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L’IRRIDUCIBILITÀ DELL'UOMO A VALORE ECONOMICO

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Academic year: 2022

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L’IRRIDUCIBILITÀ DELL'UOMO A VALORE ECONOMICO di

Eugenio Ripepe*

Di mestiere faccio il filosofo del diritto e non vorrei che ci si aspettasse da me ciò che ci si aspetta da un filosofo, o meglio dallo stereotipo del filosofo, cioè una filippica vibrante e piena di sacro sdegno sulla inopportunità di dare un valore agli uomini.

Questo tipo di filosofo è ormai fuori moda, ma è anche il tipo di filosofo per il quale i non filosofi hanno simpatia, ma anche con un termine logicamente simile ma non del tutto identico, hanno compatimento oltre che simpatia.

“Il prezzo dell'uomo”. Ripeto questo tale filosofo comincerebbe ad evocare una serie di citazioni e ce ne sono tante togliendole dal mare magnum di poeti, scrittori, filosofi, e scrittori di aforismi, intorno alla irriducibilità dell'uomo a valore economico. Ci si potrebbe indignare dell'idea stessa che ciò che è irripetibile, cioè l'individuo, o anche una parte di ciò che è irripetibile, possa essere calcolata in termini monetari, quantitativi.

E tuttavia proprio questo filosofo che vibra di sdegno quando gli capita, perché può capitare anche ai filosofi dabbene di avere qualche piccolo problema, che qualcuno gli ha impedito con il suo comportamento sciagurato, per un certo periodo, l'uso delle mani impedendogli di scrivere al computer un saggio contro l'uso dei computer nello scrivere i saggi, questo stesso filosofo riterrà ovvio e scontato che qualcuno debba pur risarcirlo della necessità alla quale egli va incontro di ingaggiare un dattilografo che lo sostituisca in questa attività manuale.

Allo stesso modo questo filosofo non metterebbe in dubbio nel caso in cui, a causa dei postumi di un incidente, per una sorta di depressione o di incapacità di concentrazione, non riuscisse a rispettare i termini di un contratto editoriale per cui non solo perderebbe l'anticipo eventualmente avuto perché non riesce a consegnare il lavoro dell'editore nei termini, ma addirittura andasse incontro ad una penale, non dubito che questo uomo dabbene, poiché essere uomini dabbene non vuol dire essere costretti alla dabbenaggine, esigerebbe immediatamente di essere ripagato da questo suo danno.

Vorrei parlare di una cosa che ha ancora meno prezzo perché mentre queste nozioni sono in qualche modo riconducibili alla patrimonialità, c'è qualcosa che non è riconducibile alla patrimonialità, e tuttavia impone una riflessione. E questo qualcosa è, come noto, il cosiddetto pretium doloris, la conseguenza morale della lesione o addirittura della morte, la conseguenza di chi rimane in vita. Ecco, a maggior ragione non si può pretendere di ridurre a moneta, di patrimonializzare, di quantificare in termini economici quello che è il pretium doloris.

Chi può calcolare in termini economici la perdita di certe possibilità che rientrano in uno stile di vita. Chi mi potrà risarcire della impossibilità di fare una passeggiata in montagna in un giorno di maggio, oppure di fare una passeggiata in riva al mare, chi potrà ridarmi la possibilità di assistere ad un'alba o ad un tramonto, o molto più semplicemente ad uno spettacolo televisivo o cinematografico?

E nemmeno di albe e di tramonti è necessario parlare, di montagne o di mare, ma semplicemente della possibilità di soffiarsi il naso, quando se ne ha bisogno o di grattarsi la fronte o di stropicciarsi gli occhi. Chi può monetizzare questa impossibilità? E' chiaro che

* Preside della Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Pisa

Collana Medico Giuridica IL PREZZO DELL'UOMO

ed. Acomep, 1995

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non ha senso, direbbe il nostro noto filosofo, assumere che ci sia una qualche possibilità di esprimere in termini di risarcimento quel che semmai dovrebbe dar luogo ad un risarcimento in forza specifica che è, per ovvie ragioni, improponibile.

Eppure secondo me non si può risolvere così il problema. Una società che voglia essere la società che noi vogliamo che sia, cioè non una trama di relazioni economico-sociali e basta, ma una comunità di uomini, uno Stato che voglia rispondere alle aspettative non può ignorare questi problemi. La necessità cioè che qualcuno e dunque lo Stato o la Società si faccia carico di queste tragedie che non possono sicuramente avere nessun lieto fine e nessuna alternativa: chi mi può ripagare dell'impossibilità di abbracciare un bambino, chi potrà esprimere in termini di quantità qualcosa che non si può esprimere neanche a parole: il sentimento nei confronti dell'oggetto d'amore, donna, uomo, padre, figlio.

Evidentemente sembrerebbe che questi discorsi fossero di una materialità sconfortante per chi guarda a queste miserie umane e si indigna di fronte alla possibilità stessa di porsi il problema, di vedere se veramente non c'è nulla da fare. Il fatto che un certo danno, usiamo questo termine, che vuol dire una tragedia di vita, di uno o più individui, non sia sanabile, non sia riparabile, vuol dire che non ci sia nulla da fare per quanto riguarda la società o lo Stato.

Ecco il problema che vorrei sottolineare: qualcuno dovrà pur farsi carico di queste tragedie. Non è possibile che non ci sia nulla da fare.

Io credo che se siamo arrivati alla convinzione che qualcosa si debba fare quando ci sono delle catastrofi che sono opera degli agenti naturali che comunque sono al di fuori della società, la società non può non farsi carico di ciò che avviene ad uno dei suoi membri per opera di un altro dei suoi membri.

Vorrei concludere con una nota faceta, anche per cambiare tono, e non vorrei che queste parole mi facessero diventare proprio quel tale filosofo che non volevo essere. La nota faceta mi viene suggerita da una pubblicazione che è uscita in questi giorni, in occasione del 650° anniversario dalla fondazione dell'Università di Pisa, ed in questa pubblicazione, ci sono dei documenti molto interessanti a proposito dei professori di questa università nel '400 e nel '500.

Ebbene uno dei crucci di questi professori era quel di non essere pagati abbastanza, cruccio diffuso a categorie sociali molto più ampi dei professori ed anche a tempi più ampi di quella a cui faccio riferimento.

Ma la specificità di questo cruccio era che spesso le doglianze erano dovute al fatto che gli altri venivano pagati di più, giacché nella coscienza comune la bravura del professore si misurava con lo stipendio che gli amministratori dell'Università erano disposti a dargli. C'è una polemica furiosa fra due illustri giuristi: Gian del Maino e Bartolomeo Sozzini, più giovane di lui, che aveva uno stipendio uguale al suo. Gian del Maino non chiede di avere di più, ma chiede che abbia meno l'altro. E vorrei fare un altro esempio: uno dei più importanti giuristi, della fine del '400, a Pisa, Filippo Decio, ci tenne a fare scrivere sulla sua tomba assieme all'evocazione di altre virtù il fatto che l'Università di Pisa gli concedeva uno stipendio annuo particolarmente elevato e c'è la cifra in fiorini.

Questo vuol dire che, al di là dei discorsi, a volte il valore dell'uomo può avere un prezzo, purché questo prezzo sia abbastanza alto!

Collana Medico Giuridica IL PREZZO DELL'UOMO

ed. Acomep, 1995

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