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Possibili criteri di liquidazione del danno da compromissione del reddito,

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Academic year: 2022

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Possibili criteri di liquidazione del danno da compromissione del reddito,

di Franco Bile*

Ci ritroviamo a parlare di danno alla persona, stavolta nella splendida cornice del Gargano, ed è doveroso ringraziare il dott.Cannavò per la sua infaticabile capacità di organizzatore e animatore.

Negli anni scorsi abbiamo esaminato, in tutta la gamma delle possibili articolazioni, il concetto del danno alla salute o danno biologico (adopero convenzionalmente le due espressioni come sinonimi, anche se a regola d'arte bisognerebbe distinguere).

Quest'anno siamo chiamati a riflettere sui problemi concernenti la riduzione della capacità lavorativa, considerati con riferimento all'alternativa fra "danno emergente e lucro cessante".

Il tema è tutt'altro che slegato rispetto a quello dei precedenti incontri. E infatti per una sua esatta comprensione non si può rinunziare a compiere almeno il tentativo di esplorare quel non esiguo territorio di frontiera, nel quale non è sempre facile distinguere la linea di demarcazione tra il danno alla salute, consistente come è noto nell'alterazione in senso peggiorativo dell'equilibrio psicofisico della persona umana che non incide peraltro sulla sua capacità di produrre reddito (ed è sicuramente quindi un "danno emergente"), e il danno patrimoniale vero e proprio, ravvisabile nella provata diminuzione di tale capacità reddituale (che va certamente collocato, almeno per taluni suoi aspetti, nella categoria del "lucro cessante").

A questo tentativo di ricognizione dei confini delle due aree concettuali dedicherò la prima parte del mio intervento, mentre la seconda concernerà più da vicino l'argomento di questa sessione, e cioè l'indagine sui possibili criteri di liquidazione del danno da compromissione del reddito, con particolare riferimento all'esigenza di evitare duplicazioni e sperequazioni.

Come ho fatto anche negli anni precedenti, mi riprometto di esaminare sia l'uno che l'altro aspetto sotto il profilo dell'evoluzione della giurisprudenza più recente della Corte di cassazione, che in questa materia si identifica pressoché totalmente con la Terza Sezione civile1 , così ponendo a profitto quel po' di informazione che mi proviene dallo svolgimento del mio quotidiano lavoro.

Non è davvero il caso di insistere ancora sull'estraneità del concetto di danno alla salute rispetto ad ogni profilo di incidenza sul reddito prodotto dal soggetto leso. Però se la distinzione è sufficientemente chiara in teoria nella pratica le cose si complicano non poco, e la linea di demarcazione si fa a volte alquanto evanescente, con le prevedibili e deprecabili conseguenze in termini di certezza del diritto e di rispetto del principio di eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge.

In realtà, sin dai primi tempi del processo che ha condotto all'affermazione del concetto di danno alla salute, la Corte di Cassazione ha precisato che esso, proprio perché caratterizzato dal suo riferimento alla persona umana in quanto tale e non in quanto soggetto produttore di un reddito, si pone in rapporto di radicale contrapposizione con la nozione di danno patrimoniale in senso stretto, che incide menomandola sulla capacità di produrre reddito. E di recente ha coerentemente soggiunto che proprio in quanto il danno biologico e il danno patrimoniale attengono a due distinte sfere di riferimento, il primo concernendo il diritto alla salute e il secondo riguardando la capacità di produrre

* Presidente III Sezione Civile Suprema Corte di Cassazione, Roma

1 Per questo motivo le note si limitano a richiamare soltanto alcune decisioni rese dalla Terza Sezione negli ultimi anni, nella misura strettamente necessaria a dar conto delle tesi illustrate nel testo.

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reddito, il giudice deve procedere a due distinte liquidazioni e può scegliere per ciascuna di esse il criterio ritenuto più idoneo2 . Infatti per il danno alla salute si deve aver prevalente riguardo al grado di invalidità e per il danno patrimoniale alla riduzione della capacità di guadagno3 .

Tuttavia la giurisprudenza ha ben avvertito l'esigenza di corredare il principio ora enunciato con l'apposizione di opportuni paletti perché il risarcimento sia bensì completo ma non al prezzo di tradursi in arricchimento senza causa, ed ha perciò opportunamente ricordato che i due danni, benché ontologicamente diversi, costituiscono pur sempre entrambi proiezione negativa nel futuro di un medesimo evento, sicché le liquidazioni, anche se distinte, devono essere considerate contemporaneamente, in modo che la liquidazione complessiva sia corrispondente al danno nella sua globalità4 .

Le maggiori difficoltà in tema di confini tra danno alla salute e danno patrimoniale sono state in concreto ravvisate a proposito di quelle figure escogitate in precedenza dalla pratica proprio per individuare singoli tipi di danno non riconducibile a decrementi patrimoniali in senso stretto. Mi riferisco in particolare al "danno alla vita di relazione" ed alla "lesione della capacità lavorativa genetica" e al "danno estetico". Ed è inutile ricordare come una delle più risalenti prese di posizione giurisprudenziali sia stata quella relativa all'assorbimento di tutte queste figure (e di altre a similari) nel danno alla salute.

Per quanto concerne il danno alla vita di relazione un tale assorbimento è in tesi generale assolutamente fuori discussione e le decisioni più recenti si soffermano se mai sulle modalità della liquidazione, precisando che essa deve avvenire mediante una personalizzazione qualitativa o quantitativa dei parametri adottati5 .

Ma in qualche caso la realtà è più forte o più fantasiosa delle formule e presenta profili che sembrano fatti apposta per metterle in crisi; i giudici sono così costretti a rimeditare su di esse; e ne derivano decisioni che a prima lettura sembrano passi indietro ovvero occasione per i mai abbastanza deprecati contrasti giurisprudenziali, ma poi ad un più meditato esame possono essere forse considerate come incentivi ad approfondimenti e precisazioni.

Si consideri ad esempio il caso della perdita totale della capigliatura, che ha dato luogo ad una sentenza secondo cui tale grave menomazione (incidente sulla vita di relazione) comporta, oltre una componente psico-fisica che rientra nel danno alla salute, anche una componente patrimoniale, collegata all'incidenza negativa che essa ha nell'esplicazione di attività complementari o integrative della normale attività lavorativa, determinando una riduzione della cd. capacità di concorrenza dell'individuo.6

Ora di questa sentenza si può probabilmente criticare l'uso di una formula (la "capacità di concorrenza") che rischia di confondere ancor più il panorama delle voci di danno, già troppo variegato. Ma essa si segnala perché affronta un problema reale.

Infatti bisogna probabilmente convenire con altre decisioni secondo cui il danno alla vita di relazione si compone di due aspetti, uno certamente di natura bio-psichica e l'altro più strettamente patrimoniale (compromissione peggiorativa dell'attività del soggetto, incidente sull'esplicazione di attività complementari o integrative rispetto alla normale attività lavorativa, e quindi di riflesso anche su quest'ultima): solo il primo rientra nell'area del danno alla salute, mentre l'altro deve essere valutato autonomamente7 .

2 Cfr. cass. 1 dicembre 1994 n. 10269, in Riv. Giur. circol. trasp. 1995, 332; Cass. 15 aprile 1996 n. 3539;

Cass. 19 aprile 1996 n. 3727; Cass. 24 settembre 1996 n. 8443.

3 Cass. 15 aprile 1996 n. 3539.

4 Cfr. Cass. 1 dicembre 1994 n. 10269, citata alla nota 2; Cass. 19 aprile 1996 n. 3727.

5 Cfr. Cass. 16 aprile 1996 n. 3564, in Giust. civ. 1996, I, 2949.

6 Cfr. Cass. 23 gennaio 1995 n. 755.

7 Cfr. Cass. 8 febbraio 1991 n. 1328, in Giust. Civ. 1992, I, 1345. La sentenza ha ritenuto peraltro di dover sottolineare che il riassorbimento de danno alla vita di relazione nel danno alla salute risponde, di fronte al

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Quindi ciò che conta è l'individuazione precisa del bene su cui nella singola fattispecie il danno incide, e non l'uso talora disinvolto delle formule definitorie. Tutte le volte che è colpita la capacità di svolgere l'attività lavorativa in concreto esercitata dal leso, allora si è in tema di danno patrimoniale (e di lucro cessante). Naturalmente questo danno deve essere provato, magari in via presuntiva, ricordando però la norma del codice civile (art.2729 comma 1) secondo cui le presunzioni devono essere "gravi, precise e concordanti". Ma ogni volta che è colpita la persona, per ciò solo e indipendentemente dalla misura della produzione di un reddito, si è in tema di danno alla salute (che è danno emergente). Solo avendo ben presente questa distinzione - che affonda le sue radici nella realtà delle cose e non nelle costruzioni teoretiche - si è al sicuro da rischi di duplicazioni e sperequazioni.

Altre occasioni di incertezza si riscontrano in tema di lesione della capacità lavorativa.

In linea di massima la giurisprudenza è ben ferma nel ritenere che la riduzione della capacità lavorativa generica - intesa come potenziale idoneità al lavoro di un soggetto che non stia svolgendo alcuna attività produttiva di reddito, né sia in procinto di svolgerla è risarcibile unicamente a titolo di danno alla salute, giacché in esso si comprendono tutti gli effetti negativi del fatto lesivo incidenti sul bene salute in sé considerato, e pertanto non può formare oggetto di un'autonoma voce di risarcimento come danno patrimoniale8 .

Non sorgono particolari problemi in tutti i casi in cui il soggetto leso né svolge attualmente, né è ragionevolmente in procinto di svolgere in futuro una qualsiasi attività lavorativa: si pensi alla persona anziana, giunta all'età della pensione, per la quale un danno patrimoniale vero e proprio, incidente cioè sulla misura del reddito in senso peggiorativo, non è certamente configurabile.

Ma le cose cambiano quando il leso sia persona che pur non lavorando ancora o non lavorando più al momento dell'evento dannoso abbia nel proprio progetto di vita, secondo previsioni di ragionevole attendibilità, il prossimo inserimento nel mondo del lavoro.

Si può ancora in ipotesi simili sostenere che il danno incide solo sulla "capacità lavorativa generica", risarcibile unicamente sotto il profilo della lesione del diritto alla salute?.

La giurisprudenza ha sovente affermato che in casi del genere è corretto parlare di danno patrimoniale futuro.

In particolare si è ritenuto che la mancanza di un reddito al momento dell'infortunio, ad esempio in quanto il soggetto leso non ha ancora raggiunto l'età lavorativa, può certo escludere il danno da invalidità temporanea, ma non anche il danno futuro collegato all'invalidità permanente, che proiettandosi nell'avvenire inciderà sulla capacità di guadagno della vittima, al momento in cui questa inizierà a svolgere un'attività remunerata9 .

Di recente ne ha riferito in questi giorni la stampa quotidiana lo stesso ordine di concetti ha consentito alla Corte di affermare che, in certe circostanze, anche il danno estetico può essere sottratto alla normale collocazione nella categoria del danno alla salute ed essere considerato ai fini del risarcimento del danno patrimoniale, ad esempio se riportato da una donna giovane per la quale, secondo ragionevoli valutazioni prognostiche, il deturpamento del viso è suscettibile di rendere più difficile o meno redditizio il prossimo inserimento nel mondo del lavoro, ovvero (trattandosi di soggetto già occupato) di determinare peggioramenti nelle prospettive di carriera ragionevolmente prevedibili.

Sembra evidente che siffatti indirizzi, pur se non sempre lo dicono apertamente, ragionano in termini di capacità lavorativa specifica ricavata secondo un corretto giudizio di prognosi sulle

proliferare di voci di danno, ad esigenze di chiarezza semplificatrice, con benefiche ripercussioni sia sul piano concettuale che sui criteri di liquidazione.

8 Cfr. Cass. 14 marzo 1995 n. 2932.

9 Cfr. Cass. 15 aprile 1996 n. 3539.

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concrete attitudini e potenzialità del soggetto e non di mera capacità lavorativa generica, che (come del resto è stato detto sin dalla prima sentenza che inquadrò la relativa lesione nel concetto di danno alla salute10 ) è soltanto "un generico modo di essere del soggetto", come tale insuscettibile di riflettersi sulla produzione del reddito. Ma bisogna tener conto, nell'adoperare siffatta terminologia, di quanto acutamente è stato detto in questi giorni 11 "a proposito dell'opportunità di parlare piuttosto che di incapacità lavorativa specifica" di "capacità di produrre reddito, attuale o futura".

Una tale lesione della capacità di produrre reddito che dà luogo pertanto ad un'ipotesi di lucro (futuro) cessante può liquidarsi in via equitativa tenendo presente, al fine di valutare con un giudizio prognostico quale potrà essere la futura attività lavorativa dell'infortunato, la sua età, il suo ambiente sociale e la sua vita di relazione12 .

In realtà in tal caso mentre il danno biologico costituisce un evento immanente (interno) al fatto illecito produttivo di una lesione dell'integrità biopsichica del danneggiato (danno evento), la lesione della cd. capacità di produrre reddito costituisce un danno patrimoniale e quindi trascendente (esterno) allo stesso fatto illecito (danno conseguenza): il primo è sempre sussistente, il secondo solo eventualmente13 .

Il discrimine fra le due ipotesi può quindi ravvisarsi nella valutazione positiva in ordine alla ragionevole possibilità che il soggetto leso svolga in futuro una determinata attività lavorativa: una tale valutazione positiva comporta l'incidenza in senso peggiorativo dell'evento dannoso su siffatta potenzialità e dà luogo a danno patrimoniale sotto forma di lucro cessante.

Certamente si tratta di una valutazione non facile, come tutte quelle che si proiettano nel futuro e che peraltro il giudice è chiamato sovente a compiere, con prudenza, nei più svariati settori dell'ordinamento. Al riguardo, e restando in tema di danno alla persona, la giurisprudenza ha precisato che il danno patrimoniale consistente nella ridotta possibilità di guadagno, costituendo danno futuro, va risarcito non solo nelle ipotesi in cui esso si produrrà con assoluta certezza, ma anche quando possa ritenersi partendo dall'esame di situazioni già esistenti che esso si produrrà secondo una ragionevole e fondata previsione14 e che per la liquidazione di questi danni da fatto illecito che si proiettano nel futuro può procedersi ad una valutazione equitativa in base al principio dell' id quod plerumque accidit"15 .

Per concludere sull'argomento si può ricordare anche la sentenza secondo cui è errata la liquidazione del danno per lesioni alla persona che, ai fini della determinazione del danno biologico e del danno patrimoniale, discrimini la tipologia delle lesioni, considerando separatamente alcune di esse come riduttive della capacità lavorativa specifica (per la liquidazione del danno patrimoniale) e le altre come incidenti sull'integrità psico-fisica (per la liquidazione del danno biologico), perché si tratta di un criterio irragionevole che determina un'arbitraria riduzione di entrambe le voci del danno16 .

Ed eccoci alla seconda parte dell'intervento, dedicata all'indicazione dei possibili criteri di liquidazione del danno da compromissione del reddito, e in particolare del reddito da lavoro.

10 Cfr. Cass. 19 marzo 1993 n. 3260, in Resp. civ. e prev. 1993, 268, con nota di COMANDE'; e in Dir.

economia assicur. 1993, 637, con nota di CHILLEMI.

11 Da Antonio NANNIPIERI, nella relazione tenuta in data odierna.

12 Cfr. sentenza citata alla 9.

13 Cfr. Cass. 16 aprile 1996 n. 3563: la massima peraltro colloca sullo stesso piano sia la capacità lavorativa specifica che quella generica, al fine di qualificare le lesioni di entrambe come ipotesi di danno

patrimoniale, così ponendosi in contrasto con l'orientamento inaugurato dalla sentenza di cui alla nota 10.

14 Cfr. Cass. 17 aprile 1996 n. 3629.

15 Cfr. Cass. 16 settembre 1996 n. 8281.

16 Cfr. Cass. 17 giugno 1996 n. 5542.

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Sul punto, come è universalmente noto, provvedono i primi tre commi dell'art.4 del decreto legge 23 dicembre 1976 n.857, convertito nella legge 26 febbraio 1977 n.39. Il primo comma dispone che quando si debba considerare l'incidenza dell'inabilità temporanea o dell'invalidità permanente su un reddito da lavoro, tale reddito si determina - se si tratta di lavoro dipendente sulla base del reddito di lavoro maggiorato dei redditi esenti e delle detrazioni di legge e se si tratta invece di lavoro autonomo sulla base del reddito netto risultante più elevato tra quelli dichiarati ai fini dell'l.r.pe.f.

degli ultimi tre anni. Il secondo comma fa salva "in ogni caso" la prova contraria rispetto alle risultanze delle dichiarazioni tributarie, attribuendo peraltro al giudice il potere di segnalare all'ufficio delle imposte dirette i casi in cui dalla prova emerga una notevole sproporzione del reddito accertato rispetto a quello dichiarato. Il terzo comma infine soggiunge che "in tutti gli altri casi il reddito che occorre considerare ai fini del risarcimento non può comunque essere inferiore a tre volte l'ammontare annuo della pensione sociale".

Lasciamo da parte, per una volta, la tormentata questione se il criterio di cui al terzo comma si possa utilizzare ai fini della liquidazione del danno alla salute, risolta decisamente in senso negativo dalla giurisprudenza di legittimità, mentre quella di merito è ancora oscillante, pur se recenti ricerche dimostrano una sempre maggiore adesione a tale indirizzo.

E soffermiamoci invece brevemente ad esaminare il diverso problema dell'individuazione dell'esatta portata del criterio equitativo posto dal terzo comma, in particolare per quanto concerne la possibilità di farvi ricorso nei casi in cui il danneggiato non sia riuscito a provare la misura del proprio reddito di lavoro con gli strumenti di cui ai primi due commi.

Al riguardo l'evoluzione giurisprudenziale si è sviluppata attraverso fasi contrastanti.

Alcune volte si è in passato ritenuto che il terzo comma dell'art.4, che fa riferimento al triplo della pensione sociale, disciplini le ipotesi in cui un reddito da lavoro esista, ma non risulti alla stregua dei criteri di cui ai primi due commi17, con la conseguenza che il danneggiato il quale non sia riuscito a provare la misura del proprio reddito mediante il ricorso alle dichiarazioni tributarie, sarebbe pur sempre legittimato ad avvalersi del criterio del triplo della pensione sociale previsto per "tutti gli altri casi".

Su opposto versante si sono invece attestate altre decisioni, secondo le quali la determinazione del reddito, ai fini del risarcimento del danno alla persona così come disciplinata dal citato art.4, non può avvenire equitativamente, ma deve essere necessariamente effettuata in base alle risultanze delle dichiarazioni fiscali (salva la prova contraria volta a dimostrare la divergenza fra la realtà e il contenuto di tali dichiarazioni)18 . Se ne è tratta la conseguenza che nel caso in esame è precluso al giudice il ricorso alla valutazione equitativa di cui al terzo comma, il quale considera invece soltanto i soggetti che, pur potenzialmente idonei a produrre un reddito, non svolgano al momento attività lavorative economicamente rilevanti ovvero i lavoratori autonomi aventi al momento, per particolari contingenze, un reddito negativo.

In un simile scenario la questione è stata sottoposta all'esame della Corte costituzionale dalla Corte di appello di Trieste, che dubitava della conformità della disciplina di cui all'art.4 rispetto al principio di eguaglianza.

La Corte costituzionale ha dichiarato la questione non fondata, condividendo l'interpretazione data alla norma dalle sentenze della Corte di cassazione che avevano accolto il secondo dei ricordati orientamenti19 , e ritenendo che tale interpretazione pone l'art.4 al riparo dai dubbi di irrazionalità o di contrarietà al principio di eguaglianza.

17 Cfr. Cass. 30 gennaio 1990 n. 645; Cass. 1 dicembre 1994 n. 10269.

18 Cfr. Cass. 10 luglio 1994 n. 5669, in Foro it. 1994, I, 2070; Cass. 30 maggio 1995 n. 6074.

19 Cfr. Corte Cost. 24 ottobre 1995 n. 445, in Giust. civ. 1996, I, 16: la decisione richiama in motivazione le sentenze della Corte di cassazione ricordate alla nota 17.

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Vale peraltro la pena di ricordare che la Consulta non ha rinunziato ad apportato un suo contributo all'interpretazione della norma, quando ha precisato che nella previsione del terzo comma rientrano accanto ai lavoratori dipendenti o autonomi con reddito negativo per particolari contingenze altresì coloro che percepiscono un reddito bensì positivo, ma insuscettibile, per la sua esiguità o discontinuità o precarietà o per altre cause, di costituire idonea componente di base del calcolo probabilistico delle possibilità di reddito futuro, salve beninteso le risultanze delle prove raccolte ai sensi del secondo comma.

L'indirizzo giurisprudenziale della Corte di Cassazione cui ha prestato adesione la Corte Costituzionale è stato di recente ulteriormente riaffermato e precisato20 per cui si può ben dire che quello che ha rischiato di dar vita ad un contrasto giurisprudenziale all'interno della stessa Terza Sezione può ormai considerarsi come un fisiologico processo evolutivo del tutto concluso.

Mette conto perciò di ripercorrere brevemente la trama argomentativa dell'ultima sentenza, che si articola nei passaggi seguenti:

a) la precisazione contenuta nel primo comma dell'art.4 ("quando agli effetti del risarcimento si debba considerare l'incidenza dell'inabilità ... su un reddito di lavoro") è, da un punto di vista letterale, chiaramente ed inequivocabilmente in correlazione con l'espressione che apre il terzo comma ("in tutti gli altri casi"), il quale di conseguenza deve interpretarsi nel senso che fa riferi- mento all'eventualità che "si debba considerare l'incidenza dell'inabilità" su un reddito diverso da quello di lavoro;

b) d'altro canto è palese l'intento del legislatore che, nel dettare la disposizione in esame, intendeva arginare l'evasione o comunque l'elusione fiscale, ed in tal senso è significativa l'ultima parte del secondo comma, concernente il potere del giudice di segnalare all'ufficio delle imposte dirette i risultati della prova che abbia segnalato un reddito notevolmente sproporzionato rispetto a quello indicato nella dichiarazione;

c) è pertanto del tutto inaccettabile l'applicabilità del terzo comma al caso in cui il reddito da lavoro non sia stato provato ai sensi dei due commi precedenti, perché ne deriverebbero conseguenze aberranti: infatti l'evasore parziale, che ha denunziato al fisco un reddito inferiore al reale, non solo ha l'onere di dimostrare la precisa entità del proprio reddito, ma per di più è esposto alla se- gnalazione del giudice all'ufficio tributario, con la prevedibile conseguenza di ulteriori accertamenti fiscali; per contro, paradossalmente, l'evasore totale, che pur svolgendo un'attività lavorativa, non ha mai denunziato nulla al fisco, non solo non sarebbe gravato da particolari oneri probatori, ma potrebbe ottenere un risarcimento del danno calcolato sulla base del triplo della pensione sociale annua senza essere in alcun modo soggetto a verifiche fiscali, in quanto il potere di segnalazione del giudice all'ufficio delle imposte presuppone che il reddito sia stato accertato ai sensi del secondo comma e non anche del terzo;

d) conseguentemente alla mancata spontanea produzione in giudizio della dichiarazione fiscale da parte del lavoratore danneggiato non può non seguire l'ordine di esibizione da parte del giudice che dall'eventuale sua inosservanza può certamente trarre argomenti di prova.

La sentenza non lo dice espressamente, ma il contesto della motivazione consente di estrapolare un ulteriore passaggio, nel senso che quando si debba liquidare il danno patrimoniale da riduzione del reddito di lavoro la mancata esibizione della dichiarazione fiscale ben può giustificare, di per sé, il rigetto della domanda risarcitoria.

20 Cfr. Cass. 9 ottobre 1996 n. 8817, in Foro it. 1996, I, 3691.

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