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Aborto Post-Nascita. Vincenzo Simeone Federica Fortugno Nicola Sportelli Paola Paterno

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Academic year: 2022

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Aborto

Post-Nascita

Vincenzo Simeone Federica Fortugno

Nicola Sportelli Paola Paterno

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Aborto Post-Nascita

«Il fatto che un feto sia potenzialmente una persona che avrà (per lo meno) una vita accettabile non è una ragione per proibire l’aborto. Perciò, sosteniamo che, quando dopo la nascita si verificano le stesse circostanze che giustificano l’aborto prima della nascita, quello che chiamiamo aborto post-natale debba essere permesso.»

Queste parole sono tratte dalla tesi sul cosiddetto "aborto post-parto"

pubblicata sul Journal of Medical Ethics, il 2 Marzo 2012, da Alberto Giubilini e Francesca Minerva, due studiosi italiani che ai tempi della stesura lavoravano insieme a Melbourne.

Le critiche nei confronti di questa pubblicazione sono state numerose e di varia estrazione, ma noi: Vincenzo Simeone, Nicola Sportelli, Paola Paterno e Federica Fortugno, studenti di Filosofia dell’Università degli Studi di Bari Aldo Moro, previa apertura di sedute di "CASE STUDIES”, ci impegniamo qui a renderne una che, sodisfacendo le aspettative di pregnanza e profondità possa essere una valida obiezione all’esercizio logico dei due bioeticisti.

Ebbene, l'affermazione cardine sulla quale regge la tesi di Minerva e Giubilini è "Feti e neonati non hanno lo stesso

STATUS MORALE

come le persone reali", o in altre parole essi sono solamente "persone potenziali", e come tali i loro diritti appaiono soggiogati e indeboliti da quelli delle

"persone reali" (in atto, non in potenza), ovvero dei genitori già esistenti, che prevalgono in maniera assoluta e massima.

Il risultato di questa equiparazione sarebbe la legittimazione della pratica dell'omicidio del neonato, il quale verrebbe perpetrato per le stesse ragioni per cui le nostre società ammettono l'aborto: gravi anomalie del feto e rischi per la salute fisica e/o psicologica della donna. «Un tale problema si presenta, ad esempio, quando una anomalia non è stata rilevata durante la gravidanza o si verifica durante la nascita. [...]

L'eutanasia dei bambini è stata proposta dai filosofi nei confronti di bambini con

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gravi anomalie, le cui vite sono considerate non degne di essere vissute e che stanno sperimentando una sofferenza insopportabile».

ALBERTO GIUBLINI &FRANCESCA MINERVA, AUTORI DI “AFTER-BIRTH ABORTION: WHY SHOULD THE BABY LIVE?”

Ma come trovare argomenti definitivi per decretare che la vita con certe patologie non sia degna di essere vissuta?

Siamo noi in grado di poter valutare la dignità di una vita che ha subito un radicale cambiamento di premesse, per le quali chi ne è soggetto potrebbe aver raggiunto una serenità e una completezza su piani totalmente differenti dal nostro?

Anche gli individui con la sindrome di Down, citata nell'articolo, sono in grado di tessere delle relazioni affettive, andare a scuola, lavorare, sposarsi. Molti studi dichiarano che il 99% delle persone Down si dicono felici della propria vita, il 97% è fiero di essere Down e il 96% si piace così. L'eutanasia infantile, lo ricordiamo, è una pratica ritenuta illegale in tutto il mondo, eccetto che nei Paesi Bassi, ove il Protocollo di Groningen (2002) consente di interrompere attivamente la vita di bambini con prognosi disperata che vivono quella che i genitori e gli esperti ritengono una insopportabile sofferenza. La differenza che sussiste rispetto all'eutanasia riguardante soggetti adulti, consiste nel fatto che l'eutanasia infantile

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è indirizzata a soggetti non consenzienti (ovvero a soggetti che, pur essendo senzienti, non hanno raggiunto un livello di maturità tale da poter esprimere un pieno consenso).

LA SINDROME DI DOWN È UNA CONDIZIONE GENETICA CARATTERIZZATA DALLA PRESENZA DI UN CROMOSOMA IN PIÙ NELLE CELLULE: INVECE DI 46 CROMOSOMI NEL NUCLEO DI

OGNI CELLULA NE SONO PRESENTI 47, VI È CIOÈ UN CROMOSOMA N.21 IN PIÙ; DA QUI ANCHE IL TERMINE TRISOMIA 21.

Giubilini e Minerva, dal canto loro, propongono la possibilità di ricorrere all'aborto post nascita: una beffa linguistica, che non suona come un ossimoro (conformemente a quanto sostengono), ma che è un inviolabile strumento poetico, una vera e propria contraddizione in termini che gioca in modo nominalista, poiché l'aborto è (se ci concentriamo sul senso e non sul significante, che può essere giostrato a piacere): interruzione di gravidanza, e la gravidanza è il processo che va dal concepimento alla nascita e non oltre. Quest'ultima rappresenta, in definitiva, la soglia che non può essere superata se si parla di aborto.

Invero, l'aborto post-nascita si differenzia dall'eutanasia poiché l'interesse di colui che muore non è necessariamente il criterio principale per la scelta, pur conservando una sostanziale analogia con il problema della responsabilità dei terzi che dovrebbero mettere in

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atto la pratica del fine-vita. Tale questione emerge già in rapporto alla prassi dell'aborto: in Italia, 7 ginecologi su 10 sono obiettori di coscienza.

L'aborto post nascita, inoltre, per gli autori si discosterebbe dall'infanticidio, in quanto lo status morale dell'individuo ucciso è paragonabile a quello di un feto, mancando di quelle proprietà che giustificano l'attribuzione di un diritto a vivere dell'individuo. Si tratta, appunto, dell'assenza delle facoltà razionali e della coscienza di sé, che rende feto e neonato “persone in potenza”, persone possibili. Emerge un'equivocità e una manipolazione semantica nel linguaggio bioetico.

Il sofisma utilizzato è dunque quello di definire "persone potenziali"

una classe di persone che invece è già categoria di "persone in atto", solamente temporaneamente non ancora sviluppate in modo da decidere e discernere il mondo ed il danno autonomamente, come del resto in diversa misura lo sono ad esempio alcuni dei diversamente abili e le persone affette da psicopatologie e minorazioni.

SCOTT FREDERICK GILBERT È UN BIOLOGO EVOLUZIONISTA AMERICANO E STORICO DELLA BIOLOGIA.SCOTT GILBERT È PROFESSORE DI BIOLOGIA ALLO SWARTHMORE COLLEGE E

PROFESSORE DI FINANZE ALL'UNIVERSITÀ DI HELSINKI.

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In particolare, l'embrione-feto-neonato è dotato di una potenza attiva intrinseca, cioè ha da sé stesso la capacità di svilupparsi e di crescere, ma è già attualmente un essere umano, in quanto il suo status non è altro che una tappa di sviluppo di un'entità completa nella sua interezza. Tra centinaia di studi di biologia dello sviluppo possiamo limitarci a riportare solo due citazioni di conferma: Scott F. Gilbert, celebre biologo statunitense, nel suo trattato (Developmental Biology, Sinauer, Sunderland MA 2002, cap. 7), che è il manuale di biologia dello sviluppo più diffuso nelle università degli Stati Uniti e che è tradotto in diverse lingue, spiega che: «con la fertilizzazione inizia un nuovo organismo vivente. C'è un unico continuo processo dalla fertilizzazione allo sviluppo embrionale e fetale, alla crescita postnatale, alla senescenza fino alla morte»; la prestigiosa rivista scientifica British Medical Journal, nel suo editoriale del novembre 2000, ha scritto che «l'individuo umano allo stadio di embrione è l'attivo orchestratore del proprio annidamento e della propria vita». Come attestano le osservazioni della biologia, infatti, tra l'

embrione

, il

neonato

e l'

adolescente

non sussistono differenze sostanziali o salti di qualità, ma solo differenze quantitative.

Gli autori insistono nel dire: «Usiamo il termine persona per indicare un individuo che è in grado di attribuire alla propria esistenza un certo valore di base [...] tutte le persone che non sono nella condizione di attribuire un valore alla propria esistenza non sono persone [...] semplicemente essere un essere umano non è di per sè un motivo per attribuire a qualcuno un diritto alla vita».

Gli studiosi pongono infatti un grosso diseguale fra il termine essere umano e il termine persona, sostenendo che la persona abbia il diritto alla vita, ma che l'essere umano non sia una persona finché non abbia almeno "obiettivi", e il neonato, che prova piacere e dolore, ha di certo diritto a non soffrire ma non il diritto alla vita, in quanto non è ancora

"persona". A nostro avviso, individuo umano e persona umana sono concetti che si identificano: le varie concezioni funzionalistiche della persona umana introducono la legittimità di una discriminazione fra gli esseri umani, sulla base del possesso di certe capacità o funzioni che, sebbene appaiano come le più alte e caratterizzanti della natura

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umana, resta pur sempre vero che quest'ultima non si riduce ad esse, e che gli esseri umani verrebbero quindi discriminati non sulla base di ciò che sono, ma di ciò che hanno o possono fare. Dunque, se fosse persona solo chi esercita attualmente operazioni razionali, allora non soltanto sarebbe lecito uccidere i bambini, ma bisognerebbe dire che anche un dormiente o un uomo sotto anestesia non sono persone, giacché non esplicano tali attività. Ugualmente, se non attribuissimo lo status morale e giuridico della persona umana all'

embrione

e al

neonato

, si potrebbe anche non attribuire suddetto status ad altre categorie di esseri umani come i dementi ed altri “

stranieri morali

”, fomentando pericolose forme di razzismo, basate sull'abolizione di qualsiasi forma di diritto alla diversità.

IMMANUEL KANT È STATO UN FILOSOFO TEDESCO.È CONSIDERATO UNO DEI PIÙ IMPORTANTI FILOSOFI DEL PENSIERO OCCIDENTALE.FU IL PIÙ SIGNIFICATIVO ESPONENTE

DELL’ILLUMINISMO TEDESCO, ANTICIPATORE DEGLI ELEMENTI BASILARI DELLA FILOSOFIA IDEALISTICA

L'epoca moderna, in ambito filosofico, ha visto in E. Kant l'interprete principale del concetto di dignità umana. Il filosofo definisce la dignità come valore che non ha prezzo, poiché la dignità designa ciò che è fine in sé stesso, conformemente a quanto esprime la celebre formula secondo cui bisogna sempre trattare l'uomo come fine e mai come mezzo. La dignità dell'uomo deriva dal fatto che egli è capace di essere un agente morale o anche che l'uomo è legislatore di sé stesso,

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non dal fatto che egli è concretamente in grado di esercitare questa capacità.

Secondo l'interpretazione di Giubilini e Minerva, la nozione di persona finisce con il designare, di fatto, l'adulto in grado di intendere e di volere, comportando la conclusione necessaria che la dignità umana cessa di essere una qualifica dell'essere umano e diviene una qualità di una certa fase della vita. In questa prospettiva, invero, il grado di persona risulta un concetto convenzionale, attribuibile a posteriori, che coincide con la presenza, empiricamente percepibile, di certe proprietà e con l'esercizio di determinate azioni, venendo così a risultare una categoria ascrivibile ad un soggetto in modo graduale,

che può venire acquisita o perduta.

La distinzione fra essere umano o persona si traduce in una discriminazione, esponendo i soggetti deboli alla possibile strumentalizzazione e manipolazione.

Questa concezione di “persona” massimizza, in tal senso, il

principio di AUTONOMIA

a svantaggio dei

criteri di BENEFICIENZA

e di

GIUSTIZIA

per il modello bioetico di riferimento anteriore alla Carta di Barcellona, e a svalutazione e riduzione irrecuperabile dei

criteri di DIGNITA'

e

VULNERABILITA'

per il modello basato sulla medesima "Carta".

Invece noi sosteniamo che l'

AUTONOMIA

, in accordo con i principi morali universalmente riconosciuti al di là delle legiferazioni che la tutelano nel mondo (ad esempio

DIRITTO

ALL'ISTRUZIONE, AL LAVORO, ALLA LIBERTA' DI

PENSIERO ecc.

), sia NON una prerogativa per l'esercizio di diritto, ma un diritto essa stessa, esercitabile attraverso il riconoscimento fondamentale dei diritti cardine a tutela della persona, la quale è tale non perché già autonoma, ma perché in atto esistente in maniera indipendente, e la quale potrà diventare autonoma se e SOLO SE le verranno garantiti a monte diritti che non presupponendo un'autonomia ne garantiscano invece lo sviluppo.

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Non è dunque di certo solo l'

AUTONOMIA

a definire lo status morale di "persona", ma il momento, biologicamente e per fortuna in larga scala anche giuridicamente riconosciuto, della nascita.

Contro tale visione riduttiva, in ultima analisi, occorre ricordare un concetto ereditato dal cartesianesimo, ovvero che l'uomo non è né meramente il suo corpo, né solo il suo spirito, ma un concreto essere vivente che si sviluppa nel tempo e che è capace di pensare perché è un certo tipo di vivente. Anche quando gli esseri umani appaiono empiricamente diversi, sono persone come qualsiasi altro uomo, in forza della comune natura umana.

Continuano gli autori: «affinché un danno si verifichi, è necessario che qualcuno sia nella condizione di sperimentare quel danno [...] se una persona potenziale, come un feto e un neonato, non diventa una persona reale, come voi e noi, allora non vi è una persona reale che può essere danneggiata [...] e se nessuno è danneggiato, allora non si è verificato alcun danno».

Posto in termini filosoficamente rigorosi, il principio di azione di questa proposta è "un danno non è mai definibile come tale se esso rappresenta una PRIVAZIONE POTENZIALE verso un ENTE POTENZIALE, ma per essere definito tale deve essere una PRIVAZIONE ATTUALE nei confronti di un ENTE ATTUALE".

La pericolosità di questo concetto è tale da minare non solo un codice etico particolaristico, in relazione all'aborto o, in questo caso, all'infanticidio legalizzato, ma l'istituzione di un codice etico generale di per sé: se infatti la giustizia esiste, essa c'è per tutelare i danni, certamente danni a persone ATTUALI (ma noi abbiamo già argomentato che i neonati sono di certo persone attuali, reali), ma ugualmente anche danni che possano essere POTENZIALI: in breve, un danno non può essere tale "finché qualcuno sia nella condizione di sperimentarlo".

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PETER ALBERT DAVID SINGER NATO A MELBOURNE IL 6 LUGLIO 1946 È UN FILOSOFO E SAGGISTA AUSTRALIANO, NOTO SOPRATTUTTO PER ESSERE STATO IL PIONIERE DEL

MOVIMENTO PER I DIRITTI DEGLI ANIMALI E PER ESSERE UNO DEI PENSATORI CONTEMPORANEI PIÙ IMPORTANTI NEL CAMPO DELLETICA.

Un esempio di questo approccio teorico funzionalista alla nozione di persona, lo troviamo nel filosofo Peter Singer, esposto nell'opera

Etica pratica

del 1989. Egli sostiene che quello della sensibilità è il criterio minimo per attribuire valori e diritti ad un soggetto. Tutti gli esseri senzienti, a qualunque specie appartengano, hanno il diritto di non soffrire inutilmente (“Coloro che sono in grado di provare piacere e dolore – come forse feti e neonati certamente- hanno il diritto a che non gli sia inflitto dolore”). Una maggior tutela, per gli autori, è riconosciuta agli esseri razionali e autocoscienti, vale a dire ai soggetti riconosciuti come persone, perché soffrono di più (sono infatti più consapevoli) e soprattutto sanno di esistere. I soggetti umani non senzienti, non possedendo alcuno statuto morale e giuridico, e non essendo dotati di autocoscienza, possono ricevere un danno come la privazione della vita stessa, senza che esso sia ritenuto tale, solo perché non hanno la possibilità di esprimere il proprio dolore: in questo senso, il medesimo concetto di danno non assume una valenza oggettiva, ma strettamente particolaristica e soggettiva e non tiene conto delle prospettive future del soggetto danneggiato, privilegiando le proiezioni che della sua esistenza ha colui che vuole mettere in atto l'ingiuria.

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OLIVER WOLF SACKS È STATO UN MEDICO, CHIMICO, SCRITTORE E ACCADEMICO BRITANNICO, DAL 2012 DOCENTE DI NEUROLOGIA ALLA NEW YORK UNIVERSITY SCHOOL

OF MEDICINE.TRA IL 2007 E IL 2012 È STATO DOCENTE DI NEUROLOGIA E PSICHIATRIA ALLA COLUMBIA UNIVERSITY, DOVE TRA L'ALTRO ERA RICONOSCIUTO COME UN COLUMBIA

ARTIST.

Parlando di un caso di neurologia tratto dall’opera “

L’uomo che scambiò sua moglie per un cappello

” cercheremo di dimostrare quanto un semplice cambio del punto di vista possa rivelare le criticità di una logica apparentemente inattaccabile. Il medico Aleksandr R.

Lurija parlando di un paziente affetto da sindrome di Korsakoff in una lettera indirizzata al neurologo Oliver Sacks scrisse «In un caso come questo non ci sono indicazioni. Faccia tutto quello che le suggeriscono la sua intelligenza e il suo cuore. La speranza che egli recuperi la memoria è poca o nulla.

Ma un uomo non consiste solo di memoria. Ha sentimenti, volontà, sensibilità, coscienza morale, tutte cose su cui la neuropsicologia non può dire nulla.» Parole, queste, che saranno illuminanti per la cura del paziente e potrebbero rivelarsi tali per la disamina delle tesi espresse dai due studiosi italiani. Sacks, infatti, interrogandosi sulla possibilità di guarigione del paziente, in seguito alle parole del collega, scrisse «La scienza empirica mi diceva di no, ma la scienza empirica, l’empirismo, non tiene conto dell’anima, di ciò che costituisce e determina l’individuo.» Ed è piuttosto questo il danno che gli autori compiono portando avanti la loro visione funzionalista, in effetti ogni qual volta

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strettamente logica, scomponendo di fatto la persona e analizzandola secondo singole o plurime caratteristiche ci si dimentica della sua sconfinata interezza.

L’UOMO CHE SCAMBIÒ SUA MOGLIE PER UN CAPPELLO È UN SAGGIO NEUROLOGICO DI

OLIVER SACKS, PUBBLICATO NEL 1985.IN ESSO LAUTORE RACCONTA ALCUNE SUE ESPERIENZE CLINICHE DI NEUROLOGO E DESCRIVE ALCUNI CASI DI PAZIENTI CON LESIONI ENCEFALICHE DI VARIO TIPO, CHE HANNO PRODOTTO I COMPORTAMENTI PIÙ SINGOLARI E

IMPREVEDIBILI

Proprio partendo da questa scomposizione si giunge all'esempio limite della teoria dell'aborto post nascita, il quale presuppone la valutazione del neonato come essere umano e della madre come persona: in caso di conflitti di interesse, risulta evidente che tra l'utile di un essere umano e quello di una persona, prevale quello di quest'ultima, tanto da arrivare a prediligere l'uccisione del neonato all'adozione, ritenuta una soluzione fonte di

stress psicologico

per la madre.

Vengono, dunque, messe in campo le motivazioni per cui si possa preferire tale operazione alla pratica dell'adozione; ebbene, le

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suddette motivazioni sono i "costi sociali, psicologici e economici" che graverebbero sui potenziali genitori in correlazione a o anche senza necessaria presenza di eventuali patologie scoperte al momento della nascita.

Il punto chiave su cui poggia il punto di vista dei ricercatori è il fatto che l'adozione, a tutela dei diritti di un essere da loro definito

"

persona potenziale

", potrebbe comportare invece una violazione del massimo diritto di benessere delle "

persone reali

", ovvero i genitori. Invero, l'aborto pre-parto sorge allorquando non si possono tutelare entrambi i diritti, del nascituro e della madre, la quale è coinvolta personalmente fino alla nascita del bambino, che è parte integrante del suo corpo, e può dunque arrogarsi il diritto di sentenziare circa il destino del feto. Diverso è se il bambino è già nato:

in questo caso, i diritti della madre, possono essere tutelati, rispettando anche il diritto alla vita del neonato, ormai essere a sé stante, la cui sorte non coinvolge quella dei genitori, se costoro non vogliono.

L'errore logico fondamentale è nel ragionamento sui rischi psicologici di un'adozione. È infatti vero che la ricerca statistica mostra che nell'adozione i genitori biologici possono avvertire un senso di perdita differente dalla perdita per decesso (e che la mancanza di rituali formali e cerimonie rende più difficile riconoscere la perdita e il dolore, come invece avviene nella morte (Aloi, 2009). La fallacia

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naturale, non indotta per aborto e né tantomeno per uccisione post- natale! Detto in maniera spicciola, certo l'adozione potrebbe essere fonte di stress, ma vogliamo compararlo allo stress di un'uccisione?

La falla seguente infatti è il non aver completato un'appropriata ricerca nel campo dei rischi psicologici dello stesso aborto. Ebbene non solo i rischi in caso di aborto non sono meramente la "difficoltà a riconoscere una perdita", ma anche rimorso, rabbia, senso di colpa, isolamento, insonnia, perdita di fiducia in se stessi, depressione, e pensieri ed emozioni legati al suicidio, ma è indicato specificamente dalla ricerca che tali sintomi si presentano da una forma pressoché assente in un grado sempre più grave a seconda di "quanto la gravidanza sia inoltrata". Detto in parole povere, più in là si abortisce più il rischio per la madre aumenta.

Preferire la morte del neonato all’adozione significa sostanzialmente preferire la comoda idea possibile che tutti avrebbero compiuto la stessa scelta, alla scomoda idea che possa esserci qualcuno disposto a prendersi carico e cura di ciò che noi non abbiamo voluto.

In definitiva, per Minerva e Giubilini la madre e il neonato non godono allo stesso modo della dignità umana, ma essa nel suo valore intrinseco è la virtù e la preziosità che un essere umano ha semplicemente perché uomo: tale valore non viene conferito o creato da scelte o da decisioni di altri, ma si impone di per sé, appartiene all'uomo “

per natura

” e l'uomo ne è dotato per la sua pura esistenza, rimanendo inalterato qualunque sia la condizione in cui l'essere umano si trova. Appare evidente che la dignità non è un vero e proprio diritto, ma il fondamento dei diritti inalienabili dell'uomo, fra cui figura il Diritto alla vita. La Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo recita: “Ogni individuo ha diritto alla vita, alla libertà e alla sicurezza della propria persona” (art.3). Quello alla vita è il primo, il più fondamentale e il più ovvio dei diritti di ogni uomo. Le leggi che consentono l’aborto, e in particolare l'aborto post-parto, non minano quindi i fondamenti stessi della giustizia? Dal valore fondamentale

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riconosciuto alla vita fisica deriva il diritto fondamentale ad essa (che si esprime nel principio di inviolabilità). Un tale diritto non può venire violato neppure per favorire la vita di altri, perché la persona è fine in sé, come non si può togliere la vita ad una persona per tutelare la vita di un'altra persona, o il suo puro benessere.

In base all'argomentazione esplicata da Minerva e Giubilini sull’uguaglianza sostanziale fra feto e neonato, si potrebbe a questo punto obiettare, conformemente alle linee guida che abbiamo tracciato in questo articolo relativamente ai concetti di "persona" e di

"danno", che andrebbe ampliato il dibattito sull'aborto, in quanto bisognerebbe attribuire maggior rilievo ai diritti del feto, conservando il massimo ed indiscusso rispetto nei confronti dei diritti della donna, ma mettendo in pratica una più oculata politica di informazione sulla prevenzione.

Crediamo invero che ci sia un limite morale ben delineato che la proposta abbia sorpassato, e che per questo un'intenzione del genere vada democraticamente scoraggiata e che ci si chieda se, invece di motivazioni ideologiche, dietro la diffusa opposizione fatta alla proposta non ci sia la possibilità (qui lo affermiamo e qui lo neghiamo) di un'intuizione morale comune.

Ma il punto focale per cui opiniamo sia importante ancorarci all'intuizione morale è che essa, diversamente da quella intellettiva, è uno strumento per la sopravvivenza della nostra specie, spesso riconosciuto dalla ricerca scientifica alla stregua di un mezzo che consente all'uomo di non diventare una banale strumento della legge e dei poteri, che sia legge e potere della ragione, dello stato o di qualunque altra cosa.

L'intuizione morale è necessaria alla Bioetica, pensiamo, se la Bioetica vuole essere (come affermato dalle sue origini)

"Scienza della Sopravvivenza".

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Materiali Difformi, 2020

MATERIALIDIFFORMI.WORDPRESS.COM MATERIALIDIFFORMI@MAIL.COM FACEBOOK.COM/MATERIALIDIFFORMI

Per Materiali Difformi attualmente scrivono:

Filippo Buquicchio Francesco Malizia Giulia Maria Natale

Filippo Parisi Giuseppe Perelli Chiara Porcelluzzi Alessandro Savino Giovanni Solazzo Sara Suriano

L’illustrazione in copertina è Ospedale Henry Ford (il letto volante). Frida Khalo, 1932, Collezione di Dolores Olmedo, Città del Messico

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