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CAPITOLO 3 Sistemi Informativi Territoriali (GIS) 3.1 Definizioni

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CAPITOLO 3 – Sistemi Informativi Territoriali (GIS)

3.1 – Definizioni

La cartografia ambientale (per ovvie ragioni tematica, in quanto affronterà i vari aspetti del sistema ambientale) ha il compito di rappresentare nello spazio i parametri, sia di inventario che di processo, che caratterizzano un’area e, per quanto riguarda l’ambiente fisico, essa può avere per oggetto l’elenco riportato nella tab.1.2. La metodologia che consente di reperire, verificare, archiviare, elaborare riportare su mappe ed aggiornare le suddette informazioni è detta Sistema Informativo Territoriale o Geografico (SIT o SIG).

Il GIS (Geographic Information System) è la parte hardware-software di un SIT-SIG, che consente di effettuare le varie operazioni (acquisizione, archiviazione, rappresentazione) tramite un computer e le sue periferiche (memoria di massa, scanner, plotter ecc.) in maniera integrata, da cui il termine “sistema”. In pratica, quindi, la differenza tra SIT e GIS sta nell’intervento degli operatori: nel primo delle persone, fisicamente, progettano, organizzano ed effettuano il lavoro di acquisizione e rielaborazione; il sistema GIS è la parte informatica del tutto, quindi un sottosistema del SIT il quale, teoricamente, non sarebbe necessariamente basato su supporti informatici.

Caratteristiche fondamentali del GIS sono:

– i dati sono archiviati in modo georeferenziato, hanno cioè una precisa collocazione geografica e, di conseguenza, sono suscettibili di analisi spaziale rappresentabile mediante mappe.

– i dati stessi sono suscettibili di rielaborazione per produrre nuova informazione ed è questa la fondamentale differenza tra i GIS e gli altri programmi che utilizzano l’informazione spaziale, quali software geostatistici e CAD (Computer Aided Design). Il CAD esegue disegni georeferenziati rappresentando (“rigidamente”) una realtà già definita dall’operatore; il pacchetto statistico elabora gli stessi dati; il GIS compie entrambe le operazioni, ottenendo una nuova grafica ed un nuovo archivio, frutto dell’elaborazione stessa. Ad esempio, nel caso in cui, in una regione, si disponga di una carta delle specie forestali (informazione cartografica) con la cubatura delle singole specie (informazione numerica presente in un archivio ad essa collegata), il GIS,

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elaborando entrambi i dati, fornisce una mappa dei boschi la cui cubatura supera una certa quantità o una carta tematica delle fasce di prodotto possibile.

A quest’ultimo proposito è utile distinguere il concetto di dato da quello di unità di informazione: il dato è l’entità, nel GIS necessariamente numerica, che esprime le caratteristiche fondamentali del processo che si sta indagando; l’informazione consiste nella rielaborazione del dato per rappresentarlo spazialmente o per produrre nuova informazione. Ad esempio, l’altimetria di un territorio è rappresentata in un DEM, l’insieme dei dati relativi alle quote del terreno, da cui può essere prodotta nuova informazione, attraverso le opportune elaborazioni:

pendenze, esposizioni o, semplicemente, riportando le quote stesse, raggruppate in classi, a formare la carta delle altimetrie.

Ulteriore caratteristica del GIS è quindi la possibilità di trasformazione dei dati in informazione integrando fra loro, anche attraverso algoritmi matematici, dati di diversa natura e provenienza.

Poiché accade spesso di osservare un uso sproporzionato delle tecnologie informatiche (ricerca di formalismi, accanimento su aspetti estetici delle presentazioni o ricerca estrema di accuratezze eccessive ed inutili) è bene ricordare che l’utente di un GIS non solo ha bisogno di restituire una carta, ma di associarvi un data base. Il tematismo, quindi, non deve essere solo disegnato sulla mappa, ma anche accessibile; per poter giustificare l’uso di un GIS non basta aver realizzato una carta dell’uso del suolo, per la quale basterebbe un CAD, ma è necessario integrarla con tutte le informazioni relative al tema affrontato, ad esempio retinarla in funzione di proprietà (dimensione, tipo di azienda, età del proprietario ecc.), cicli colturali, quantità, tipo ed epoca di lavorazioni, fertilizzazioni e trattamenti effettuati, eventuali fattori di impatto ambientale ecc. Per la carta forestale (ad esempio gli inventari): aree di saggio, tipo di conduzione, collocazione sul mercato, eventuale presenza di specie o associazioni di valore ecologico.

3.1.1 – Componenti del GIS

Il GIS è un sistema e, come tale, si basa su un insieme integrato di componenti ed operazioni:

– acquisizione dei dati: permette di inserire i dati nel computer per renderli leggibili da parte del GIS, ovvero trasformare dati, anche alfanumerici, in numeri, l’unica entità comprensibile dal computer. Ad esempio, l’acquisizione di curve di livello da una carta

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topografica avviene attraverso la trasformazione di dati alfanumerici, quali sono le isoipse, in serie di numeri, quali sono i modelli digitali del terreno. Infatti tale operazione viene anche detta digitalizzazione (da digit, numero). L’acquisizione dei dati avviene normalmente dalle periferiche del computer: dalla semplice tastiera, per l’immissione diretta dei numeri, dallo scanner, dalla tavoletta digitalizzatrice. Tra le tecniche di acquisizione è da inserire la possibilità di salvare files prodotti da un certo software in un formato leggibile dal GIS in uso.

– Archiviazione dei dati: consiste nella creazione del database nella memoria di massa del computer. Esso, ovviamente, può essere ripreso, aggiornato e modificato con le classiche tecniche dell’informatica.

– Analisi dei dati: procedure di trasformazione dei dati in nuova informazione.

– Rappresentazione dell’informazione: visualizzazione sullo schermo di mappe, editing delle stesse, disegno con stampante o plotter degli elaborati definitivi, sia sotto forma di mappe che di tabelle, con le statistiche riferite alle mappe stesse. Ad esempio, ad una carta dell’uso del suolo può essere associata una tabella con le aree e le percentuali di ogni singola classe rispetto al totale o anche più complessi indici della frammentazione delle classi. La rappresentazione deve ovviamente essere intelligibile e, quindi, segue le regole “classiche” della cartografia, con la redazione di mappe disegnate opportunamente (con simboli, colori e retini, ad esempio) che le rendano comprensibili al lettore.

Per effettuare queste operazioni è comunque necessario che vi siano nel GIS componenti fondamentali con cui rappresentare la realtà e rielaborare l’informazione di base. Esse vengono di seguito elencate.

Entità, attributi e temi

Le entità sono le manifestazioni “elementari” della realtà da rappresentare, non divisibili in altre entità con la stessa caratteristica; esempi sono le specie vegetali, entità indivisibili in quanto tali (al più si possono individuare loro parti o caratteristiche). Una definita caratteristica dell’entità è detta attributo, parametro alfa numerico normalmente memorizzato in files legati agli elementi delle mappe attraverso un codice alfanumerico contemporaneamente assegnato all’elemento geografico ed all’attributo. Il data base è organizzato secondo uno schema matriciale di righe e colonne: ogni colonna (campo) contiene i caratteri del singolo attributo, ogni riga (record) riporta l’attributo. Esempi di attributi per l’entità “bosco” sono: tipo di conduzione, superficie coperta, cubatura del legname, parametri selvicolturali, ecologici ecc. Questo è un

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altro esempio della differenza sostanziale fra semplici carte (e relativi software di confezionamento) e GIS: nelle prime l’informazione è solo quella visibile sull’elaborato, nel GIS è anche quella contenuta nell’attributo: “cliccando” con il mouse nelle zone della mappa che interessano (quelli evidenziati in grigio) è possibile accedere al data base (“nascosto”) ove sono riportati gli attributi, espressi in forma di tabella (fig.3.1). La figura, in pratica, esprime il legame tra elementi geografici ed attributi riportati nella tabella.

Uso suolo Classe di rischio Misura di tutela secondo particella erosivo (t/ha/anno) regolamento CE 2078/92

1 seminativo 2 – 6 nessuna

2 seminativo 6 – 15 nessuna

3 arboreto spec. 6 – 15 inerbimento

8 arboreto spec. 15 – 25 nessuna

9 arboreto spec. > 25 inerbimento e siepe

Fig.3.1: Carta catastale e relativo archivio in un GIS relativo ad un processo territoriale.

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L’insieme delle entità con una qualche correlazione costituisce un tema: l’entità “bosco” può, ad esempio, far parte del tema

“vegetazione” o “copertura del suolo” o l’entità “fiume” può appartenere al tema “idrografia”.

Naturalmente è possibile, nel caso emerga la necessità, costruire un nuovo tema, isolando, dal tema più ampio, le sole entità necessarie alla nuova analisi. Ad esempio, dal tema “idrografia” si può ricavare quello “corpi idrici superficiali”, riprendendo dal primo i soli fiumi e laghi, con attributi più di dettaglio, quali, ad esempio, lo stato di qualità secondo la legislazione vigente, la presenza, le dimensioni e lo stato della vegetazione ripariale ecc.

Gli oggetti sono le modalità con cui l’entità è rappresentata nell’archivio; ad esempio, l’entità “area urbana” può essere rappresentata dall’oggetto “punto” o dall’oggetto “poligono” a seconda della scala. Gli oggetti possono avere quattro dimensioni (fig.3.3):

0 - punti e nodi;

1 - linee, segmenti, spezzate, archi, linee di connessione fra nodi, connessioni dirette, catene, anelli;

2 - aree, aree interne (esclusi i contorni), poligoni, anelli, celle (pixel), insieme di celle (maglie di pixel);

3 - volumi.

I nodi sono le intersezioni di linee, mentre i punti non intersezione sono anche detti vertici.

Più segmenti di linea formano un arco. Per rappresentare graficamente entità ed oggetti sono utilizzati i simboli (label).

Ovviamente, ogni oggetto è georeferenziato nell’opportuno sistema di riferimento, ha, quindi, una ben precisa collocazione spaziale, rappresentata dalle coordinate (x, y) dei vertici; ciò rende possibile l’interazione fra temi differenti.

Fig.3.2: Selezione degli attributi: “rischio erosivo superiore a 12 t/ha/anno” e “nessuna pratica conservativa secondo il regolamento CE 2078/92” nella mappa catastale di fig.3.1.

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3.2 – Modelli di gestione dei dati

Il data base del GIS deve avere una architettura tale che consenta di convertire l’informazione contenuta e le sue variazioni in unità informative riconoscibili dal software. E’

quindi necessario ricorrere a modelli rappresentativi della realtà, che sono di due tipi: raster e vettoriali.

Modelli raster

Come si intuisce anche dalla fig.3.4, per utilizzare un GIS raster è necessario compilare un archivio, normalmente in formato ASCII, sotto forma di tabella. Se questo è realizzato manualmente, i dati sono inseriti per mezzo di un qualunque software (database, wordprocessor, foglio elettronico) in grado di scrivere nella suddetta forma, operazione semplice ma laboriosa e costosa. Può accadere che gli archivi siano già realizzati e letti dal GIS, come ad esempio: il modello digitale del terreno ricavato, per tutta l’Italia, dalle tavolette 1:25000 dell’Istituto Geografico Militare (*) o le immagini da satellite in forma digitale.

L’area in esame è divisa in celle (pixel) regolari, quadrate o rettangolari (meglio le prime), che rappresentano l’unità informativa elementare (contengono un solo numero, valido per tutto il pixel) e si susseguono con sequenze fissate per convenzione (di solito riga per riga, dall’angolo superiore a sinistra). Un insieme di celle rappresenta uno strato (layer) ed ogni archivio può essere costituito da vari strati; ad esempio: l’uso e la copertura del suolo, le quote, i tipi di suolo ecc. Nel modello raster la realtà è “discretizzata” secondo celle elementari, come se allo strato reale sia sovrapposta una griglia le cui celle rappresentano le entità che, per intero o in prevalenza, ricadono nella cella stessa (fig.3.4). Il formato più diffuso è il TIFF, riconoscibile per l’estensione omonima dei file, letto dai più diffusi software di elaborazione delle immagini (Corel Draw, PhotoShop ecc.) e di testi (Word ecc.).

L’organizzazione è di tipo matriciale, ha quindi n righe ed m colonne ed ogni cella è immediatamente identificata, come posizione planimetrica relativa, dal numero di riga e di colonna. La posizione assoluta sarà ricavata dalle dimensioni della cella e dalle coordinate assolute (UTM, geografiche ecc.) di almeno un vertice.

I dati possono essere costituiti da numeri interi (molti GIS supportano solo questa forma), da decimali ed anche da lettere dell’alfabeto. I numeri interi fungono anche da codici, cui va allegata

(*) Questo DEM è stato realizzato dall’Università di Lecce (Carrozzo et al., 1989) per conto dell'AGIP e del servizio Geologico Italiano.

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una opportuna legenda. Ad esempio, per realizzare una carta dei suoli in formato raster si può adottare la seguente tabella dei codici:

0 = non classificato 1 = terreno franco

2 = terreno limo-sabbioso 3 = terreno sabbioso

0 - Oggetti monodimensionali Punto •

Nodo *

1 a - Oggetti monodimensionali elementari 1 b - Oggetti monodimensionali composti

2 - Oggetti bidimensionali

Fig.3.3: Schemi di oggetti.

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Ogni pixel caratterizzato da un codice sarà identificato col relativo numero, in modo che questo possa essere letto dal GIS.

Terminata l’operazione (digitalizzazione della carta), si dispone di uno strato di informazione in forma di archivio informatico che può essere rappresentato realizzando una mappa, in questo caso la carta dei suoli.

Caratteristiche delle mappe sono:

– il grado di risoluzione, che dipende dalle dimensioni della cella: più essa è piccola, maggiore è il dettaglio, ma maggiore sarà, a parità di territorio, anche la quantità di lavoro, il suo costo e la necessità di memoria di massa dell’elaboratore e dei vari supporti (CD Rom ecc.). La dimensione della cella, in pratica, ha lo stesso significato della scala della carta tradizionale: minore è la dimensione, più il raster è in grado di risolvere i dettagli. Un’idea della maggiore risoluzione realizzabile con celle più piccole la si può avere se si pensa che, comunque, saranno necessarie delle approssimazioni nella digitalizzazione in quanto, dovendo archiviare un’area omogenea dai contorni irregolari (ad esempio una categoria di uso del suolo), le celle che ne descriveranno il contorno andranno comunque a cadere nella categoria attigua.

Normalmente viene digitalizzata la categoria prevalente, cosa che comporta un errore che sarà tanto più piccolo quanto più piccola è la dimensione della cella. In fig.3.5 si ha un esempio di come realizzare un raster partendo da una mappa reale.

– Orientazione, costituita dall’angolo fra il nord reale e la direzione definita dalle colonne dell’archivio.

Situazione reale (carta dell’idrografia)

Sovrapposizione di una griglia trasparente

Archivio aster

Fig.3.4: Creazione di un archivio raster a partire da una mappa su supporto cartaceo.

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– Zone, sono costituite da un insieme di celle contigue caratterizzate dall’avere lo stesso valore o dall’appartenere alla stessa categoria (ad esempio le tipologie di suoli elencati in precedenza).

– Valore, è l’unità di informazione memorizzata in uno strato per ogni cella.

– Localizzazione, è predeterminata, come valore assoluto, dalle coordinate geografiche delle celle estreme dell’archivio (ad esempio Xmin,Ymin; Xmax,Ymax) e, come valore relativo, dalla coppia costituita dal numero di righe e dal numero di colonne che individuano univocamente una cella.

Il contenuto informativo di ogni raster è generalmente costituito da numeri, associabili a:

– grandezze fisiche, ad esempio le quote altimetriche del terreno in un DEM, le variabili climatiche: precipitazioni, temperature ecc.;

– categorie, ad esempio, in una carta della copertura del suolo, i boschi sono individuati dal numero “1”, i seminativi dal “2”, ecc., con “0” le aree non classificate. In quest’ultimo caso ai numeri possono essere sostituiti da lettere (boschi = “A”; seminativi = “B” ecc.).

Uno dei vantaggi maggiori del modello raster è proprio la possibilità di attribuzione dei valori numerici alle grandezze fisiche, cosa che consente infinite possibilità di analisi del dato territoriale. Ad esempio, dal raster delle temperature, attraverso l’algoritmo di Thornthwaite, si può ricavare direttamente quello dell’evapotraspirazione; da quest’ultimo e da quello delle piogge di può ricavare quello delle precipitazioni efficaci ecc.

Con il modello raster è sempre possibile descrivere un tema, ma, poiché ogni cella è caratterizzata da un solo numero (attributo), un tema sarà descritto da più layer, uno per ogni entità che si vuole rappresentare. Ad esempio, il tema uso e copertura del suolo sarà caratterizzato da: “1” lo strato “boschi” (“0” tutti gli altri); “2” lo strato seminativi (“0” tutti gli altri) ecc.

E’ bene ricordare che i dati acquisiti da scanner sono sempre in formato raster.

Analogamente, sono raster tutti i dati forniti sotto forma di tabella di numeri (generalmente in formato ASCII) o inseriti manualmente attraverso un foglio elettronico e memorizzati.

Modelli vettoriali

I dati vettoriali tipici provengono dalla digitalizzazione delle mappe o dai rilievi topografici di campagna, sia con strumenti tradizionali che con GPS. Uno standard diffuso per la memorizzazione è, ad esempio, quello DXF.

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Mentre nel modello raster l’elemento fondamentale è la cella, in questo caso abbiamo il punto e la linea; gli oggetti sono creati connettendo punti attraverso linee e le aree sono delimitate da insiemi di linee. Ne consegue che le posizioni degli oggetti sono individuate esattamente attraverso le coordinate cartesiane: semplici per i punti, accoppiate per le linee, in serie chiusa per i poligoni. Non ci sono quindi limitazioni nella precisione, come accade per i sistemi raster, salvo la capacità della memoria del computer.

Normalmente le coordinate seguono gli standard geografici comuni: latitudine e longitudine o UTM.

Il software riconosce la sequenza secondo cui i punti si connettono a formare linee, archi ed oggetti; è perciò in grado di sapere come “spostarsi” lungo un elemento lineare perché può ricostruire le relazioni di connessione tra nodi. Gli oggetti a due dimensioni (elementi areali, poligoni) sono riconosciuti per il fatto di avere le stesse coordinate per il punto di partenza e quello di arrivo (spezzata chiusa). All’interno dell’oggetto è posizionato un punto cui è associato l’identificatore (alfanumerico o, più frequentemente, numerico, come per il raster) del poligono stesso, cui sono assegnati gli attributi del poligono.

E’ evidente che, in tal modo, il GIS è in grado di riconoscere l’adiacenza fra poligoni.

Nel data base vettoriale del GIS le relazioni non si evincono direttamente, ma devono essere esplicitate archiviandole in apposite tabelle che esprimono la topologia(*) dell’area che si sta descrivendo. Ad esempio: in un raster delle altimetrie, la relazione fra ogni cella è immediata, ed immediata è la differenza di quota, la pendenza ecc.; in un modello vettoriale l’altimetria è rappresentata da isoipse che per il computer sarebbero semplici linee se non ci fossero tabelle ad indicare l’equidistanza e le quote assolute di ognuna.

Come tutte le metodologie alternative, si hanno vantaggi e svantaggi in entrambe: i sistemi raster, tra l’altro, offrono una maggiore semplicità di organizzazione degli archivi e più immediatezza e velocità di esecuzione di molte operazioni (sovrapposizioni, operazioni sugli intorni ecc.). D’altro canto, dal punto di vista grafico e del dettaglio, quando necessario, i modelli vettoriali sono nettamente preferibili. In tab.3.1 sono sintetizzati i principali vantaggi e svantaggi dei due sistemi.

Poiché nessuno dei due approcci prevale sull’altro, i GIS di ultima generazione consentono di integrare perfettamente entrambi i modelli, ad esempio rilevando ed immagazzinando le carte

(*)La topologia è l’insieme di regole che definiscono le relazioni, i rapporti di connessione e di continuità fra oggetti, necessaria per collegare tali elementi ai relativi attributi, dove sono esplicitate le relazioni.

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in modo vettoriale, trasformandole in raster per eseguire più rapidamente le elaborazioni, riconvertendole al modo vettoriale per la presentazione finale.

In fig.3.5 è riportato un esempio di carte realizzate con i due modelli che, in pratica, si distinguono facilmente perché nel caso del sistema raster i contorni saranno costituiti da linee discontinue (seghettate) mentre in quello vettoriale le linee sono continue.

3.3 – Funzioni di analisi del GIS

In fig.3.6 sono elencate le fondamentali funzioni del GIS, suddivise in quattro categorie (Aronoff, 1991).

Esse sono presenti in tutti i GIS, indipendentemente dal tipo di gestione dei dati (raster o vettoriale), e servono a tradurre le necessità dell’operatore in specifiche funzioni del programma, in modo che si possano soddisfare le esigenze di trasformazione del dato in informazione. Le regole che dettano tale trasformazione possono essere semplici operazioni aritmetiche o funzioni complesse.

Interrogazione

Questa funzione è già stata descritta per esemplificare le capacità del GIS. Essa permette di identificare e vedere i dati geografici ed i relativi attributi “isolandoli” opportunamente. Si è anche detto che l’operazione può essere inversa, può, cioè, essere interrogato l’attributo per visualizzare le aree che rispondono a quei requisiti. Effettuata tale operazione, si può isolare lo strato ottenuto, che può essere a sua volta archiviato formando un nuovo tema.

Il recupero dei dati può anche seguire logiche complesse, ad esempio quella Booleana, che utilizza gli operatori AND, OR, XOR, NOT ecc. (fig.3.7).

Sistema raster

Sistema vettoriale

Fig.3.5: Esempi di carte eseguite con sistemi raster e vettoriali per il GIS.

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Tab.3.1: Confronto fra l’approccio raster e quello vettoriale.

Sistema raster

Pro

1. La struttura dei dati è molto semplice.

2. Le procedure di sovrapposizione sono molto semplici.

3. La variabilità spaziale è rappresentata in modo semplice ed efficiente.

4. La manipolazione ed il miglioramento delle immagini digitali è efficace.

Contro

1. Necessita di una grande memoria di massa essendo poco compatta la struttura dei dati.

2. La precisione è limitata dalla risoluzione del sistema di acquisizione o, comunque, dalla fonte (entità del raster).

3. Le carte non hanno un grande pregio estetico.

E’ particolarmente adatto allo studio di:

elementi del territorio che hanno caratteri continui su un’area (bidimensionali):

altimetria, precipitazioni, vegetazione, ecc.

Sistema vettoriale

Pro

1. Utilizzo ridotto di memoria di massa per la maggiore compattezza della struttura dei dati.

2. La precisione è limitata solo dallo strumento di digitalizzazione.

3. I file di dati sono costituiti per lo più da caratteri ASCII e, quindi, sono facilmente esportabili.

4. E’ facilmente interfacciabile con programmi CAD e plotter a penne.

Contro

1. L’approccio non è immediatamente intuitivo.

2. Le operazioni di sovrapposizione sono più difficoltose.

3. Non eccelle nelle analisi dei caratteri spaziali continui.

4. La manipolazione di immagini digitali è molto più difficile.

E’ particolarmente adatto nello studio di:

entità geografiche lineari: confini amministrativi, particelle catastali, strade, rete idrografica ecc.

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Fig.3.6: Classificazione delle funzioni di analisi del GIS (da Aronoff modificato).

Fig.3.7: Schemi geometrici della logica Booleana (da Giupponi, 1999).

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3.3.1 – Gestione ed analisi dei dati spaziali

Si tratta di funzioni usate per verificare, trasformare, riscrivere ed eventualmente correggere i dati spaziali nell’archivio.

Trasformazioni tra proiezioni geometriche

Per individuare un punto sulla sua superficie si adotta il ben noto sistema di coordinate geografiche (latitudine e longitudine) che, però, è più comodo riportare ad un piano attraverso vari sistemi di proiezione (ad esempio la UTM, la più usata) che possono essere trasformati uno nell’altro attraverso algoritmi disponibili nel GIS.

Trasformazioni geometriche

Sono utilizzate per assegnare le coordinate terrestri ad uno strato che debba essere adattato per poi essere sovrapposto ad altri strati. L’operazione viene effettuata mediante una registrazione dei vari strati riferiti ad un unico sistema di coordinate (riferimento assoluto) o ad uno strato considerato come riferimento relativo.

Conflation (rubber sheet)

E’ la procedura che si adotta per riconciliare le posizioni di elementi corrispondenti in diversi strati di sistemi vettoriali. Se, ad esempio, si considerano digitalizzazioni della stessa area, effettuate in tempi differenti, teoricamente elementi corrispondenti dovrebbero perfettamente coincidere, ma ciò non è in realtà possibile in quanto ci saranno sempre delle imprecisioni nelle due operazioni di acquisizione della stessa mappa, anche se l’operatore è sempre lo stesso. Questa funzione, in pratica, fa sì che il GIS non consideri differenze reali le piccole discrepanze fra strati, ma errori da correggere avendo come riferimento uno strato da considerarsi standard.

Confronto dei contorni (edge matching)

Questa funzione può essere utile nei modelli vettoriali quando si uniscono due mappe le cui strutture non coincidono perfettamente per sfasatura dei contorni (fig.3.8, tratta da Aronoff).

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Funzioni di ritocco (slivers)

Sono usate, nei sistemi vettoriali, per aggiungere o cancellare elementi di strutture o per piccoli spostamenti della loro posizione geografica, sempre causate da errori di digitalizzazione o sovrapposizione (fig.3.9, tratta da Aronoff, 1991).

PRIMA DELLA FUNZIONE DOPO LA FUNZIONE

Fig.3.8: Funzione di edge matching (da Aronoff).

Riduzione delle coordinate di una linea

Questa funzione riduce il numero di punti necessari alla individuazione di una linea consentendo, perciò, un risparmio di memoria del computer ed una maggiore compattezza dell’elaborazione, sebbene a scapito della fedeltà della rappresentazione (fig.3.10, tratta da Aronoff, 1991).

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Prima

Dopo

Fig.3.9: Esempi di slivers (da Aronoff). Fig.3.10: Riduzione delle coordinate (da Aronoff).

3.3.2 – Gestione ed analisi degli attributi (dati non spaziali)

I GIS sono dotati di funzioni che correggono, verificano ed analizzano gli attributi non spaziali, quali, ad esempio:

– le aree ed i perimetri di oggetti registrati in un file, indipendentemente dalla posizione geografica delle singole strutture;

– la direzione ed il volume di traffico, il diametro di una condotta e la portata in essa in una linea di connessione fra nodi;

– la presenza di semafori e sovrappassi stradali, di valvole di sfiato nelle reti idriche, di trasformatori in quelle elettriche nei nodi.

Per questa analisi si ricorre a funzioni di semplice editing degli attributi e funzioni di richiesta (query function) che, a seconda delle specificazioni dell’operatore, richiamano

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informazioni relative all’oggetto in esame. A seconda del software le richieste possono essere semplici (tipo specificare la classe di appartenenza di un punto), ma anche complesse, come, ad esempio, la realizzazione di un archivio frutto della ricerca selettiva di tutti gli attributi degli oggetti, anche quelli relativi a più strati. In fig.3.11 si ha un esempio di attributi (che possono essere oggetto di richiesta) ad una serie di pozzi.

MAPPA DEI POZZI

1

2

3 4

5

Identificativo Portata [L/s]

Proprietario Profondità [m] Salinità [mg/L]

Concentrazione dei nitrati [mg/L]

1 25 A 175 156 22

2 42 B 250 226 12

3 34 C 225 123 15

4 37 D 305 456 -

5 26 E 150 127 36

Fig.3.11: Esempio di attributi a singoli punti (in questo caso pozzi).

3.3.3 – Analisi integrata dei dati spaziali e degli attributi

Come detto nell’introduzione, una delle caratteristiche fondamentali di un GIS è la possibilità di analizzare contemporaneamente attributi e dati spaziali. Le tipologie di integrazione sono numerosissime e possono essere suddivise in quattro categorie (vedi anche la fig.3.6):

richiamo-classificazione-misura; sovrapposizione; operazioni sui contorni; funzioni di connessione.

Richiamo-classificazione-misura

Le operazioni di richiamo comportano la ricerca selettiva, la elaborazione e l’uscita dei dati richiesti, senza cambiare la localizzazione geografica delle strutture o creare nuove entità spaziali. Gli attributi possono essere invece modificati o creati ex novo.

Il richiamo o interrogazione permette di identificare e vedere i dati geografici ed i relativi attributi isolandoli opportunamente. Se si considerano i pozzi della fig.3.11 e lo strato contenente l’uso del suolo, un esempio di funzione di richiamo consiste nell’interrogare il GIS per selezionare i pozzi con una concentrazione di nitrati nelle acque superiore a 25 mg/L nelle zone

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coltivate a mais. Sempre considerando gli attributi dei pozzi è possibile una classificazione:

quelli con nitrati assenti, quelli con concentrazioni fino a 10 mg/L, tra 10 e 20 ecc. Nei sistemi raster questa operazione è immediata in quanto ogni cella ha un’attribuzione numerica e, se si vuole realizzarne una nuova, si devono cambiare i suddetti numeri, con un’operazione detta di ricodifica o riclassificazione (recoding, reclassify) che darà luogo ad un nuovo strato.

Esempi di ricodifica sono (vedi anche la fig.3.12):

– assegnare nuovi codici (ad esempio le classi 0-9 diventano 1, le 10-19 diventano 2 ecc.);

– assegnare un nuovo valore ad una cella unica nell’ambito di tutta una zona caratterizzata da altri codici (generalmente si assegna il valore della zona stessa);

– rielaborare il dato di ogni cella con funzioni matematiche tipo x1=2xo2, essendo xo il valore del vecchio strato ed x1 il valore da assegnare al nuovo strato.

L’assegnazione di nuovi codici è utilizzata normalmente per accorpare classi iniziali giudicate troppo numerose; tale operazione è detta generalizzazione o dissolvenza, un esempio è costituito dalle classi di pendenza che scaturiscono, immediatamente, da un DEM: ogni cella avrà un valore e la relativa mappa sarà praticamente illeggibile e necessiterà dell’opportuna generalizzazione.

Dissolvenza e congiunzione sono operazioni che consentono di semplificare una mappa, come nel caso della fig.3.12, ove, non essendo necessario il dettaglio della mappa di partenza (tipologie pedologiche), si è prima effettuata una riclassificazione che ha portato alle sole capacità d’uso dei suoli su cui si sono dissolti i confini e riuniti i poligoni della stessa categoria, ottenendo oggetti più grandi rappresentanti la mappa delle capacità d’uso del suolo, indipendentemente dalla sua tipologia.

Ogni GIS possiede delle funzioni di misura: distanze fra punti, lunghezze di linee, perimetro (p) ed area (A) di poligoni, area totale di una classe, volumi (*). Attraverso operazioni indirette è poi possibile ottenere un indice di forma delle diverse zone, il più comune dei quali è l’indice di circolarità (pari a 0,262p/A) che può essere costruito preparando lo strato dei perimetri delle varie zone moltiplicato per 0,262, lo strato delle radici quadrate delle aree e dividendoli fra loro.

Operazioni che possono essere considerate di misura consistono nel calcolare le statistiche descrittive di uno strato (media, mediana, valore più frequente ecc. per ogni classe) o per confrontare statisticamente due mappe, ad esempio con i test (t di Student, 2 ecc.), la regressione, l’analisi della varianza ecc.

(*) Sovrapponendo l’elemento planimetrico a quello altimetrico (DEM) è possibile calcolare il volume di eventuali movimenti di terra (nelle costruzioni stradali, ad esempio) rispetto ad una quota di riferimento.

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Nel caso di modelli vettoriali si possono individuare i centroidi dei poligoni, la minima e la massima diagonale di un poligono, l’indice di sinuosità di una linea ecc. Nei modelli raster queste operazioni, per ovvi motivi di struttura del sistema, devono essere eseguite in maniera indiretta con l’analisi degli intorni delle celle (vedi le analisi di vicinato, più avanti).

Sovrapposizione

Le operazioni di sovrapposizione possono essere sia di natura aritmetica che logica. Le prime consistono nell’applicazione delle quattro operazioni, ma anche funzioni matematiche (come (x1)^(x2), x1/x2 ecc.) tra elementi corrispondenti nei due strati, che origineranno un terzo strato (x3).

Le sovrapposizioni logiche consistono invece nell’isolare zone che presentino certe caratteristiche od obbediscano a certe logiche;

ad esempio, partendo da uno strato x1 ed uno x2, lo strato x3 è costruito secondo la seguente logica: x3=x2 se x2 > 0, altrimenti x3=x1.

La sovrapposizione può essere effettuata sia sul singolo strato che su due o più strati. Un esempio del primo caso è riportato nella fig.3.13 (tratta da Aronoff, 1991) ove è illustrata, sia nel caso di modello raster che di modello vettoriale, la moltiplicazione per il numero 25,4, necessaria a convertire i dati di cinque stazioni pluviometriche da pollici a mm. Nel modello raster tutta l’area avrà celle classificate da un numero che sarà zero dove non c’è la stazione; ogni cella è moltiplicata per 25,4 e, quindi, si avrà un nuovo strato con i valori in mm. Nel modello vettoriale, invece, le stazioni sono rappresentate da punti i cui attributi sono costituiti dai valori di pioggia; la conversione è effettuata semplicemente moltiplicando gli attributi per 25,4.

Suoli con capacità d’uso A, B e C di tipo d ed f

Suoli con capacità d’uso A, B e C

Suoli con capacità d’uso A, B e C

Fig.3.12: Riclassificazione, dissolvenza e ricongiunzione.

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Fig.3.13: Conversione da pollici a mm dei dati pluviometrici di cinque stazioni.

Nel caso si debba operare in maniera aritmetica (somma, moltiplicazione ecc.) su due o più strati, l’operazione è immediata nel modello raster per la perfetta corrispondenza delle celle. Nel modello vettoriale l’operazione è effettuata sugli attributi, come è illustrato dalla fig.3.14.

Analisi di vicinato (neighbourhood)

Con queste operazioni il nuovo strato è costruito a partire dalle caratteristiche di aree nell’intorno di determinate zone o punti specificati; è prima necessario definire tre elementi fondamentali: la localizzazione di uno o più obiettivi, la specificazione dell’intorno degli obiettivi (“finestra spaziale”) e la caratteristica che deve essere rappresentata. Ad esempio: si debbano individuare e numerare le abitazioni nel raggio di 2 km da una scuola; quest’ultima è l’obiettivo, i 2 km sono l’intorno, il numero delle case è la caratteristica.

Operazioni frequenti in questo ambito sono quelle di ricerca, in cui si assegna un valore ad ogni obiettivo secondo le caratteristiche del suo intorno, normalmente circolare, quadrato o rettangolare. Le principali funzioni di ricerca sono:

– la media aritmetica (semplice o pesata) dei valori nell’intorno; nell’esempio precedente:

la media delle abitazioni nei 2 km da ogni scuola di una provincia;

– la moda, ovvero la scuola che ha il massimo di abitazioni nel contorno;

– la diversità, ovvero la varianza dei suddetti valori;

– la maggioranza, ovvero il valore più frequente;

– il massimo ed il minimo;

– il totale.

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Fig.3.14: Sovrapposizione aritmetica su due strati con modello vettoriale.

L’identificazione di linee e punti nei poligoni può essere molto utile nell’analisi della rete dei trasporti sul territorio (ad esempio le strade di grande scorrimento che attraversano una grande città, i punti di riparazione degli autoveicoli in una regione scarsamente popolata). Nei modelli vettoriali essa è una particolare funzione di ricerca mentre nei sistemi raster si ottiene per sovrapposizione di uno strato con i poligoni e di uno strato con i punti e le linee.

Tipiche funzioni di vicinato sono quelle che consentono di definire la morfologia del territorio (funzioni topografiche): la pendenza (slope) e l’esposizione (aspect), entrambe definite punto per punto prendendo in considerazione l’intorno di ogni punto e individuando il piano che lo approssima. La pendenza è data dall’inclinazione di detto piano sull’orizzontale e l’esposizione dalla normale al piano ed è individuata da due angoli (fig.3.15): quello verticale, di elevazione, e quello orizzontale, rispetto ad una direzione prefissata (generalmente il nord, nel qual caso si parla di angolo azimutale). Il poligono di Thiessen definisce le aree che si ritiene essere di pertinenza di una determinata misura, effettuata in un solo punto: ad esempio, per ogni stazione pluviometrica definisce la regione geografica (detta anche topoieto) a cui può essere attribuita la pioggia della stazione (singolo punto). La precipitazione totale è fornita dal prodotto delle aree dei poligoni (attributi dei poligoni) per l’altezza di pioggia di ogni singola stazione (attributi dei punti).

Fig.3.15: Angolo di elevazione ed angolo azimutale ed esposizione.

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L’interpolazione (regionalizzazione, vedi il § 2.8) è la procedura utilizzata per estendere l’informazione nota solo in alcuni punti, ad esempio stazioni termometriche, pluviometriche, quote s.l.m. ecc., attribuendola a punti in cui non si conosce il dato attraverso l’uso di opportuni algoritmi: regressione lineare, polinomiale, kriging ecc.

La generazione di isolinee è l’operazione che consente di riportare in maniera grafica i risultati dell’interpolazione, attraverso il tracciamento di linee che rappresentano il luogo dei punti in cui la grandezza in esame (temperatura, pioggia, quota s.l.m.m. ecc.) assume un determinato valore.

Funzioni di connessione

La loro caratteristica essenziale consiste nella possibilità di accumulare entità, sia quantitative che qualitative. Un esempio di applicazione di tali funzioni è costituito dal tempo o dallo spazio di viaggio accumulato nei vari spostamenti nella mappa; un esempio qualitativo consiste nella verifica che un punto sia ancora visibile. Per definire funzioni di connessione devono essere specificate le seguenti caratteristiche:

– la maniera con cui gli elementi spaziali sono interconnessi (rete stradale, idrografia);

– le regole che sovrintendono i movimenti entro queste connessioni;

– l’unità di misura.

Si consideri, per esempio, una connessione per l’analisi della viabilità forestale. E’ innanzi tutto necessaria una carta della viabilità per definire il modo in cui le strade sono connesse; le regole per il movimento possono essere, ad esempio, i limiti di velocità ed i sensi unici; l’unità di misura è la distanza. In tal modo si può ottenere, avendo definito i punti di partenza e di arrivo, la distanza fra due punti nell’ambito della rete stradale totalizzando i vari segmenti percorsi sulle strade.

Le misure di contiguità valutano le caratteristiche di unità spaziali che comprendono una o più caratteristiche specificate, ad esempio: selezionare un’area omogenea, da destinare a parco, che abbia le seguenti caratteristiche: sia confinante con un bosco, abbia area di almeno 10000 ha e una sezione minima non inferiore a 20 km.

La funzione prossimità è la misura della distanza fra strutture (rappresentata da punti, linee o poligoni), effettuata generalmente come lunghezza, ma che può avere anche altre unità, come, ad esempio, il tempo di percorrenza. Per una tale operazione sono necessarie quattro entità: la localizzazione dell’obiettivo (strada, torretta antincendio, parco), una unità di misura, una regola

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per la determinazione della prossimità (distanza lineare, percorrenza effettiva o tempo di percorrenza), il territorio a cui applicare la procedura.

In fig.3.16 (Aronoff, 1991) è presentata la delimitazione di una zona di rispetto (buffer zone) larga 300 m intorno alle strade sterrate presenti in un bosco entro la quale, ad esempio, ne potrebbe essere limitata l’utilizzazione. Una tipica impostazione del modello raster potrebbe essere la seguente: codice 1 per l’oggetto selezionato, codice 2 per la zona di rispetto, codice 0 per il restante territorio.

Le distanze possono anche essere variabili: 150 m dai corsi d’acqua, 300 m dalle coste di laghi e mari, ecc.

Le diramazioni (reti) sono definite dall’insieme di elementi lineari interconnessi che formano una struttura, esempi sono: la rete idrografica, quella stradale, ferroviaria o delle rotte aeree.

L’analisi prevede quattro componenti:

1) Le risorse coinvolte, ad esempio il sedimento trasportato dai corsi d’acqua.

2) La localizzazione delle risorse (le aree erodibili).

3) Un obiettivo, per rilasciare le risorse ad un insieme di destinazioni (un invaso artificiale suscettibile di interrimento).

4) Una serie di impedimenti cui può essere soggetto l’obiettivo (contro pendenze, invasi).

La funzione di dispersione (spread) integra le caratteristiche di prossimità e di rete considerando fenomeni che si accumulano con la distanza. Si può pensare ad essa come a movimenti discreti in tutte le direzioni da uno o più punti di partenza con, contemporaneamente, il calcolo di una variabile predefinita. Un esempio è costituito dalla ricerca, a partire da un DEM, del bacino idrografico relativo alla sezione di un corso d’acqua: viene prima ricercata la rete idrografica e, quindi, lo spartiacque. Il GIS effettua la ricerca in tutte le direzioni confrontando le quote e ricostruisce gli impluvi, successivamente cerca i relativi displuvi, memorizzando i vertici

Fig.3.16: Zona di rispetto intorno alla viabilità forestale.

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(linea spartiacque). La differenza fra prossimità e dispersione sta nella direzione di ricerca: nel primo caso si considerano le sole distanze geometriche (linee ortogonali all’entità di cui si valuta la prossimità), nel secondo la ricerca è a 360°. La prossimità è quindi un caso particolare della più generica dispersione. Con quest’ultima funzione si possono valutare anche i fattori che modificano le distanze, intese come percorso lungo il quale muoversi, e che può trovare delle barriere, distinte in assolute, se il movimento è del tutto inibito e relative se è solo rallentato.

Ad esse è dedicato un apposito layer, detto di frizione, in cui ad ogni barriera viene assegnato un peso, maggiore o minore a seconda del grado di inibizione del movimento. Ogni cella del layer di frizione moltiplica la corrispondente cella del layer delle distanze aumentandone il valore a seconda del peso assegnato, il quale assume anche il significato di coefficiente di attrito. Questo approccio può essere utile per la valutazione dei percorsi di minor costo (in denaro, tempo, energia ecc.) di attraversamento, a partire da un punto (sorgente), fino ad un punto di arrivo (obiettivo). Una funzione di prossimità, che considera la linea diretta fra due punti invece che tutte le direzioni, è quindi un caso particolare della più generica dispersione:

quest’ultima può anche considerare un ostacolo, arrivando per gradini all’obiettivo e la distanza è calcolata cumulando, segmento per segmento, le distanze percorse aggirando l’ostacolo.

In fig.3.17 si ha l’esempio del calcolo di distanze in un modello raster (cella per cella, fig.3.17 A) o per mezzo di isolinee (fig.3.17 B). Queste ultime sono costruite considerando anche la presenza di una barriera, che può essere assoluta (fig.3.18 A: l’ostacolo è invalicabile e si è costretti ad aggirarlo; conviene quindi riportate le linee di isodistanza) o relativa (fig.3.18 B: la barriera comporta solo un rallentamento della velocità di avanzamento e, perciò, questa volta conviene riportare le isolinee dei tempi di percorrenza).

Fig.3.17: Calcolo delle distanze con la funzione di dispersione: (A) nel modello raster; (B) in una rappresentazione ad isolinee (da Aronoff).

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Fig.3.18: Barriera assoluta (A) e relativa (B) (da Aronoff).

Da quanto sin qui detto emerge un’altra importante applicazione delle funzioni di dispersione, che è la cosiddetta trafficabilità del terreno, consistente nella previsione del tempo necessario ad attraversare un’area dalle caratteristiche superficiali variabili e, quindi, con diversa resistenza all’avanzamento di un mezzo meccanico (ad esempio una trattrice) a seconda del tipo di suolo (scabrezza), della stagione (terreni più o meno asciutti), della topografia e del mezzo stesso.

La funzione intervisibilità individua l’area che può essere vista da punti specifici e può essere utile sia in analisi paesaggistiche (visibilità di una struttura, grado di occultazione di una strada) che nell’antincendio (torri di avvistamento) che nelle telecomunicazioni, ad esempio per segnalare il territorio coperto da un’antenna, oltre il quale ne è necessaria un’altra. Nel software è quasi sempre prevista la possibilità di inserire l’altezza della struttura.

In fig.3.19 sono riportate le diverse componenti di un’analisi di intervisibilità che richiede tre tipi di dati: l’altimetria (DEM), le strutture-ostacolo superficiale e la relativa altezza, l’insieme dei punti di osservazione e, come quarto punto opzionale, gli obiettivi rispetto ai quali effettuare l’analisi di visibilità. Come uscita si ottiene una carta delle zone visibili da ogni punto di osservazione.

Fig.3.19: Esempio di analisi di intervisibilità.

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Altre funzioni di categoria simile sono l’illuminamento, in cui il modello digitale del terreno è mostrato tridimensionalmente, con i rilievi messi in evidenza dalle ombre e dalle opportune sfumature, ed il punto di vista prospettico, in cui si ha una vista tridimensionale della carta (sia essa un DEM che una qualunque carta tematica).

Esempi applicativi

3.1 – Esempi di semplici richieste dell’operatore.

1. Richiesta di dati, tipo quelli presenti nella lista degli attributi.

2. Data la maniera per riconoscere un oggetto (nome, numero identificativo ecc.), indicarne l’ubicazione e l’uso del suolo nel poligono cui appartiene.

3. Segnato con il mouse un punto sullo schermo, indicarne le coordinate e la quota (disponendo di un DEM) o alcuni suoi attributi (nome dei proprietari della parcella cui appartiene, prezzo delle case ecc.).

4. Mostrare tutti gli oggetti che rispondono a determinate caratteristiche, ad esempio i pozzi di una regione che abbiano salinità inferiore a 100 ppm.

3.2 - Operazioni logiche su modello raster:

(A) Quali celle sono contemporaneamente A e 7? (B) Quali celle sono A o 7?

(*) La logica di riclassificazione è: se attributoi, j = A, allora val(attributo) = 1. Sa attributoi, j  A, allora val(attributo) = 0

(*) Le operazioni di riclassificazione sono sono analoghe alle precedenti

(**) La logica di riclassificazione è: se vali, j = 7, allora val = 1. Sa vali, j  7, allora val = 0

(**) I risultati diversi da zero soddisfano entrambe le condizioni, quindi si riclassifica ponendo 2 = 1 e tutti i raster con attributo 1 soddisfano la richiesta

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3.3 - Dato un territorio forestale, identificare i boschi idonei al taglio a fini produttivi, secondo i seguenti criteri:

- le specie interessate siano querce del genere Q.cerris;

- i suoli siano ben drenati, in quanto le aree di cattivo drenaggio o di ristagno non sono praticabili dai mezzi meccanici disponibili;

- le aree interessate siano oltre 500 m dalle rive di corpi idrici superficiali per evitare che problemi di erosione conseguente il taglio danneggino la qualità delle acque.

1) Si devono realizzare (o reperire, visto che si tratta di informazione di base) tre mappe (corrispondenti a tre strati): l’idrografia superficiale, l’uso e la copertura del suolo (ad esempio ricostruibile dall’inventario forestale), la carta dei suoli, con particolare riferimento al loro drenaggio.

2) Utilizzando le funzioni del GIS si realizzano tre nuovi strati: attraverso la funzione spread, applicata alla carta dell’idrografia, si realizza la mappa delle aree a 500 m dai corpi idrici (strato 4); attraverso la ricodifica della carta della copertura del suolo, si individuano i boschi interessati (strato 5) con la seguente logica di riclassificazione: 1 se si tratta di Q. cerris, 0 altrimenti; con la ricodifica della carta dei suoli si isolano i suoli ben drenati (strato 6).

3) Si realizzano due ulteriori strati: lo strato 7, ottenuto isolando le aree oltre 500 m dai corpi idrici con la ricodifica dello strato 4; lo strato 8, ottenuto sovrapponendo lo strato 5 al 6 per ottenere le aree con i boschi di interesse ed i suoli ben drenati.

4) Si elabora la carta finale (strato 9) con le aree utilizzabili secondo i criteri richiesti, attraverso la sovrapposizione degli strati 7 ed 8.

Fig.3.20: Diagramma di flusso del progetto di utilizzazione forestale.

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3.4 – Selezionare le aree e le proprietà fondiarie potenzialmente idonee ad essere sede di spandimento di reflui zootecnici e fanghi di depurazione seguendo i seguenti criteri: aree non inondabili, rocce di permeabilità medio-bassa, profondità della falda di almeno 15 m sul piano campagna.

I dati di base sono: carta delle zone inondabili (intorno alla rete idrografica), carta geologica (da cui si evince la permeabilità delle rocce), carta idrogeologica del periodo di massima ricarica dell’acquifero, carta delle proprietà fondiarie (dati catastali).

Le aree potenziali sono facilmente realizzabili sovrapponendo i quattro strati contenenti l’informazione di base.

3.5 – L’Amministrazione Forestale deve gestire un bosco per scopi multipli: produzione, ricreazione, riserva naturale. Selezionare le aree più idonee alla realizzazione delle strutture turistiche.

I criteri con cui selezionare i siti sono la vicinanza a strade di accesso e l’ampiezza delle aree che devono essere adeguate alla ricettività. L’informazione necessaria è costituita da una carta dell’uso e della copertura del suolo in cui siano riportati i boschi con i relativi criteri di gestione ed utilizzo (attributi) e la classificazione secondo criteri di idoneità a scopi ricreativi, una carta topografica (scala 1:25000 o superiore) in cui siano riportate le aree urbane e la viabilità. Questi dati danno luogo a tre strati di base:

- carta dell’uso e della copertura del suolo, strato A1;

- carta della viabilità pubblica (strato B1);

- carta degli insediamenti urbani (strato C1).

I vari passaggi necessari a raggiungere l’obiettivo sono:

1. Eliminare tutte le aree non boscate dallo strato A1, assegnando valore 1 ai boschi che sono utilizzabili a scopo ricreativo (attributo BOSCHI) e 0 agli altri.

2. Riunire i confini e riunire le aree 1 con un’operazione di dissolvenza dei confini. Si ottiene così lo strato A2 dei boschi utilizzabili.

3. Generare una fascia di 750 m intorno alle strade pubbliche, realizzando lo strato B2 (attributo LIMITROFO1).

4. Generare una fascia di 1500 m intorno alle strade pubbliche, realizzando lo strato B3 (attributo LIMITROFO2).

5. Sovrapporre gli strati A2, B2 e B3, generando lo strato B4 con i cui attributi di interesse sono:

BOSCHI, LIMITROFO1 e LIMITROFO2.

6. Ricodificare la carta delle aree urbane attribuendo il valore 1 agli insediamenti (attributo URBANE) e 0 al restante territorio.

7. Sovrapporre lo strato B4 al C1 riclassificato, ottenendo lo strato B5 ed aggiungendo URBANE ai tre attributi di B4. Si ottiene così lo strato B5.

8. Assegnare il nuovo attributo ACCESSO agli oggetti in B5 utilizzando le seguenti regole:

Valore Criterio

0 zone non boscate (BOSCHI = 1) BU boschi in aree urbane (URBANE = 1)

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1 boschi in aree non urbane a 750 m dalle strade (LIMITROFO1 = 1)

2 boschi in aree non urbane oltre 750 m dalle strade, ma entro la fascia dei 1500 m (LIMITROFO2 = 1)

3 boschi in aree non urbane oltre la fascia dei 1500 m (LIMITROFO2 = 0).

Questi criteri sono impostati in maniera tale che in ciascun passaggio siano considerate solo le aree che non abbiano rispettato le regole precedenti, ad esempio la regola per BU presuppone già aree che non abbiano rispettato la condizione precedente, abbiano cioè l’attributo BOSCHI

= 1.

9. Eliminare i confini e riunire aree con lo stesso ACCESSO (“1” o “0”) realizzando lo strato B6, misurare le aree degli oggetti in B6 e modificare l’attributo ACCESSO secondo la seguente regola: se ACCESSO = 1 e l’area è maggiore di 2500 ha, allora ACCESSO = 1A, attribuire un identificativo numerico NUM ad ogni oggetto.

A questo punto è terminato il lavoro ed è necessario organizzare le uscite, un cui esempio è il seguente:

U1. Stampare un’unica mappa che, sovrapponendo i vari strati, mostra:

- ACCESSO;

- Le aree forestali (strato A2);

- La viabilità (strato B1);

- Le aree urbane (C1);

- Gli oggetti dello strato B6 con le etichette NUM.

U2. Stampare una legenda con i seguenti attributi:

- identificativo numerico NUM;

- AREA.

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