• Non ci sono risultati.

LO SCENARIO GENERALE DEI MERCATI E DEL CICLO ECONOMICO

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2022

Condividi "LO SCENARIO GENERALE DEI MERCATI E DEL CICLO ECONOMICO"

Copied!
17
0
0

Testo completo

(1)

5 luglio 2015 – Euro, dracma, o tutt'e due?

LO SCENARIO GENERALE DEI MERCATI E DEL CICLO ECONOMICO LO SCENARIO DI BREVISSIMO/BREVE TERMINE

La fase più acuta del "mini-panico greco", infatti, ha sì portato a ampie sbandate dei mercati,

ma queste sono state rapidamente riassorbite, quasi per intero,

e, anche sui livelli estremi, provvisori, sui mercati principali non hanno mai segnalato sostanziali svolte di scenario

[con una importante eccezione].

Al peggio, il Dow Jones ha toccato 17600, il dollaro 1.1050, il rame 5720, il franco svizzero ha addirittura arretrato contro euro.

L'eccezione sono stati, ovviamente, i titoli di Stato, e il settore bancario tedesco, che nelle fasi di maggior tensione "greca" hanno dato falsi allarmi da crollo di lungo termine [vedi dettagli nella rubrica apposita].

"Falsi"?

"Falsi" nel senso che sono prontamente rientrati e che erano guidati soltanto da notizie di stampa, non da una sostanziale svolta della situazione reale.

Un movimento che pretende di segnalare una svolta di lunghissimo periodo, e che quindi andrebbe verificato, dice il manuale, per almeno tre giorni e per almeno un 3% di scostamento, e che invece dura sei ore e torna al punto di partenza, lo chiamo "un falso allarme". Buono solo per scottarsi se si fa trading a vanvera seguendo il Telegiornale.

Ma non "falsi" nel senso che non avessero fondamento, e che non possano ripetersi.

Grecia o non Grecia.

Intanto perché hanno fatto vedere la spaventosa illiquidità dei mercati.

Durante tonfi del 3, 4% non ha comprato nessuno, a nessun prezzo [di questo discuteremo ampiamente nella parte teorica di domenica prossima].

Si era creata una situazione di instabilità "sistemica": "il tonfo è tale che, anche se vendo, non sono sicuro che mi pagheranno, ormai. E se compro, non so se chi vende sarà vivo stasera per consegnarmi i titoli".

Un "gap" della portata di quelli che si sono visti sulle Banche tedesche (93Æ87.50 in qualche minuto) o sui BTP italiani (132 Æ 125.50) ha di solito questo significato.

E poi perché andavano nella direzione,

(2)

e arrivo al punto,

in cui quegli stessi mercati stanno comunque andando, magari con meno panico ma con un buon passo, già per conto loro, da mesi,

trainati da un tema più profondo e meno arbitrario delle tattiche greche,

quello del "grande ciclo" dei tassi d'interesse.

Così, anche letta al netto del dramma greco, la situazione dei mercati continua a andare nella direzione ineluttabile di una stretta del credito erogato negli anni del "salvataggio dalla crisi dei mutui".

Il dollaro non fa un decollo forsennato contro euro, ma sale, e stavolta sale anche contro periferie.

Lo yen non scende.

Le materie prime continuano a arrancare, stavolta slitta il greggio, in picchiata il nickel e l'acciaio cinese.

I titoli di Stato, ho detto.

Le Borse recuperano le perdite "greche" ma poi non riescono a entusiasmarsi dei dati economici americani,

e chiudono comunque in leggero calo, e sono comunque ferme da Capodanno.

Infine: se la Grecia ha dominato le prime pagine dei media europei, facendo da pretesto alle sbandate dei mercati a inizio settimana, le chiacchiere degli operatori e dei commentatori su scala più globale si sono concentrate su un altro episodio,

ossia lo "sboom" della Borsa cinese.

Anche questo (come in fondo anche la crisi europea. Non l'episodio greco, ma proprio la lunga crisi europea che data ormai dal 2011), una conseguenza del "grande ciclo" economico e monetario,

non un episodio imprevedibile o fortuito.

Conclusione?

Tutte le crisi "lente e inesorabili" hanno, certamente, detonatori.

Possono esplodere e acuirsi improvvisamente per un episodio marginale.

Può essere la Grecia.

Ma preferisco non ossessionarmi (ossessionarvi) con quell'episodio, perché già ci pensano i mass media,

(3)

e perché troverei assolutamente normale vedere un "sollievo greco"

(referendum in parità, elezioni greche, rimpasto di governo, negoziazioni)

sgambettato da un banalissimo, lento, inosservato, calo dei T-Bond sotto 150 che poi nel giro di due settimane diventa una svolta pluridecennale dello scenario dei mercati e economico.

E mi sembrerebbe sciocco cascarci come pere cotte mentre festeggiamo uno "scampato pericolo" greco.

Il pericolo non è la Grecia, il pericolo è il grave scompenso fra creditori e debitori che è stato provocato da sei anni di tassi zero.

I politici Greci che danno del "terrorista" ai "creditori"

sono solo un sintomo di questo squilibrio.

E sono i creditori che stanno perdendo e che hanno perso finora, al contrario di quanto sostengono Stiglitz, Krugman e i Greci.

A cominciare dal maggior creditore del Mondo, oggi, ossia la Cina.

Quindi:

anche la settimana del "dramma greco" non porta variazioni di prezzo tali, né contenuti teorici tali, da spostare i nostri occhi dalla "palla" dei tassi.

La "mini-crisi" cinese è molto più pesante e importante, ma anch'essa è collegata a quel tema.

Certamente lunedì guarderò la reazione dei mercati alla politica greca e europea, ma i titoli di debito USA sono l'indicatore-principe con cui orientarci anche in una eventuale settimana caotica per motivi

"greci".

Figuriamoci nel caso di un esito "euroforico"...

Mantengo la strategia operativa.

(4)

Adesso vediamo qualche dettaglio sui movimenti dei mercati in questi giorni.

Cominciamo quindi proprio da tassi e bond:

Tassi a breve

Federal Funds americani, future dicembre 2015 0.280%, tornano a appoggiarsi sui minimi recenti; lo stesso vale per il future marzo 2016 che segna 0.425% dopo aver sfiorato 0.60% nelle scorse settimane.

E' quindi appena sotto di 0.50%, e lì resta.

Senza ripetere un'ampia analisi [21 giugno], confermo la mia valutazione secondo cui i mercati sperano di

"congelare" allo 0.50% l'aumento dei tassi USA.

Cioè: dopo aver negato a lungo l'evidenza e aver sperato/teorizzato che i tassi non sarebbero saliti,

si sono arresi a un aumento di 50 centesimi a settembre/novembre, e adesso cercano di sostenere che "la cosa si fermerà lì a lungo" ("tutto il 2016").

Non sono d'accordo. I mercati obbligazionari nemmeno.

Ma questo "spiega" la pausa nel rialzo del dollaro.

Notes USA a due anni (109.531, rendimento 0.627%): il

"trait d'union" fra tassi di mercato e tassi ufficiali smentisce in parte i federal funds: il rendimento delle biennali ha passato da tempo lo 0.50%.

Attenzione se attaccassero 109.

Euribor tre mesi: 0.02% il future dicembre 2015: non regge sui minimi recenti (lo stesso fa il marzo 2016 a 0.015%):

deboli ma non sono più in territorio negativo, e non scendono più da Capodanno.

Ma è difficile qualificare questa come "tensione al rialzo".

Tassi a lungo termine espressi dai titoli di Stato

T-Bond americani +1.78% a 150.19, rendimento 3.19%:

ripassano da 147.15 in settimana [-2.2%] "per colpa della Grecia", poi si assestano e non confermano il cedimento di 150.

Il rimbalzo è un tipico movimento "da rifugio" [gli operatori escono da Borse e titoli deboli, acquistato in parte titoli "forti" - o meglio, liquidi - come quelli USA e tedeschi].

(5)

Da notare che, dopo la sbandata e il sollievo, ripassano da 148 ancora giovedì.

Dopo l'allarme di lungo/lunghissimo termine di 155 delle scorse settimane,

stanno minacciando da 10 giorni anche una possibile immediata accelerazione del ribasso, che sancirebbero sfondando 150 - dove fra l'altro abbiamo piazzato la seconda tranche di opzioni put.

Lo sfondamento di 150 sarebbe grave, e creerebbe la possibilità di un affondo 141/140.

A oggi, intorno a 150, i T-Bond hanno fermato il recupero del 2013/2014.

A 141/140 abortirebbe l'effetto delle manovre monetarie del 2009/2014.

I mercati non crederebbero più all'efficacia degli interventi delle Banche centrali.

Secondo me, abbiamo già un segnale "tecnico" di decollo dei tassi globali.

Fra 150 e 140 devono "arrendersi" operatori, commentatori, grossisti, gente che ha una valanga di bond in portafoglio ed è restia a parlarne male prima di averli venduti.

Quello sarebbe il passaggio decisivo e scioccante.

Fino a quella fase, mi attendo un ribasso contrastato, lento (non ultimo, appunto, per l'"effetto-rifugio"

quando il mercato si distrae con crisi "minori" come quella greca).

E' anche facile che ogni rimbalzo venga accompagnato da teorizzazioni e "cambi di scenario". No.

I tassi a trent'anni sono ormai saldamente sopra il 3%.

Passato anche il 3.25/3.30%, punterebbero rapidamente al 3.75/4.00% con il rischio di vedere entro un paio d'anni il 5/6% di cui parlo da tempo.

Un'economia "tarata" sul "tasso zero" cambierebbe faccia al 6% di tasso di riferimento americano per i mutui.

Tenete gli occhi su questo mercato.

Da segnalare che [vedi la rubrica apposita] i fondi immobiliari americani mantengono lenti allarmi ribassisti.

Tengo posizioni operative ribassiste sui T-Bond (seguiranno titoli europei) a protezione del rischio-tassi globale

(6)

(non è solo l'aumento dei tassi sui miei finanziamenti, che magari sono a tasso fisso, ma l'impatto economico più generale di un ciclo rialzista).

Ho esercitato i put giugno 155, tengo le posizioni ribassiste che questi hanno generato, con stoploss a 157, ho put 150 settembre, o,

se sono un ritardatario cronico, acquisto put 145 settembre.

Bund tedeschi +1.07% a 151.80, rendimento 0.79%;

"beneficiano" della crisi greca, assorbendo qualche flusso in uscita dalla periferia [vedi sotto], e quindi reggono sull'allarme da crollo di 150 e sopra i minimi (148) visti nelle scorse settimane.

Deboli, il ribasso rallenta leggermente.

Parte di esso si scarica come al solito sulle Banche tedesche.

La perdita di 155 il mese scorso ha cominciato a innescare allarmi ribassisti conclamati (aborto del rimbalzo del 2013/2014),

150 sarebbe la conferma e lì inizierebbe l'attacco a 144 dove i tassi tedeschi comincerebbero a salire per lunghissimo termine, dopo aver fermato il calo forzoso degli ultimi anni.

Da 150 a 143 le Autorità monetarie avrebbero "deluso"

quanto alla loro capacità di "fare qualsiasi cosa necessaria" (per citare Draghi).

Non siamo ancora nemmeno all'allarme di 150, e anche fino a 143 mi attenderei un ribasso contrastato, lento, e che ogni rimbalzo venisse accompagnato da teorizzazioni e

"cambi di scenario".

Sotto 143 sarebbe invece il panico.

L'indicatore che aveva anticipato il tonfo dei bond tedeschi, ossia le azioni delle Banche tedesche, come al solito "dà loro il cambio": alla tregua sui Bund risponde un nuovo calo delle Banche, che erano e restano fragili [vedi sotto].

La Periferia europea ovviamente è più direttamente esposta al "nervosismo greco".

Questo significa anche una maggiore prontezza nel rispondere poi a "salvataggi", tregue, rassicurazioni, ecc.

Non è il mezzo punticino in più perso o recuperato adesso che mi importa.

(7)

E' l'impatto politico e sulle Banche quando lo scenario globale costringerà Paesi grandi come Italia e Francia a fare i conti con il rialzo dei tassi globali.

Ho detto "Francia". Seguitela con attenzione.

BTP italiani -0.88% a 130.70, rendimento 2.25%.

Modesta perdita finale, che lascia i BTP ancora sopra i peggiori allarmi,

in una settimana che ha però visto i titoli italiani, nella fase più acuta del "mini-panico greco", scendere fino a 125.62, con perdite quindi fino al 4.8% e attivazione degli allarmi "tecnici" a 130/128.

Si è visto in quelle ore ciò di cui sto parlando da mesi:

non c'era la possibilità di operare.

Non ci sono stati acquisti di nessun tipo, per una giornata, sui livelli "tecnici" "di supporto" a 130 e 128.

I BTP sono scesi in verticale finché non sono state loro fornite "notizie" rassicuranti.

Una volta avviata una svolta di scenario, dovranno riprezzarsi per uno scenario molto diverso, e non ci arriveranno per gradi.

Nelle ultime settimane hanno dato un primo allarme ribassista evidente sotto 134, fra 130 e 128 si innescherebbe un panico quantomeno di breve/medio termine.

Fino a lì, sono ancora lenti [vedi, 21 giugno, l'analisi sulla "diluizione" della crisi greca].

Bonos spagnoli -0.87% a 125.72, rendimento 2.21%.

Vale quanto detto per i BTP: il calo è lento, le perdite nella settimana sono tutto sommato modeste, l'allarme di 126 non viene ancora sfondato in pieno,

ma quando la Grecia è sembrata fornire il pretesto per una fase di panico, i Bonos hanno picchiato direttamente giù a 124 senza trovare nessuno che li trattasse.

Quindi: lenti sì, ma illiquidi e fragilissimi, a rischio di discontinuità.

Sono in preallarme da 130, sfondato ormai oltre un mese fa, e sfondando 126 inizierebbero a rischiare un attacco con gravi conseguenze di lunghissimo termine.

OAT francesi +0.39 a 145.87, rendimento 1.24%:

dopo minimi sotto 145 (che però si protraggono fino a giovedì: quindi, non è solo "Grecia"), contengono le

(8)

perdite e anzi attenuano in parte quelle della settimana precedente.

Restano deboli: hanno interessato ormai da un mese un importante allarme ribassista di lungo termine a 148, reggono invece da tre settimane sopra 145, la cui perdita avvierebbe una crisi acuta.

I titoli francesi sarebbero importantissimi, per il loro peso politico, in una crisi europea "da sfiducia nel progetto":

non tanto un "panico greco immediato", quanto "dopo la Grecia, discutiamo a cosa serva tutto questo". Una ripresa delle liti franco-tedesche degli anni precedenti alla nascita dell'euro.

Vedi l'analisi sulla Francia del 21 giugno.

Gilt inglesi +1.51% a 116.04, rendimento 2.00%:

intaccano anche 115 (importante allarme, vedi sotto) in settimana, e non solo sulla sia del mini-panico "greco", poi rallentano la picchiata,

restano deboli, continuano il calo in corso da Capodanno.

Europee ma molto vicine ai temi economici americani (rialzo dei tassi "legittimo a causa della crescita economica"), già colpite pesantemente nei mesi scorsi, scendono quindi più lentamente perché già deprezzate, ma anche loro sotto 118 sono tornate instabili, e sotto 115 rischierebbero un nuovo deciso ribasso

(obiettivi a 110 a medio termine. Nel loro caso, lì troverebbero i minimi storici. Lo spazio per un panico è quindi limitato).

JGB giapponesi invariati a 146.70, rendimento a 0.49%:

breve picchiata sul preallarme di 146 che avevano già sfiorato nelle scorse settimane, poi reggono/rallentano.

Mantengono un'allerta ribassista (147) che ha quantomeno frenato il rialzo.

Restano altissimi (immuni? No. Semplicemente, i temi che agitano il resto del Pianeta, li hanno già vissuti e scontati nei quasi tre decenni precedenti),

ma anche loro comunque piano piano stanno slittando da ormai quattro mesi.

Allarme solo se vedessimo 146/145 o peggio. Ma saranno gli ultimi a muoversi.

(9)

In sintesi: al netto di ampie ma inconclusive oscillazioni di brevissimo termine, che casomai confermano l'instabilità del mercato e degli intermediari, i titoli di Stato globali mantengono l'ampia correzione che ha caratterizzato quest'anno.

Nelle ultime settimane hanno cominciato (primi gli USA, com'era ovvio) a avvicinare livelli che trasformerebbero la correzione in un vero e proprio ribasso di lungo termine.

Questo evento cambierà drasticamente lo scenario.

Restano quindi al centro della mia attenzione.

Passiamo quindi alle monete:

Il dollaro si rafforza leggermente, coerentemente con la tensione al rialzo sui tassi globali

ma per medio termine il dollaro a oggi non rompe ancora la relativa tregua della primavera (il rialzo ha rallentato senza fermarsi),

che attribuisco all'aspettativa, da parte degli operatori, che un rialzo dei tassi USA avvenga, in autunno, e non venga quindi affatto rinviato, nonostante l'economia abbia rallentato, ma che l'aumento dei tassi si fermi intorno allo 0.50% attualmente scontato dai Federal Funds [vedi sopra].

Questa illusione di tregua verrebbe rotta ad più nette tensioni sui tassi o da timori di contrazione del credito legati al caso-Cina o a contraccolpi sistemici del caso-Europa.

Tradotto dal Cinese: se vediamo il dollaro muoversi più nettamente in seguito a un definitivo cedimento della Borsa cinese [vedi sotto]

o delle Banche tedesche, potrà decollare.

A breve e breve/medio, tengo ancora distinto separiamo il caso specifico di dollaro/euro.

Contro euro, il dollaro mantiene la situazione un po' anomala che ho discusso il 21 giugno:

in sintesi: la maggiore o minore debolezza specifica e immediata dell'euro a seconda delle fluttuazioni d'umore degli operatori sul caso-Grecia impedisce di leggere chiaramente i segnali economici specifici al tema dollaro/tassi/scenario globale.

Mantengo quindi un po' di tolleranza per "falsi segnali"

(due/tre punti di margine rispetto a ciascuno dei "livelli tecnici" che segnalo qui sotto), e cerco conferma su cambi meno direttamente interessati dai problemi specifici dell'euro (australia, yen, emergenti, oro).

Detto questo, dollaro/euro in questi giorni è, o "dovrebbe essere", ovviamente forte, in considerazione della situazione greca.

In realtà non si muove poi troppo (+0.47% a 1.1114, con massimi a 1.1031 ma anche minimi a 1.13): certamente negli

(10)

ultimi giorni si allontana dai segnali di possibile debolezza (e ci mancherebbe) a 1.13 e slitta piano verso 1.10,

ma non arriva ancora nemmeno a ingaggiare 1.10, tantomeno a superarlo.

Fino a sopra 1.10, il rialzo del dollaro è fermo.

Provate a dirlo al contrario: "nonostante il dramma greco, il ribasso dell'euro è fermo da quasi tre mesi". Uhm...

Poi mi chiedete "perché sospetti che la faccenda greca andrà per le lunghe?".

A frenare il decollo del dollaro, secondo me, è l'ipotesi, ancora molto diffusa fra gli operatori, che il ciclo rialzista dei tassi USA possa sì cominciare presto, ma fermarsi per qualche tempo dopo un primo scalino a 0.50% [vedi sopra].

Come abbiamo visto prima, a smentire questo scenario rassicurante saranno i titoli di Stato, scontando una stretta monetaria ben maggiore.

In quel caso, una ripresa conclamata del decollo del dollaro verrebbe segnalata "tecnicamente" dal recupero pieno di 1.10/1.08[1.07].

Il dollaro è quindi ancora "in pausa" a breve/medio termine, mentre lo scenario di lungo e lunghissimo termine resta rialzista (verso 1.00 o peggio).

Tengo tutti i dollari che ho.

Attenzione: in caso di crisi sul dollaro provocata proprio da un eventuale panico sui titoli di Stato, potrebbe presentarsi la necessità di uscire dal dollaro per andare sullo yen [vedi], non sull'euro.

State operativamente pronti a questa eventualità.

Dollaro/resto del Mondo:

Dollar index +0.67% a 96.11: fa piccoli progressi, può provare a riprendere il rialzo, che è fermo ormai da aprile.

Non ci siamo ancora.

Quantomeno ha scansato la minaccia di frenare il rialzo cedendo sotto 95.

Continuo a fare attenzione a quel livello nel caso di nuovi rallentamenti: poi, sotto 95, soltanto un netto cedimento verso/sotto 93/92 fermerebbe il rialzo, e fino a 90 non mi sogno nemmeno di vendere dollari.

Anodino anche dollaro/yen (-0.86% a 122.79), che determina gran parte dei movimenti del dollar index:

mantiene senza grinta il rialzo oltre 120, dove aveva

(11)

segnalato "tecnicamente" la piena ripresa del rialzo di lungo termine dopo quasi sei mesi di sosta,

ma non è finora riuscito a ricavare granché da questo segnale.

"Tecnicamente", avrebbe potuto facilmente attaccare 125, e da lì andarsene a 140, ma ha esitato.

Questo non mi crea dubbi sulla forza futura globale del dollaro (che qui ha già corso molto, rispetto ai cambi contro euro e periferie),

ma casomai mi conferma che lo yen è "stanco di scendere". Coerentemente con il fatto che lo scenario di lungo/lunghissimo termine vedrà lo yen, secondo me, forte.

Ma solo se e quando arretrerà fin sotto 120, dollaro/yen comincerà a confermare questa interpretazione.

Continuiamo a aspettare il momento buono per comprare yen in cambio di dollari.

Qualche leggerissima tensione "al rialzo" (con quattro paia di virgolette...) si intravede su yen/euro (+1.36%

a 136.43):

per medio termine resta ancora sostanzialmente intanto piatto intorno a 139, ma, soprattutto nelle giornata più deboli per l'euro, torna a visitare 135 e brevissimamente anche 133.50.

Poi però arretra verso 137.

Tengo 133 come allarme al rialzo,

chiedendo però conferma a dollaro/yen (che deve tornare sotto 120) e a oro/yen (altissimo a 4595, per rendere credibile un rialzo dello yen deve sfondare 4500 e attaccare almeno 4200):

senza queste conferme, non sarebbe "yen forte" ma "euro debole": in quel caso conviene tenere dollari.

Tengo in portafoglio dollari, non yen, sia per proteggere le importazioni verso area-euro sia per investimento.

Ma torniamo al dollaro:

la "frenata cinese" si comincia a sentire diffusamente sui mercati: si indeboliscono i semidollari, scende nettamente il minerale di ferro. Lo sgonfiamento della "bolla" della Borsa cinese ha quindi rilevanza sostanziale.

Australia (-1.72% a 0.7523): intacca 0.76 e da lì accenna a riprendere il ribasso dopo una lunghissima pausa.

(12)

La perdita definitiva di 0.75 (prendiamoci sempre una settimana di verifica in questi casi) riavvierebbe il crollo di lungo termine verso 0.65.

Dollaro canadese (-2.05% a 1.2574): riavvicina i minimi recente (1.26), non li peggiora, non riprende ancora in pieno il ribasso, mantiene ancora la pausa degli ultimi mesi.

Torna però da "piatto" a "debole".

Real brasiliano (-0.16% a 3.134): anche lui torna fiacco ma non riprende già in pieno il netto ribasso dell'inverno.

Resta vicino all'allarme da crollo di 3.20.

Deboli ma lenti i titoli di Stato, mentre la Borsa brasiliana (-2.77%

a 52519) torna a avvicinare l'allarme da crollo di 52000/50000.

La perdita di 3.20 e insieme di 50000 sarebbe un forte segnale di crisi degli "emergenti" e di forza "deflattiva" del dollaro.

Asia periferica: area cruciale, anche in relazione alla "mini- crisi cinese".

Il dollaro qui partiva da una posizione debolissima dello scorso anno, e sta per ora solo rimbalzando.

Nulla di paragonabile alla sua forza contro yen o euro.

Won coreano (-0.58% a 1,122.97): il passa 1120, dando per la prima volta un segnale di netta forza.

1120/1140 è un passaggio difficile, da seguire con attenzione:

sopra questi livelli il dollaro romperebbe gli indugi e starebbe salendo anche nella regione che lo ha finora (e con motivi reali) tenuto più a freno.

Fino a lì il rimbalzo è ancora lentissimo.

Lo yuan cinese spot (6.206) resta fermo/piatto nonostante il tonfo della Borsa e l'immediata risposta della Banca centrale cinese che allenta il credito: è addirittura ancora vicino a possibili segnali di tensione al rialzo contro dollaro (6.18/6.16)...

Soltanto sotto 6.26/6.28 segnalerebbe un sostanziale allentamento monetario cinese.

Insomma, non sconta una energica risposta delle Autorità monetarie cinesi allo sgonfiamento della bolla del mercato azionario (e al rallentamento dell'economia).

Calmo anche il cambio a termine un anno (1329.49).

Le materie prime sono il settore che, dopo i bond [vedi], dall'inizio dell'anno ha contraddetto più nettamente le attese che il rialzo dei

(13)

tassi americani possa essere "rinviato", "attenuato", "ammorbidito", o possa, in definitiva, "contare poco".

Un loro accennino di rimbalzo "da speranza che il dollaro rallenti"

in febbraio/marzo è durato poche settimane,

e una frenata avviata dai metalli si sta adesso estendendo al greggio.

Tutt'altro che uno scenario di "credito e dollaro facili".

Oro (-0.58% a 1,168.70):

è debole, destando la "sorpresa" di qualche commentatore che

"si sarebbe aspettato che davanti alla possibile disintegrazione dell'euro qualcuno corresse a rifugiarsi sull'oro".

Uhm... No.

Per questo motivo: il prezzo dell'oro è un buon indicatore della quantità di moneta. In una crisi che rischia di chiudere un intero sistema bancario nazionale, e danneggiarne altri, è sensato che la reazione sia "deflattiva".

Se il tuo bancomat ti eroga un massimo di 60 euro al giorno, non ci compri oro. Ci compri eventualmente acqua, una pistola o gasolio.

Quindi potremo vedere, in caso di crisi acuta, rimbalzi "da acquisti da paura", ma non perché "la liquidità esca dall'euro (e tantomeno dal dollaro) per andare sull'oro". Piuttosto, perché un certo numero di operatori istituzionali o fondi ha ordini di comprare oro, in ossequio a una lunga tradizione (sì... ma di crisi "inflazionistiche", Ciccio... svalutazioni delle valute maggiori...) nelle giornate di panico.

Detto questo, l'oro da dieci giorni sta riprovando a sganciarsi al ribasso da 1200.

Lo seguo con molta attenzione ma con altrettanta calma perché questo decisivo passaggio è fallito ormai cento volte nel giro di ormai due anni abbondanti:

l'oro oscilla ampiamente intorno a 1200 senza allontanarsene, piatto su livelli che sì, dicono che gli stimoli monetari non potevano e non possono continuare all'infinito a tenere su da soli prezzi e soprattutto domanda di merci e servizi (crollo da 2000 a 1300/1200), ma dicono anche che ha ancora dubbi su una stagione di deflazione conclamata (cedimento via da 1200 verso 1000/800 o peggio).

L'oro sconta ancora la possibilità che il rialzo del dollaro venga

"contenuto", che il rialzo dei tassi USA possa restare "moderato".

Contrordine se accelerasse il calo via da 1200 dando una conferma definitiva sotto 1140.

(14)

Indice GSCI (-0.44% a 433.81): il petrolio in questi giorni appesantisce la media delle principali materie prime, che cala però solo lentamente, perché è sostenuta da un'impennata, legata a fattori climatici e produttivi, delle granaglie.

Il calo dell'indice delle materie prime, perciò, in questi giorni

"guadagna" in intensità e significato economico, ma resta lento e lascia l'indice ancora sopra (poco sopra) il segnale da crollo di 400.

Mantiene quindi - ma in modo adesso opaco - ancora una tregua paragonabile a quella del dollaro ("rialzo dei tassi sì, ma non scioccante").

Un calo ulteriore dei bond che mandasse il GSCI verso e sotto 400 sarebbe un segnale potente di deflazione.

E il greggio (-6.89% a 55.52) aveva frenato da tempo il suo rimbalzo, ma senza interromperlo. Fallito il decollo oltre 60 che avrebbe legittimato attese di più ampia correzione del dollaro, non aveva però dato seri segnali di stallo (56/55) e tantomeno di nuovo ribasso (50).

Adesso però li avvicina.

Se lo vediamo sotto 55/50 con oro in calo, avremo un'ennesima conferma a uno scenario "restrittivo" con tassi alti e dollaro forte.

Confermata la ripresa del calo dei metalli-base dopo una lunga pausa:

il rame (invariato a 5744) non ha esteso il tonfo di quindici giorni fa ma resta sotto 6000/5800: qui è nettamente debole, con implicazioni per lo scenario economico;

l'alluminio rallenta il ribasso ma mantiene il cedimento sotto l'allarme ribassista di 1800 (+0.36% a 1672);

il comparto ferro/acciaio/nickel/zinco diventa importantissimo in relazione alla crisi sulla Borsa cinese:

il nickel (-3.59% a 11957) accelera il crollo e attacca 12000.

Sotto 12000 rischia di avviare una nuova fase ribassista diretta ai minimi storici (10000/9000).

Importantissimo, da seguire.

Lo zinco resta invece su livelli relativamente alti rispetto ai metalli più deboli (-0.64% a 2012): solo decisamente sotto 2000 sarebbe decisamente debole, e 2000 invece ancora regge.

Certo che... ha arretrato da 2400 a 2000 in un mese.

L'acciaio sta rallentando il suo ampio crollo in America (rimbalzino a 470 dopo minimi a 445). Quotava 700 un anno fa, è davvero solo un piccolo rallentamento del crollo. Ma c'è.

Rimbalzi almeno a 480 meriterebbero attenzione.

(15)

Non sto comunque ipotizzando acquisti. facciamo solo attenzione.

Intanto l'acciaio continua a scendere nettamente in Cina (nuovi minimi a 1852, con perdite del 30% da Capodanno).

E concludo con le Borse.

Shanghai (-12.07% a 3687) ha ormai iniziato in modo inequivocabile una sua specifica dinamica (negativa), separata (per adesso) dall'andamento dei mercati azionari globali.

Sta clamorosamente sgonfiando una "bolla" [riconosciuta adesso, e solo adesso, come tale dalla comunità dei commentatori e operatori, illusi fino a 15 giorni fa].

Anzi, proprio in questa settimana Shanghai comincia "tecnicamente" e

"ufficialmente" lo "sboom", sfondando 4000.

Qui e solo qui comincia, secondo il Libro Sacro, la correzione di Shanghai, che finora aveva solo "rallentato" il decollo.

In realtà, la picchiata del 22% in due settimane a me sembrava già inequivocabile,

e quest'ultimo 10% di ribasso avviene mentre sia i mercati (metalli, australia) sia le Autorità stanno "leggendo" il ribasso cinese come il potenziale inizio di una vera e propria crisi cinese.

Ne sono convinto, da tempo, ma a brevissimo (prossimi otto giorni) adesso sono io a "frenare":

a) Shanghai ha ancora una "base" tecnica dove rallentare il crollo a 3300 prima che si scateni il panico e inizi un vero ribasso di lungo termine.

b) Hong Kong è ancora altissima (-2.25% a 26064, a malapena sfiora il primo serio preallarme a 26000. Solo un cedimento sotto 22000 legittimerebbe una crisi cinese conclamata,

c) e il Kospi coreano è addirittura in rimbalzo (+0.68% a 2104) e lontana da segnali di preallarme (2000) e tantopiù di allarme vero e proprio (1900/1880).

Quindi:

secondo me (e secondo dati diffusi anche dalle Autorità cinesi, per quanto edulcorati), la fase di "frenata cinese", strettamente connessa con la "stretta globale del credito" che mi attendo, è già iniziata da mesi.

Il tonfo di Shanghai è uno degli episodi a essa correlati. Ma australia, acciaio, minerale di ferro, noli, nickel... parlano della stessa cosa.

I mercati finanziari non la scontano ancora, nemmeno su scala locale.

(16)

Lo farebbero con un cedimento di Hong Kong (26000Æ22000), Corea (2000Æ1900), australia (via da 0.75), che accompagnassero un calo di Shanghai esteso sotto 3600/3300.

Questo è un gruppo di movimenti di mercato da tenere d'occhio costantemente.

Lì avremmo qualcosa di diverso da "perdite per qualche migliaio di speculatori dilettanti cinesi".

E un vero e proprio processo deflattivo in un'area economicamente importante del Pianeta (e Vostro rilevante partner commerciale).

Al di fuori della Cina, le altre Borse maggiori vengono in questi giorni inquietate (ma nemmeno troppo) dallo psicodramma greco, che soprattutto a inizio settimana provoca sbandate ampie poi ridimensionate,

ma di fondo continuano a dipendere dal "grande tema" del rialzo dei tassi d'interesse americani e globali,

che a oggi non produce ancora un impatto sostanziale.

Complessivamente le Borse globali mantengono le posizioni degli ultimi mesi: i rialzi si sono fermati, sono inquiete, ma ancora alte.

Oppure, se erano già deboli (Brasile, fondi immobiliari USA, Milano), non tornano ancora in allarme acuto.

-1.21% a 17730 il Dow Jones, che anche nella fase più critica della settimana regge sopra 17500, che sarebbe il primissimo credibile segnale di frenata.

Tengo d'occhio 17500, con 17000 come vero e proprio allarme.

Situazione analoga per il Nasdaq (-1.40% a 5009), che rallenta appena sui recenti nuovi massimi, tiene a 5000/4900 anche sotto

"stress greco", non dà quindi nemmeno il segnale di avvio di una frenata che diventerebbe rilevante sotto 4800.

Lenta e senza panico anche la correzione dei settori più deboli della Borsa: i fondi immobiliari USA (DJ REIT +0.15% a 308.66) sono ormai da due settimane davanti a 300, allarme che avvierebbe un serio tonfo. Ma non lo intaccano.

Francoforte (-3.78% a 11058): pesante, anche a causa della zavorra costituita dal settore bancario [vedi]. Ma anche in una settimana così sfavorevole non sfonda l'allarme di 11000.

Per adesso, la correzione iniziata da un paio di mesi ha frenato solo l'ultimissimo rally (quello oltre 10000 cominciato a Natale), non il rialzo di fondo.

Allarme se sfonda 11000, potrebbe tornare a 10000 rapidamente.

Importantissime le Banche tedesche (-2.74% a 91.44), che in questi giorni si sono mosse pari pari in sintonia con i titoli di Stato periferici e americani: nelle fasi di maggiore tensione hanno picchiato in pochi minuti da 93 fin sotto l'allarme da crollo di 88.

(17)

Anche rimbalzano, a fine settimana [vedi "scenario generale"], nemmeno recuperano 93 che già di suo è un allarme ribassista.

Restano su livelli di guardia: sotto 88 sarebbero in allarme da crollo conclamato.

Londra (-2.49% a 6586) resta pesante, e conferma - e solo in parte a causa della "crisi greca" l'attacco all'allarme ribassista di 6700:

lo intacca a fine settimana, attenzione se conferma per almeno due/tre giorni il segnale.

Finora era ancora solo in stallo, sotto 6700/6400 rischia seri danni (cedimento verso 6000 poi ribasso di lungo termine).

Milano (-5.43% a 22508) torna a intaccare 23000.

Il recente recupero di 23000 era stato il primo segnale di "scampato allarme da crollo" e lasciava ancora bassa Milano (livelli paragonabili a quelli delle Banche europee).

Figuriamoci quindi se non riuscisse nemmeno a reggere questa modesta tregua.

Ma solo la perdita di 21000 segnalerebbe crisi acuta.

Operativamente:

mantengo le posizioni su tutti i fronti,

• tengo dollari, valuto quando cambiarli in yen (non imminente),

• sorveglio a breve qualche ipotesi di correzione del dollaro contro euro e sterlina inglese, ma senza per ora coprirmi o modificare nemmeno minimamente le posizioni,

• sono indebitato in euro a tasso fisso,

• ho acquistato put sui titoli di Stato USA [vedi dettagli nel numero del 19 aprile. Indicativamente: put 155 per giugno, che ho esercitato, 150 per settembre, 145 settembre per i ritardatari], per proteggermi dall'avvio di un ciclo rialzista globale dei tassi d'interesse,

• non ho scorte di materie prime.

Riferimenti

Documenti correlati

[r]

risposta non e' stata data, oppure e' stata ottenuta con un procedimento completamente errato, oppure non e' stato trovato il procedimento stesso sui fogli consegnati. - quando tra

[r]

[r]

Come indicato al paragrafo 12 del Disciplinare di gara, si conferma che nel documento "Allegato I" Dettaglio Offerta Economica, il concorrente dovrà indicare

La valutazione dello scritto si trova nella penultima colona in rosso (per i criteri adottati si veda in fondo al file la legenda in rosso; ogni risposta da 0 a 3)... Attilio

- :l (A.T.R.) Alluvioni sciolte di rocce palcozoichc delle sponde occidcutu li della rossa tcuonica, sopra banchi sino a 40150 metri di spessore di argille plastiche bianche o grigie

[r]