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Efficacia bilaterale della notifica della sentenza, equipollenza tra la notifica dell’impugnazione e la notifica della sentenza ai fini della decorrenza del termine breve per impugnare e principio dell’equipollenza bilaterale. - Judicium

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CORTE DI CASSAZIONE; sezione III civile; sentenza 5 agosto 2010, n. 18184; Pres. DI

NANNI, Est. URBAN, P.M. LIBERTINO (concl. inamm.); avv. Carmelo Sorace c. Area Trading s.r.l. c. Unicredit Banca d’Impresa s.p.a.

La notifica di un atto di impugnazione presuppone la pronunzia della sentenza oggetto dell’impugnazione stessa, ma non implica che la sentenza medesima sia legalmente conoscibile in tutti i punti dalla parte che subisce l’impugnazione, anche per le parti che non siano state impugnate. Pertanto, per il destinatario di una impugnazione inammissibile o improponibile non decorre il termine breve di cui all’art. 325 c.p.c. per proporre una nuova impugnazione.

ROBERTO VACCARELLA

Efficacia bilaterale della notifica della sentenza, equipollenza tra la notifica dell’impugnazione e la notifica della sentenza ai fini della decorrenza del termine breve per impugnare e principio

dell’equipollenza bilaterale.

1. Ricevuto un ricorso per cassazione, il controricorrente eccepisce la sua inammissibilità per decorrenza del termine breve di impugnazione, per avere egli in precedenza già impugnato mediante appello la medesima sentenza del Tribunale di Torino che si era pronunciata su una opposizione agli atti esecutivi; a suo dire, il ricorrente avrebbe dunque potuto proporre il ricorso per cassazione solo entro il termine di 60 giorni decorrente dalla sua prima impugnazione, secondo quanto previsto dall’art. 325, 2° c., c.p.c., e non nel termine annuale di cui all’art. 327 c.p.c.

La Corte di Cassazione ritiene priva di pregio l’eccezione, osservando che «il termine breve di impugnazione decorre soltanto in forza di una conoscenza legale del provvedimento da impugnare e cioè di “una conoscenza conseguita per effetto di una attività svolta nel processo della quale la parte sia destinataria o che ella stessa ponga in essere, la quale sia normativamente idonea da determinare da se detta conoscenza o tale, comunque, da farla considerare acquisita con effetti esterni rilevanti sul piano del rapporto processuale». Afferma ancora la Cassazione che «E’

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evidente che la notifica di un atto di impugnazione presuppone la pronunzia della sentenza oggetto dell’impugnazione stessa, ma non implica che essa sia legalmente conoscibile in tutti i punti dalla parte che subisce l’impugnazione, anche per le parti che non siano state impugnate».

La sentenza in commento affronta dunque – sia pure assai laconicamente – la questione della cd.

conoscenza legale della sentenza e degli effetti che quest’ultima produce sui termini per l’impugnazione, focalizzando al riguardo l’attenzione sulla parte che quest’ultima subisce.

In prima battuta, la Suprema Corte sembra conformarsi, sia pure con una verbale concessione alla rilevanza della conoscenza legale, a quell’orientamento che tuttavia esclude che la notifica dell’impugnazione sia idonea – com’è invece la notifica della sentenza ai sensi degli artt. 285 e 326, 1° c., c.p.c. - a far decorrere il termine breve di impugnazione di quest’ultima1.

Secondo diverso e ben noto orientamento della stessa Suprema Corte2 invece - in presenza di precedente notifica di una impugnazione inammissibile o improponibile3 - la medesima parte può

1 Nel senso che hai fini della decorrenza del termine breve di impugnazione la notifica della sentenza nelle forme di cui all’art. 285 c.p.c. non ammette equipollenti, vedi Cass. 19.3.1979, n. 1603, in Rep. giur. it., 1979, n. 41; Cass.

19.3.1981, n. 1620, in Giust. Civ., 1981, II, 2030; Cass. 10.1.1981, n. 208 in Foro it, rep. 1981, voce Impugnazioni civili, n. 40, secondo cui «Ai fini del decorso del termine breve per la proposizione della impugnazione, la notifica della sentenza non ammette equipollenti, neppure nella conoscenza che la parte ne abbia comunque acquisito in via di fatto»; Cass. 4.10.1983, n. 5768, id., rep. 1983, voce cit., n. 53, secondo cui «Il termine breve di impugnazione decorre soltanto dalla notificazione della sentenza, senza possibilità di equipollenti, onde tale decorrenza non si configura nei confronti dei soggetti processuali che non siano né notificanti, né notificati, a nulla rilevando che essi siano venuti altrimenti a conoscenza della sentenza»; Cass. 27.1.1984, n. 645, id., rep. 1984, voce cit., n. 26; Cass. 3.6.1985 n. 3297, id., rep. 1985, voce cit., n. 28; Cass. 9.6.1987, n. 5037, id., rep. 1987, n. 41; Cass. 3.7.1987, n. 5851, id., rep. 1987, n.

43; Cass. 28.11.1987, n. 8881, id., rep. 1987, voce cit., n. 40; Cass. 17.6.1997, n. 5421, id., rep. 1997, voce cit., n. 50.

2 Nel senso della equipollenza, ai fini della decorrenza del termine breve per l’impugnazione, tra la notifica della sentenza e la notifica dell’impugnazione avverso la medesima, vedi Cass. 20.5.1982, n. 3111, in Foro it., rep. 1982, n.

2210; Cass. 7.9.1995, n. 9415, id., rep. 1995, voce Cassazione civile, n. 16; Cass. 25.7.1991, n. 8328, id., rep. 1991, voce cit., n. 41; 29.5.1990, n. 5022, id., rep. 1990, voce Impugnazioni civili, n. 96; Cass. 22.5.1987, n. 4666, id., rep. 1987, voce Cassazione civile, n. 99; 20.6.1985, n. 3713, id., rep. 1985, voce Impugnazioni civili, n. 111; Cass. 30.6.2006, n.

15082; Cass. 23.7.2007, n. 16207, in Mass. Giur. It., 2007; Cass. 29.1.2010, n. 2055, in Ced Cassazione, 2010; Cass.

15.4.2010, n. 9058, id., 2010; Cass. 26.5.2010, n. 12898.

3 Rimane naturalmente fermo e non messo in discussione il principio di consumazione del potere di impugnazione, secondo il quale è preclusa una seconda impugnazione ad opera della medesima parte quando la prima impugnazione non risulta viziata. Si vuole in questo modo evitare che l’attività impugnatoria venga reiterata o frazionata da chi, proposta una prima impugnazione, solo in un secondo momento decida di prospettare delle doglianze prima taciute.

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nuovamente proporre il gravame purché non sia già decorso il termine breve da quella prima impugnazione, non trovando più applicazione il termine lungo di cui all’art. 327 c.p.c.4

Quest’ultima giurisprudenza parifica infatti, affinché possa dirsi realizzata la conoscenza legale della sentenza, la notifica dell’atto di impugnazione alla notifica della sentenza oggetto dell’impugnazione medesima, con la conseguenza che “ove il soccombente in primo grado proponga, avverso la relativa sentenza non notificata, una prima impugnazione davanti al giudice di appello, e successivamente, ritenendo la medesima sentenza ricorribile soltanto per cassazione, una seconda impugnazione mediante ricorso in sede di legittimità, in tanto può essere ritenuta ammissibile e tempestiva quest’ultima impugnazione in quanto sia proposta entro il termine breve decorrente dalla notifica del primo atto di appello”5.

L’interesse per la decisione in commento scaturisce allora dal fatto che coinvolge principi come quello “dell’effetto bilaterale” della notifica della sentenza e dell’equipollenza - ai fini della decorrenza del termine breve di impugnazione - tra la notifica della sentenza e la notifica dell’impugnazione proposta avverso di essa6 che, contestualizzati e interpretati con le osservazioni Vedi Cass. 2.4.1997, n. 2872, in Foro it., rep. 1997, voce Cassazione civile, n. 44; Cass. 5.5.1995, n. 4871, id., rep. 1995, voce cit., n. 187; Cass. 8.5.1992, n. 5453, id., rep. 1992, voce cit., n. 63; Cass. 1.2.1988, n. 882, id., rep. 1988, voce cit., n. 76; Cass. 12.3.1985, n. 1953, id., rep. 1985, voce Impugnazioni civili, n. 13; Cass. 15.3.1984, n. 1754, id., rep. 1984, voce Cassazione civile, n. 110.

4 La legge n. 69 del 18.6.2009, in vigore dal 4.7.2009 e applicabile ai giudizi instaurati dopo tale data ai sensi dell’art.

58, comma 1 della medesima legge, ha con l’art. 46, comma 17, ridotto a sei mesi l’originario termine lungo di un anno dalla pubblicazione della sentenza per la proposizione dell’impugnazione di cui all’art. 327, comma 1°, c.p.c.. La sentenza in commento, come anche tutte le altre decisioni della Suprema Corte che verranno citate nel presente scritto, fanno tuttavia ratione temporis ancora riferimento al precedente termine lungo di un anno per la proposizione dell’impugnazione in assenza di notifica della sentenza.

5 Così Cass. 29.1.2010, n. 2055.

6 Entrambi questi principi verranno trattati, anche criticamente per quanto concerne il secondo, nel corso del presente studio. Basti qui solo anticipare che per effetto bilaterale della notifica della sentenza si intende che a seguito della notifica della sentenza il termine breve per proporre l’impugnazione comincia a decorrere tanto per il notificato quanto per il notificante. Al riguardo vedi Cass. 25.6.1980, n. 3990, in Mass. Foro it., 1980, 798; Cass. 5.12.1979, n.

6320, ivi, 1979, 1280; Cass. 1.12.1979, n. 6279, ivi, 1979, 1272; Cass. 28.7.1981, n. 4846, in Mass. Foro. It, 1981, 989;

Cass. 5.2.1982, n. 675, in Rep. Giur. it., 1982, n.26; in dottrina ANDRIOLI, Diritto processuale civile, I, Napoli, 1979, 772;

LIEBMAN, Manuale di diritto processuale civile, II, 4a ed., Milano, 1981, 268; MANDRIOLI, Diritto processuale civile, II, 3°

ed., Torino, 1981, 286; REDENTI, Diritto processuale civile, rist. 2° ed. II, Milano, 1957, 323; SATTA, Commentario al

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svolte dal giudice di legittimità con particolare riferimento agli effetti sulla decorrenza dei termini di impugnazione che quest’ultima produce sulla parte che la subisce, sollecitano le riflessioni che seguono.

2. Nella sentenza che ci occupa l’eccezione di inammissibilità del ricorso in cassazione proposto decorso il termine breve di sessanta giorni dalla notificazione del precedente atto di appello, è stata infatti sollevata contro il ricorrente (che nella precedente vicenda impugnatoria risultava appellato).

Non si tratta, cioè, di un caso omologabile a quelli assai frequenti in cui la Cassazione ha affermato l’equipollenza tra la notifica dell’impugnazione e la notifica della sentenza al fine di verificare la tempestività di una seconda impugnazione proposta con intenzioni “sananti” dalla stessa parte che aveva proposto la prima impugnazione (inammissibile o improponibile).

Nella fattispecie, il controricorrente ha dunque invocato - per sostenere l’inammissibilità del ricorso per cassazione perché tardivo – quell’ulteriore orientamento giurisprudenziale che del principio di bilateralità e di quello di equipollenza costituisce la crasi e per il quale l’equiparazione tra la notifica della sentenza e la notifica dell’impugnazione, ai fini della decorrenza del termine breve per proporre una seconda impugnazione, può sostenersi non soltanto per chi l’impugnazione promuove ma anche per chi quest’ultima subisce7.

codice di procedura civile, cit., 355. Per principio di equipollenza si intende invece l’equiparazione, sempre agli effetti della decorrenza del termine breve per la proposizione dell’impugnazione, tra la notifica della sentenza e quella dell’impugnazione avverso quella medesima sentenza, che come vedremo trova fondamento nella presunzione di conoscenza legale che ha della sentenza chi la impugna, a prescindere dal fatto che gli sia stata o meno notificata. In dottrina, vedi CERINO CANOVA, Sulla soggezione del notificante al termine breve di gravame, in Riv. Dir. Proc., 1982, 624;

AMATO, Termine breve di impugnazione e bilateralità della notificazione della sentenza nel processo tra due sole parti, in Riv. Dir. Proc., 1985, n. 330; IMPAGNATIELLO, Proposizione di impugnazione inammissibile, conoscenza della sentenza e decorrenza del termine breve per impugnare, in Foro it., 1994, I, 439; RASCIO, Sentenza non notificata e appello sottoscritto da procuratore extra districtum: sul termine di riproposizione dell’impugnazione viziata, in Foro it., 1998, I, 2942. Vedi anche CHIOVENDA, Sulla pubblicazione e notificazione delle sentenze civili (1901), in saggi di diritto processuale civile, Milano, rist. 1993, II, 283; FOSCHINI, Gli equipollenti della notificazione, in Riv. Proc. Penale, 1961, 1;

PUGLIATTI, in Enc. del diritto, voce Conoscenza, IX, Milano, 1961, 130; SATTA, Commentario al codice di procedura civile, Milano, rist. 1966, II, 2, 34; Satta-Punzi, Diritto processuale civile, Padova, 1992, 522; PROVINCIALI, Delle impugnazioni in generale, Napoli, 1962, 206; VELLANI, Appunti sull’impugnazione incidentale tardiva, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1951, 977. Per la giurisprudenza si rimanda alle note 1 e 2.

7 Cfr. Cass. 9.6.2006, n. 13431, in Arch. Giur., 2007, 4, 416, secondo cui «Il termine breve per impugnare una sentenza decorre di regola dalla notificazione ai sensi degli artt. 285 e 170 c.p.c., a meno che la proposizione della stessa o di

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In diverse occasioni, la Suprema Corte ha infatti osservato che la regola dell’art. 326, 2° comma, c.p.c. della equivalenza, ai fini della decorrenza del termine breve di impugnazione, tra la notifica della impugnazione e la notifica della sentenza agli effetti della scienza legale di quest’ultima, è applicabile tanto al soccombente che dopo aver proposto una prima impugnazione ne propone un’altra davanti al medesimo organo giurisdizionale o con un altro mezzo davanti a un organo diverso, quanto alla parte destinataria della notifica dell’impugnazione.

Tale ultimo principio della Suprema Corte sembra rappresentare la “naturale” conclusione cui si perviene confidando nella validità e nella coesistenza degli altri due sopra enunciati della bilateralità della notifica della sentenza e della equipollenza tra quest’ultima e la sua impugnazione ai fini della decorrenza del termine breve per eventualmente riproporre la (o proporre una diversa) impugnazione.

Si pretende insomma che operi il seguente sillogismo: se in virtù dell’effetto bilaterale la notifica della sentenza – ai fini della decorrenza del termine breve di cui all’art. 325 c.p.c. – produce i suoi effetti tanto per il notificante quanto per il notificatario, e se in virtù del principio di equipollenza la notifica dell’impugnazione – sempre ai fini della decorrenza del termine breve di cui all’art. 325 c.p.c. – equivale alla notifica della sentenza, è giocoforza concludere che la notifica dell’impugnazione al pari della notifica della sentenza è idonea a far decorrere il termine breve per proporre una diversa impugnazione tanto per il notificante quanto per il notificatario.

altra impugnazione abbia determinato il decorso del termine per chi l’ha proposta e le altre parti ai sensi del capoverso dell’art. 326 c.p.c.»; Cass. 20.1.2006, n. 1196, in Mass. Giur. it., 2006; Cass. 22.11.2002, n. 16535; Cass.

3.4.2001, n. 4918; 12.11.1993, n. 11176; Cass. 2.7.1990, n. 6759. Tale ultima sentenza – anche se citata dalle altre qui menzionate come precedente con cui corroborare l’orientamento giurisprudenziale cui la presente nota si riferisce – si differenzia tuttavia dalle altre in quanto in quel caso specifico la tardività della seconda impugnazione (per revocazione) promossa avverso la medesima sentenza non notificata, era stata dedotta non per essere il soggetto mero destinatario della prima impugnazione (mediante ricorso per cassazione), ma per essere quest’ultimo ricorrente incidentale e quindi nella sostanza per aver impugnato a sua volta. Pertanto, in quell’occasione la Suprema Corte ha in realtà fatto applicazione del meno pervasivo e più moderato orientamento giurisprudenziale secondo cui ai fini della decorrenza del termine breve di impugnazione la notifica dell’impugnazione equivale alla notifica della sentenza per il solo notificante e non anche per il notificato.

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Nella fattispecie che ci occupa il controricorrente, per sostenere l’inammissibilità dell’avverso ricorso in cassazione, aveva pertanto invocato quest’ultimo ulteriore e sincretico principio che potremmo definire della “equipollenza bilaterale”.

E’ evidente però come il venir meno di uno dei due presupposti del ragionamento sillogistico di cui sopra comporti l’integrale scardinamento del principio di “equipollenza bilaterale” che su quei presupposti trova fondamento. Riconosciuta unanimemente come pacifica la validità del principio dell’effetto bilaterale della notifica della sentenza, può dunque tornarsi a ragionare sulla validità delle ragioni su cui poggia il principio di equipollenza, per verificare se esse siano o meno idonee a supportare anche il principio di “equipollenza bilaterale”.

3. La sentenza in commento offre sul punto un ulteriore elemento di riflessione. Dopo avere ritenuto evidente, in maniera non poco pleonastica, che la notifica di un atto di impugnazione presuppone la pronunzia della sentenza oggetto dell’impugnazione stessa, il giudice di legittimità afferma che ciò tuttavia non implica “che essa [la sentenza] sia legalmente conoscibile in tutti i punti dalla parte che subisce l’impugnazione, anche per le parti che non siano state impugnate”.

Sembra allora che la Cassazione voglia confermare il principio di “equipollenza bilaterale”, circoscrivendolo tuttavia ai soli casi in cui sia davvero agevole riscontrare che chi ha subito l’impugnazione abbia avuto, per ciò solo, conoscenza integrale della sentenza impugnata.

Si pensi ad esempio al caso in cui dall’impugnazione si evince nella sua interezza la sentenza impugnata in quanto il testo di quest’ultima è stato integralmente trascritto nell’atto di impugnazione o nel caso in cui la sentenza si fonda su quell’unico capo di pronuncia sottoposto a impugnazione.

E’ innegabile che nelle ipotesi appena citate il destinatario dell’atto di impugnazione ha avuto, vuoi perché la sentenza sia stata integralmente trascritta nell’atto che gli è stato notificato, vuoi perché tutti i capi di pronuncia della sentenza sono stati assoggettati a gravame, integrale conoscenza dell’impugnata sentenza. Altrettanto innegabile è tuttavia il fatto che se si dovesse seguire questa strada e attribuire a quell’enunciato della Suprema Corte una autonoma valenza precettiva, dovrebbe concludersi nel senso che con questa decisione la Cassazione ha condiviso il principio di equipollenza bilaterale ma al contempo ne ha voluto circoscrivere l’operatività a ben determinati casi.

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La Cassazione, invece che prendere posizione a favore di uno dei due opposti orientamenti diretti all’avvalorare o al negare la ricorrenza del principio di equipollenza, sembra dunque introdurre il criterio della terza via, consistente nella valutazione caso per caso di tale equiparabilità a seconda che la sentenza impugnata sia stata o meno integralmente conoscibile per mezzo della sola impugnazione. Una tale conclusione presuppone tuttavia la validità della ratio sottesa all’equipollenza tra la notifica della sentenza e dell’impugnazione ai fini della decorrenza del termine breve di cui all’art. 326 c.p.c.; ratio che consiste nell’affermare la conoscenza legale che della sentenza ha tanto chi la notifica quanto chi la impugna.

Il che ci porta a modificare la prima impressione sopra esposta e a concludere che nella sentenza in commento la Suprema Corte ha ritenuto inapplicabile l’equipollenza unicamente perché nella fattispecie concreta la precedente impugnazione aveva ad oggetto un solo capo della sentenza impugnata e non quest’ultima nella sua interezza, di talché se ne doveva comunque escludere la conoscenza legale.

L’equipollenza viene dunque arginata e degradata da principio di carattere generale a valutazione caso per caso, circoscritta quindi a quelle sole ipotesi in cui la conoscenza legale della sentenza, a seguito di sua impugnazione, possa sostenersi non per essere un assioma, ma perché si è appurato che in quella fattispecie l’impugnazione ha costituito il mezzo attraverso cui l’intera sentenza è stata portata a conoscenza di chi l’impugnazione ha subito, o perché è stata sottoposta a gravame in tutti i suo capi o perché trascritta integralmente nell’atto di impugnazione.

E’ evidente, tuttavia, come una siffatta impostazione incontri le medesime critiche che si possono muovere al principio di equipollenza tout court.

Anche se si sostiene infatti che la notifica dell’impugnazione non sempre equivalga alla notifica della sentenza ai fini della decorrenza del termine breve per riproporla, ma nei soli casi in cui per mezzo della prima impugnazione si ha avuto modo di conoscere l’intera sentenza, si è infatti visto come il presupposto di entrambe le posizioni sia identico e consista nella presunzione che chi notifica l’impugnazione, al pari di chi notifica la sentenza, ha avuto conoscenza di quest’ultima, di talché nei suoi confronti comincerà a decorrere il termine breve di cui all’art. 325, 1° c., c.p.c.

Ciò comporta che venuto meno quel presupposto comune della presunzione legale di conoscenza della sentenza quale condizione che determina la decorrenza del suddetto termine breve, verrà meno

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l’intera impalcatura sulla quale poggia il principio di equipollenza e possa dunque di nuovo imporsi il principio – che per le ragioni che di seguito si cercheranno di illustrare si ritiene l’unico rispondente all’interpretazione sistematica delle norme qui in gioco - secondo cui ai fini della decorrenza del termine breve di impugnazione la notifica della sentenza ai sensi dell’art. 285 c.p.c.

non ammette equipollenti di sorta.

Si ritiene tuttavia opportuno, per agevolare la comprensione del ragionamento che segue, menzionare innanzitutto le ragioni per le quali si è sostenuta l’efficacia bilaterale della notifica della sentenza, per poi ripercorrere brevemente i corollari che da esse si sono tratti e che hanno dato vita alle posizioni dottrinali e giurisprudenziali che, in maniera opposta, hanno sostenuto o negato l’equiparazione tra la notifica della sentenza la notifica dell’impugnazione inammissibile o improcedibile ai fini della decorrenza del termine breve per eventualmente riproporre l’impugnazione corretta.

4. Il codice di rito del 1865 prevedeva espressamente che gli effetti della notifica della sentenza si producevano tanto per il notificante quanto per il notificatario. L’art. 45 disponeva che “Quando la legge stabilisca un termine da decorrere dalla notificazione, questo termine decorre anche contro la parte a cui istanza è seguita la notificazione, salvo che la legge abbia diversamente stabilito”. La ratio di quella disposizione derogatrice alla regola per cui nessuno pone in mora se stesso, era individuata nell’esigenza della parità delle armi, per cui non si potevano limitare i poteri della controparte senza contestualmente limitare i propri8, nonché dall’essere gli effetti dell’attività svolta, proprio perché interni al rapporto processuale, necessariamente comuni ad entrambe le parti di questo.

8 In argomento, BETTI, Diritto processuale civile italiano, Roma, 1936, 456; MORTARA, Commentario del codice e delle leggi di procedura civile, II, 4° ed., Milano, 1923, 626, 801; CERINO CANOVA, Sulla soggezione del notificante al termine breve di gravame, cit., 627, il quale ricorda anche come questa disposizione del codice del 1865 si uniformava a quella dell’art. 1144 del codice sardo del 1859 e come invece la sua abrogazione sia andata nella direzione opposta a quanto invece accadeva in Francia, dove l’art. 528, al. 2 del nouvea code de procédure civile, istituito con decreto 5 dicembre 1975, stabiliva per tutti i mezzi di impugnazione che Le délai court même à l’encontre de celui qui notifie.

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Abrogata la norma con l’entrata in vigore del nuovo codice, il principio di cui quella norma era espressione sopravvive grazie all’elaborazione giurisprudenziale9 e dottrinale. In particolare, la dottrina individua tre diverse ragioni in base alle quali poter sostenere la perdurante validità dell’efficacia bilaterale della notifica della sentenza.

La prima viene ritenuta implicita nel tenore del primo comma dell’art. 326 c.p.c. che, non operando distinzioni tra i soggetti nei confronti dei quali il termine breve decorre, può essere letto nel senso che quel termine decorre nei confronti di entrambi i soggetti della notificazione10.

La seconda, viene ricondotta alla volontà della parte di concludere il processo favorendo il passaggio in giudicato della sentenza attraverso l’innesco di termini più brevi per la sua impugnazione, il che è stato detto non può che avvenire se non con riferimento a tutte le parti coinvolte11, compresa quella che si è attivata per l’accelerazione.

La terza, grazie anche allo specifico contributo giurisprudenziale sul punto, si individua nell’attribuire efficacia dirimente alla presunzione di conoscenza che deve avere della sentenza chi

9 Cfr. cit. Cass. 20.5.1982, n. 3111, secondo cui «Se è vero infatti che la notifica della sentenza fa decorrere il termine breve per l’impugnazione anche nei confronti di colui ad iniziativa del quale la notificazione è stata eseguita, è tuttavia necessario, a questi effetti, che la notificazione sia stata eseguita, ai sensi degli art. 285 e 170, 1° comma, c.p.c., al procuratore costituito»; vedi anche Cass. 25.10.1972, n. 3249, in Foro it., rep. 1972, voce Impugnazioni civili, n. 10;

Cass. 29.7.1966, n. 2100, id., rep. 1967, voce cit., n. 29. Sulla comunanza del termine per l’impugnazione ad entrambe le parti, vedi anche ancora prima Cass. 17.3.1953, n. 653, id., 1953, I, 787. Contra, nel senso che la notifica della sentenza effettuata personalmente alla parte costituita mediante difensore, ovvero in forma esecutiva alla parte personalmente, è inidonea a far decorrere il termine breve ad impugnare solo nei confronti della parte destinataria della notifica e non anche della parte notificante che invece resterebbe a quella vincolata, vedi Cass. 30.10.1981, n.

5741, in Foro it., rep. 1981, voce Impugnazioni civili, n. 49; Cass. 14.4.1981, n. 2244, id., n. 52; Cass. 21.7.1978, n. 3614, id., rep. 1979, voce cit., n. 35; Cass. 7.3.1959, n. 675, id., rep. 1959, voce Impugnazioni civili, n. 30.

10 AMATO, Termine breve di impugnazione e bilateralità della notificazione della sentenza nel processo con due sole parti, cit., 332.

11 SATTA, Commentario al codice di procedura civile, cit., 355; REDENTI, Diritto processuale civile, cit., 323. Tale impostazione è stata criticata da CERINO CANOVA, op. ult. cit., 632, che ha evidenziato come essa ponga in risalto l’istanza di parte necessaria per compiersi la notifica di cui all’art. 285 c.p.c. quando tuttavia “il termine breve è l’effetto di una operazione compiuta dall’ufficiale giudiziario ed avente come oggetto un provvedimento autoritativo, ossia conseguente ad una attività che non è di parte né per il soggetto né per il contenuto. La volontà dell’istante assume rilievo solo per l’impulso impresso alla sequenza ed al più condiziona l’efficacia della notifica; non è comunque la causa di un effetto direttamente stabilito dalla legge nell’art. 326 c.p.c. Pertanto va radicalmente respinta l’idea che riconduce il termine breve ad un atto dispositivo di tenore negoziale”.

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quest’ultima notifica al pari di chi la riceve. Viene osservato che se la notifica della sentenza incide sul termine di impugnazione del destinatario perché gli fornisce la conoscenza del provvedimento da impugnare o comunque perché attribuisce data certa al momento in cui la pronuncia si ritiene conosciuta, è giocoforza concludere che anche e soprattutto chi da impulso all’operazione di notifica manifesta, con ciò solo, di avere avuto notizia della decisione e quindi di aver potuto valutare se sottoporla o meno a gravame.

Tale ultima impostazione, fondata sulla presunzione di conoscenza della sentenza che incombe su tutte le parti coinvolte nel procedimento di notifica, ha tuttavia trovato la critica di chi - in forza della decadenza annuale dall’impugnazione impostata sulla pubblicazione della sentenza ai sensi dell’art. 327 c.p.c.- si è chiesto se fosse vero che “il nostro codice gradua la decadenza dell’impugnazione in corrispondenza alla notizia oppure all’ignoranza del provvedimento”. Si è allora sostenuto che “la rilevanza della notifica non ha il suo fondamento né nel fatto che il nostro ordinamento rimette all’iniziativa delle parti la formazione del giudicato né nella circostanza che i termini di impugnazione corrono dalla conoscenza del provvedimento”. In particolare, si è detto che

“l’affidamento di conoscenza connaturato all’efficacia della pubblicazione non può essere contraddetto da affermazioni del seguente tipo: la notifica produce un termine abbreviato di gravame, poiché fa conoscere alla parte il provvedimento impugnando. Non può essere contraddetto in tal modo poiché si dovrebbe presumere in assenza di notifica una legale ignoranza e si cancellerebbe il ruolo sistematico assunto dall’art. 327 c.p.c.”12

A tali assunti è stato tuttavia obiettato che nel nostro ordinamento la conoscenza effettiva della sentenza assume rilevanza in pochi e determinati casi e soprattutto che il termine per impugnare è collegato dalla legge a due cause che determinano entrambe la conoscenza legale della sentenza: la

12 Così CERINO CANOVA, op. ult. cit., 635. L’autore, in sostanza, ritiene giustamente che la presunzione di conoscenza legale della sentenza si concretizza attraverso la decorrenza del termine lungo di impugnazione ex art. 327 c.p.c., mentre la notifica della sentenza non determina tale presunzione di conoscenza, la quale comunque si sarebbe prodotta con la decorrenza del termine lungo. La notifica della sentenza determina allora unicamente una sensibile riduzione del tempo per scegliere se impugnare o meno. Afferma l’Autore che con la notifica “viene trasmessa nella sfera del destinatario la copia autentica della sentenza ed è conferita data certa al momento in cui è possibile una valutazione sulla convenienza del gravame. Insomma, il legislatore concede alle parti un anno affinché acquisiscano il testo della pronuncia onde apprezzarne il contenuto e deliberare sull’impugnazione; tuttavia riduce sensibilmente il tempo della scelta quando il provvedimento viene partecipato con particolari formalità”.

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sua pubblicazione per la decorrenza del termine lungo (art. 327, 1° c., c.p.c.) e la sua notificazione per la decorrenza del termine breve (art. 326, 1° c., c.p.c.).

Ambedue queste fattispecie determinano una situazione oggettiva di più o meno ampia conoscibilità della sentenza che il legislatore traduce in una presunzione di conoscenza legale13; quest’ultima pertanto non può ricondursi alla sola notifica della sentenza per la decorrenza del termine breve, inidonea perciò di per se a spiegare gli effetti bilaterali della notifica della sentenza.

Mentre la pubblicazione della sentenza soddisfa tuttavia l’interesse pubblico a porre fine al processo per l’esigenza di certezza nei rapporti giuridici decorso un anno dalla sua pubblicazione, perché entro tale termine la parte ha avuto ampia possibilità per procurarsi il testo della sentenza e per decidere se impugnarla o meno, la sua notificazione mediante un procedimento formale e solenne soddisfa invece l’interesse privato della parte di ottenere il più rapidamente possibile il passaggio in giudicato della sentenza; da ciò, si è detto, scaturisce in capo alla parte un potere di modificazione giuridica che si sostanzia nel poter abbreviare il termine di impugnazione, se e quando lo si ritiene confacente al proprio interesse14.

In questi termini, l’effetto bilaterale della notifica della sentenza viene ricondotto non più alla presunzione di conoscenza che di essa ha il mittente della notifica (quanto il suo destinatario) per il solo fatto di averne avuto - per richiederne la notifica - il possesso materiale, ma all’interesse della parte di ottenere mediante la notifica della sentenza l’abbreviazione dei tempi per il suo passaggio in giudicato; interesse quest’ultimo che proprio perché corrisponde a quello del notificante non può che implicare anche la sua partecipazione agli effetti della notifica della sentenza15.

13 AMATO, Termine breve di impugnazione e bilateralità della notificazione della sentenza nel processo con due sole parti, cit. 339.

14 Amato, op. ult. cit., 355.

15 E’ questa l’opinione espressa da AMATO, op. ult. cit., 364, secondo cui “non si può dire che manchi al notificante un interesse ad anticipare la conclusione del processo – col passaggio in giudicato della sentenza – dando inizio, con la notificazione della sentenza stessa, al decorso del termine breve tanto nei suoi confronti quanto nei confronti del notificato. Tale interesse, infatti potrebbe essere non solo quello di anticipare i tempi per un’eventuale esecuzione forzata, ma anche quello di vedere presto e definitivamente consolidata la regolamentazione dei rapporti disposta con la sentenza. E si tratta in ogni caso di interesse meritevole di tutela non solo perché apprezzabile per la parte, ma anche perché coincidente con l’interesse pubblico ad una sollecita conclusione dei processi”.

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L’abbandono della presunzione di conoscenza della sentenza in capo al notificato e al notificante per dare invece risalto all’interesse della parte di ottenere il più rapidamente possibile il passaggio in giudicato della sentenza al fine di spiegare l’effetto bilaterale della notifica di quest’ultima per la decorrenza del termine breve per impugnarla, rappresenta uno snodo di particolare importanza.

In tal modo, si può agevolmente spiegare perché nessuno mette tuttora in discussione quell’effetto bilaterale e come tuttavia la ratio ad esso sottesa costituisce in realtà una delle principali ragioni per negare l’equipollenza tra la notifica della sentenza e la notifica della sua impugnazione ai fini della decorrenza del termine breve di cui all’art. 325, 1° c., c.p.c.

5. Non esiste nel nostro ordinamento una disposizione che collega gli effetti della notifica della sentenza, ai fini della decorrenza del termine breve per impugnarla, alla conoscenza della sentenza medesima.

Tale assunto, come detto di matrice prettamente giurisprudenziale e dottrinale, può essere allora confutato considerando in primo luogo che la presunzione di conoscenza della sentenza si verifica già per effetto della sua pubblicazione, coincidente con la data del suo deposito nella cancelleria dell’organo giurisdizionale che l’ha pronunciata16, e non anche con la sua notifica che rappresenta – rispetto alla pubblicazione – un momento logico e temporale successivo ed eventuale.

Bisogna anche intendersi sul significato da attribuire al termine “conoscenza legale”. Quest’ultima altro non è che la finzione di conoscenza che si attua “nei modi (e solo nei modi) presunti dalla legge ed idonea a produrre gli effetti previsti dalla legge”17. All’ordinamento non interessa che la parte che ha partecipato al giudizio abbia acquisito conoscenza della sentenza, perché tale accadimento è rimesso alla sua ordinaria diligenza. Ciò che interessa è che il processo, inteso come sequenza di atti formali, prestabiliti, scadenzati e funzionali allo scopo di fornire alla parte la tutela dei propri diritti, giunga alla sua naturale conclusione.

16 Secondo MORTARA, Commentario del codice e delle leggi di procedura civile, cit., 114, il deposito della sentenza nella cancelleria dell’autorità giudiziaria coincide con l’inizio della presunzione della sua conoscenza ad opera delle parti, con la conseguenza che «la formalità della pubblicazione potrebbe giudicarsi ancora utile come quella che determina in modo preciso il momento in cui la sentenza acquista la condizione anzidetta di atto pubblico».

17Così AMATO; op. ult. cit., pag. 445.

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Il deposito della sentenza altro non costituisce allora che uno di quegli atti formali che segna la fine del processo di primo grado, a compimento del quale la legge assume che la sentenza debba ritenersi conosciuta o conoscibile e da cui fa quindi decorrere il termine (lungo) entro cui alla parte è attribuita la possibilità di attivarsi per modificare la realtà giuridica stabilita nella sentenza, che altrimenti acquista l’intangibilità del giudicato. Si ritiene peraltro che il legislatore, nel riferirsi all’atto pubblico sentenza, non a caso abbia usato nell’art. 133 c.p.c. il termine “pubblicazione” per indicare il suo deposito presso la cancelleria del giudice, ma l’abbia fatto con l’intenzione di voler identificare con quell’atto la diffusione della statuizione non solo tra le parti dirette interessate, ma erga omnes. Ciò, ad ulteriore conferma del fatto che la presunzione di conoscenza della sentenza si realizza con il suo deposito e non certo con la sua notifica.

Quest’ultima, rappresenta allora il sollecito che una parte lancia all’altra per costringerla all’impugnazione entro e non oltre quel dato termine, nella consapevolezza che in caso di mancata impugnazione avrà immediatamente raggiunto lo scopo del passaggio in giudicato della sentenza per perseguire il quale – nel caso invece di mancata notifica – avrebbe invece dovuto aspettare oltre l’anno dalla sua pubblicazione. Una sorta di diffida all’impugnazione che in se racchiude l’esplicito – in quanto normativamente previsto dal primo comma dell’art. 326 c.p.c. – avvertimento che in caso di mancata impugnazione nei termini stabiliti dalla legge la sentenza non sarà più attaccabile e le sue statuizioni definitive.

Nella notifica della sentenza e nell’effetto bilaterale che da tale notifica discende, ai fini della decorrenza del termine breve, non rileva pertanto la conoscenza legale della sentenza, ma unicamente la volontà della parte di ottenere immediatamente entro un arco temporale più limitato, l’intangibilità del giudicato. E se alla iniziativa della notifica corrisponde dunque la volontà di ottenere il prima possibile il passaggio in giudicato della sentenza, e se l’effetto immediato della notifica è quello di abbreviare i termini dell’impugnazione, non può che convenirsi che tale effetto della notifica della sentenza in tanto possa realizzare lo scopo per cui è preposto (passaggio in giudicato della sentenza) in quanto sia comune ad entrambe le parti.

Il ragionamento qui esposto sembra d’altronde trarre supporto normativo nelle disposizioni del titolo terzo, capo primo, del codice di rito sulle impugnazioni in generale. Dopo aver enunciato con l’art. 323 c.p.c. quali sono i mezzi di impugnazione, il codice chiarisce con il successivo art. 324

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c.p.c. sulla cosa giudicata formale quale sia la loro funzione: evitare il passaggio in giudicato della sentenza.

Quest’ultimo tuttavia, a tenore delle disposizioni successive, si realizza comunque decorso un anno dalla pubblicazione della sentenza o, a seconda dei casi, del termine di trenta o sessanta giorni dalla sua notificazione.

Le disposizioni in esame appaiono dunque lineari nel rinvenire il fondamento del termine breve per l’impugnazione a seguito della notifica della sentenza non già nella conoscenza (effettiva o legale) di quest’ultima, bensì nell’interesse ad ottenere anticipatamente il passaggio in giudicato della sentenza. Il fatto che poi nelle norme di cui sopra il legislatore faccia invece – ma in relazione a fattispecie completamente diverse – riferimento alla conoscenza di determinati accadimenti18 (tra i quali peraltro non vi è mai la sentenza in quanto tale), costituisce la riprova che non sussiste legame tra la notifica della sentenza ai fini della decorrenza del termine breve di impugnazione e la sua conoscenza effettiva o presunta che sia, in quanto quando il legislatore ha voluto a quelle riferirsi, l’ha fatto espressamente.

6. Si è accennato al fatto che per principio di equipollenza si intende che la notifica di una impugnazione inammissibile o improcedibile produce, ai fini della decorrenza del termine breve di cui all’art. 325, 1° c., c.p.c., gli stessi effetti della notifica della sentenza, di talché non potrà proporsi una nuova valida impugnazione se non entro il termine breve decorrente dalla prima impugnazione ritenuta viziata.

Questo discorso presuppone naturalmente che, rispetto alla prima impugnazione, non sia intervenuta alcuna pronuncia giudiziale di inammissibilità o improcedibilità, trovando altrimenti applicazione la disciplina di cui agli artt. 358 e 387 c.p.c. sulla non riproponibilità dell’appello o del

18 Mi riferisco ai casi di cui all’art. 395 n. 1, 2, 3 e 6 e 397, nonché all’ipotesi di cui al secondo comma dell’art. 327 c.p.c., secondo cui il contumace non è vincolato nemmeno all’osservanza del termine lungo di impugnazione quando dimostra di non aver avuto conoscenza del processo per nullità della citazione o della notificazione di essa e per nullità della notificazione degli atti di cui all’art. 292 c.p.c. Ora, mentre nei casi di revocazione assume rilevanza fondamentale la conoscenza effettiva e reale degli accadimenti lì menzionati, che in quanto tale deve essere scrupolosamente provata, nel giudizio contumaciale assume rilevanza non già la conoscenza della sentenza bensì quella del processo in se, che si identifica con la regolarità della citazione o della sua notificazione.

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ricorso in cassazione dichiarati inammissibili o improponibili, anche se rispetto ad essi non è ancora scaduto il termine fissato dalla legge.

In giurisprudenza si è così sostenuto che la proposizione di un’impugnazione, non ancora dichiarata inammissibile o improcedibile, non ne preclude la riproposizione, quando non sia ancora decorso il termine per una valida rinnovazione; termine che, nell’ipotesi in cui la sentenza non sia stata notificata al soccombente, decorre dalla notifica della prima impugnazione perché fornisce la prova della legale conoscenza della sentenza19.

Il ragionamento della Suprema Corte può così riassumersi: i) chi notifica l’impugnazione al pari di chi notifica la sentenza ha avuto conoscenza (legale) di quest’ultima; ii) la conoscenza legale della sentenza costituisce per entrambi notificante e notificatario la causa della decorrenza del termine breve di impugnazione; iii) queste due iniziative di impugnazione e di notifica della sentenza hanno dunque in comune la presunzione di conoscenza della sentenza in capo a chi le pone in essere, presunzione che costituisce altresì la ratio della decorrenza del termine breve per impugnare la sentenza; iv) in tanto può allora riproporsi una nuova valida impugnazione in quanto non sia ancora decorso rispetto alla prima il termine breve.

Si vede come il perno della motivazione alla quale la Suprema Corte riconduce il principio di equipollenza è costituito dalla presunzione legale di conoscenza della sentenza in capo a chi notifica l’impugnazione al pari di chi effettua o riceve la notifica della sentenza quale condizione idonea a determinare la decorrenza del termine breve di cui all’art. 325, 1° c., c.p.c.

Come già accennato20, l’equipollenza non ha tuttavia mai costituito un principio pacifico nella giurisprudenza della Suprema Corte. Negli stessi anni in cui perorava l’equipollenza, il giudice di legittimità sosteneva anche una tesi a quella opposta, ovverosia che «L’art. 358 c.p.c. secondo cui il diritto di impugnazione non può ritenersi consumato se non quando sia intervenuta una pronunzia giudiziale che abbia dichiarato l’inammissibilità o l’improcedibilità del gravame, opera sempre che non siano decorsi i termini di legge per proporre l’appello, cioè il termine annuale decorrente dalla

19 Così Cass. 10.1.1977, n. 92; pressoché identica Cass. 26.11.1977, n. 5153, entrambe in Foro it., rep. 1977, voce Impugnazioni civili, nn. 35 e 23.

20 Vedi i riferimenti giurisprudenziali in nota 1 e 2.

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pubblicazione della sentenza (art. 327) ovvero il termine breve di trenta giorni, il quale decorre non già dalla notificazione del gravame inammissibile o improcedibile, bensì, come di norma (art. 326), dalla notificazione della sentenza impugnata, indipendentemente dalla circostanza che tale notificazione sia anteriore o posteriore all’impugnazione invalida».21

Questa diversa soluzione prospettata dalla Suprema Corte traeva origine dai seguenti argomenti: a) la formulazione letterale dell’art. 387 c.p.c. (come quella dell’art. 358 stesso codice), che fa riferimento al “termine fissato dalla legge” senza introdurre alcuna deroga al disposto dell’art. 326, 1° comma, c.p.c.; b) il carattere assoluto ed inderogabile della norma dell’art. 326, 1° comma, c.p.c., quanto alla identificazione della notificazione della sentenza come atto idoneo a far decorrere il termine breve per l’impugnazione, con conseguente preclusione della possibilità di far ricorso a situazioni equipollenti, ivi compresa la conoscenza aliunde che della sentenza medesima abbia avuto la parte o il suo procuratore; c) la inutilizzabilità, in senso contrario, della disposizione contenuta nel 2° comma dell’art. 326 c.p.c., la quale, diretta ad assicurare la simultaneità del processo in fase di impugnazione, si riferisce alla impugnazione “valida”, e, comunque, ha una portata eccezionale, non invocabile come espressione di un principio generale.

A dirimere tale contrasto giurisprudenziale, nel senso favorevole al principio di equipollenza, sono intervenute nel 1981 le Sezioni Unite. Dopo aver affermato che il “termine fissato dalla legge” di cui all’art. 387 c.p.c. deve interpretarsi secondo quanto la legge detta al riguardo, eventualmente anche in tema di decorrenza del termine breve dalla data della notificazione dell’impugnazione viziata e da rinnovare, il Supremo Collegio riconosce che la notifica della sentenza non ammette equipollenti ai fini della decorrenza del termine breve per l’impugnazione perché solo così si realizza la sua conoscenza legale, ma al tempo stesso sostiene che “ciò non implica, peraltro, che tale principio non possa soffrire deroga ad opera della legge o di altri principi da questa desumibili;

e ne è chiaro esempio proprio il 2° comma dell’art. 326 c.p.c.”

Il capoverso dell’art. 326 c.p.c. prevede che nelle ipotesi di cause scindibili l’impugnazione proposta contro una parte faccia decorrere nei confronti dello stesso soccombente il termine per proporla contro le altre parti.

21 Così cit. Cass. 19.3.1981, n. 1620, in Giust. Civ., 1981, 2030.

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Le Sezioni Unite trasformano allora l’eccezione di cui al 2° comma dell’art. 326 c.p.c. nella regola e avallano quel principio generale già espresso in giurisprudenza per il quale la notifica dell’impugnazione equivale alla notifica della sentenza perché come per essa si presuppone la conoscenza legale di quest’ultima22.

7. In dottrina, tale orientamento è stato tuttavia apertamente criticato.

Si è osservato come il capoverso dell’art. 326 c.p.c. abbia un ambito applicativo sicuramente circoscritto, presupponendo la pendenza di un processo con pluralità di parti su cause scindibili e la proposizione di una impugnazione valida e come la ratio della norma altro non sia se non quella di garantire l’unità del giudizio nelle fasi di impugnazione, evitando così al giudice di dover ogni volta disporre l’integrazione del contraddittorio ai sensi dell’art. 332 c.p.c.23

E’ stata anche giustamente rimarcata l’incompatibilità logica dell’equipollenza con quell’altro pacifico insegnamento giurisprudenziale secondo cui nel processo con pluralità di parti, il principio

22 Cfr. cit. Cass. 20.5.1982, n. 3111. All’obiezione, sempre riferibile all’opposto schieramento della Suprema Corte e nel testo enunciata sub c), secondo cui l’art. 326, 2° c., c.p.c. si riferisce solo all’impugnazione valida e non anche a quella inammissibile o improcedibile, le Sezioni Unite ribattono che anche in tale ultima ipotesi si verifica la pendenza del giudizio di impugnazione, per cui l’intimato deve proporre le proprie impugnazioni ex art. 333 c.p.c. in via incidentale nello stesso processo, «sicché l’interesse (di natura pubblicistica) di assicurare la simultaneità nella fase di impugnazione, in tal modo tutelato, indubbiamente sussiste; e non può limitarsi ad imporre all’intimato di attivarsi, a pena di decadenza, nei brevi speciali termini previsti (quanto al giudizio di cassazione) dall’art. 371 c.p.c., per lasciare poi libero l’autore dell’impugnazione principale viziata di riproporla (quando la sentenza non sia stata notificata) nel termine annuale di cui all’art. 327 stesso codice; con ulteriore, aberrante conseguenza di ritenere persistente, a carico dell’intimato, l’onere di notificare la sentenza (a colui che per primo la ha già impugnata) in funzione sollecitatoria, quando poi il vero interesse dello stesso intimato è semmai quello di ottenere la declaratoria di inammissibilità od improcedibilità prima che la rinnovazione dell’impugnazione principale sia effettuata. Deve perciò essere confermato il principio che il termine breve per la rinnovazione dell’impugnazione inammissibile ed improcedibile, non ancora dichiarata tale, decorra dalla data della notificazione della prima impugnazione». Sul punto, vedi critico IMPAGNATIELLO, Proposizione di impugnazione inammissibile, conoscenza della sentenza e decorrenza del termine breve per impugnare, cit., 448.

23 Vedi IMPAGNATIELLO, op. ult. cit., 448; RASCIO, Sentenza non notificata e appello sottoscritto da procuratore extra districtum: sul termine di riproposizione dell’impugnazione viziata, cit., 2951; CERINO CANOVA, Sulla soggezione del notificante al termine breve di gravame, cit., 374; AMATO, Termine breve di impugnazione e bilateralità della notificazione della sentenza nel processo con due sole parti, cit., 375; CARNACINI, Decorrenza dei termini dalla notificazione di un gravame non coltivato?, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1956, 1027. Di contrario avviso, ANDRIOLI, Commento al codice di procedura civile, Napoli, 1957, II, 594.

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che per l'unitarietà del termine per la impugnazione la notifica della sentenza eseguita ad istanza di una sola delle parti segna, nei confronti della stessa e della parte destinataria della notificazione, l’inizio del termine per la proposizione dell'impugnazione contro tutte le altre parti, è applicabile quando si tratti di cause inscindibili o tra loro dipendenti, ovvero la controversia concerna un unico rapporto sostanziale o processuale; non è invece applicabile quando si versi nella distinta ipotesi di più cause che avrebbero potuto essere trattate separatamente e solo per motivi contingenti sono state riunite in un solo processo. In tale ipotesi, poiché all'interesse di ciascuna parte corrisponde un interesse autonomo d'impugnazione, il termine per impugnare non è infatti più unitario, ma decorre dalla data delle singole notificazioni a ciascuno dei titolari dei diversi rapporti definiti con l'unica sentenza.

Si è qui allora sottolineata l’assurdità della giurisprudenza che «finisce per riconnettere alla proposizione dell’impugnazione una scienza legale della sentenza che, senza nessuna particolare ragione, risulterebbe più intensa ed efficace di quella susseguente alla notifica del provvedimento stesso, in quanto idonea ad accelerare per il soggetto istante la formazione del giudicato anche nei confronti delle altre parti in cause scindibili»24.

8. Tutte le argomentazioni svolte per criticare il principio di equipollenza appaiono ragionevoli e condivisibili. In particolare, non può condividersi la posizione di chi vede nella conoscenza legale della sentenza il fondamento della decorrenza del termine breve di impugnazione e da qui trae la duplice conseguenza della bilateralità degli effetti della notifica della sentenza tanto per il notificante quanto per il notificato e dell’equivalenza tra la notifica della sentenza e la notifica della sua impugnazione. Quanto agli effetti bilaterali che derivano dalla notifica della sentenza, si è in precedenza rilevato che la decorrenza del termine breve di impugnazione si giustifica non perché si presume che chi pone in essere quell’attività abbia la conoscenza legale della decisione, ma perché

24 Così RASCIO, op. ult. cit., che conclude affermando come «L’istintivo sfavore per una simile conclusione alimenta il sospetto che la disposizione dell’art. 326, 2° c., c.p.c. non implichi affatto quel collegamento tra esperimento dell’impugnazione, acquisizione della conoscenza legale della sentenza e decorrenza del termine breve dell’art. 325 c.p.c., che in essa viene invece individuato dalla Cassazione al fine di limitare nel tempo anche la possibilità di rinnovare il gravame inammissibile o inammissibile contro sentenza non notificata». In giurisprudenza, cfr. Cass.

27.6.1985, n. 3849, in Foro it., rep. 1985, voce Impugnazioni civili, n. 33; Cass. 23.11.1983, n. 6995, id., rep. 1983, voce cit., n. 42; Cass. 24.5.1997, n. 4635, id., rep. 1997, voce cit., n. 51.

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chi notifica vuole ottenere il prima possibile, in uno spazio temporale ridotto, il formarsi del giudicato.

Non sussiste dunque alcuna connessione sistematica – come innanzi si è provato a dimostrare – tra la conoscenza della sentenza e la decorrenza del termine breve di impugnazione25.

Se questo è vero, se dunque la presunzione di conoscenza della sentenza non costituisce la ratio alla quale l’ordinamento ricollega la decorrenza del termine breve per di cui agli artt. 325 e 326 c.p.c., non può peraltro e a maggior ragione sussistere alcuna connessione tra la notifica di una prima impugnazione inammissibile o improcedibile e la decorrenza del termine breve per eventualmente riproporla correttamente. Chi impugna una sentenza ha, o dovrebbe avere avuto, conoscenza della sentenza; ma se quest’ultima, come visto, non è la condizione in forza della quale l’ordinamento riconduce la decorrenza del termine breve di impugnazione, è giocoforza concludere che quest’ultimo non decorre per il solo fatto che la sentenza è stata impugnata. In tale ultimo caso e qualora la sentenza non sia stata notificata, l’impugnazione potrà allora essere validamente proposta sino a quando non sia maturata la decadenza per la decorrenza del termine lungo di cui all’art. 327 c.p.c.: vengono dunque meno le ragioni sulle quali poggia il principio di equipollenza e con esse il principio stesso.

Né l’art. 326, 2° c., c.p.c. offre ulteriori elementi in base ai quali poter ipotizzare l’operatività di siffatto principio. Il fatto che l’impugnazione proposta contro una parte faccia decorrere nei confronti dello stesso soccombente il termine per proporla contro le altre parti, trova la sua ragione

25 Numerosi sono peraltro i casi in cui si ha la conoscenza legale della sentenza senza peraltro che ad essa si ricolleghi alcune decorrenza del termine per proporre l’impugnazione. Si pensi all’iscrizione di ipoteca giudiziale, alla trascrizione della sentenza, alla produzione di essa nel procedimento di correzione materiale della decisione da rettificare, alla richiesta presso la cancelleria della copia conforme della sentenza da parte del medesimo difensore abilitato alla proposizione dell’impugnazione. In tutti questi casi la giurisprudenza è tuttavia concorde nel sostenere che non si determina la conoscenza legale della decisione perché non si avrebbe «una conoscenza conseguita per effetto di un'attività svolta nel processo, della quale la parte sia destinataria o che ella stessa ponga in essere, la quale sia normativamente idonea a determinare da sé detta conoscenza o tale, comunque, da farla considerare acquisita con effetti esterni rilevanti sul piano del rapporto processuale»; così Cass. 10.6.2008, n. 15359; Cass. 1.4.2009, n.

7962. Vedi anche Cass. 9.6.2006, n. 13431; Cass. 17.12.2004, n. 23501; Cass. 18.6.2002, n. 8858; Cass. 9.7.1976, n.

2606. Quelle della Suprema Corte appaiono delle ragioni di mero stile che non convincono, perché di fatto, al di là delle parole utilizzate, non spiegano come mai quelle citate non siano attività a compimento delle quali non possa dirsi raggiunta la conoscenza legale della sentenza.

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nell’esigenza del simultaneus processus nelle cause scindibili, come peraltro ricorda questa norma laddove opera specifico riferimento alla fattispecie di cui all’art. 332 c.p.c. Anzi, l’art. 326, 2° c., c.p.c. mira proprio ad evitare che il giudice sia tenuto a disporre quell’attività di cui all’art. 332 c.p.c., alla quale deve fare invece ricorso nel caso in cui rinvenga che l’impugnante in un processo con pluralità di parti non abbia notificato la sua impugnazione a tutti i precedenti litisconsorti.

Peraltro, non solo l’art. 326, 1° c., c.p.c. è chiaro nel prevedere che i termini per la proposizione delle impugnazioni decorrono dalla notificazione della sentenza ma, nel menzionare espresse deroghe a tale principio, preclude una sua interpretazione estensiva, implicitamente escludendo tutto ciò che non costituisce oggetto di deroga e confermando così la regola della tassatività della sola notifica della sentenza ai fini della decorrenza del termine breve di impugnazione.

Né può essere trascurato che l’impugnante manifesta una volontà antitetica a quella di chi notifica la sentenza. Non avrebbe pertanto senso logico sostenere che le diverse attività da costoro poste in essere possano determinare i medesimi effetti.

9. Se si nega l’equipollenza tra l’impugnazione e la notifica della sentenza ai fini della decorrenza del termine breve di cui all’art. 325 c.p.c., neppure può sostenersi la validità del principio della

“equipollenza bilaterale”, come abbiamo definito quell’ulteriore orientamento giurisprudenziale che nasce dalla crasi tra il principio di equipollenza e quello dell’effetto bilaterale della notifica della sentenza e per il quale la notifica dell’impugnazione determina la decorrenza del termine breve di cui all’art. 325 c.p.c. tanto per l’impugnante quanto per il suo destinatario.

A ben vedere, tuttavia, il principio di “equipollenza bilaterale” non pare condivisibile neppure ammettendo – in ossequio alla giurisprudenza predominante - l’operatività del principio di equipollenza.

Il ragionamento sillogistico che conduce all’affermazione dell’equipollenza bilaterale è infatti fuorviante. Ammesso che chi notifica l’impugnazione ha avuto conoscenza della sentenza e che proprio tale conoscenza è posta a fondamento per il notificante della decorrenza del termine breve di impugnazione come vuole chi sostiene l’equipollenza, non si vede comunque come una tale conoscenza della sentenza - con tutte le sue implicazioni in ordine alla decorrenza dei termini per l’impugnazione - possa sostenersi per il destinatario di quest’ultima.

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Egli infatti riceve un mero atto di parte dal quale è possibile desumere a tutto voler concedere l’esistenza della decisione impugnata, non certo il suo reale ed oggettivo contenuto.

Nemmeno l’integrale trascrizione del testo della sentenza nell’atto di impugnazione può superare tale rilievo, in quanto rimarrebbe comunque un atto di parte al quale l’ordinamento non ricollega alcuna attestazione di validità o di conformità di quanto in esso riportato o trascritto.

Apparentemente, potrebbe sostenersi che la presunzione di conoscenza della sentenza si abbia per il destinatario della impugnazione - ai fini della decorrenza del termine breve per altra e diversa impugnazione (quanto allo stesso mezzo ogni discorso è chiuso ovviamente dal suo onere di proporlo in via incidentale) - per lo meno al momento della sua costituzione nel giudizio impugnatorio introdotto dall’avversario, anche ove non ci sia proposizione di appello incidentale.

Ma anche tale affermazione sarebbe fallace. Non si vede infatti quale sostanziale differenza ci sia, ai fini della conoscenza “qualificata” della sentenza e perciò del “passaggio” dal termine lungo al termine breve, tra il fatto che la sentenza sia depositata in una con la sua pubblicazione presso la cancelleria del giudice a quo ed il fatto che essa sia depositata (dall’impugnante) in copia autentica presso la cancelleria del giudice ad quem.

10. In conclusione, la sentenza in commento - anche se come anticipato sembra arginare l’efficacia del principio di equipollenza a quei soli casi in cui la pronuncia impugnata è resa conoscibile in tutti i suoi punti per mezzo dell’impugnazione medesima, prefigurando dunque un ridimensionamento di quel principio e di quello ad esso connesso dell’equipollenza bilaterale26 - non segna tuttavia l’abbandono della presunzione della conoscenza legale della sentenza quale fondamento della decorrenza del termine breve di cui all’art. 325 c.p.c. tanto per chi notifica quanto per chi impugna.

Senz’altro auspicabile appare pertanto un definitivo intervento delle Sezioni Unite della Cassazione

26 Nel concreto, una simile impostazione dovrebbe indurre ad una valutazione caso per caso di ogni singola impugnazione, cosa che appare assai incerta e incongrua. Si tratterebbe infatti di verificare se da ogni impugnazione sia possibile desumere nella sua interezza la sentenza impugnata e da ciò verificare se per il destinatario dell’impugnazione sia o meno decorso il termine di decadenza per eventualmente riproporre una nuova impugnazione.

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che affermino, una volta per tutte, che la notifica della sentenza ai fini della decorrenza del termine breve di impugnazione non ammette equipollenti.

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