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le utilissime e praticissime risposte del dottor Antonio Gigliotti per affrontare i casi reali della vita professionale

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Il differimento dei termini per la fatturazione, gli adempimenti fiscali del curatore di eredità, avviso bonario e ravvedimento ultima rata, il condominio e la responsabilità negli appalti

di Antonio Gigliotti

Pubblicato il 11 aprile 2013

le utilissime e praticissime risposte del dottor Antonio Gigliotti per affrontare i casi reali della vita professionale

QUESITO N. 1: Differimento dei termini per la fatturazione dal 1° gennaio 2013

Un soggetto IVA italiano fattura una consulenza (servizio generico art.7-ter) a un altro soggetto IVA comunitario (tedesco). Prima di effettuare la prestazione il prestatore richiede il pagamento di un acconto. Cosa cambia dal 1° gennaio 2013 con il recepimento della Direttiva fatturazione?

RISPOSTA

Per quanto riguarda le prestazioni generiche (articolo 7-ter), l’articolo 6, comma 6 del D.P.R. n.

633/72 stabilisce che il momento di effettuazione dell’operazione nei rapporti B2B in ambito internazionale coincide con il momento di ultimazione della prestazione.

Questo sia:

per servizi resi a soggetti passivi comunitari ed extracomunitari;

che per le prestazioni ricevute da questi soggetti.

In deroga al criterio dell’ultimazione, tuttavia, la prestazione si considera eseguita se, prima di questo momento, è intervenuto il pagamento totale o parziale.

L’emissione anticipata della fattura (o dell’autofattura), invece, non determina l’anticipazione dell’effettuazione.

Dal 2013, però, l’operatore ha più tempo per emettere la fattura.

Il nuovo articolo 21, comma 4, lettere c e d del D.P.R. 633/72, così come modificato dalla Legge di Stabilità 2013, stabilisce che il prestatore nazionale potrà fatturare a committenti Ue o extracomunitari entro il 15 del mese successivo a quello dell’ultimazione (o del pagamento).

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Lo stesso vale in caso di autofatturazione dei servizi ricevuti da operatori extracomunitari.

Se la prestazione generica viene resa da un operatore comunitario (articolo 17, comma 2, periodo 2) in base agli articoli 46 e 47 del D.L. 331/93 il committente nazionale integra la fattura del fornitore o, in caso di mancata ricezione della fattura entro il 2° mese successivo a quello d’effettuazione del servizio (articolo 46, comma 5, nuova versione), emette autofattura entro il 15 del terzo mese successivo, annotandola entro il termine d’emissione e con riferimento al mese precedente.

Nel caso del quesito, dunque, il prestatore chiede il pagamento di un acconto. Il momento di effettuazione dell’operazione in questo caso coincide con il pagamento dell’acconto parziale (art.6 c.6 del D.P.R. 633/72).

L’emissione della fattura deve avvenire al momento del pagamento o può avvenire dal 1°

gennaio 2013, entro il 15 del mese successivo al pagamento (art.21 c.4 lett. c D.P.R. 633/72).

Il prestatore italiano ha verificato che il committente tedesco sia debitore effettivamente in Germania dell’imposta e che il servizio sia imponibile IVA in tale stato ed emetterà una fattura FC IVA art.7-ter, che verrà successivamente integrata dal committente, riportando la seguente descrizione: “Prestazione fuori campo Iva, articolo 7-ter, Dpr 633/1972 – Inversione contabile”, ove “Inversione contabile” è un’annotazione obbligatoria.

Il prestatore italiano è anche tenuto alla presentazione del modello Intrastat.

QUESITO N. 2:Adempimenti fiscali del curatore di un’eredita

A seguito della rinuncia dell’eredità da parte degli eredi e a fronte della richiesta di un terzo creditore, viene nominato un curatore per l’eredità giacente. Per l’incasso dei canoni di affitto di un immobile in attesa dell’asta, viene chiesto un codice fiscale ad hoc per aprire un conto corrente sui cui accreditare gli affitti. Come si deve comportare il curatore nelle dichiarazioni fiscali?

RISPOSTA

L’eredità giacente viene disciplinata dagli articoli dal 528 al 532 del Codice Civile, il primo dei quali stabilisce che quando il chiamato non accetta l’eredità, il tribunale su istanza di chi ne ha interesse o anche d’ufficio, nomina un curatore dell’eredità.

Il curatore è tenuto a redigere l’inventario dell’eredità, ne cura l’amministrazione e provvede al pagamento dei debiti ereditari e dei legati, previa autorizzazione del tribunale.

Le funzioni del curatore cessano quando l’eredità viene accettata.

Per quanto riguarda il profilo degli adempimenti fiscali con riferimento all’Irpef il comma 1

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dell’articolo 187 del D.P.R. 917/1986 (TUIR), dispone che se la giacenza dell’eredità si protrae oltre il periodo d’imposta nel corso del quale si è aperta la successione (dalla data della morte), il reddito dei beni ereditari è determinato in via provvisoria secondo le disposizioni che regolano la tassazione delle persone fisiche (Risoluzione AE n. 216 del 29 maggio 2008).

Trattandosi di un patrimonio distinto e separato, il curatore dovrà presentare un’autonoma dichiarazione dei redditi (modello Unico) in base alla quale effettuerà la liquidazione provvisoria e il relativo versamento delle imposte.

In particolare, i soggetti che presentano la dichiarazione dei redditi per conto di altri (come nel suddetto caso) devono compilare il modello Unico Persone Fisiche, indicando i dati anagrafici e i redditi del contribuente cui la dichiarazione si riferisce (la persona deceduta).

Come previsto nelle istruzioni, sarà necessario compilare il riquadro riservato a chi presenta la dichiarazione per conto di altri, per indicare le generalità del soggetto che presenta la dichiarazione (in questo caso del curatore dell’eredità giacente), evidenziando in particolare il proprio codice fiscale e il codice 2 nella casella “codice carica”.

QUESITO N. 3:Avviso bonario Agenzia delle Entrate: ravvedimento ultima rata

Nel caso di rateazione di un avviso bonario ex art. 36 bis, posto che il ritardato pagamento di una rata può essere sanato entro e non oltre il termine per il pagamento della rata successiva, come bisogna comportarsi se il contribuente è “costretto” a pagare in ritardo l’ultima rata?

RISPOSTA

Gli avvisi bonari sono emessi dall’Agenzia delle Entrate a seguito di irregolarità rilevate e verificate a mezzo:

di liquidazione automatica delle dichiarazioni, ex art.36-bis del D.P.R. n. 600/73 e art. 54- bis del D.P.R. n. 633/72;

di controllo formale delle dichiarazioni, ex art.36-ter del D.P.R. n. 600/73, dal quale emergano incongruenze tra i dati in possesso del Fisco e quelli dichiarati dal contribuente.

Tutti i soggetti destinatari di comunicazioni di irregolarità rilevate a seguito delle dette verifiche (automatizzate e formali) possono richiedere una rateizzazione delle somme richieste.

Ebbene, la disciplina della rateizzazione degli avvisi bonari è stata resa più “flessibile” e soprattutto più “tollerante” sotto il profilo della perdita del beneficio, in forza di un recente intervento legislativo (D.L. n. 201/11 e D.L n. 16/12).

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A tal proposito basti pensare che secondo il vecchio assetto normativo il mancato o tardivo versamento di una sola delle rate previste alla scadenza indicata comportava la decadenza immediata dal piano di rateazione.

Alla luce delle nuove disposizioni invece, il beneficio viene meno:

quando la prima rata non è versata entro trenta giorni dal ricevimento della comunicazione di irregolarità, con conseguente iscrizione a ruolo dell’importo dovuto per imposte, interessi e sanzioni in misura piena;

quando il contribuente paga in ritardo una rata diversa dalla prima senza sanare l’omissione, mediante lo strumento del ravvedimento operoso, entro il termine di pagamento della rata successiva.

In altre parole, nel caso di ritardo nel pagamento di una rata (esclusa la prima), il contribuente conserva il beneficio se si “ravvede” entro il termine per il versamento della rata immediatamente successiva (per esempio, non pago alla scadenza prestabilita la quinta rata, ma verso l’importo dovuto per detta rata, più le sanzioni ridotte e gli interessi, entro il termine di pagamento della sesta rata, ossia entro tre mesi, trattandosi di un piano di riparto che si compone di rate trimestrali).

Venendo ora all’ipotesi prospettata nel quesito, in cui non esiste “una rata successiva”, come recita il novellato art. 3-bis del D.Lgs. n. 462 del 1997, non sembra comunque potersi escludere che anche il contribuente “costretto” a pagare l’importo dell’ultima rata in ritardo possa avvalersi del ravvedimento operoso, al fine di regolarizzare, peraltro definitivamente, la propria posizione col Fisco. Sempre che la regolarizzazione arrivi a stretto giro, ossia prima che la violazione venga rilevata.

A favore di tale conclusione militano due considerazioni:

in primo luogo, la legge non contempla tra le ipotesi di decadenza, il pagamento in ritardo dell’ultima rata del piano rateale. Anzi lo spirito della riforma (ne è prova l’abrogazione della disposizione che prevedeva la decadenza per il ritardo, anche di un giorno, nel pagamento di una sola delle rate previste dal piano) è proprio quello di agevolare il debitore, ammettendolo al ravvedimento della rata, sia pure entro un preciso lasso temporale (massimo 90 giorni);

in secondo luogo, sarebbe discriminatorio ammettere il ravvedimento operoso per il contribuente in ritardo con il pagamento, ad esempio, della terza rata e non anche per quello che è in ritardo con il versamento dell’ultima scadenza, soprattutto se si tratta di un soggetto che è sempre stato puntuale nel pagamento di tutte le rate precedenti.

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Ma impedire il ravvedimento dell’ultima rata in tempi brevi (magari entro 15 giorni, mediante il c.d. ravvedimento “sprint”, o al massimo trenta giorni), sarebbe anche irragionevole, visto il conseguente raggiungimento dello scopo stesso dell’azione amministrativa, ossia l’integrale soddisfacimento della pretesa erariale.

In ogni caso, resta fermo che il contribuente decade dal beneficio concesso dall’Agenzia delle Entrate se paga troppo in ritardo ovvero omette del tutto di pagare una delle scadenze successive alla prima, con conseguente iscrizione a ruolo a titolo definitivo dell’importo rateizzato dovuto per imposte, interessi e sanzioni in misura piena, meno quanto già versato.

Infine, giova precisare che la legge ammette la possibilità per il debitore di richiedere nuovamente una dilazione del debito residuo, una volta che abbia ricevuto la notifica della cartella esattoriale.

Infatti, anche se non state pagate le rate degli avvisi bonari dell’Agenzia delle Entrate, l’interessato può presentare una domanda di rateizzazione al Concessionario della riscossione.

Lo prevede l’art. 1 del D.L. n. 16/2012 che ha abrogato (a partire dal 2 marzo scorso) l’art. 3 bis del D.Lgs. n. 464 del 1997, il quale impediva l’accesso del contribuente inadempiente una prima volta al pagamento dilazione delle somme iscritte successivamente a ruolo.

Un’altra innovazione questa che conferma una volontà generale di andare incontro alle esigenze dei contribuenti non in regola con gli adempimenti fiscali, ritardando al massimo il ricorso alla riscossione coattiva.

QUESITO N. 4: Responsabilità solidale e soggettività passiva

Nel caso in cui il committente sia un condominio, trova applicazione la normativa sulla responsabilità solidale nell’ambito dei contratti di appalto di opere e servizi (D.L. 83/2012, conv.

con mod. L. 134/2012)?

RISPOSTA

Il quesito in esame si riferisce all’applicazione, nel caso di contratti di appalto stipulati da un condominio, della normativa di cui all’art. 35, co. 28, 28 – bis e 28 ter, D.L. 223/2006, cosi come modificati dall’art. 13 –ter del D.L. 83/2012, conv. con mod. L. 134/2012.

In via preliminare, è bene precisare che l’istituto di cui all’art. 35, co. 28, 28-bis e 28-ter, D.L.

223/2006, “prevede la responsabilità solidale dell’appaltatore e del committente per il versamento all’Erario delle ritenute fiscali sui redditi di lavoro dipendente e dell’imposta sul valore aggiunto dovuta dal subappaltatore e dall’appaltatore in relazione alle prestazioni effettuate nell’ambito del contratto” (C.M. 40/E/2012).

Nel caso di specie, si chiede di verificare se il condominio rientri nell’ambito applicativo della citata disposizione, e, in particolare, verificare l’ambito soggettivo della disposizione normativa

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in esame.

L’ambito soggettivo della disciplina in esame è rinvenibile nell’art. 28-ter, D.L. 223/2006, cosi come modificato dall’art. 13-ter del D.L. 83/2012, conv. con mod. L. 134/2012, il quale prevede che “Le disposizioni di cui ai commi 28 e 28-bis si applicano in relazione ai contratti di appalto e subappalto di opere, forniture e servizi conclusi da soggetti che stipulano i predetti contratti nell’ambito di attività rilevanti ai fini dell’imposta sul valore aggiunto e, in ogni caso, dai soggetti di cui agli articoli 73 e 74 del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, e successive modificazioni. Sono escluse dall’applicazione delle predette disposizioni le stazioni appaltanti di cui all’articolo 3, comma 33, del codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture, di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163”.

Dal tenore letterale della norma, sembrerebbe limitarsi l’applicazione della norma “nell’ambito di attività rilevanti ai fini Iva”, escludendo, di fatto, i condomini dall’applicazione dell’istituto.

Infatti, a primo acchito la citata disposizione normativa sembrerebbe sufficiente per affermare che i condomini sono esclusi da tale normativa.

In realtà, nonostante sia questa la soluzione da preferire, sarebbe necessario un intervento che elimini qualsiasi dubbio. Infatti, sussistono alcune perplessità. E’ bene segnalare la tesi secondo cui l’intenzione del Legislatore di escludere i condomini o, comunque, coloro non in possesso della soggettività passiva ai fini Iva, non sarebbe presente per il mancato richiamo dell’art. 4 del D.P.R. 633/1972. Non viene specificato, inoltre, se il requisito debba essere verificato in capo al committente o in capo all’appaltatore. L’intervento chiarificatore dell’Amministrazione Finanziaria in tema di responsabilità solidale, con la C.M. 40/E/2012, non ha affrontato la questione.

Sul tema si segnala l’intervento della Dre Emilia-Romagna che, lo scorso dicembre (protocollo n.

909-54414/2012), ha chiarito che la norma prevede effettivamente la responsabilità solidale, a meno che l’appaltatore/committente non acquisisca la documentazione del regolare adempimento degli obblighi fiscali, anche sotto forma di attestazione del Caf o di professionista abilitato. Nell’obbligo, però, spiega la Dre Emilia-Romagna, sono coinvolti solo “i contratti d’appalto e subappalto di opere, forniture e servizi conclusi da soggetti che stipulano i predetti contratti nell’ambito di attività rilevanti ai fini dell’Iva e, in ogni caso, dai soggetti Ires, dallo Stato e dagli enti pubblici, mentre sono escluse le stazioni appaltanti”.

Pertanto, conclude la risposta, “il condominio, non rientrando in alcuno dei soggetti sopra indicati, non è, a parere di questa Direzione, destinatario della norma in commento”.

Di conseguenza, a parere della DRE Emilia Romagna, i condomini sarebbero esclusi.

Tuttavia, in attesa di una conferma ufficiale a livello centrale, si consiglia, in ottica prudenziale, di acquisire la documentazione attestante che i versamenti sono stati eseguiti.

QUESITO N. 5: Accertamento con adesione: mancato accordo o esito negativo

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Se dopo la sottoscrizione dell’accordo con il Fisco il contribuente non perfeziona l’adesione nei 20 giorni successivi, mediante il pagamento della prima rata o in unica soluzione di quanto stabilito, è possibile impugnare l’atto impositivo?

RISPOSTA

L’ipotesi prospettata nel quesito è stata oggetto di un recente chiarimento dell’Agenzia delle Entrate (Telefisco 2013), la quale non ha escluso la possibilità di radicare il contenzioso in CTP, a patto che ciò avvenga entro il termine massimo di 150 giorni calcolati a partire dalla data di notifica dell’avviso di accertamento.

A mente dell’art. 6, c. 3, del D.Lgs. n. 218 del 1997, dalla data di presentazione dell’istanza di adesione i termini per ricorrere al giudice tributario restano automaticamente sospesi per un periodo di 90 giorni.

Di conseguenza, il termine complessivo per proporre impugnazione è di 150 giorni dalla notifica dell’atto impositivo. Infatti, al termine ordinario di 60 giorni per proporre ricorso in CTP si somma la sospensione di diritto di 90 giorni (60 + 90 = 150).

Quindi, se il detto termine di 150 giorni è ancora in corso, il mancato perfezionamento dell’adesione, non preclude l’impugnazione dell’atto.

Si ricorda che la procedura si perfeziona con il pagamento delle somme risultanti dall’accordo, che è sottoscritto da entrambe le parti.

Il contribuente può scegliere di effettuare il pagamento:

in unica soluzione, entro i 20 giorni successivi alla redazione dell’atto;

in forma rateale in un massimo di 8 rate trimestrali di uguale importo (12 rate trimestrali se le somme dovute superano 51.645,69 euro), delle quali la prima da versare entro il termine di 20 giorni dalla redazione dell’atto.

Entro 10 giorni successivi al pagamento dell’intero importo o della prima rata, il contribuente deve far pervenire all’Ufficio la quietanza.

A questo punto è importante precisare che se il termine per impugnare scade in un giorno compreso tra il 1° agosto e il 15 settembre, il contribuente beneficerà di un ulteriore prolungamento del termine per impugnare, in ragione delle sospensione “feriale” di cui all’art. 1 della L. 742 del 1969.

Tale disciplina opera nel processo tributario non solo per la presentazione del ricorso contro gli atti impositivi, ma anche per la costituzione in giudizio, per la produzione dei documenti e per il deposito delle memorie illustrative.

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Insomma, in caso di istanza di adesione, la sospensione di 90 giorni potrebbe cumularsi con quella feriale di 46 giorni (v. C.M. 8 agosto 1997 n. 235/E; C.M. 5 luglio 2000 n. 138/E e circolare 28 giugno 2001 n. 65).

Si evidenzia, per concludere, che l’Agenzia delle Entrate (sempre in occasione di “Telefisco 2013”) ha avuto anche occasione di precisare che la sospensione automatica di 90 giorni non è in alcun modo influenzata dall’eventuale esito negativo del procedimento di adesione. Pertanto, si può sostenere che:

se la sospensione di 90 giorni decorre inutilmente perché le parti non raggiungono un accordo, il termine per proporre ricorso in CTP è di 150 giorni dalla notifica dell’atto (salvo sospensione feriale);

se il contribuente manifesta in modo univoco la propria volontà di rinunciare all’istanza, quindi di non voler più pervenire all’accordo con il Fisco, il termine per la presentazione del ricorso in CTP scade decorsi 60 giorni dalla notifica dell’atto impositivo a cui vanno aggiunti i giorni compresi tra la data di presentazione dell’istanza di adesione e la data in cui si è rinunciato alla stessa, perché la rinuncia è causa interruttiva della sospensione di 90 giorni (anche in questo caso potrebbe subentrare il beneficio della sospensione feriale).

11 aprile 2013 Antonio Gigliotti

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