria veniva eseguita senza modificare l’anticoagulazione, salvo controllare che l’INR fosse non più alto del range terapeutico voluto. Entrambi i protocolli prevedevano che venisse applicata un’irrigazione con acqua fredda nell’immediato post-operatorio (o irrigazione con ac. Tranexamico, antifibrinolitico), e che fossero effettuati sciacqui orali con ac. Tranexamico (una fiala per due minuti ogni 6 ore per 2 giorni). I risultati di questi due diversi approcci sono stati molto simili, nel senso che non sono state registrate più frequenti emorragie nei casi trattati secondo il protocollo B, quando cioè la terapia anticoagulante era stata lasciata immodificata (con aggiunta di agenti antifibrinolitici locali). Gli autori concludono che in considerazione:

a) della maggior semplicità di un approccio terapeutico che non modifica lo schema posologico dell’anticoagulante,

b) della garanzia di una protezione antitrombotica adeguata senza aggiunta di profilassi eparinica sottocute,

c) dell’assenza di un maggior rischio emorragico, lo schema di comportamento B è da preferirsi rispetto a quello A.

I risultati dello studio suddetto hanno confermato quanto trovato in precedenza da Sindet-Pedersen e coll. (5) in merito all’efficacia antiemorragica dell’impiego locale dell’ac. Tranexamico in seguito a chirurgia dentale.

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Questi autori hanno infatti hanno trattatoin modo randomizzato e doppio cieco, con sciacqui di ac. Tranexamico (o placebo) per sette giorni dopo estrazione dentaria pazienti anticoagulati, senza modificare la terapia anticoagulante.

I pazienti trattati con sciacqui orali con ac. Tranexamico hanno presentato una significativa minor incidenza di emorragie post-estrazione rispetto a quanti trattati con placebo.

Da quanto suddetto si può concludere che un trattamento locale con agenti antifibrinolitici in soluzione (quale ad esempio l’ac. Tranexamico; commercialmente in Italia: Tranex o Ugurol), realizzato sin da subito dopo il momento chirurgico e proseguito per almeno due giorni mediante sciacqui orali ripetuti, rappresenta un efficace strumento capace di ridurre il rischio emorragico post-chirurgia dentale in pazienti anticoagulati. L’efficacia antiemorragica degli agenti antifibrinolitici nella chirurgia orale è attribuita alla loro capacità di inibire gli attivatori della fibrinolisi presenti normalmente nella saliva.

L’impiego locale di antifibrinolitici unitamente alla realizzazione di misure chirurgiche idonee a favorire l’emostasi (punti di sutura, ecc.) e l’adozione ormai ampiamente diffusa di livelli di anticoagulazione più moderati rispetto al passato (controllando che effettivamente l’INR sia nel range terapeutico al momento dell’intervento), sono fattori che consentono di realizzare cure dentarie in pazienti anticoagulati senza dover procedere a ridurre preventivamente il livello di anticoagulazione.

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Bibliografia

1) Wahl MJ. Dental surgery in anticoagulated patients. Arch Intern Med 1998; 158:

1610-1616.

2) Bailey BM, Fordyce AM. Complications of dental extractions in patients receiving warfarin anticoagulant therapy. Br Dent J 1983; 155, 308-310.

3) Russo G, Corso LD, Biasiolo A, Berengo MPV. Simple and safe method to prepare patients with prosthetic heart valves for surgical dental procedures. 6.2000:90-3.

4) Souto JC, Oliver A, Zuazu-Jausoro I, Vives A, Fontcuberta J. Oral surgery in anticoagulated patients without reducing the dose of oral anticoagulant: a prospective randomized study. J Oral Maxillofac Surg 1996; 54: 27-32; discussion 323.

5) Sindet-Pedersen S, Ramstrom G, Bernvil S, and Blomback M. Hemostatic effect of tranexamic acid mouthwash in anticoagulant-treated patients undergoing oral surgery. N Engl J Med 1989; 320, 840-843.

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