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S.M.C.V. 14 aprile 2011 - Judicium

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www.judicium.it Corte di Assise di S. Maria C.V., 14 aprile 2011 (Ud. 18 settembre 2008), N. 8, Pres. C., Rel. F., P.M. M., Imp. A.

e altri

Aggravante della finalità o del metodo mafioso – Aggravante della finalità di odio o di discriminazione razziale – Aggravante della finalità di terrorismo o di eversione – Delitti puniti con la pena dell’ergastolo – Applicabilità (Art. 7 d.l. 152/91; art. 3 d.l. 122/93; art. 1 d.l. 625/79)

Anche nel caso in cui venga inflitta in concreto la pena dell’ergastolo, le circostanze aggravanti previste dagli artt. 7 d.l.

152/91, 3 d.l. 122/93 e 1 d.l. 625/79, pur rimanendo inerti nella determinazione della pena, vanno tuttavia contestate e prese in considerazione dal giudice nel loro significato di disvalore del fatto, sì da esplicare efficacia a fini diversi.

Aggravante della finalità di odio o di discriminazione razziale – Dolo specifico – Accertamento – Pericolo concreto di atti emulativi o di comportamenti discriminatori - Esclusione

(art. 3 d.l. 122/93)

La circostanza aggravante di cui all’art. 3, primo comma, d.l. 122/93 è configurabile non solo quando l’azione, per le sue intrinseche caratteristiche e per il contesto in cui si colloca, risulta intenzionalmente diretta a rendere percepibile all’esterno e a suscitare in altri un sentimento di odio etnico, razziale o religioso e comunque a dar luogo, in futuro o nell’immediato, al concreto pericolo di comportamenti discriminatori, ma anche quando essa si rapporti ad un pregiudizio manifesto di inferiorità di una sola razza, non avendo rilievo la mozione soggettiva dell’agente.

Aggravante della finalità o del metodo mafioso – Aggravante della finalità di terrorismo o di eversione – Differenze – Ruolo del contesto nei confronti del quale è diretto l’effetto intimidatorio - Compatibilità

(art. 7 d.l. 152/91; art. 416 bis c.p.; art. 1 d.l. 625/79; art. 270 sexies c.p.)

Il metodo mafioso descritto dall’art. 416 bis c.p. si sostanzia nella creazione di un clima di intimidazione diffusa scaturente dall’associazione medesima, quale risultante di un’antica e, in ogni caso, consolidata consuetudine di violenza. Essa deve essere chiaramente percepita come tale dall’esterno, dalla vittima del singolo delitto o, al più, da quei soggetti che si trovino nella sua stessa condizione. Diverso è, invece, l’effetto intimidatorio connesso a un’azione terroristica, poiché la platea dei soggetti ai quali si indirizza l’azione delittuosa è molto più ampia ed è costituita dalla popolazione nel senso più lato del termine, vale a dire tutti i residenti nel territorio di uno Stato o in una parte di esso.

(Omissis)

I fatti avvenuti il pomeriggio del 18 agosto 2008 e le prime ricostruzioni investigative - In data 18 agosto 2008 giungeva intorno alle 19.15 una telefonata presso il Commissariato di Casltelvolturno che segnalava l’esplosione di numerosi colpi di arma da fuoco in Via Cesare Battisti di quel comune; riferiva il teste T. A. che le prime attività infoinvestigative avevano chiarito che l’abitazione presso la quale si era verificato il grave fatto di sangue era quella nella quale viveva con la sua famiglia il cittadino nigeriano O. E., noto con il nome di Teddy, presidente dell’Associazione nigeriana di Castelvolturno: “sul posto sono intervenute le macchine del Reparto Prevenzione, macchine del Commissariato e della Scientifica, del Gabinetto Provinciale di Caserta, furono trovate cinque persone ferite, di cittadini nigeriani, e altre persone che si erano allontanate. La casa era di un cittadino nigeriano, che è presidente dell'Associazione Nigeriani della Campania a Castelvolturno, Teddy, e le persone ferite erano sua moglie altre cinque persone che si trovavano all'interno della sua abitazione. Stavano festeggiando il rientro della moglie dalla Nigeria”. Come chiarito dai testi T. A. ed A. C., l’Associazione rappresentata da Teddy “raccoglie i vari interessi di alcuni commercianti nigeriani e che operano sul Comune di Castel Volturno in maniera legale e che sono... si trovano nell’ambito del commercio nel Comune di Castel Volturno”.

Il teste F. S., in servizio presso il Reparto Prevenzione Crimine Campania di Napoli, esaminato all’udienza del 7\1\2010, dichiarava, in particolare, di essere intervenuto in data 18\8\2008 alla via Cesare Battisti n. 1 di Castelvolturno poiché vi era stata una segnalazione presso la sala operativa, verso le ore 19.15 dell’avvenuta esplosione di colpi di arma da fuoco;

intervenivano quindi sul posto due pattuglie ed una volante del commissariato di Castelvolturno e constatavano, al civico 1 della via Battisti, che è una traversa della Via Domitiana, che vi erano delle persone ferite, un’ambulanza del 118 e numerosi cittadini extracomunitari, che venivano prontamente allontanati allo scopo di ricostruire con esattezza i fatti e raccogliere le tracce più evidenti del crimine che era stato appena commesso. Si procedeva, quindi, alla identificazione del locatario dell’abitazione ove il fatto si era verificato, ossia del cittadino nigeriano E. N., detto Teddy,

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www.judicium.it che indicava i nomi delle persone che erano rimaste coinvolte e dichiarava che tra i feriti vi era anche sua moglie A.;

Teddy dichiarava inoltre agli agenti operanti di essere Presidente dell’Associazione Nigeriana in Campania.

Il F. riferiva, quindi, le generalità delle persone rimaste ferite, tutte di nazionalità nigeriana: I. E., O. O. V.; U. L., B. E.

e T. I. A.; forniva, altresì, una descrizione dettagliata dell’abitazione di Teddy, sottolineando che si trattava di un prefabbricato, con pareti in lamiera e una sorta di balcone rialzato dal suolo sito nella parte anteriore:

“Teste: sì, allora, era una abitazione in prefabbricato, davanti all'abitazione c’era un balcone con una scaletta, entrando - diciamo - nell'area la scaletta era alla destra, quindi si accedeva sul balcone e poi nell'abitazione. L'esterno era chiuso, c'era un muro, c'era un cancello per le auto e c’era un cancelletto pedonale che al momento era aperto, il cancello per le auto era chiuso. C’era poi un muro subito dopo il cancello, quindi entrando in via Cesare Battisti da Via Domitiana, dopo il cancello per le auto c’era un muro con un cancello al di sopra, quindi era ancora chiuso”.

Nel riferire le caratteristiche dell’abitazione di Teddy, ove era avvenuta l’impressionante azione delittuosa, anche i testi T. A., in servizio presso la sezione distaccata della Squadra Mobile di Casal di Principe, ed A. C., comandante del Nucleo Investigativo del Comando Provinciale dei Carabinieri di Caserta, sottolineavano che tale abitazione era, più che altro, un container con pareti di lamiera, “recintato da un muro di cinta alto un metro e 60 con delle sbarre verso l’alto.

Il container presentava tutti i 28 fori o la maggiore parte dei 28 fori che sono stati esplosi verso il container”; il muro di cinta che circondava l’abitazione si trovava a circa sette od otto metri dal container e presumibilmente ad una distanza inferiore dal piccolo pianerottolo sopraelevato che era stato realizzato dinanzi all’abitazione.

Nel corso del sopralluogo compiuto nell’immediatezza dei fatti dalla Polizia Scientifica “furono repertati 24 bossoli 7x6... calibro 7x62; 3 bossoli calibro 9x21 e un bossolo calibro 40 Smith & Wesson”; asseriva, in particolare, il teste T.

che i bossoli 7,62 erano stati presumibilmente esplosi da un kalashnikov e che “Il Kalashnikov era stato con certezza poggiato sul muro di cinta perché dei 24 bossoli che furono rinvenuti dalla Polizia Scientifica due si trovavano proprio sul muro di cinta mentre gli altri 22 si trovavano sotto il muro di cinta e quindi quando venivano espulsi dal Kalashnikov cadevano sotto il muro di cinta e quindi l'arma è stata poggiata ed è stato esploso il colpo senza guardare, senza mirare, per colpire chiunque ci fosse di fronte. Mentre gli altri tre bossoli 9x21 sono stati trovati all'interno di questo piccolo giardino perché il cancello si presume era aperto e quindi la persona è entrata e ha esploso tre colpi, mentre un colpo della Smith & Wesson calibro 40 è stato trovato esternamente sulla parte destra”.

In argomento, anche il teste F. riferiva: “Trovammo, poi, nella zona antistante il cancello per le auto ed il muretto, trovammo dei bossoli calibro 7,62 x 39, c'era anche un bossolo calibro 40. Sul muretto c'erano altri due bossoli calibro 7,62 x 39. All'interno, poi, dell'area, quindi all'interno trovammo, nelle adiacenze dell'ingresso pedonale, dei bossoli calibro 9 x 21...

P.M.: quindi oltre? All'interno del cortile?

Teste: oltre, quindi all'interno proprio dell'area.

P.M.: quanti metri più o meno tra l'esterno del cortile e...

Teste: era poco...

P.M.: mi lasci finire la domanda. Quanti metri più o meno tra l’esterno del cortile e l'accesso all'abitazione?

Teste: allora, entrando nel cancello, più o meno erano ad un metro dall'ingresso.

P.M.: e l'accesso all'abitazione quanto distava rispetto al muro di cinta?

Teste: se ricordo bene, la distanza proprio dall'abitazione, dal balcone, diciamo, fino al cancello, era più o meno di 10- 12 metri. Questa era la distanza. All'interno, poi, dell'area, quindi dietro al cancello delle auto, vi erano altri bossoli calibro 7,62 x 39.

P.M.: più o meno a che distanza dall'accesso della porta principale del locale, del fabbricato?

Teste: diciamo, più o meno erano localizzati intorno ad un metro, un metro e mezzo dal cancello.

P.M.: dalla porta.

Teste: in totale i bossoli che rinvenimmo noi come personale operante erano 28 e poi trovammo una ogiva deformata più un frammento di ogiva.

P.M.: dove questo? Il frammento di ogiva e l'ogiva deformata si ricorda dove li ha ritrovati?

Teste: no, però dovrebbe essere a ridosso dell'abitazione, quindi dove poi sono caduti, se ricordo bene. Per la posizione precisa, però, c'è il rapporto poi della Polizia Scientifica”.

Il teste soggiungeva, confermando quanto riferito dai testi T. ed A., che il totale di bossoli rinvenuto sul luogo era pari a 29 di cui 24 di calibro 7,62x39, compatibili con un AK47, ossia con un kalashnikov, tre bossoli calibro 9x21 ed un solo bossolo calibro 40. Il F. sottolineava, altresì, che all’esterno vi erano due veicoli ed una piscina di quelle fuori terra che si allestiscono nei giardini per far giocare i bambini; all’interno dell’abitazione vi erano molte tracce di sangue: “c’era sangue sul balcone, abbiamo trovato tracce di sangue sulle scale, diciamo che la scena era un po’ questa, c’era qualche vetro rotto era un po’ a soqquadro l’ambiente”. Le persone ferite, poi, secondo il racconto del F. erano state prontamente soccorse e ricoverate presso la Clinica Pineta Grande di Castelvolturno.

La narrazione del teste F. veniva pienamente confermata dai testi M. A. e T. M., anche loro in servizio presso il Reparto Prevenzione Crimine della Campania, nonché dai testi G. V. e R. C. in servizio presso il Commissariato di Castelvolturno, i quali avevano tutti operato unitamente al F. nel primo intervento in via Cesare Battisti.

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www.judicium.it In particolare, i testi G. e R. dichiaravano che le persone presenti sul posto, che non parlavano correttamente l’italiano, avevano fatto comunque comprendere che l’azione delittuosa era stata consumata da quattro persone che erano giunte a bordo di due moto di grossa cilindrata: “praticamente tutte le persone astanti, che erano presenti quando è successo il fatto criminoso, praticamente gesticolando o parlando poco comunque l’italiano, facevano capire che l’atto criminoso era stato effettuato ad opera di quattro persone a bordo di due motociclette, praticamente indossavano dei caschi e quindi si sono date poi subito alla fuga”; ed ancora: “abbiamo cercato di capire la situazione, perché vedevamo le persone ferite, c’erano tutte persone di colore ed alcune di queste riferivano che delle persone a bordo di una moto si erano fermate fuori al cancello di questa abitazione, in Via Cesare Battisti ed avevano esploso in loro direzione dei colpi di arma da fuoco”.

Il teste R. precisava poi che una delle donne ferite aveva dichiarato che le moto giunte sul posto erano due e che i due occupanti, che indossavano un casco, avevano aperto il fuoco contro tutti i presenti.

Sul posto intervenivano anche gli agenti M. R. e T. N., in servizio presso il Gabinetto Provinciale di Polizia Scientifica di Caserta; il M., esaminato in dibattimento, confermava le indicazioni già fornite dagli altri testi circa il numero ed il tipo di colpi esplosi quella sera. I due testi riferivano di essere giunti sul posto verso le 20.00 di avere concluso i rilievi intorno all’una di notte; i bossoli erano stati rinvenuti parte all’esterno, sulla pavimentazione sterrata di Via Cesare Battisti (e precisamente 11 bossoli calibro 7,65 ed uno calibro 40 Smith and Wesson), mentre gli altri 13 bossoli (13 calibro 7,65 e 3 calibro 9x21) erano stati rinvenuti all’interno del cancello e del muro che cingevano l’abitazione di E.;

precisava il teste M. che i bossoli calibro 7,62 erano quelli maggiormente addossati al muretto e che due di essi “erano proprio adagiati sul muretto stesso”, mentre il più distante dal muretto si trovava a circa tre metri da esso; l’abitazione era collocata a circa nove metri di distanza dal muretto, considerato che essa aveva una sorta di balcone sulla parte anteriore. Nel corso di un successivo sopralluogo venivano rinvenuti due frammenti di ogiva deformata, uno all’esterno ed uno all’interno dell’abitazione e, come riferito dal M., vi erano molti fori di entrata e di uscita di proiettili nelle pareti del container, che erano di lamiera, sicchè poteva ipotizzarsi che altri colpi fossero stati esplosi e che i bossoli non fossero stati rinvenuti o perché si erano persi nel vuoto oppure perché erano rimasti conficcati nelle intercapedini delle lamiere.

Il teste S. G., esaminato anch’egli all’udienza del 7\1\2010, dichiarava che in data 18\8\2008 si trovava in servizio presso il Commissariato di PS di Castelvolturno e che, nell’immediatezza dei fatti aveva anch’egli preso parte al sopralluogo; il teste non riferiva nessun elemento nuovo rispetto a quello già appreso dagli altri appartenenti alle Forze dell’Ordine intervenuti sul posto; dichiarava che dalle prime informazioni rese da Teddy, era stato possibile comprendere che gli uomini giunti a bordo di due moto erano sicuramente bianchi, come egli aveva avuto modo di constatare vedendone le braccia scoperte; al tempo stesso però, l’uomo aveva indicato quale probabile causale del delitto i rapporti tesi tra lui ed una sua connazionale, tale A. S., che aveva ordito ai suoi danni, come testimoniato da una videocassetta, un rito Woodoo destinato ad ucciderlo: “si aprì uno scenario piuttosto confuso fatto di una cassetta che doveva essere poi portata in Nigeria perchè Teddy veniva considerato informatore della Polizia e in Nigeria ci doveva essere qualcuno che doveva fare un rito Woodoo nei confronti di questo Teddy per ammazzarlo… fu quindi identificata S. A. che sarebbe stata la donna che avrebbe dato la cassetta più una lettera da portare a sua madre in Nigeria e l’avrebbe data alla moglie di Teddy”.

Sulla scorta di tali primi elementi di fatto, rilevati nel corso del sopralluogo, si era ritenuto, pur nella iniziale incertezza investigativa, che gli ignoti esecutori avevano agito non per colpire un soggetto determinato, ma che avevano fatto fuoco per colpire chiunque capitasse sotto il tiro mortale delle proprie armi; analogamente,le prime sommarie informazioni assunte dai presenti avevano consentito di chiarire che, quella sera, presso l’abitazione di Teddy si trovavano circa quindici persone, tra le quali donne e bambini, questi ultimi di età compresa tra i 10 ed i dodici anni:

mentre gli adulti si stavano intrattenendo all’esterno del container, i bambini si trovavano invece al suo interno allorché era iniziata l’azione di fuoco che aveva causato il ferimento di cinque persone, tra le quali la moglie di Teddy, T. I. A.

Peraltro, il teste F. rammentava che Teddy aveva dichiarato da subito di immaginare chi fossero i mandanti dell’azione delittuosa, ma che non era stato lui a raccoglierne le sommarie informazioni, sicchè nulla poteva riferire in ordine alla ricostruzione dei fatti offerta, nella loro immediatezza, dalla persona offesa.

Il teste T. precisava, invece, che le indagini eseguite immediatamente erano consistite nell'acquisizione dei fotogrammi delle riprese video effettuate dalla telecamere del Corpo Forestale installate lungo una strada provinciale, la numero 332, che collega Castelvolturno a zone limitrofe: da tale filmato era agevole ricavare che, in corrispondenza con l’orario presumibile in cui i fatti erano avvenuti, erano sopraggiunti lungo la strada statale Domitiana tre veicoli, due motociclette ed un furgone di colore bianco che viaggiava tra le due moto e che, in prossimità dello svincolo per Via Giuseppe Palizzi, parallela alla via Battisti, un braccio che sporgeva dal furgone lato passeggero aveva fatto segno alla moto che seguiva di precedere il furgone, cosa che era puntualmente avvenuta; le immagini in questione riprendevano, poi, gli stessi veicoli nel mentre si ponevano nuovamente sulla stessa strada statale, ma in senso inverso, quindi presumibilmente dopo che l’azione criminosa era stata compiuta, come pure era possibile desumere da un improvviso volo di uccelli e dalle immagini di diverse persone che si avvicinavano al ciglio della strada, evidentemente perché avevano udito l’esplosione di colpi di arma da fuoco; tali immagini fornivano, peraltro, elementi conoscitivi ampiamente riscontrati dalle dichiarazioni di Teddy e di altre persone presenti presso la sua abitazione quella sera. Il

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www.judicium.it teste T., in argomento, all’udienza del 21\12\2009 aveva riferito: “il 18 agosto... il giorno successivo immediatamente furono acquisiti questi filmati dal Corpo Forestale e vennero riprese la Statale 332, la rotonda che dà sulla Domitiana e la strada Domitiana… le telecamere monitorate utilmente tutte quelle presenti e di cui però molte non erano attive per problemi tecnici e di quelle che erano attive ce ne sono state due che sono state utilissime per le indagini perché da subito hanno permesso di vedere che... nella denuncia del Teddy, che non ho detto prima, lui segnalava la presenza, l'arrivo di due motociclette davanti alla sua abitazione con quattro uomini. Facendo lo sviluppo di queste telecamere poste sulla rotonda della Domitiana all’altezza della Strada 332 si vede arrivare le due motociclette e un furgone FIAT Ducato bianco, si vede che si immettono sulla Domitiana e vanno in via Giuseppe Palizzi perché... non vanno sulla Domitiana perché la Domitiana è una... avevamo la telecamera che riprendeva verso il Commissariato di Castel Volturno e presso la Stazione dei Carabinieri. Poi queste telecamere ci permettono di vedere anche il momento in cui ci sono le esplosioni, i 28 colpi, perché ci sono sia degli uccelli che nel momento dell'esplosione si vedono che partano e sia le persone che sono all'interno di un bar e di un distributore che si affacciato sulla Domitiana e che quando capiscono che sono stati esplosi dei colpi d’arma da fuoco subito rientrano verso il bar e vediamo il momento in cui in ritornano sulla Domitiana e il momento in cui se ne rivanno sulla Statale Provinciale 332. Ci permettono di conoscere anche un altro dato che non sapevamo perché la vittima, il Teddy, ci parlava di due motociclette con quattro uomini di carnagione bianca e con caschi che avevano indosso. Non sapevamo la presenza di questo furgone, il furgone che è fondamentale per noi perché c’è un... vedendo il filmato il passeggero del lato destro ci dà... con il braccio fuori dice ad una delle motociclette di passare avanti, di andare avanti e di mettersi davanti al furgone, proprio la tipica azione di comando di chi decide chi deve andare avanti e chi deve andare indietro”.

Il filmato non aveva consentito di stabilire quali fossero i numeri di targa dei tre veicoli, ma era stato possibile verificare che le moto fossero la prima modello Enduro, di colore grigio\nero, e l’altra da strada, di colore rosso; che i motociclisti indossassero caschi integrali di colore grigio e che il furgone fosse un Fiat Scudo di colore bianco.

Solo la successiva dichiarazione resa da S. O., che aveva iniziato a collaborare con la Magistratura e le Forze dell’Ordine poco dopo il suo arresto, aveva chiarito che il furgone era di proprietà di D. R., cognato di A. A., e tale dichiarazione era stata riscontrata da un controllo di polizia effettuato sull’A. nel successivo mese di dicembre del 2008:

“…abbiamo una relazione di personale della Squadra Mobile di Caserta del luglio del 2008 dove vedono l’A. A. in Villa Literno appoggiato a questo furgone e dal controllo in banca dati, in uso alle Forze di Polizia, un controllo di questo furgone con alla guida A. A. Le do la data e il giorno del...

P.M.: sì, se può darci indicazioni della data, grazie.

Teste: il controllo è avvenuto il 4 settembre del 2008, C. e M. della Squadra Mobile di Caserta, e il controllo con alla guida A. A. del furgone targato BP623BX, il 13 dicembre del 2006”.

Tale annotazione veniva, difatti, acquisita agli atti a pieno riscontro della dichiarazione resa dal T. sul punto.

Sempre con riferimento al furgone il teste riferiva che, dall’analisi delle immagini estrapolate dal filmato, era stato possibile rilevare che il mezzo recasse sul tetto una macchia di forma e dimensioni particolari e che il furgone trovato nella disponibilità del cognato di A. A. presentava la stessa identica macchia sul tetto, sì da potersene trarre un giudizio di ampia compatibilità tra i due veicoli.

Le indicazioni fornite da Teddy in riferimento ai possibili autori della strage non indirizzavano gli inquirenti verso ambienti criminali locali, sebbene egli avesse da subito rilevato che gli uomini che avevano aperto il fuoco avevano la pelle di colore bianco (dato questo confermato anche dal filmato), poiché l’E. era convinto che l’azione delittuosa fosse maturata nella stessa comunità nigeriana; quattro giorni prima, infatti, Teddy aveva presentato una denunzia contro un connazionale che lo aveva minacciato e sua moglie A. aveva scoperto che la cittadina nigeriana che le aveva chiesto di portare un pacco in Nigeria, aveva in realtà inviato alla propria madre una richiesta di rito Woodoo ai danni di Teddy e della sua famiglia; Teddy ne aveva desunto che fosse stata questa donna, di nome J., legata sentimentalmente ad un tale L. A., malavitoso della zona, ad organizzare l’agguato mortale. Tuttavia, quando, dopo l’arresto dei latitanti avvenuto in data 30 settembre 2008, Teddy aveva visto in televisione le moto sequestrate, aveva riconosciuto nella moto Enduro almeno una di quelle che erano giunte presso la sua abitazione quella sera con a bordo gli uomini poi rivelatisi armati ed aveva quindi reso nuove dichiarazioni in argomento in data 2 ottobre 2008.

Il teste riferiva poi che l’episodio avvenuto il 18 agosto era stato preceduto e seguito da altri episodi criminosi e che le successive indagini, aventi ad oggetto la comparazione balistica dei bossoli rinvenuti sul luogo di tali ulteriori eventi delittuosi, avevano fatto comprendere l’utilizzo di armi identiche nell’uno e negli altri casi; al riguardo il teste T.

rispondeva alle domande del Pubblico Ministero: “P.M.: sinteticamente, ovviamente su questo punto vi saranno delle ricostruzioni di soggetti esperti, che tipo di concorrente uso o uso di armi riferibili allo stesso arsenale avete individuato nel corso dell’attività di indagine? In estrema sintesi e quindi senza indicare le armi con precisione ma se ci può dare indicazioni del fatto che vi sono state delle ricorrenze dal punto di vista della strumentalità di queste armi in relazione agli omicidi.

Teste: il Kalash...

P.M.: e in particolare poi inizialmente ci introduce le eventuali ricorrenze tra le due stragi, il 18 agosto e il 18 settembre.

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www.judicium.it Teste: il Kalashnikov utilizzato il 18 agosto, la strage incompiuta sul luogo della quale vennero rinvenuti 24 bossoli, è stato repertato anche il 16 settembre all’attentato intimidatorio ai danni dell'esercizio commerciale MD Discount, il 17 settembre ai danni dell’esercizio commerciale Aversana Arredamenti, 28 bossoli; il 18 settembre all’omicidio C. A., 23 bossoli; strage dei cittadini ghanesi 18 settembre, 33 bossoli; il 2 ottobre omicidio di R. L. a Giuliano in Campania, 23 bossoli; 12 dicembre del 2008, tentato omicidio di O. S. in Trentola Ducenta, 55 bossoli; il 12 gennaio del 2009 furono sequestrati e recuperati 6 bossoli esplosi all’interno dell’abitazione... del rifugio di S. G. in Trentola Ducenta in via Cottolengo e quindi sei bossoli esplosi vengono recuperati all’intero di questa abitazione e sono gli stessi bossoli che sono stati nell’elenco che ho appena letto.

P.M.: e il Kalashnikov non fu mai trovato.

Teste: mai trovato”.

Gli esiti dell’attività di indagine che si sono venuti esponendo venivano estesamente riferiti anche dal teste M. L.

esaminato all’udienza del 16\9\2010 e firmatario dell’informativa n. 367 del 6\4\2009 in atti acquisita: i dati forniti dal teste corrispondono pienamente a quanto riportato dai testi sin’ora esaminati e consentono di ricostruire l’episodio del 18 agosto in maniera del tutto simile alla dinamica descritta dalle persone offese le cui deposizioni si andranno qui di seguito a riportare.

(Omissis)

I fatti accaduti la sera del 18 settembre del 2008 e le prime ricostruzioni investigative - La sera del 18 settembre 2008 si verificavano a brevissima distanza l’uno dall’altro due distinti episodi criminosi: l’omicidio di C. A. accaduto in Baia Verde (e del quale si è già detto nel capitolo V) e la strage dei cittadini ghanesi nella quale perivano ben sei cittadini extracomunitari, scampando alla morte uno solo di essi, A. J. che avrebbe reso dichiarazioni utili alla ricostruzione esatta dei fatti.

In particolare, i testi T. A. ed A. C. precisavano che la segnalazione dell’omicidio C. era pervenuta verso le 21.00, mentre quella della strage era pervenuta circa un quarto d’ora, venti minuti dopo le ventuno; quella sera era in corso, peraltro, una competizione sportiva che vedeva impegnata una nota squadra di calcio italiana e l’arteria stradale che collegava i luoghi del delitto ed i covi ove in quel momento - come successivamente verificato - si trovavano i latitanti, in Monteruscello, era una strada a scorrimento veloce con una distanza di circa quindici o dodici chilometri dal chilometro 43 della Domitiana.

I due testi descrivevano, altresì, i primi interventi al chilometro 43 della Domitiana, presso la sartoria OB.OB. Fashion, ove erano state uccise sei persone: verso le ore 22.30 era giunta notizia presso la Sala Operativa del Commissariato PS di Pozzuoli di una sparatoria occorsa sulla Domitiana e nel corso della quale erano morte alcune persone, mentre due soggetti extracomunitari erano giunti in gravi condizioni, attinti da colpi di arma da fuoco, presso l’Ospedale di Santa Maria delle Grazie di Pozzuoli; uno di questi soggetti, identificato per J. A., era riuscito nell’immediatezza - come riferito anche dal teste G. - a fornire alcune indicazioni alla Polizia Giudiziaria procedente, asserendo che nel locale sartoria avevano fatto irruzione tre o quattro uomini dalla pelle chiara, con indosso dei giubbini scuri e delle pettorine della polizia: tali soggetti erano arrivati a bordo di una Fiat ed avevano cominciato a sparare all’impazzata.

Le Forze dell’Ordine giunte sul posto avevano avuto grandi difficoltà a transennare la zona, poichè la folla di cittadini extracomunitari, accorsa sul luogo del crimine, rendeva difficile le relative operazioni, intralciando l’operato della Polizia e dei Carabinieri e creando una situazione difficile per l’ordine pubblico:

“Teste: arrivati sul posto già erano presenti molti Reparti molti uffici, tra Polizia e Carabinieri, e la situazione però all'inizio non... non si è potuto subito fare un sopralluogo di Polizia Scientifica sterilizzando la zona e facendo tutto in sicurezza perché c'era una forte tensione di ordine pubblico con la comunità de cittadini ghanesi e non solo perché loro volevano sapere chi innanzitutto era stato ucciso quella sera, volevano sapere il perché da noi immediatamente e quindi ci furono momenti di tensione che sono durati circa 30/40 minuti perché loro...

P.M.: questo prima di transennare la zona?

Teste: prima di transennare, prima che arrivassero anche rinforzi ancora. Loro ci urlavano “Polizia mafiosa, italiani bastardi” e volevano andare a recuperare i cadaveri che si trovavano sia all’interno della sartoria e sia vicino alla macchina e all’interno dell’autovettura”.

Il teste T. soggiungeva che la situazione era divenuta ancora più drammatica il giorno seguente, quando alcuni cittadini di colore avevano tentato di assalire due auto della Polizia; vi era stato poi un corteo lungo la Domitiana ed erano stati infrante alcune vetrine di esercizi commerciali posti su quella via. Tale grave situazione di ordine pubblico aveva determinato il Governo ad inviare rinforzi sul territorio campano:

“Teste: il Ministro Maroni in Parlamento inviò... chiese e poi fece inviare altri uomini di rinforzo, altri 500 uomini tra Polizia, Carabinieri e Guardia di Finanza, e l'ausilio dell'Esercito. Dichiarò testualmente che la camorra casertana aveva dichiarato guerra allo Stato e che lo Stato si doveva riprendere quel territorio con la cattura dei latitanti e di tutti i colpevoli che avevano compiuto sia la strage dei cittadini ghanesi che tutte le altre azioni fino a quel giorno e furono inviati ancora rinforzi.

P.M.: può indicarci più o meno i tempi dell’arrivo dei rinforzi e del numero?

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www.judicium.it Teste: i rinforzi delle Forze dell'Ordine esattamente il 20 settembre, quindi dopo due giorni arrivarono altri 500 tra poliziotti, Carabinieri e Guardia di Finanza.

P.M.: mille unità in tutto in più? Mille o cinquecento unità in più?

Teste: erano cinquecento delle Forze dell'Ordine e 500 dei militari.

P.M.: quindi mille unità in più.

Teste: sì, i primi di ottobre l'Esercito.

P.M.: furono collocati in luoghi strategici, in luoghi particolari? In particolare parlo dei militari dell'Esercito?

Teste: lavorano in stretta collaborazione con i nostri reparti di prevenzione e con le nostre macchine dei Commissariati e con noi della Squadra Mobile e quindi quando ci muoviamo abbiamo sempre una unità dell'Esercito o due unità a seconda dell'intervento o dei controlli che dobbiamo andare a fare.

P.M.: prima del 18 settembre vi erano stati dei rafforzamenti comunque sensibili al di là di questo eccezionale rinforzo che si è avuto a partire dal 18 settembre?

Teste: erano arrivate numerose unità di rinforzo dei reparti di prevenzione, che sono delle unità che la Polizia ha e che hanno anche i Carabinieri con diversa denominazione che vanno in ausilio del... territoriale quando necessita e già erano arrivate all’inizio di giugno.

P.M.: vi furono dei cambiamenti da parte delle vostre circolari o comunque ordini di servizio in relazione alla eventuale pericolosità di questo gruppo? Vi siete... avete modificato o rimodulato i servizi in funzione anche di questa ritenuta maggior pericolosità del gruppo?

Teste: le macchine uscivano sempre da tre o quattro persone se dovevano fare un accertamento che doveva essere più o meno riservato e comunque poi c’era sempre una copertura alle nostre macchine. Quindi era aumentata l'attenzione notevolmente del personale”.

Secondo quanto concordemente riportato dal T. e dall’A., all’interno della sartoria erano stati trovati i cadaveri di due persone ed una terza persona miracolosamente scampata alla morte, ma gravemente ferita; una quarta persona era stata colpita in prossimità dell’ingresso della sartoria; una quinta era stata uccisa all’interno di una Alfa 145 bordeaux che si trovava a circa dieci metri sulla destra rispetto all’ingresso della sartoria; una sesta persona, colpita mentre stava presumibilmente parlando con il conducente della vettura ed una settima persona uccisa anch’essa a pochi metri dalla vettura sulla destra di quest’ultima. Le vittime venivano identificate, in prosieguo, per K. S. nato in Togo il 1\12\1982, che si trovava all’ingresso dell’esercizio commerciale; A. Y. F., nato in Ghana il 24\11\1977, posizionato esternamente al negozio, al lato destro dell’autovettura Alfa 145 di colore amaranto, targata AW2011YM, ivi parcheggiata; E. A. Y., nato il 12\9\1983 in Ghana, posizionato alla guida dell’autovettura Alfa 145 appena citata; A. C., nato in Liberia il 6\6\1980, posizionato all’interno del negozio, in fondo a sinistra; G. A., nato in Monrovia il 5\5\1980, al momento dell’azione criminosa posizionato accanto all’Alfa 145 dal lato guida; vi era infine A. J., unico superstite, ricoverato in gravi condizioni, nato anche lui in Ghana il 13\9\74.

Il T. aggiungeva che il locale sartoria aveva una lunghezza di circa 4 o 5 metri e che era largo forse tre metri; al suo interno, era stipato di balle di panni e vi si trovavano, altresì, due o tre macchine da cucire; precisava che le vittime, poiché prive di documenti di identificazione e di soggiorno, erano state sottoposte a rilievi dattiloscopici ed identificate attraverso il sistema AFIS anche con la collaborazione del console ghanese che era giunto sul posto ed aveva poi trasmesso una sua relazione.

Sulla scena del crimine erano stati repertati 125 bossoli di arma da fuoco, ma il teste segnalava le difficili condizioni nelle quali aveva operato la Polizia scientifica, sicchè non era da escludere che la massiccia presenza di cittadini di colore intervenuti sul posto avesse determinato la dispersione di altri bossoli: “Teste: dopo furono repertati 125 bossoli però la Scientifica non ha potuto operare in condizioni ottimali e quindi se durante... alcuni movimenti delle persone nigeriane... ghanesi o cittadini di colore hanno provato a fare perché ci sono state due volte che abbiamo dovuto respingerli, senza utilizzare la forza ma solamente con le braccia, però se qualcuno per sbaglio ha preso qualche bossolo o ha dato un calcio e non è stato repertato e quindi non abbiamo la certezza di dove sono stati lasciati tutti quanti i bossoli”.

Riferiva del sopralluogo eseguito nella immediatezza della strage anche il teste D. G. L., dirigente del Commissariato di Castelvolturno nel settembre del 2008; il D. G. ricordava che la sera del 18 settembre verso le ore 21.00 era stato allertato dal Comandante dei Carabinieri di Mondragone, il quale segnalava l’uccisione in località Baia Verde di tale C.

A.; mentre D. G. stava recandosi sul luogo dell’omicidio C., gli perveniva segnalazione di un ulteriore fatto di sangue verificatosi in Castelvolturno, presso un locale sartoria in riferimento al quale non erano mai pervenute, in data anteriore, segnalazioni che ivi si svolgessero traffici illeciti. Giunto sul luogo, il D. G. aveva modo di constatare che “la scena del delitto era particolarmente raccapricciante, era una strage di inaudita ferocia, di inaudita violenza” ed il teste forniva una descrizione dei luoghi del tutto simile a quella resa dal teste T. A., anche con riferimento ai problemi di ordine pubblico che erano insorti nella zona: “avemmo problemi anche seri di ordine pubblico a mantenere la scena del delitto intatta da aggressioni esterne, aggressione degli immigrati che volevano per forza entrare per vedere cosa fosse successo”.

Il D. G. riferiva, in particolare, di aver proceduto all’identificazione sommaria di quattro delle vittime, anche con l’aiuto di qualche parente, mentre le altre due vittime venivano identificate nel prosieguo; erano stati poi repertati 125 bossoli,

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www.judicium.it appartenenti ad armi di vario calibro: “noi abbiamo proceduto congiuntamente alla Squadra Mobile, alla Polizia Scientifica di Caserta ed alla Polizia Scientifica del Commissariato, abbiamo sul posto repertato e sequestrato circa 125 bossoli calibro 9x19, calibro 9x21, calibro 380 e bossoli appartenenti ad un fucile AK47 il cosiddetto kalashnikov, che comunque era stato indicato come una delle armi utilizzate nella strage”.

Analoga era la constatazione del teste L. M., assistente capo della Polizia di Stato presso il Commissariato di Castelvolturno, portatosi anch’egli da Baia Verde, ove era avvenuto l’omicidio C., al luogo della strage; la gravità della situazione, anche sotto il profilo dell’ordine pubblico, aveva indotto il L. ad avvisare immediatamente il dirigente del Commissariato. Unico locale aperto nelle vicinanze era, come confermato anche dal D. G., il ristorante “Add’o Totore”, presso il quale venivano acquisiti i filmati registrati della telecamere installate al suo esterno.

La repertazione del materiale balistico veniva materialmente effettuata dall’ispettore D’A. C., in servizio presso il Commissariato PS di Castelvolturno, esaminato in data 18\2\2010, nonché dal teste P. R., in servizio presso il Gabinetto di Polizia Scientifica di Caserta ed esaminato alla precedente udienza del 4\2\2010 anche sugli eseguiti rilievi fotografici e video del materiale balistico.

Il P. sottolineava che, in quel frangente, l’azione della polizia era stata ostacolata dalla ressa di extracomunitari che aveva forzato le transenne poste sul luogo ed aveva, quindi, fatto irruzione nei locali della sartoria, rimuovendo alcuni rilievi balistici che erano stati già fotografati, ma che non erano poi stati riportati nello schizzo planimetrico in atti versato: “durante l’operazione dalla foto all’inquadramento del singolo bossolo si perde del tempo; successivamente quando abbiamo cominciato a fissare i cadaveri, c’è stata irruzione, cioè queste persone hanno invaso la scena e non ci hanno dato la possibilità di fissare le distanze tra i cadaveri che stavano a terra ed i bossoli rinvenuti, cioè quella che è la prassi normale nostra”. Il P. precisava ulteriormente che vi era stata l’irruzione sulla scena del crimine di almeno un centinaio di persone.

D’A. C., invece, in servizio presso il Commissariato PS di Napoli, interveniva in ausilio presso il nosocomio di Santa Maria delle Grazie di Pozzuoli, ove raccoglieva e sottoponeva a sequestro gli effetti personali delle vittime.

Sottolineava il teste T. che l’unica informazione acquisita, nella immediatezza dei fatti, dal superstite J. A., un uomo alto un metro e novanta e del peso di circa cento chili, era che, come già dianzi evidenziato, subito prima della strage, era giunta sul posto un’autovettura Fiat con un lampeggiante acceso, che erano scese delle persone con delle casacche delle Forze dell’Ordine indosso e che avevano aperto il fuoco contro i presenti; successivamente, l’A. aveva operato un riconoscimento fotografico, riconoscendo quali soggetti autori della strage, C. A., S. O. e C. A.; l’album fotografico, in atti acquisito, conteneva, tra le altre le foto di alcuni latitanti, ossia, L. G., D. C. E., D. B. M. e L. F., oltre alla foto del C.

che, in un primo momento, l’A. indicava come partecipe all’azione delittuosa. Successivamente, peraltro - e cioè in data 9\10\00 -, A. aveva visionato il video dell’arresto dei tre latitanti (S., L. e C.) ed aveva escluso che C. A. avesse partecipato all’azione criminosa del 18 settembre: egli aveva, difatti, riconosciuto L. G. che, a suo dire, era molto più somigliante alla persona che aveva visto entrare nella sartoria e sparare all’impazzata; era poi emerso che, nella serata del 18 settembre, C. A., che era agli arresti domiciliari, era stato sottoposto ad un controllo dall’Autorità di Pubblica Sicurezza e trovato presso la sua abitazione, poco dopo l’omicidio di C. A. L’A., peraltro, subito dopo i fatti veniva ricoverato presso l’Ospedale militare del Celio a Roma poiché ricorrevano motivi di assoluta sicurezza, avendo egli visto in volto alcuni degli autori della strage.

(Omissis)

La configurazione giuridica delle condotte ascritte agli imputati. Premessa - Nel corso della esposizione dei fatti avvenuti il 18 agosto ed il successivo 18 settembre in Castelvolturno si è più volte utilizzata, per definirne la qualificazione giuridica, l’espressione “strage” o anche quella, certamente atecnica, di “strage incompiuta” in riferimento al solo episodio occorso nel mese di agosto.

Per comprendere se le condotte che si sono venute descrivendo dettagliatamente - e rispetto alla cui attribuibilità agli odierni imputati si è raggiunta piena prova, ad eccezione che per C. A. e limitatamente all’episodio di agosto - integrino il delitto di strage, occorre partire dalla sua definizione codicistica e verificare se, nelle suddette condotte, ne siano riscontrabili gli elementi costituitivi, sia sotto il profilo oggettivo che soggettivo.

Va osservato che la contestazione operata dalla Pubblica Accusa concerne il delitto previsto dall’art. 422 c.p. aggravato però: 1) dalla circostanza prevista dall’art. 1 del decreto legge 26\4\1993 n. 122, convertito in legge 25\6\1993 n. 205 recante “misure urgenti in materia di discriminazione razziale etnica e religiosa”; 2) dalla circostanza prevista dal decreto legge 15\12\1979 n. 625 recante misure urgenti per la tutela dell’ordine democratico e della sicurezza pubblica, il cui contenuto appare in parte trasfuso nell’art. 280 c.p.; 3) dalla circostanza prevista dall’art. 7 della legge 203\1991, relativa all’utilizzo del metodo mafioso.

Sono state altresì contestate le aggravanti dell’aver agito per motivo abietto o futile, in più di cinque persone, approfittando di circostanze di tempo e\o di luogo, e, per S. G., L. G. e C. A., dell’avere agito durante un periodo di latitanza. In riferimento ai soli delitti relativi al porto ed alla detenzione di armi è stata altresì contestata la circostanza aggravante dell’avere agito al fine di commettere o eseguire i più gravi delitti di strage.

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www.judicium.it Si esaminerà, quindi, dapprima la nozione giuridica di strage, verificando la sussumibilità nell’astratta fattispecie delle condotte in concreto ricostruite e si procederà, quindi, all’analisi, sotto il profilo giuridico, delle aggravanti contestate, verificandone la concreta sussistenza in riferimento ai fatti ascritti agli odierni imputati.

L’art. 422 c.p. ed i delitti di comune pericolo mediante violenza - Il delitto di strage è previsto e punito, come si è detto, dall’art. 422 del codice penale; tale norma è collocata nel titolo IV, concernente i delitti contro l’incolumità pubblica, al capo I, relativo ai delitti di comune pericolo mediante violenza che si differenziano da quelli commessi a mezzo di atti fraudolenti, disciplinati nel successivo Capo II.

Il testo normativo recita testualmente: “Chiunque fuori dei casi preveduti dall’art. 285 c.p., al fine di uccidere, compie atti tali da porre in pericolo la pubblica incolumità, è punito se dal fatto deriva la morte di più persone con l’ergastolo.

Se è cagionata la morte di una sola persona, si applica l’ergastolo. In ogni altro caso si applica la reclusione non inferiore a quindici anni”.

Secondo la migliore dottrina ed il consolidato orientamento giurisprudenziale, l’interesse giuridico tutelato dalla norma è la pubblica incolumità, definibile come il complesso delle condizioni, garantite dall’ordine giuridico, necessarie per la sicurezza della vita, dell’integrità personale e della sanità, come beni di tutto e di ciascuno, indipendentemente dal loro riferimento a determinate persone.

Nel delitto di strage l’agente compie, dunque, atti tali da mettere in pericolo il bene della pubblica incolumità; esso non implica, necessariamente, la lesione del bene tutelato, risultando il delitto integrato anche dalla sua semplice esposizione a pericolo e ciò trova la sua ratio nella connotazione stessa della condotta: di fronte ad azioni od omissioni che ledono o minacciano beni facenti capo ai singoli, manifestando, tuttavia, una potenza espansiva che trascende il riferimento all’individuo, si afferma l’esigenza di anticipare il momento di usuale operatività della penale punibilità, creando fattispecie strutturate sul pericolo per la pubblica incolumità, ovvero “condotte a consumazione anticipata”, nelle quali il pericolo diviene requisito della fattispecie. Secondo la giurisprudenza consolidata ed il prevalente orientamento dottrinario, il pericolo caratterizzante il delitto di strage non è meramente presunto, ma deve pur sempre essere in concreto dimostrato.

L’elemento materiale del reato si sostanzia, quindi, nel compimento di atti aventi l’obiettiva idoneità a creare pericolo alla vita ed all’integrità fisica della collettività. Al riguardo si legge in numerose sentenze: “Si configura il delitto di strage allorché gli atti compiuti siano tali da porre in pericolo la pubblica incolumità e non siano limitati ad offendere soltanto la vita di una singola persona” e, in applicazione di tale principio, la S. C. ha ritenuto correttamente qualificato il reato di strage nell'esplosione violenta di un'autovettura imbottita di tritolo e posteggiata presso un’abitazione.

Trattasi, poi, di un reato a forma libera nel quale requisito essenziale è l’idoneità dell’azione, da verificarsi con giudizio ex ante, a minacciare la vita e l’integrità di un numero indeterminato di persone; detta idoneità è ravvisabile nell’uso di mezzi violenti dotati di peculiari requisiti di diffusività del danno alle persone. Sul punto la Suprema Corte ha ulteriormente ritenuto, con massima che si attaglia perfettamente ai casi che ne occupano, che: “Correttamente il giudice di merito ritiene la sussistenza del delitto di strage e non di quello di omicidio volontario plurimo nel comportamento di appartenenti a un'associazione criminosa che, dopo avere fatto irruzione in un luogo aperto al pubblico, situato nel centro cittadino e frequentato da molte persone, abbia aperto il fuoco in maniera indiscriminata sia contro avversari non preventivamente designati sia contro persone estranee alla cosca avversaria, non rilevando che non si sia fatto ricorso a mezzi di natura tale (bombe o esplosivi) da cagionare la morte di un numero indeterminato di persone”.

Il delitto appare consumato, dunque, anche quando dagli atti idonei ad attentare alla pubblica incolumità non derivi la morte di persone, mentre tale evento è considerato, dai più, circostanza aggravante del reato, tale da comportare l’irrogazione della pena dell’ergastolo; da altra parte della dottrina, e più condivisibilmente, la strage cui consegua la morte di una o più persone viene considerata, invece, autonomo titolo di reato rispetto alla fattispecie di cui al I comma.

Va poi ribadito che, essendo la strage un delitto a consumazione anticipata, appare sufficiente che l’agente ponga in essere atti idonei a cagionare una situazione di concreto pericolo per il bene tutelato, sicchè si considera come condotta consumata un comportamento che, senza tale specifica previsione normativa, potrebbe integrare una ipotesi di tentativo:

può concludersi, quindi, che il delitto di strage, pur strutturato come un delitto tentato, venga sempre punito come delitto consumato, con conseguente esclusione della configurabilità del tentativo, attesa l’importanza degli interessi tutelati.

Sotto il profilo soggettivo, poi, è richiesta dalla norma, anzitutto, la volontà di compiere atti da cui scaturisce il pericolo per la pubblica incolumità, almeno con la consapevolezza di tale pericolo, che è elemento costitutivo del reato e non mera condizione obiettiva di punibilità. Vi è poi la necessità di un fine ulteriore - integrante il dolo specifico della fattispecie - che è il fine di uccidere una o più persone: la morte deve, cioè, rappresentare lo scopo specificamente perseguito dal soggetto e non un evento che egli si sia solo rappresentato come probabile o possibile conseguenza dell’azione, volendone in realtà un altro meno grave. In argomento, la Corte di Cassazione si è così espressa: “Nel reato di strage il dolo consiste nella coscienza e volontà di porre in essere atti idonei a determinare pericolo per la vita e l'integrità fisica della collettività mediante violenza (evento di pericolo), con la possibilità che dal fatto derivi la morte di una o più persone (evento di danno), al fine (dolo specifico) di cagionare la morte di un numero indeterminato di

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www.judicium.it persone, e va desunto dalla natura del mezzo usato e da tutte le modalità dell'azione. Ne consegue che, al fine di stabilire se l'uccisione di più soggetti integri il delitto di strage ovvero quello d'omicidio volontario plurimo, l'indagine deve essere globale, con speciale riguardo ai mezzi usati, alle modalità esecutive del reato e alle circostanze ambientali che lo caratterizzano”. Nella specie la Corte aveva ritenuto corretta la qualificazione di strage dell'omicidio del giudice Giovanni Falcone e della sua scorta, realizzato mediante impiego di un'enorme quantità d'esplosivo, in luogo pubblico, con effetti distruttivi di straordinaria portata.

Nella verifica della sussistenza del delitto di strage, specie avuto riguardo al profilo soggettivo, assume di conseguenza preminente rilievo l’indagine sia sui mezzi usati per commettere il delitto, ma anche sulla causale dello stesso.

Qualificazione giuridica delle condotte poste in essere in data 18 agosto 2008 - Sulla scorta della definizione normativa del delitto di strage e della sua successiva elaborazione in dottrina e giurisprudenza, come dianzi esposto ed illustrato, non v’è dubbio che le condotte ascritte a S. G., L. G., G. D. ed A. A. in riferimento ai fatti occorsi nell’agosto del 2008 integrino appieno la mentovata fattispecie delittuosa.

Riferiva, infatti, S. che, il giorno 18 agosto, quando S. aveva fatto preparare le armi ed i mezzi che avrebbero condotto presso l’abitazione di Teddy, non aveva stabilito di compiere alcun sopralluogo: il gruppo si era, quindi, mosso utilizzando due motociclette, una Honda Cbr rossa ed una Transalp di colore grigio scuro, ed un piccolo furgone, a bordo del quale si nascondeva S. armato di kalashnikov e a fare da battistrada era stata la moto guidata da G. D., che era l’unico a sapere, come si è già evidenziato, dove ci si dovesse recare per colpire Teddy. Balza subito all’attenzione del lettore che conosca i meccanismi dei delitti di camorra, anche questi largamente appartenenti al “notorio giudiziario”, che in questa modalità organizzativa vi è una profonda diversità rispetto alla “tradizione” ed alla “storia” dei delitti di sangue di analogo stampo e, in particolare, di quelli ascrivibili al Clan dei Casalesi, nei quali la rigida divisione dei ruoli esecutivi ha quasi sempre contemplato la figura dello “specchiettista”, ovvero del soggetto che deve previamente individuare la vittima e riferire, poi, agli esecutori materiali della sua presenza in un determinato luogo: egli ha, quindi, il compito di effettuare un sopralluogo nel sito ove l’azione di sangue dovrà essere materialmente e prevedibilmente compiuta, al fine di evitare inutili versamenti di sangue e risparmiare così vittime innocenti. A riscontro del fatto che tali circostanze siano ben più che fatti notori, ma siano state acclarate da sentenze divenute irrevocabili, sarà sufficiente citare ancora una volta la sentenza cosiddetta Spartacus oppure la sentenza emessa sull’omicidio di P. G. che danno contezza di tali modalità dell’azione criminosa in relazione ai fatti omicidiari in esse trattati.

D’altronde, non è un caso che tali modalità esecutive delle azioni omicidiarie siano state fatte proprie anche dallo stesso gruppo S. tutte le volte in cui avesse deciso di colpire un soggetto di nazionalità italiana, esattamente nel medesimo arco temporale dei delitti di strage oggetto del nostro giudizio. L’individuazione di un obiettivo ben determinato ed il previo sopralluogo sono infatti caratteri comuni all’omicidio O., all’omicidio G., all’omicidio B. U., al tentato omicidio di C.

M. ed al duplice tentato omicidio O. M. In particolare, nel caso dell’omicidio G., si rammenterà che, appreso dagli specchiettisti che M. G., la mattina dell’11\7\2008, non si trovava presso il Lido La Fiorente, S. dava disposizione di uccidere il padre di questi, R. G.: ma anche in tal caso, l’azione delittuosa colpiva un soggetto ben determinato e non un numero indifferenziato e non previamente identificato di persone. Similmente è a dirsi per gli altri episodi delittuosi dianzi elencati, ove vi è sempre “qualcuno” che “prepara” l’esecuzione delittuosa, anche solo attirando la vittima in una trappola.

La logica che aveva da sempre presieduto alla esecuzione dei delitti di sangue, ed era sovente appartenuta anche al clan dei Casalesi, viene dunque completamente stravolta da S. e dai suoi uomini in data 18 agosto 2008: S. O. riferisce, infatti, che egli aveva appreso dell’azione punitiva da compiere ai danni di un non meglio precisato soggetto di colore appena una settimana prima e che egli non conosceva affatto il luogo ove il commando si sarebbe dovuto recare per dare esecuzione al piano criminoso; invero, S. si era affidato completamente a D. G. nella individuazione del bersaglio ed era G. l’unico a conoscere l’ubicazione esatta del luogo del delitto. Tutti gli uomini del commando, poi erano pesantemente armati e, come più volte ribadito dallo S., l’intenzione perseguita era quella di uccidere chiunque capitasse loro a tiro: la scelta operata da S., sulla scorta delle indicazioni fornitegli da G. D., era infatti quella di non risparmiare nessuno dei presenti, tant’è che, a detta di S., vittime dell’azione ben potevano essere anche donne e bambini e, comunque, non era venuta da S. alcuna indicazione contraria a che tanto dovesse evitarsi. E non a caso del resto, presso l’abitazione di Teddy, quel pomeriggio, si trovavano anche i figli minori della vittima designata, sua moglie e numerose coppie di nigeriani, assolutamente estranei agli obiettivi criminosi perseguiti dal S. Era, inoltre, immaginabile che le vittime fossero soggetti inermi, privi di armi e , comunque, di qualsiasi possibilità di difesa che non fosse la fuga: G. aveva difatti riferito al gruppo che il bersaglio dell’azione, così come suggeritogli da T., non era un criminale, ma un uomo che operava per la legalità e che, quindi, ragionevolmente non avrebbe risposto all’aggressione perpetrata ai suoi danni, per giunta in maniera del tutto inaspettata. Vi è poi un ulteriore e rilevante particolare che conferma la volontà indiscriminatamente aggressiva che animava il gruppo di fuoco, vale a dire quello della piccola piscina fuori terra che era posizionata proprio dinanzi al container di Teddy - così come dichiarato dal teste F. S., intervenuto sul posto per il primo sopralluogo - e che doveva costituire segno inequivocabile, per chi accedesse a quella modesta proprietà, della presenza di bambini: ebbene, neanche la presenza della piccola piscina bastava ad arrestare la furia omicida del commando che si scatenava, invece, ferocemente contro tutti i presenti e che solo un caso

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www.judicium.it fortuito avrebbe miracolosamente bloccato. Né va sottaciuto che l’abitazione di Teddy era, in realtà e come affermato dallo stesso S., un prefabbricato in alluminio, ossia una costruzione in lamiera che difficilmente avrebbe dato scampo a chi si fosse rifugiato al suo interno, potendo i proiettili esplosi dalle armi micidiali in dotazione al gruppo agevolmente trapassare - cosa che di fatto avvenne, come dimostrato dai primi rilievi - le pareti di lamiera; anche tale caratteristica dei luoghi dell’agguato si disvelò con immediatezza agli occhi degli aggressori i quali, tuttavia, pur potendosi prefigurare di uccidere coloro che si trovassero anche dentro la modesta abitazione, perseguirono senza alcun volontario cedimento il fine prefisso.

L’aggressione veniva, invero, perpetrata con l’utilizzo di armi micidiali, quali kalashnikov e pistole da guerra, che normalmente non avrebbero lasciato scampo alcuno a coloro che si fossero trovati lungo la traiettoria dei proiettili esplosi. Va da subito sottolineato che, a detta dello S., sia il kalashnikov usato da S. che la pistola utilizzata da L. G. si incepparono e fu per questo che la strage - come più volte, pur in maniera atecnica sotto il profilo giuridico, si è ripetuto nel corso del dibattimento - rimase “incompiuta”, ovvero senza che vi fossero dei morti. Non può dubitarsi, peraltro, che S. e L. cessarono di sparare non per una sopravvenuta resipiscenza nè per l’intervento di terzi, ma semplicemente per un difetto meccanico delle armi in loro possesso; diversamente, non avrebbero recato seco quel tipo di armi, così distruttive e potenti e, sicuramente, il gruppo stretto attorno a S. non avrebbe ripetuto un’azione simile a breve distanza di tempo, raggiungendo peraltro in data 18 settembre il proprio pieno obiettivo di dare la morte a più persone contemporaneamente. Del resto, S. si piccò non poco quando, in seguito, apprese che l’azione delittuosa non era stata compresa dai nigeriani e che non era stata attribuita ai Casalesi: tale atteggiamento disvela con certezza, sotto il profilo psicologico, la sussistenza di una radicata volontà criminosa di seminare la morte in maniera indifferenziata, con metodo terroristico ed ispirato da una logica razzista come meglio si espliciterà in prosieguo.

Anche avuto riguardo alla causale, poi, può pacificamente affermarsi che il fine fosse quello di uccidere e quanto più alto fosse stato il numero delle vittime tanto meglio sarebbe stato per il perseguimento degli scopi del gruppo, che avrebbe così fatto arrivare in maniera chiara il proprio messaggio intimidatorio a tutta la comunità di colore.

E’ chiaro, quindi, che da tali condotte non potesse che derivare, tout court, l’esposizione a pericolo della pubblica incolumità, poiché esse erano tese ad “investire” e ad espandersi con violenza verso chiunque potesse in quel momento trovarsi presso l’abitazione di Teddy o nelle sue immediate vicinanze.

Deve allora concludersi che le condotte esaminate integrano, sia sotto il profilo oggettivo che sotto quello soggettivo, la fattispecie astratta in contestazione ed in essa risultano appieno sussumibili.

Qualificazione giuridica delle condotte poste in essere in data 18 settembre 2008 - Esaminate le condotte poste in essere in data 18 agosto 2008 e qualificatele come appieno sussumibili nella fattispecie astratta di cui all’art. 422 c.p., appare già spianata la strada per sostenere analoga tesi con riferimento alle condotte dispiegatesi il successivo 18 settembre 2008.

In tale occasione, la furia omicida del commando guidato da S. G. si scatenava in maniera ancor più temibile ed incontrollata, poichè erano ben sette le armi utilizzate e, tra queste, due kalashnikov ed una pistola mitragliatrice, tipo UZI o M12. Traspare già da tale assetto organizzativo, riguardato sotto lo specifico profilo delle armi, che l’intento del gruppo di fuoco era quello di uccidere tutti coloro che fossero stati presenti nella sartoria e di evitare che vi fossero superstiti; si è poi sottolineato che S. non sapeva dove G. lo avrebbe condotto quella sera, quando da poco era stato commesso l’omicidio C., e che nessuno dei sodali aveva compiuto un sopralluogo, sì da individuare previamente i soggetti da colpire. Dalle evidenziate circostanze non può che inferirsi, sotto il profilo logico, che il commando fosse animato dalla volontà di uccidere e che volesse farlo in maniera indifferenziata, a nulla rilevando quante e quali persone sarebbero perite nel mortale agguato. Non vi è dubbio, poi, che quell’azione delittuosa, congegnata in maniera da non lasciare scampo a chi si trovasse sotto il fuoco delle temibili armi in uso al gruppo, ben poteva, per la sua evidenziata ed elevatissima aggressività, porre in pericolo la pubblica incolumità, essendo realizzata in luogo pubblico, nelle vicinanze di un ristorante e nelle immediate adiacenze di una strada statale lungo la quale, di regola, transita un numero considerevole di autovetture: non è un caso che, come filmato dalle telecamere del ristorante A. T., le autovetture in transito, avvedutesi della spaventosa azione di fuoco in atto presso la misera sartoria, ponevano in essere manovre pericolose per sé e per le auto che sarebbero potute sopraggiungere con ben immaginabili conseguenze negative.

Le circostanze aggravanti. Premessa sulle contestate aggravanti dell’odio razziale, della finalità terroristica e del metodo mafioso - Caratteristica comune alle tre circostanze aggravanti contestate dalla Pubblica Accusa, quella della discriminazione razziale, quella del terrorismo e quella dell’avere agito con metodo mafioso è che le rispettive previsioni normative paiono limitarne la contestabilità ai delitti puniti con pena diversa da quella dell’ergastolo; la dizione normativa, infatti, è nei tre casi analoga e prevede l’aumento di pena per i soli delitti puniti con pena diversa dall’ergastolo.

La questione è stata oggetto di un dibattito giuriprudenziale acceso, risolto nel 2009 da un intervento a Sezioni Unite della Suprema Corte con specifico riferimento alla circostanza prevista dall’art. 7 della legge 203\91; ma, all’evidenza, il ragionamento delle Sezioni Unite, riguarda tutte le altre circostanze assimilabili a quella oggetto della pronunzia, ivi comprese le due che rilevano ai fini della presente decisione.

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www.judicium.it Si rammenterà che secondo un primo orientamento, decisamente minoritario e, in realtà, non più riproposto nella più recente giurisprudenza di legittimità, l’aggravante di cui all’art. 7 legge 203\91 non è applicabile ai delitti per i quali sia prevista in astratto la pena edittale dell'ergastolo, a nulla rilevando l’entità della sanzione inflitta in concreto. L’opposto, nettamente prevalente e più recente orientamento sostiene, invece, che l'aggravante può essere validamente contestata anche con riferimento ad un delitto astrattamente punibile con l'ergastolo, fermo restando che essa potrà in concreto operare solo se, di fatto, venga inflitta una pena detentiva diversa dall’ergastolo.

Le Sezioni Unite hanno fatto proprie le ragioni che giustificano quest’ultimo indirizzo interpretativo, con un ragionamento che postula un'attenta lettura delle linee logico-sistematiche, che connotano e dentro le quali s’iscrive - per i profili giuridici di rilievo sia sostanziale sia processuale - la ratio aggravatrice della norma di cui al D.L. n. 152 del 1991, art. 7, ma potrebbe dirsi anche quella delle circostanze aggravanti dell’odio e della discriminazione razziale e quella della finalità di terrorismo. La Suprema Corte osserva che deve convenirsi con la citata e più recente giurisprudenza, la quale avverte che il D.L. n. 152 del 1991, art. 7, comma 1, nel prevedere che la pena sia aumentata da un terzo alla metà per i delitti punibili con pena diversa dall'ergastolo, non esclude affatto, con riguardo ai reati puniti con la pena perpetua, la contestabilità e l'operatività della speciale aggravante ad altri fini, ben potendosi anzi conseguire l'effetto aggravatorio nell'ipotesi di esclusione, all'esito del giudizio di cognizione, delle circostanze aggravanti comportanti l'ergastolo: “La prescrizione de qua, al di là dell'ambiguità lessicale del termine "punibili" è semplicemente diretta, in sostanza, a quantificare l'aumento di pena applicabile alla pena detentiva temporanea, concretamente irrogata in presenza dell'aggravante speciale, incremento che non è ovviamente ipotizzarle allorché la pena inflitta in concreto sia invece quella dell'ergastolo. Tra l'altro, l'opposta opzione interpretativa, nel senso del divieto di contestazione e di considerazione dell'aggravante speciale per i reati astrattamente punibili con la pena edittale perpetua, renderebbe possibili talune conseguenze prive di logica razionalità e, com'è stato avvertito dalla più attenta giurisprudenza, seri problemi di legittimità costituzionale della disciplina normativa per violazione del principio di eguaglianza: - sia sotto il profilo che per delitti aggravati dalla circostanza in esame, punibili con pena diversa dall'ergastolo, potrebbero essere irrogate sanzioni più gravi rispetto a quelle inflitte, in concreto, per delitti pure ontologicamente aggravati dalla medesima circostanza ed astrattamente puniti con l'ergastolo in forza di altre circostanze, che non sopravvivano tuttavia alla differente qualificazione giuridica del fatto o al giudizio di bilanciamento con le attenuanti; - sia perché potrebbero dispiegarsi effetti preclusivi ingiustificatamente differenziati quanto all'accesso ai vari benefici in sede di esecuzione della pena e di trattamento penitenziario”.

Va soggiunto, poi, che, in base all’esposto orientamento di legittimità "anche nel caso in cui venga inflitta in concreto la pena dell'ergastolo, l'aggravante prevista dal D.L. n. 152 del 1991, art. 7, pur rimanendo inerte nella determinazione della pena, va tuttavia contestata e presa in considerazione dal giudice nel suo significato di disvalore del fatto, sì da esplicare la sua efficacia ai fini diversi dalla determinazione della pena".

Ebbene, la statuizione che questa Corte ha nel dispositivo adottato con riferimento al delitto di strage del 18\9\2008, di esclusione cioè delle aggravanti in esame, deve essere intesa, ovviamente, nei limiti e secondo l’interpretazione fornitane dalle Sezioni Unite: poiché per tale delitto è stata irrogata a tutti gli imputati la pena dell’ergastolo, le circostanze in questione non hanno esplicato alcun effetto giuridico con riferimento alla pena, ma sono state comunque valutate in riferimento alle complessive vicende per le quali la Pubblica Accusa le aveva correttamente contestate anche per i delitti in astratto punibili con la pena dell’ergastolo.

L’aggravante della discriminazione per motivi razziali - Tale circostanza aggravante è stata introdotta, come già dianzi esposto, dal decreto legge 122 del 26\4\1993 convertito nella legge 25\6\1993 n. 205. In effetti, il testo normativo, ad esplicitazione del contenuto della circostanza in esame e di tutte le condotte che possano ritenersi discriminatorie, si limita a richiamare la nozione di “odio razziale”, senza ulteriormente specificarla. Bisogna, dunque, domandarsi quale sia la nozione di odio razziale penalmente rilevante e tale indagine non può prescindere dal richiamo di uno dei fondamentali principi del nostro ordinamento costituzionale che, esplicitandosi nell’art. 3 Cost, stabilisce che “tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”.

Sulla scorta di tale regola che vieta, quindi, disparità di trattamento fondate sulla diversità di razze o di etnie, di sesso, di lingua, di religione, l’odio razziale, idoneo a determinare un ulteriore e diverso profilo di disvalore di condotte già di per sé penalmente illecite, appare essere quel sentimento che, fondato proprio sull’opposto principio della diseguaglianza tra razze, finisce col negare dignità umana e civile a soggetti che appartengano a razze diverse da quella dell’agente.

Un primo e più risalente orientamento giurisprudenziale formatosi sull’argomento prende peraltro le mosse anche dalla definizione di diritti umani contenuta nella Convenzione di New York e, nelle sue pronunce più significative, statuisce che: “Ai fini della configurabilità della circostanza aggravante della "finalità di discriminazione o di odio etnico, nazionale, razziale o religioso", quale prevista dall'art. 3, comma primo, del D.L. 26 aprile 1993 n. 122, conv. con modif. in legge 25 giugno 1993 n. 205, non può considerarsi sufficiente una semplice motivazione interiore dell'azione, ma occorre che questa, per le sue intrinseche caratteristiche e per il contesto nel quale si colloca, si presenti come intenzionalmente diretta e almeno potenzialmente idonea a rendere percepibile all'esterno ed a suscitare in altri il

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