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LO SCENARIO GENERALE DEI MERCATI E DEL CICLO ECONOMICO

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24 maggio 2015 - I tassi saliranno, prima e più del previsto. Ma non fidatevi di me, chiedete a...

LO SCENARIO GENERALE DEI MERCATI E DEL CICLO ECONOMICO LO SCENARIO DI BREVISSIMO/BREVE TERMINE L'attenzione dei mercati è dominata da un ampio e rapido rimbalzo del dollaro, dopo settimane di fiacca (dollar index +2.65%, dollaro/euro +3.39%, dollaro/australia +2.7%, dollaro/brasile +3.35%),

con una parallela netta frenata delle materie prime (rame -3.90%, nickel -7.82%, indice generale -2.19%).

ma il mercato da seguire con più attenzione restano i tassi d'interesse.

Anche se titoli di Stato e mercato monetario si muovono poco in questi giorni,

il rimbalzo del dollaro avviene infatti con il pretesto di

1) una "sorpresa" dai dati sull'inflazione al consumo americana (l'indice "core" [depurato dei costi di cibo e energia], assurdo ma considerato importante dalla FED perché "poco volatile", segna il 2.6% annualizzato negli ultimi tre mesi.

Cioè supera addirittura il 2% d'inflazione considerato

"ideale" dalla dottrina attualmente seguita dalle Autorità monetarie - con il rischio quindi di mettere la FED "in ritardo", dopo una lunga fase in cui un rialzo dei tassi sembrava a molti "una follia" in un contesto "deflattivo"), 2) e poco dopo - non correlato, ma a qualcuno è sembrato così - un

richiamo della presidente FED Yellen, che ha confermato l'imminente (settembre/novembre) rialzo dei tassi USA, nonostante il recente rallentamento dei dati economici americani.

Quindi, dollaro forte e materie prime deboli "nascono", quantomeno come pretesto immediato, da una rinnovata attesa di rialzo dei tassi americani dopo che una sfilza di dati fiacchi aveva spostato in avanti la data attesa dai mercati, da giugno a settembre, e qualcuno si era illuso che si potesse andare al 2016.

Siccome effettivamente, nel lungo termine e sostanzialmente, questo è il tema decisivo dello scenario [l'economia reagisce con una contrazione del credito all'abuso di stimoli monetari degli scorsi anni],

cominciamo da qui a vedere cos'è accaduto in questi giorni sui mercati:

il future sui tassi "ufficiali" americani (Federal Funds, future dicembre 2015 0.350%) in realtà ha rimbalzato solo minimamente dai minimi recenti.

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Ma ai livelli attuali sconta già, e non ha mai smesso di scontare, un graduale rialzo da zero a 0.25% (scontato entro settembre), con 0.50% entro marzo 2016.

Che questo aumento avvenga (50 centesimi in due tranche), non è mai stato in discussione, nemmeno nel paio di mesi in cui dati economici americani fiacchi hanno frenato il rialzo del dollaro.

Quindi, anche il rimbalzo delle attese di aumento dei tassi in questi giorni [dati sull'inflazione americana più dichiarazioni di Yellen] non cambia granché la situazione.

Tanto, non è da lì che vedremmo arrivare sorprese sostanziali sui tassi, ma dai titoli di Stato - com'è appunto accaduto di recente.

Su questo indicatore, ci importerebbero solo segnali di rialzo sopra 0.465% sul contratto future dicembre, o sopra 0.65% sul contratto marzo 2016.

Questo indicherebbe timori di una accelerazione dei rialzi dei tassi ufficiali: non tanto paura di una "Federal Reserve severa per rigidità dottrinale", quanto anzi: "Federal Reserve che aspetta troppo e viene sorpresa da inflazione più alta del previsto e deve quindi inseguire i dati".

L'euribor tre mesi ha leggerissimamente rallentato il ribasso:

torna da dieci giorni su valori superiori allo zero (0.01% il future dicembre 2015).

Ma di zero tuttora si tratta.

Dove invece il rialzo dei tassi era già iniziato, e non si ferma, è sulla "parte lunga della curva":

i tassi d'interesse a lungo termine espressi dai titoli di Stato tornano a testare i massimi recenti, poi rallentano di nuovo leggermente il rialzo:

T-Bond americani (-0.16% a 153.78, perdita complessiva dall'inizio della sbandata 6.5%, minimi a 152 in settimana):

stanno testando da quindici giorni gli allarmi di lungo/lunghissimo termine a 155 e 150;

Bund tedeschi (+0.38% a 154.00, perdita dall'inizio della sbandata 4.5%, minimi in settimana a 152): hanno rallentato il tonfo, assestandosi sopra (poco sopra) il primo allarme ribassista di lungo termine a 153;

BTP italiani (invariati a 135, perdita complessiva 5.4% dopo aver toccato minimi al -7.4%): rimbalzicchiano dagli allarmi di lungo termine che avevano sfiorato a 133;

JGB giapponesi (invariati a 147.17): fra la settimana scorsa e questa, hanno dimezzato la perdita complessiva di aprile/maggio. Gli allarmi di lungo termine sono ancora relativamente lontani a 144/141;

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Gilt inglesi (+0.26% a 117.45, minimi a 116.50 in settimana):

rallentano leggermente il ribasso, che però continua e ha completamente annullato il rimbalzo "postelettorale" di quindici giorni fa. Attenzione a brevissimo a 117, allerta di breve termine: riavvicinerebbe le Gilt a allarmi di lungo e lunghissimo termine (116, poi 114.55).

Due mercati azionari legati strettamente ai tassi d'interesse rallentano il calo ma restano appoggiati appena sopra potenziali allarmi di lungo termine:

Le Banche tedesche (-1.45% a 94.53) esauriscono già il rimbalzino di otto giorni fa. Mantengono il netto schianto di quindici giorni fa (-8%), restano fragili (allarme a 93/90).

I fondi immobiliari USA (-0.33% a 321.60) continuano a calare lentissimamente, sono appena sopra l'allarme ribassista di 320, importante spartiacque di lungo termine.

Confermo l'ampia analisi che avevo dedicato alla crisi sui bond il 10 maggio.

Confermo che sui titoli di Stato a lunga scadenza si sta profilando uno scenario ribassista importante, con rischio di crisi improvvise

["immediate"? Ne abbiamo appunto parlato il 10 maggio. Ho detto "improvvise", cosa cambia se l'"improvviso" avviene oggi o fra una settimana, se comunque non lascia il tempo di agire sul momento?],

e quindi ho cominciato a coprire il rischio-tassi globale acquistando put a media scadenza

[ho comprato put T-Bond 155 giugno 2015. Chi non li avesse e dovesse comprare oggi acquisti put 150.]

con l'atteggiamento di chi può perdere il costo dell'opzione e, se alla scadenza di giugno i T-Bond fossero daccapo a 165, ricomprerebbe senza esitazione put 160 per settembre.

Da lì, estendendo poi l'operazione ai bond globali.

Torniamo alla settimana dei mercati:

dicevo che, sulla scia delle tensioni sui tassi, il dollaro ha fermato con un violento rimbalzo la lenta correzione dell'ultimo paio di mesi.

Attenzione:

• la correzione era stata lenta, e non aveva mai messo in dubbio il rialzo di fondo.

• Ma: la correzione è durata due mesi.

• Il rimbalzo è rapido e nettissimo.

• Ma: il rimbalzo non porta il dollaro a riprendere il rialzo.

Cioè:

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• il rimbalzo di questi giorni (nei modi e nei motivi) mostra che la forza del dollaro c'è ancora, e che la correzione non prelude a un ampio calo del dollaro,

• ma il rialzo del dollaro è stato, ed è tuttora, decisamente rallentato.

Oltre a "riprenderà a salire subito e di brutto" e a "ha finito, adesso ricade",

c'è una terza possibilità:

che il dollaro "abbia bisogno" di una pausa nel rialzo, per due motivi: uno "tecnico", banale ("ha corso tanto, deve assestarsi") e uno sostanziale, economico e politico.

Questo fattore "fondamentale" ha due componenti:

una, pochissimo discussa ma importantissima sono le tensioni commerciali che la rivalutazione del dollaro comporta.

Non è necessario che siano ufficialmente le Autorità americane a dispiacersi dello svantaggio competitivo che deriva agli USA da un dollaro/euro forte. Cioè: non è necessario che ne parlino i giornali o che qualche parlamentare irrigidisca le sue posizioni protezionistiche.

Ci pensano da soli economia e mercati, a segnalare che la tensione, appunto, esiste.

Teniamo d'occhio questo fattore.

L'altro aspetto è, come dicevo prima, il "tappo" a 50 centesimi di rialzo dei tassi americani [vedi federal funds] che i mercati scontano.

Per scontare che "prima o poi" i tassi USA saliranno "da zero a qualcosa", il decollo del dollaro nei mesi scorsi è stato forse sufficiente.

E' possibile che un decollo ulteriore avvenga quando verranno superate due soglie sui tassi: quella appunto dei 50 centesimi (più esattamente: 65/675) sui tassi a breve, e il 3/3.25% dei rendimenti dei T-Bond (cioè, il vero e proprio ribasso dei titoli di Stato americani).

Per di più: all'inizio del crollo dei titoli di Stato, il ribasso sarà contrastato. E' quindi prevedibile che anche il dollaro debba

"accumulare energia" prima di spenderla in un decollo così politicamente difficile.

Non faccio invece molto affidamento su un altro tema che ha rallentato il ribasso dell'euro - più che il rialzo del dollaro: ossia, la diluizione nel tempo della crisi greca (e più in generale, del dibattito sulla sostenibilità dell'euro).

Quel fronte mi sembra casomai la possibile fonte di accelerazioni della crisi (rispetto al ritmo sonnolento dell'ultimo paio di mesi).

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Quindi: il rallentamento del rialzo del dollaro non significa che il rialzo abbia raggiunto i suoi obiettivi finali, anche se il rimbalzo di questi giorni non necessariamente lo rilancerà subito.

In dettaglio:

dollaro/euro +3.39% a 1.1013: la correzione delle scorse settimane si è fermata prima dei primissimi segnali di possibile inversione di tendenza (1.13 sveglia, 1.15 allerta.

Solo decisamente sotto 1.15 valuterei i rischi di una correzione significativa),

il dollaro rimbalza e torna verso 1.10, senza arrivarci.

Una ripresa conclamata del decollo del dollaro verrebbe segnalata "tecnicamente" solo dal recupero pieno di 1.10/1.08, e non ci siamo ancora.

Il dollaro è quindi ancora "in pausa", per i motivi che ho spiegato qui sopra, anche se

lo scenario di lungo e lunghissimo termine resta rialzista.

Tengo tutti i dollari che ho.

dollar index +2.65% a 96.01: torna sopra 95. Ha rallentato il rialzo, ma solo nuove correzioni sotto 95 comincerebbero a segnalare una possibile sbandata verso 93/90: e fino a 90 non mi sogno nemmeno di vendere dollari.

A proposito di dollar index: mentre il dollaro rimbalza, resta/torna invece debole lo yen:

Dollaro/yen torna addirittura sopra 120 (+1.75% a 121.54), "tecnicamente" minaccia di riprendere in pieno il ribasso [ho i miei dubbi],

mentre yen/euro (+1.7% a 133.84) ha ampiamente ridotto i segnali di rialzo (da 133/131 è tornato verso 135, decollerebbe per lungo termine solo ben sopra 133/131):

non scende, seguirebbe dollaro/euro in caso di nuovo rialzo, ma appunto seguirebbe: non ha forza propria, è sostenuto "solo" dalla debolezza dell'euro.

Non siamo quindi ancora di fronte al rialzo specifico dello yen che mi aspetto come uno dei movimenti importanti dei prossimi anni.

Tengo dollari, non yen, in portafoglio per proteggere importazioni da Giappone e più generalmente da Asia, e come investimento.

E continuo a proteggere le importazioni verso area- euro.

Lo yen debole (e Banca del Giappone che conferma la continuazione delle manovre di stimolo monetario)

"bilanciano" in qualche modo il rafforzamento del

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Tuttavia: lo yen debole sta aggiungendo tensione sul fronte commerciale, del quale parlavo prima a proposito di dollaro/euro.

Cioè: lo yen in ribasso toglie al dollaro l'obbligo di scendere per alimentare una reflazione globale, ma aggiunge all'America "fatica" commerciale.

Proprio in questi giorni il Giappone prende una bacchettata su questo punto dal Fondo Monetario, che rimprovera alle Autorità giapponesi la eccessiva (diciamo pure totale) dipendenza dallo yen debole, in assenza di altre strategie.

Ripeto: non se ne parla molto, ma i danni al commercio internazionale da una "gara a chi scende più sotto zero con i tassi" esistono, e si faranno sentire.

Ma torniamo al dollaro:

Scampato allarme per il dollaro anche contro australia (-2.71% a 0.7823), che torna sotto 0.80. Tengo 0.80 come allerta e 0.83 come allarme (calo del dollaro USA).

Il dollaro canadese aveva rimbalzato un po' di più, frena (- 2.28% a 1.2279), sopra 1.25 mantiene ancora un accenno di possibile recupero, lo seguo. Allarme vero e proprio (debolezza del dollaro USA) solo se tornasse sopra 1.209 e attaccasse 1.17.

Sui mercati emergenti, la tensione al rialzo sui tassi USA non piace:

il real brasiliano ferma il recente rimbalzo (-3.34% a 3.094), e insieme si ferma il concomitante rimbalzo della Borsa (-4.02%

a 54377).

Ancora nulla di irreversibile, ma attenzione se la Borsa attaccasse 52000/50000 con real sotto 3.20.

In Asia periferica, cruciale, il dollaro non aveva ceduto decisamente, quindi rimbalza solo leggermente e resta piatto contro il won coreano (-0.41% a 1,090.11). Il won diventerebbe debole solo sotto 1090/1100, e tengo 1060 come primo serio allerta "per dollaro debole": in mezzo, è anodino.

Invece lo yuan cinese (6.197) mantiene qualche accenno di tensione al rialzo: attenzione se vediamo il dollaro sotto 6.18/6.16.

Il rallentamento del rialzo del dollaro è rimasto quindi nei limiti di una pausa nel rialzo.

Non ho mai fatto credito alla testi di un "ribasso del dollaro perché l'America non alza i tassi".

Invece, continuo a fare attenzione a un'altra ipotesi (remota): quella di un possibile tonfo del dollaro provocato da cedimento dei titoli di Stato.

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Ma avrebbe caratteristiche molto diverse dalla modesta e lenta correzione dell'ultimo mese.

Poiché un rallentamento c'è stato, tengo ancora come livelli di allarme, in caso di nuove sbandate, 1.15 di dollaro/euro, australiano sopra 0.83, real brasiliano sopra 2.70 e won coreano sopra 1060.

Anche a questi livelli mancherebbe poi ancora molto per mettere in dubbio il lungo recupero e poi rialzo iniziato nel 2008/2009.

Tengo i dollari che possiedo, e tengo coperto il rischio di ulteriori ribassi dell'euro.

Dopo le monete e prima delle materie prime discutiamo un attimo la situazione del dollaro rispetto all'oro,

perché abbiamo davanti: tassi in rialzo, dollaro che rimbalza, materie prime che smettono di rimbalzare e in qualche caso ricadono, dati economici lenti.

Cioè, complessivamente, uno scenario "deflattivo", o quantomeno "di preannuncio di deflazione".

Nasce ovvia la domanda: aspetta, ma quanto a valore reale, le monete stanno effettivamente salendo?

No.

Il dollaro continua a ciondolare intorno a 1200 (oro/dollaro -1.01% a 1,206.21 in settimana, non si sposta granché da 1200 da ormai otto mesi, ha fatto UNA rapida puntate "inflazionista" a 1300 in gennaio e una in direzione opposta a 1140 in marzo, ma altrimenti non va oltre 1230 o 1180).

In uno scenario di "tassi che stringono nettamente mandando in decollo il dollaro", dovrei vedere l'oro ben sotto 1200. E invece anche in questi giorni non si muove granché.

Depone a favore di una fase "di attesa" [vedi sopra].

Oro/yen peraltro non segnala una piena ripresa del ribasso dello yen, diversamente da dollaro/yen (in settimana +0.73% a 4710):

teniamo d'occhio 4800.

Lo yen continua quindi a "lubrificare" lo scenario mentre il dollaro

"stringe" il credito.

Su questo sfondo, frena nettamente ma non definitivamente l'accenno di rimbalzo che le materie prime avevano fatto nell'ultimo mese e mezzo: un po', fidandosi del calo del dollaro. Molto, fidandosi del rimbalzo del greggio.

Il greggio mantiene, non estende granché, il suo recupero:

ancora non passa 60 (+0.4% a 59.72). Il rimbalzo c'è ancora, a 65 segnalerebbe possibile netta tensione, continuo a farci attenzione, ma l'allarme non è immediato.

L'indice GSCI (media delle principali commodities) frena

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recente rimbalzo e resta ben lontano dall'allarme-crollo di 400.

Vicino a 450, mantiene ancora qualche rischio di ripresa del rimbalzo, soprattutto per l'influenza del greggio.

Tuttavia, non con rischi operativi imminenti: un rialzo delle materie prime, che segnali economia in piena ripresa o

"inflazione da dollaro debole", si profilerebbe soltanto molto sopra 500/550. Le commodities sono in "ribasso poliennale" fin da 600.

Secca invece la frenata dei metalli-base:

il rame nonostante secche perdite (-3.90% a 6156) resta piatto/calmo sopra 6000,

l'alluminio invece torna schiettamente debole intaccando l'allarme ribassista di 1800 (-5.67% a 1730),

e soprattutto cede di schianto il nickel (-7.82% a 12664), dopo un fallito tentativo di stabilizzarsi sopra 14000.

Lo zinco resta su livelli relativamente alti rispetto ai metalli più deboli, ma anche lui sbanda seriamente (-6.14% a 2169).

L'acciaio invece sta provando a rallentare l'ampio crollo sia in America (457 dopo minimi a 445, attenzione solo sopra 480), sia in Cina (2108 dopo minimi a 2049), sia sul future europeo/globale (in piccolissimo rimbalzo a 298).

E' appena il caso di ricordare che quotavano rispettivamente 700, 4000 e 500 quest'inverno. Quindi, "piccolo rallentamento del crollo" è il massimo che posso dire.

Poiché eventuali rialzi dell'acciaio Vi interessano molto operativamente, come livelli di allarme rilevanti tengo d'occhio eventuali rimbalzi del Rebar Shanghai verso 2500 e del Hot Rolled Coil americano sopra 480. Non ci siamo.

E concludiamo con le Borse.

Nonostante diffusi rallentamenti mantengono, con rare eccezioni (alcuni settori bancari, immobiliare, alcuni emergenti), livelli ancora altissimi che le separano vistosamente dai bond.

E questa divergenza viene notata da alcuni commentatori, senza ancora spostare però i soldi degli operatori.

Basta però solo per rallentare leggermente le Borse generaliste: che, dopo un mese difficile in cui avevano subito perdite fra il 4 e l'8%, da dieci giorni rimbalzano, poi esitano ma restano ben lontane da livelli di allarme.

-0.11% a 18232 il Dow Jones, appena sotto i massimi storici,

in rimbalzo verso i massimi recenti il Nasdaq che era stato al centro della fase negativa dell'ultimo mese (+0.76% a 5089),

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Francoforte (+1.85% a 11815) riduce i danni di una frenata che già non era gravissima,

ho menzionato prima, però, la debolezza delle sue Banche [vedi sopra], confermata in questi giorni,

e anche Londra (+0.52% a 7032) torna a agganciare 7000. Ferma qui da due anni, non brillante, ma non ha subito seri danni dall'ampia sbandata dell'inverno.

Milano (+1.11% a 23782) torna sopra 23000. "Positiva", ma 23000 è appena appena il primo livello di "scampato allarme da crollo" - perciò, positiva senza euforia. Livelli paragonabili a quelli delle Banche tedesche.

Shanghai riprende infine il suo rialzo da bolla euforica (+8.1% a 4658), riassorbendo la sbandata del 10% del mese scorso.

Quindi: le Borse restano alte nonostante un periodo di instabilità che è cominciato fra Capodanno (USA/Europa) e l'inizio della primavera (Asia/Giappone),

la cui origine è stata attribuita di volta in volta a incidenti locali o addirittura settoriali [vedi analisi del 3 maggio su "Nasdaq e biotecnologie", uno dei tanti capri espiatori],

ma che è stato simultaneo, e secondo me da attribuire, alla sbandata dei titoli di Stato, cioè alle tensioni al rialzo sui tassi di mercato,

e a un concomitante raffreddamento della crescita globale.

In sintesi:

i dati economici confermano le attese di un rimando all'autunno/inverno, ma non oltre, del primo rialzo dei tassi ufficiali americani.

Questo "legittimerebbe" una fase di calma ("calma", non "ribasso") del dollaro, di tenuta o modesto rimbalzo delle materie prime e dei titoli di Stato, e di forza delle Borse.

Ma proprio sui titoli di Stato queste attese sono state deluse: da oltre un mese i tassi di mercato stanno salendo.

Il rischio è che la stretta del credito americana e poi globale arrivi non tanto dai tassi ufficiali quanto da un "incidente" sui tassi di mercato (titoli di Stato e obbligazionari).

Operativamente:

mantengo le posizioni su tutti i fronti,

• tengo dollari, valuto quando cambiarli in yen [vedi analisi del 12 aprile],

sorveglio man mano i rischi di una frenata del dollaro, che non è però attuale,

• sono indebitato in euro a tasso fisso,

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• ho acquistato put sui titoli di Stato USA [vedi dettagli nel numero del 19 aprile. Indicativamente: put 155 o 150 per giugno 2015, eventuale rinnovo per settembre] per proteggermi dall'avvio di un ciclo rialzista dei tassi d'interesse,

• non ho scorte di materie prime, anche se a breve/medio sorveglio qualche rischio di rimbalzi settoriali [vedi dettagli nel numero del 5 aprile].

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