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UN VOTO RESPONSABILE PER CONTRIBUIRE AL CAMBIAMENTO

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Academic year: 2022

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UN VOTO RESPONSABILE PER CONTRIBUIRE AL CAMBIAMENTO

Etica pubblica, centralità del lavoro, stato sociale, famiglia e pace fra i temi decisivi per il futuro del Paese

La Presidenza nazionale delle Acli sulle elezioni politiche del 24-25 febbraio

Le elezioni del 24 e 25 febbraio prossimi cadono in uno dei periodi più difficili della storia della Repubblica. Una crisi, di dimensione internazionale, insieme etica, culturale, sociale ed economica condiziona la vita della nazione, e rende difficile individuare una prospettiva per il futuro.

Le Acli ritengono indispensabile dare una risposta alle profonde difficoltà attuali attraverso la riscoperta da parte dei cittadini del valore della partecipazione alla vita civile che passa dall'esercizio del diritto di voto e dalla riscoperta di un protagonismo civico come risposta ai rischi di astensione e di derive populiste. Un voto responsabile che renda possibile una svolta riformatrice ed una futura alleanza di governo tra quelle forze che collocano il futuro del Paese in una chiara prospettiva europea.

Anche per la prossima tornata elettorale si registrano aclisti candidati nelle varie formazioni politiche a testimonianza del fatto che le Acli contribuiscono a formare nuove generazioni di cristiani impegnati in politica, che agiscono nella storia secondo i principi della Dottrina sociale della Chiesa.

Il pluralismo delle scelte individuali è alimentato da un riferimento ideale e culturale di carattere riformatore nel quale le Acli sono da sempre collocate.

Le Acli sottopongono all'attenzione delle forze politiche in particolare alcuni temi ritenuti decisivi per il futuro del Paese.

Per superare la sfiducia che dilaga nel rapporto fra cittadini e istituzioni e per restituire a queste la necessaria credibilità, occorre innanzitutto un'etica pubblica condivisa.

In questi ultimi vent'anni è parso che la crisi morale della seconda repubblica abbia di gran lunga superato quella su cui si infranse la prima repubblica. Una fase che ha visto il dilagare della personalizzazione della politica e dell'individualismo, sembra ora poter sopravvivere solo a causa del mantenimento del porcellum.

Per superarla definitivamente nella prossima legislatura si impone un cambiamento della legge elettorale che restituisca il diritto di scelta dei parlamentari da parte degli elettori, che è sancito dalla Costituzione, e che consenta di incidere sulle coalizioni. Una nuova legge elettorale dovrà risultare più idonea a rappresentare il composito sistema politico italiano che non può essere ridotto al bipartitismo, nè essere costretto ad un bipolarismo dettato solo dalle regole e non cementato su basi politiche.

Nel corso della legislatura che volge al termine, si è verificato lo sfaldamento di una maggioranza numericamente amplissima: ciò dimostra che l'attribuzione del premio di maggioranza ha prodotto una illusione di governabilità, ha favorito la formazione di coalizioni disomogenee il cui solo collante era la critica allo schieramento avversario.

Oggi piú che mai si avverte la necessita di un bipolarismo propositivo, fondato sulla competizione e sulla diversità dei progetti politici e capace di garantire maggiore rappresentanza sociale.

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I partiti devono potersi organizzare intorno alle idee e non ai loro capi che spesso ne diventano i padroni, esser dotati di una gestione trasparente e democratica, costituire gli strumenti attraverso i quali tutti i cittadini possano concorrere alla vita politica.

L'austerità imposta dalla crisi rende ancor più evidente per le istituzioni pubbliche ciò che sta alla base della credibilità di qualsiasi organismo sociale: un uso contenuto e proporzionato di risorse per il loro funzionamento, al di là di ogni residuo di privilegio. Il contenimento dei costi della politica, se non vuole esporsi ai rischi di demagogia deve essere inteso come un'esigenza etica prima che contabile, e integrarsi in un disegno più ampio di riforma dello stato e delle autonomie locali.

Non si costruisce una efficace razionalizzazione delle competenze degli Enti Locali con annunci roboanti ma delegando quanto più possibile ai corpi sociali ed ai livelli di governo più prossimi al cittadino: ai comuni, in primo luogo che devono diventare protagonisti nelle funzioni di prossimità a partire dalla gestione del welfare attraverso un trasferimento di quelle risorse che le regioni in questi decenni hanno impropriamente trattenuto anziché limitarsi ad un ruolo di programmazione e di legislazione locale, dando prova, oltre ai dilaganti fenomeni di corruzione, di un centralismo forse più accentuato di quello dello stato nazionale.

Tutto ciò che non è gestibile dal singolo comune va gestito ad un livello superiore a quello comunale ed inferiore a quello regionale.

Non si può sottovalutare la necessità di governo di area vasta finora assolto dalle province.

Accanto ad un riordino e alla riduzione del numero delle province è necessario l'avvio delle aree metropolitane. Le une e le altre dovranno essere votate dal corpo elettorale e non declassate ad enti di secondo livello.

Va ridefinito nel suo complesso il quadro istituzionale, con l'obiettivo di modernizzare lo stato, migliorare l'efficienza della pubblica amministrazione, semplificando quelle procedure che si ripercuotono negativamente sul mondo del lavoro e delle imprese.

Il lavoro deve costituire la priorità del futuro governo. Il quadro che ci consegnano i vari indicatori è oltremodo allarmante quanto mestamente prevedibile. In assenza di un piano di reindustrializzazione del Paese, di rafforzamento dell'iniziativa pubblica sia sul piano industriale che su quello finanziario, i ceti lavoratori in Italia, come nel resto d'Europa sono stati lasciati per troppo tempo in balia della legge del massimo profitto che rovina il tessuto industriale con una visione di breve periodo.

Il non governo dei processi che riguardano il lavoro, o l'attenzione ad aspetti non decisivi o addirittura fuorvianti come l'estensione della flessibilità, non potrà che impoverire ulteriormente il mondo del lavoro che tenderà a conservare solo i posti di lavoro non delocalizzabili fintanto che i lavoratori italiani non accetteranno ancora consistenti riduzioni di salario e perdite di diritti che li rendano competitivi con quelli asiatici. Si tratta di una logica perversa, negativa sul piano economico e foriera di instabilità sociale e politica.

Sul lavoro serve oggi una visione di lungo respiro come quella indicata dalla Dottrina sociale della Chiesa. Occorre dare avvio ad una “coalizione mondiale per il lavoro decente”, sostituendo la tendenza al livellamento verso il basso con quella verso l’alto, estendendo a tutti i lavoratori che partecipano al mercato globale un nucleo irrinunciabile di diritti.

Sia come Paese che in ambito comunitario andrà posta molta più attenzione alla certificazione sociale dei prodotti importati, rafforzando le barriere doganali a tutela del lavoro buono e per combattere il dumping sociale, su quelle merci la cui filiera produttiva non

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sia e non risulti trasparente ed immune dallo sfruttamento dei lavoratori attraverso salari non equi, orari di lavoro intensivi e massacranti, mancato rispetto dei diritti sindacali, inadeguata sicurezza sui luoghi di lavoro, ricorso al lavoro minorile, inosservanza delle norme sul rispetto dell'ambiente.

I governi nazionali, inoltre, molto possono ancora per limitare la finanziarizzazione dell'economia, per riaffermare il primato dell'economia reale (lavoro, famiglie, imprese, settore pubblico) su quella speculativa, per ricondurre la finanza a servizio dello sviluppo e del bene comune, anche perché, a cinque anni dallo scoppio dell'aspetto finanziario della crisi, poco o nulla di concreto è stato compiuto da quegli organismi internazionali da cui ci si attende l'avvio della riforma del sistema finanziario.

Il grave deficit di etica nell'alta finanza risulta essere infatti la causa principale e scatenante dell'attuale crisi, ed ha determinato un colossale trasferimento di risorse dal lavoro ai profitti, e dai patrimoni privati e pubblici a vantaggio dei protagonisti globali delle operazioni speculative più spregiudicate, che hanno condotto il sistema finanziario internazionale sull'orlo del collasso.

L'Italia è tra quei Paesi che a livello europeo hanno deciso di istituire la tassa sulle transazioni finanziarie. Occorre prestare la massima attenzione al modo in cui questa tassa verrà definita per assicurarsi che essa vada realmente a colpire le operazioni speculative, fugando i dubbi che possa invece scaricarsi quasi esclusivamente sui risparmi delle famiglie e sulle imprese.

Dal livello nazionale deve partire l'impulso per altre due misure improcrastinabili: la ferrea separazione fra le banche commerciali che svolgono attività di raccolta del risparmio e le banche d'affari che svolgono attività di carattere speculativo, per evitare che i risparmi delle famiglie cadano preda delle centrali della speculazione finanziaria internazionale anziché servire a finanziare lo sviluppo del territorio.

Infine, la riforma più importante sotto questo profilo riguarda l'imposizione di solide garanzie patrimoniali alle banche d'affari per fare in modo che nessuna di queste possa mai più considerarsi troppo grande per poter fallire. La libertà di speculare va esercitata entro i limiti delle capacità di copertura dei soggetti che la intraprendono, senza più scaricare sul settore pubblico, e quindi sulle fasce sociali più deboli, i rischi enormi delle operazioni speculative più azzardate.

Sono questi alcuni fra i grandi nodi epocali da sciogliere sulle questioni del lavoro rispetto ai quali lo Statuto dei lavoratori, le cui origini si intrecciano con l'iniziativa sociale e politica delle Acli, continua a rappresentare un riferimento. Non si tratta di commemorare il passato, ma di segnalare alla politica l'esigenza di maneggiare con attenzione un periodo importante della storia del movimento operaio e delle Acli.

Il dramma della disoccupazione, in particolare di quella giovanile, ma anche dei lavoratori adulti precocemente espulsi dal mondo del lavoro e che ultimamente rischiano di essere lasciati soli e non più accompagnati verso la pensione, richiede un ordine di risposte molto diverso da quello di una revisione delle forme contrattuali o addirittura da una ulteriore estensione della flessibilità. Occorre discutere intorno ad un piano straordinario per il lavoro che ne rilanci la centralità, riscoprendo la vocazione industriale e manifatturiera dell'Italia e che per questo punti molto sulla formazione e sull'innovazione, conferendo alle famiglie, attraverso l'adeguamento dei salari, una maggiore capacità di consumo indispensabile per frenare la crisi.

Il lavoro autonomo e le imprese, specie quelle di piccole e medie dimensioni, svolgono un

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ruolo fondamentale per la tenuta del sistema economico e produttivo, in particolare in questa fase di straordinaria difficoltà: va reso loro più accessibile il credito, più amico e ragionevole il fisco, meno complessa e lunga la pubblica amministrazione, più puntuali nei pagamenti gli enti pubblici, vanno messe a disposizione più risorse per creare delle reti, per la formazione, la ricerca, l'innovazione.

Occorre anche proseguire l'impegno per la legalità e contro le organizzazioni criminali che inquinano l'economia e la politica, e contro la corruzione.

L'equità fiscale, ed una riduzione realistica e sostenibile, non illusoria, ingannevole o propagandistica, dell'imposizione va perseguita costruendo un nuovo patto basato sulla fiducia reciproca tra cittadini e stato ed anche però rendendo più efficace la lotta all'evasione ed all'elusione verso i singoli contribuenti, e verso le società che mediante artifici legali e finanziari sottraggono al fisco ingenti risorse.

In questa prospettiva anche un welfare sostenibile e rimodulato sui nuovi bisogni sociali non può essere considerato solo come una spesa, bensì rappresenta un investimento strategico ed una carta fondamentale da giocare per spingere il Paese fuori dalla crisi.

Deve finire la fase dei tagli lineari ed indiscriminati che addossano principalmente sui comuni le nuove emergenze sociali e che scaricano sulle fasce più deboli i costi di una politica di austerità che deve avere di mira non obiettivi contabili ma il rilancio dell'economia.

Il potenziamento dello stato sociale, anziché il suo smantellamento, costituisce oggi un valido strumento per la riduzione delle crescenti disuguaglianze sociali prodotte dalle dinamiche perverse che hanno generato la crisi attuale. Non può esservi ripresa senza una consistente riduzione delle disuguaglianze al fine di frenare l'impoverimento dei ceti medi e lavoratori e ridare ossigeno alla domanda interna. Il ruolo del Terzo Settore risulta decisivo nel garantire un livello accettabile di servizi, e nell’ attenuare la crescente polarizzazione sociale.

L’aggravamento della crisi esige inoltre l’introduzione graduale di misure contro la povertà assoluta e l’istituzione di un reddito minimo di cittadinanza.

Il ruolo degli immigrati nella società italiana è ormai rilevante dal punto di vista sociale, culturale, economico: le Acli che sono tra le associazioni promotrici della campagna sui diritti di cittadinanza “L’Italia sono anch’io”, chiedono che il prossimo parlamento discuta ed approvi la proposta di legge di iniziativa popolare per la revisione della legge sulla cittadinanza e l’allargamento dei diritti di voto agli stranieri residenti in Italia.

L'orizzonte in cui si colloca il ruolo della famiglia nella società poggia sul riconoscimento della dignità personale dell’uomo e della donna e del loro reciproco rapporto di comunione d’amore e di vita. È in questo quadro che per le Acli si pone l'attenzione a quei valori umani e cristiani imprescindibili per una società più giusta ed orientata al bene comune.

La famiglia necessita di un sistema di servizi sociali volti innanzitutto a riconoscerne e valorizzarne il ruolo sociale di cura verso i suoi componenti minori, anziani, malati o disabili, a favorire la conciliazione dei tempi di cura e di lavoro.

Le Acli chiedono la revisione delle misure sulla liberalizzazione degli orari degli esercizi commerciali e considerano un chiaro sintomo di arretramento civile, culturale e sociale la tendenza all'estensione del lavoro domenicale e festivo. In particolare in tempi di crisi a poco serve aumentare gli orari di apertura dei negozi se non aumenta innanzitutto la capacità di spesa delle famiglie.

La politica comunitaria e quella estera costituiscono altrettante dimensioni fondamentali per il futuro del Paese.

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Il rafforzamento dell'integrazione europea diviene una necessità tanto sul piano economico che su quello della sicurezza. In particolare il problema dei debiti sovrani, che grava sulla stabilità dell'Euro, richiede una politica economica e monetaria comune ed un approccio più politico in assenza del quale gli attuali tecnicismi contribuiscono ad asfissiare l'economia dell'eurozona.

Occorre prestare molta attenzione alle spinte separatiste che serpeggiano all'interno di alcuni stati membri dell'UE. Scozia e Catalogna rischiano di divenire preoccupanti sintomi di un virus jugoslavo da cui l'Europa non è del tutto immune se non intraprende con maggiore decisione la via di una definitiva integrazione che la proietti sul piano internazionale in un ruolo paragonabile a quello degli USA e dei BRICS.

Sotto questo profilo appare preoccupante ed irresponsabile l'evocazione di una macroregione del Nord sostenuta dalla Lega. Al contrario, il sogno dell'unità europea esclude la contrapposizione tra le regioni più avanzate e quelle più povere. Le vere esperienze di macroregioni in Europa hanno come presupposto la solidarietà fra aree geografiche contigue e transnazionali e con diversi livelli di sviluppo.

L'impegno dell'Italia per la pace dovrà trarre insegnamento dalla recente storia di più di vent'anni di guerre, iniziate all'indomani della fine del comunismo con la prima guerra del Golfo. L'eredità è pesante: conflitti irrisolti in Medio Oriente e conflitti generatori di altri conflitti come è il caso di quello in Libia, che ha contribuito alla destabilizzazione della regione del Sahara. Le Acli, convinte dell'inutilità della guerra per risolvere la complessa situazione venutasi a creare in Mali e nei Paesi dell'Africa occidentale chiedono al futuro governo di non partecipare a questo nuovo conflitto e di non fornire alcun supporto logistico all'intervento militare francese di cui va chiesta l'immediata cessazione.

L'Italia può svolgere un ruolo importante per sostenere la transizione verso la democrazia e per lo sviluppo economico e sociale, nei Paesi arabi che stanno superando i regimi totalitari.

Le Acli chiedono la rinuncia all'acquisto dei cacciabombardieri F35 per il loro costo e soprattutto per la loro manifesta inidoneità a fungere da armi di difesa, le uniche consentite dalla nostra Costituzione.

Roma 7 febbraio 2013

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