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CONSIGLIO REGIONALE DELLA LOMBARDIA COMMISSIONE SPECIALE SITUAZIONE CARCERARIA IN LOMBARDIA. Audizione del 7 novembre 2018 Audizione n.

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COMMISSIONE SPECIALE

“SITUAZIONE CARCERARIA IN LOMBARDIA”

Audizione del 7 novembre 2018 Audizione n. 5/2018

Audizione con:

- Direttrice della Casa Circondariale di Monza

- Direttore della Casa Circondariale San Vittore di Milano

Partecipa all’audizione:

Dottoressa Maria Pitaniello Direttrice della casa Circondariale di Monza Dottor Giacinto Siciliano Direttore casa circondariale di San Vittore Partecipano, altresì, i Consiglieri membri della Commissione:

GIRELLI Gian Antonio (Partito Democratico della Lombardia)

EPIS Federica (Lega – Lega Lombarda – Salvini)

BASTONI Massimiliano (Lega – Lega Lombarda – Salvini)

BOCCI Paola (Partito Democratico della Lombardia)

GALIZZI Alex (Lega – Lega Lombarda – Salvini)

FUMAGALLI Marco (Movimento 5 Stelle)

PALUMBO Angelo (Forza Italia Berlusconi per Fontana)

PIZZUL Fabio (Partito Democratico della Lombardia)

Alle ore 17.10 il Presidente GIRELLI dà inizio all’audizione

Gli interventi sono riportati nell’allegata trascrizione integrale.

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Presidente Gian Antonio GIRELLI

Direi che possiamo cominciare i lavori della nostra Commissione. È mio obbligo ricordare che le sedute sono sia trasmesse in streaming che registrate e trascritte, per potere essere poi eventualmente viste anche dai Consiglieri e i membri della Commissione, che oggi non possono essere presenti a questa audizione. Come tempi noi abbiamo le ore 19:00 come chiusura dei lavori della nostra Commissione, anche per il per sonale che ringrazio sempre, perché gli facciamo fare un po’ di ore extra rispetto al normale orario, con le nostre Commissioni previste sempre per il mercoledì alle ore 17:00.

Ringrazio i Direttori della Casa Circondariale di Monza e di San Vittore, con i quali continuiamo questa ricognizione negli istituti lombardi, secondo la metodologia che abbiamo previsto; quella cioè di audire i Direttori in Commissione, proprio per potere avere un quadro della situazione dell’istituto che dirigono, salvo poi progra mmare delle visite all’interno degli istituti stessi, senza però ufficialmente muoverci come Commissione, ma organizzarla concordandola ovviamente con i Direttori come Commissari.

Devo dire che da questi primi incontri sono emersi tanti spunti interessant i, che ci hanno permesso di farci un quadro delle singole realtà, di alcune tipologie di criticità che sono piuttosto comuni nelle realtà dei carceri lombardi e anche lasciarci intravedere qualche indicazione da potere cominciare già a mettere a fuoco. Sarà oggetto di discussione nelle prossime settimane, nelle ipotesi di bilancio 2019, proprio per competenze regionali, oltre ad alcune indicazioni che possiamo trasmettere invece in sede politico -istituzionale a livello parlamentare, riguardo alcune realtà che non sono di nostra competenza, ma non per questo rinunceremo a far sentire come la pensiamo, dando qualche indicazione.

La metodologia dell’incontro è di darvi la parola, per permettere di illustrare le vostre realtà. Poi i Commissari possono porre delle domande e successivamente poi vi sarà per voi la replica.

Comincerei con la Direttrice della Casa Circondariale di Monza, la dottoressa Pitaniello.

Dottoressa PITANIELLO

Buonasera a tutti. Ringrazio il Presidente Girelli e tutta la Commissione per quest o invito.

A me fa sempre piacere parlare dell’istituto e di un mondo, si diceva poc’anzi, forse poco conosciuto che suscita tanta curiosità, l’importante che poi la curiosità sia una curiosità sana soprattutto laddove si ha la possibilità di migliorare qua lche cosa.

Io ho preparato alcune slide di presentazione dell’istituto, per cui se per voi va bene comincerei. A me piace essere interattiva, per cui anche un interruzione per chiedere chiarimenti, in occasione di qualche informazione che do, mi fa piacer e.

Innanzitutto i dati. La Casa Circondariale è esclusivamente maschile, aveva una sezione fino a due anni fa femminile, che è stata chiusa ed è in attesa di ristrutturazione. I dati di

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questi giorni sono questi, per cui lascio parlare da sola la percentu ale del sovraffollamento, che è elevatissima. Tra l’altro abbiamo un reparto chiuso che consta di circa 90 posti, quindi diciamo che arriveremo a breve oltre i 700 detenuti. Percentuale circa del 50 per cento di stranieri. Questo condiziona chiaramente sia l’organizzazione dell’istituto e soprattutto anche la modalità di lavoro, perché molti stranieri non hanno riferimenti familiari né sul territorio, e devo dire che sono anche quelli un po’ più riottosi e difficili da agganciare e da gestire all’interno dell’istituto. Tutto questo aggravato da una presenza estremamente massiccia di detenuti con problematiche di dipendenze, soprattutto sostanze stupefacenti, alcoldipendenti ed una buona parte – cominciamo anche a trattarli – affetti da ludopatia, il gioco d’azzardo. Abbiamo un SERT interno estremamente attivo, presente da diversi anni; hanno gli uffici all’interno dell’istituto sostanzialmente, molto presenti con cui chiaramente poi la collaborazione è fondamentale.

Tipologia di detenuti. Sono tutti detenuti di media sicurezza; vi è una piccola sezione di collaboratori di giustizia di prima fascia per i quali l’istituto è un domicilio protetto e sono sottoposti al programma di protezione; vi è una sezione di detenuti protetti, che per incolumità passiva devono essere tenuti separati dagli altri circuiti. Una particolarità dell’istituto, che riprenderemo anche in seguito della presentazione, è la presenza di una piccola sezione definita inizialmente ROP (Reparto per l’Osservazione Psichiatrica) oggi ridefinita Articolazione di Salute Mentale, destinata ad accogliere detenuti su disposizione dell’autorità giudiziaria competente, per l’osservazione psichiatrica, cioè ai fini dell’accertamento dell’infermità psichica. È l’art. 112 del regolamento di esecuzione. La presenza di questa sezione condiziona l’istituto, perché poi conti alla mano, alla fine nell’arco di questi anni, ho potuto verificare che unitamente ad altre condizioni concomitanti, quali la chiusura degli OPG è anche un po’ un cambiamento che ha interessato il profilo del detenuto.

Il servizio psichiatrico, che è il Dipartimento di Salute Mentale che fa capo all’ASST di Monza, lavora molto più che per tutti gli altri detenuti portatori di disagio e/o psichiatrici, che per gli stessi detenuti assegnati all’articolazione di salute mentale, per i quali il limite massimo di presenza è di 30 giorni come da legge.

Questa è l’organizzazione sommariamente dell’istituto. Vi sono le varie aree e all’apice di ciascuna di esse, vi è un coordinatore e un referente. L’area della sicurezza chiaramente è tutto il corpo di Polizia Penitenziaria, con a capo un funzionario di Po lizia Penitenziaria.

L’area trattamento raccoglie essenzialmente i funzionari dell’area giuridico -pedagogica, ma unitamente agli ex educatori, per intenderci meglio, vi sono tutte le figure che collaborano direttamente con gli educatori, esperti psicologi , volontari, UEPE, tutti coloro che gravitano nella stessa area. Anche qui c’è un capo area trattamento.

L’area contabile si occupa di tutta la contabilità, non scendo nel merito perché potrei annoiarvi.

L’area segreteria chiaramente è sia la segreteria diretta del Direttore, che la segreteria di tutto il resto del personale di Polizia Penitenziaria e Amministrativa.

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Poi come vi dicevo poc’anzi, c’è l’area sanitaria che fa capo all’ASST di Monza. Questo in virtù del passaggio della sanità da penitenziaria a pubblica. Nell’ambito dell’ASST vi è il Dipartimento di Salute Mentale e delle Dipendenze; cioè servizio psichiatrico e psicologico, con un equipe interna all’istituto e il servizio per le dipendenze, che nella nuova riorganizzazione fa capo all’ASST.

L’istituto è organizzato sostanzialmente in unità operative. A parte gli uffici, l’unità operativa individua un reparto o più sezioni, nell’ambito delle quali vi è un gruppo di operatori, composto non solo ovviamente dalla Polizia Penitenziaria – siamo all’interno del detentivo – ma anche di tutti gli altri operatori dell’amministrazione e non, che interloquiscono e interagiscono con il detenuto. Si lavora molto sulla motivazione, sullo spirito di squadra e sulla condivisione di tutte le informazioni che cias cun operatore, educatore, volontario, sanitario, psichiatra, psicologo, docente, porta e condivide con il resto della squadra. Questo perché è funzionale, chiaramente nell’ottica di una gestione condivisa, avere tutti quanti più informazioni, ma è funziona le anche per dare al detenuto la stessa risposta nell’ottica poi della gestione durante la carcerazione.

La umanizzazione della pena, che ha interessato in maniera molto importante e pressante la nostra amministrazione negli ultimi anni, ha portato delle sostanziali innovazioni, in particolare quella che viene detta l’apertura delle camere detentive. Non è semplicemente aprire una camera, ma significa cambiare del tutto la modalità di fare controlli, di fare osservazioni, fare trattamento e di gestire la p ersona non più con un posto fisso della Polizia Penitenziaria, ma con una pattuglia, un gruppo che fa la cosiddetta vigilanza dinamica. Assicuro che non è stato facile il passaggio, perché venivamo chiaramente da detenuti chiusi perlopiù nell’arco della giornata, che avevano la possibilità ovviamente di accedere alle varie attività organizzate, ad una sezione invece cui i detenuti sono liberi di circolare e in cui l’osservazione diventa più difficile, perché non è a vista ma diventa molto più importante sotto il profilo qualitativo, in quanto deve esserci maggiore interazione rispetto a quanta ce n’era prima.

Abbiamo accompagnato questo profondo cambiamento con iniziative di formazione, mirate proprio al supporto al cambiamento, e abbiamo fornito anche l’is tituto di un sistema implementato di videosorveglianza. C’è videosorveglianza in tutto l’istituto, collegata ad una sala regia. Oltre a questo abbiamo predisposto, nell’arco degli anni, ulteriori strumenti proprio perché il detenuto deve essere responsabil izzato a cominciare dalla libertà di movimento nell’ambito dell’istituto. Abbiamo predisposto con il referente informatico, che è poi un assistente di Polizia Penitenziaria sostanzialmente, un sistema informatico di tracciabilità dei suoi movimenti. Per cu i in ogni momento il detenuto ha un badge che legge sotto un lettore, nel momento dell’uscita dalla sezione, ed è libero di raggiungere i vari settori dell’istituto, ove trova di nuovo un altro lettore ottico e beggia.

Per cui in ogni momento il personale della sezione di collocazione del detenuto, sa dov’è in quel momento, se è all’interno, se è uscito o se è durante il percorso, perché c’è il collegamento poi con la sala regia e la videosorveglianza. È un modo diverso di controllare. Questo ovviamente è di supporto a quello che è il lavoro poi di trattamento e di osservazione della persona, perché il detenuto è una persona.

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Gli strumenti del trattamento. Il cambiamento assolutamente in meglio, anche se ha imposto poi dei correttivi importanti e interventi anche di implementazione delle attività, è stato abbastanza lungo ma è stato soprattutto voluto e concordato. Si lavora molto in staff e in riunione. Abbiamo individuato alcuni settori in cui intervenire, facendo una sorta di ordine di priorità, ma diciamo che poi sono i settori in cui solitamente si interviene; cioè la genitorialità e la famiglia, la ripresa dei contatti con la famiglia; le attività di ogni genere scolastiche, culturali e sportive; l’aspetto della formazione, che riprenderò dopo, e il lavoro.

Alcune immagini, altrimenti divento pesante. Questo è uno spazio famiglia che abbiamo inaugurato l’anno scorso. Attraverso una donazione del club delle Soroptimist di Monza, abbiamo realizzato uno spazio famiglia, comprensivo di ogni servizio; c’ è la cucina, ci sono i servizi igienici, c’è lo spazio dove accomodarsi, c’è lo spazio dove fare i compiti con i propri figli. Abbiamo voluto ricreare all’interno dell’istituto la quotidianità della vita normale. Il paradosso, detto dagli stessi detenuti p oi ammessi, è che molto spesso all’esterno, cioè nel loro ambiente ordinario, non dispongono di uno spazio così curato.

Questo è un paradosso che ho ritrovato anche in altri campi in cui siamo intervenuti; cioè siamo in condizioni di offrire interventi ed opportunità, che molto spesso loro non hanno avuto e difficilmente avranno di nuovo, tornando poi sul territorio.

Anche qui abbiamo lavorato per consentire a tutti i detenuti indistintamente, di svolgere colloqui all’esterno. Per cui abbiamo allestito una grande area verde, abbiamo realizzato gli arredi che sono in legno all’interno della nostra falegnameria, e abbiamo chiaramente poi garantito anche la presenza di giochi. All’area verde io collego sempre la cura del verde, perché abbiamo formato alcuni detenuti che si occupano quotidianamente della cura e mantengono tutto il verde dell’istituto.

Io dico che a coloro che hanno visto o vedono il brutto e che vivono in un carcere, bisogna mostrare sempre qualche cosa di bello, perché forse è il bello che è ed ucativo più di ogni altra cosa. È anche un po’ per abbattere questa convinzione che il carcere è un posto buio e brutto; sicuramente è un posto brutto, però ci viviamo tutti, detenuti e non sostanzialmente.

A proposito del lavoro e della falegnameria, abbi amo un grande locale destinato a falegnameria, con della buona attrezzatura. Facciamo un po’ fatica ad avere delle commesse di lavoro, la falegnameria però adesso è occupata dagli istituti scolastici, nel senso che abbiamo attivato l’anno scorso una collaborazione con l’IPSIA Meroni di Lissone, che appunto è di falegnameria.

Anche questa è una cosa che abbiamo attivato di recente. Questa è una delle campate delle tre serre che sono rimaste ferme e inattive per una decina d’anni. Abbiamo formato diversi detenuti e poi assunti alle dipendenze dell’amministrazione, che si prendono cura dell’orto. Non abbiamo grandi pretese di produzione, però devo dire che fino a questa estate abbiamo donato una grande quantità di prodotti al banco alimentare.

Siamo partiti perché ci piaceva l’idea che categoria svantaggiata, donasse ad altri svantaggiati. Il passaggio ulteriore, la svolta deve essere nella produttività chiaramente.

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Abbiamo all’interno una pasticceria, dove lavorano alcuni detenuti. La pasticceria è gestita da un datore di lavoro esterno e lavorano abbastanza. Un’altra delle attività lavorative è la lavanderia, che credo il dottor Siciliano rammenti perché è sorta con lui intorno agli anni 2000, ed è la prima lavanderia industriale a livello nazionale. È gestita da una cooperativa, che riceve delle commesse dall’esterno, oltre che chiaramente a provvedere alle esigenze interne dell’amministrazione.

Un altro laboratorio che mi piace molto presentare è la sartoria, anche questa gestita da una cooperativa. La sartoria nasce per il reparto femminile, è la cooperativa Alice che ha un’esperienza di quasi vent’anni nelle sezioni femminili. Riusciamo a dirottare, una volta chiuso il reparto femminile, il laboratorio sul maschile. Partiamo solo con sartoria senza pelletteria, ma da quest’anno evolviamo avendo formato diversi detenuti. Abbiamo avuto la possibilità di acquistare le attrezzature, si lavora anche la pelle e quindi è diventata anche una pelletteria. Da cosa nasce cosa, bisogna sempre essere determinati e non fermarsi di fronte alle possibili criticità che si possono verificare, perché nulla è facile. Ci sono persone sensibili e soprattutto rispetto alla questione del lavoro, credo che si debba fare un ragionamento anche di salvaguardare l’aspetto dell’imprendito rialità, sicuramente il valore sociale del datore di lavoro esterno, che porta lavoro all’interno di un istituto, che assume una persona in esecuzione alternativa al carcere. La legge però consente, con alcuni correttivi, di riconoscere e anche di salvare quello che è il profitto dell’imprenditore. Bisogna salvaguardare sempre, ripeto, l’uno e l’altro.

Questo è un esempio di ottima collaborazione e di integrazione con il territorio. È un protocollo sul lavoro che abbiamo sottoscritto con altri ventidue enti del territorio l’anno scorso. È una buona prassi che spero venga esportata anche negli altri distretti. Il tutto è partito da una proposta di alcuni magistrati di fare un cineforum all’interno dell’istituto.

Sono stati formati dei tavoli gestiti da alcuni magistrati e volontari, con un gruppo di detenuti che ha acconsentito di lavorare e di mettersi anche in discussione con gli stessi magistrati. Successivamente è nata questa costola del protocollo sul lavoro. Nasce per innanzitutto dare informazione e sensibilizzazione a tutte le associazioni di categoria. Per cui è stata realizzata poi un brochure e adesso cercheremo chiaramente di raccogliere i frutti, con un monitoraggio che è stato previsto dal tavolo stesso.

Le altre iniziative: lo sport. Mi piace tantissimo perché ci sono delle belle immagini in quanto abbiamo una buona collaborazione con tutte le associazioni. Abbiamo realizzato la maratona, abbiamo abbellito uno dei cortili di passeggio del detentivo. Quest’ultimo penso che sia il posto più brutto di tutto il carcere, perché è il luogo dove i detenuti possono trascorrere cinque ore al giorno, ma è di uno squallore unico. Invece grazie al CSI abbiamo realizzato un cortile alternativo, abbiamo anche posto delle attrezzature mobili e devo dire che ha cambiato completamente aspetto. Un’altra iniziativa che mi è piaciuta tantissimo, che abbiamo realizzato con il CSI, è stata quella delle olimpiadi in carcere. I detenuti hanno trascorso una giornata con i propri figli, svolgendo alcune attività sportive e concludendo poi con una cena tutti quanti insieme. È stata molto apprezzata e a breve riproporremo altre iniziative di questo tipo.

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L’attività scolastica. Abbiamo puntato molto sulla scuola, quest’ultima intesa non solo come attività meramente didattica, ma abbiamo arricchito l’offerta con laboratori, in commissione didattica. Innanzitutto abbiamo diversi istituti; ragioneria, falegnameria e dall’anno prossimo attiveremo anche l’istituto alberghiero. Come dicevo, nell’ambito dell’offerta didattica abbiamo inserito altri laboratori, che sono gestiti metodicamente, dove ogni settimana ci sono le attività.

La sala musica. Questa è un’altra cosa che a me piace tantissimo. È il frutto di una donazione di un club femminile dell’Inner Wheel di Monza. L’idea è nata perché volevano donarci degli strumenti musicali. Abbiamo quindi messo insieme l’Accademia di Brera, che ha realizzato l’allestimento che vedete sul muro; alcuni architetti delle Inner Wheel;

alcuni musicisti che ci hanno dato dei consigli sulle attrezzat ure da acquistare, realizzato come lo spazio famiglia – ci tengo a dirlo – da manodopera detenuta, perché tutta la manutenzione e tutte le opere sono state fatte coinvolgendo direttamente i detenuti.

Abbiamo poi allestito questa sala musica dove, attravers o una convenzione che abbiamo con una scuola musicale di Brugherio, si tengono lezioni di strumenti sia individuali, sia di gruppo. Devo dire che è una cosa molto apprezzata.

Alcune iniziative legate a quei tavoli che vi dicevo, nati su proposta della Proc ura e Tribunale di Monza. Questo era il tavolo che poi ha portato al lavoro, appunto, dove abbiamo ospitato Claudio Bisio. Questi sono i detenuti che hanno partecipato.

Dicevo come il cambiamento, nella gestione di fare carcere, sia passato attraverso l’intervento costante con e nei confronti della Polizia Penitenziaria. I principi di legge sono ordine, sicurezza e trattamento, ma è chiaro che il personale deve adeguarsi, adattarsi, deve fungere da stimolo perché le cose poi possano andar bene.

Nei confronti del personale abbiamo dato un occhio di riguardo al benessere, sia sotto il profilo sportivo, sia sotto il profilo soprattutto di consentire l’accesso ad uno sportello psicologico presso la psicologia clinica del San Gerardo di Monza. Sportello che è a disposizione di tutto il personale e dei familiari, chiaramente con consulenza garantita in totale anonimato. Così come nei confronti del personale direttamente coinvolto, siamo intervenuti in occasione di alcuni eventi critici, che si sono verificati all ’interno dell’istituto. Per cui abbiamo fatto un debriefing con coloro che erano rimasti coinvolti nell’evento critico e abbiamo garantito una restituzione ed una condivisione delle emozioni, dovute alla gestione dell’evento.

La persona arrestata e fermata che entra in istituto si trova di fronte il personale di Polizia Penitenziaria, quindi è la prima persona con cui si impatta. L’operatore di Polizia Penitenziaria deve innanzitutto raccogliere i primi segnali di chi ha di fronte, che il più delle volte non conosce e deve tutelare e gestire nell’immediatezza. È lo stesso personale che, vivendo sostanzialmente tutto il turno di servizio nelle sezioni, assorbe richieste di ogni genere, lamentele di ogni genere, e che si adopera per gestire una persona che il più delle volte perde tutto in un solo momento. La perdita della libertà forse è inimmaginabile, per una persona normale, nel senso che non si può telefonare, bisogna convivere con persone che non si conoscono, che vengono da realtà, tradizioni e culture diverse.

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Per cui è un personale che fa da spugna, assorbe. La famiglia credo che sia il punto fondamentale che fa equilibrio, però è chiaro che deve essere anche garantito un benessere all’interno proprio dell’istituto, con interventi anche da parte di co loro che sono i superiori gerarchici diretti, perché il Comandante e il Direttore non possono essere ovviamente sempre dappertutto.

Queste sono alcune immagini del gruppo sportivo e del gruppo podistico. Questi sono degli spazi allestiti all’interno; la sala convegno e la palestra che abbiamo loro attrezzato.

L’integrazione con il territorio. Facendo un po’ il punto della situazione in merito alla collaborazione con enti esterni, mi sono accorta che molto spesso lavoriamo d’intesa con il territorio, senza che però venga formalizzato il rapporto di collaborazione. Ci sono alcuni protocolli con il Telefono Azzurro, piuttosto che con il comune per il servizio di biblioteca, con l’associazione di volontariato, però tante altre collaborazioni devono essere formalizzate, perché poi danno anche un po’ l’immagine e il senso del lavoro che viene fatto in istituto. Volevo cogliere questa occasione per presentare il lavoro che abbiamo fatto, avvalendoci dei due ultimi bandi regionali; quello del 2016 e quello che è sca duto, come presentazione di progetti, proprio in questi giorni. Uno per evidenziare innanzitutto l’utilità che noi ne abbiamo tratto e per dare anche un riscontro materiale di quello che abbiamo fatto. Il primo bando prevedeva un progetto biennale e abbiam o attivato in due anni quaranta tirocini lavorativi esterni. È stata un’ottima valvola di sfogo, perché la richiesta di lavoro è tale che ovviamente non viene soddisfatta né dall’amministrazione penitenziaria né dai datori di lavoro, che attivano laborator i all’interno. Devo dire che di questi quaranta tirocini alcuni sono stati prorogati oltre il primo trimestre, e in rarissimi casi dal tirocinio si è passato ad un contratto di lavoro a tempo indeterminato. È uno strumento fondamentale per accompagnare il detenuto sul territorio, sull’esterno, unitamente ad una soluzione abitativa è ovviamente lo strumento principe. È però uno strumento limitato temporalmente, cioè sono tre mesi al termine dei quali non c’è null’altro. Un’altra azione che abbiamo previsto in questo progetto è stata l’attivazione del centro diurno, che riprenderò dopo perché riguarda la gestione del disagio psichico.

Con l’ultimo bando di quest’anno abbiamo fatto innanzitutto un progetto interprovinciale – questi sono ancora al vaglio, nel senso che devono essere ancora approvati – con i tre istituti del milanese per quanto riguarda una buona formazione, con riconoscim ento alla fine della competenza acquisita, perché è necessario che la persona detenuta sia messa in condizioni di ritornare sul territorio, con qualche cosa di spendibile.

Se noi dobbiamo lavorare sull’abbattimento della recidiva, dobbiamo porre quelle condizioni tali affinché la persona non solo chiaramente comprenda il disvalore di quanto ha fatto, cioè il reato che ha commesso – ed è il primo passo – ma abbia anche quegli strumenti che gli consentano di vivere dignitosamente. È una dignità che sicuramen te deve raggiungere, deve acquisire e deve metabolizzare, ma non può essere solo una questione di gestione interna dell’istituto, ma ci deve essere anche il concorso del territorio e di tutti i servizi esterni, affinché si faccia prevenzione sin dal moment o e durante la fase della carcerazione. Per cui la formazione è fondamentale. Abbiamo previsto delle borse lavoro e soprattutto poi abbiamo previsto un progetto per agganciare gli autori di reati di

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maltrattamento in famiglia. Uno studio fatto a livello de l provveditorato, ha infatti individuato alcuni istituti dove c’è una maggiore presenza di detenuti per reati di maltrattamento, che sia lo stalking o che si arrivi ultimamente anche all’omicidio. Diversi infatti sono gli omicidi che sono stati commessi ne i confronti della propria moglie o compagna, alla presenza degli stessi minori. Sono delle situazioni che chiaramente devono essere gestite. Si comincia dall’interno, ma il progetto è chiaro che è volto poi a coinvolgere i servizi esterni territoriali, anche per cominciare a definire delle buone prassi lavorative.

La gestione del disagio, come vi dicevo, è forse la peculiarità dell’istituto di Monza.

Partiamo dal superamento degli OPG; non ci sono più gli OPG e quindi i detenuti rimangono in una struttura penitenziaria, dove devono essere chiaramente gestiti con il loro disagio, piuttosto che inviati nelle REMS che sono delle strutture residenziali ma che sono prettamente sanitarie, nel senso che hanno delle liste di attesa e nel frattempo quindi il detenuto rimane in carcere. Dobbiamo allora gestire la persona detenuta, piuttosto che la persona internata. Già nel 2010, quando all’interno dell’istituto di Monza è stata realizzata questa sezione destinata all’osservazione psichiatrica, è stata prevista l’equi pe di salute mentale. Vi dicevo che molto spesso poi la situazione di disagio psichico, piuttosto che l’individuazione di una patologia psichiatrica, è legata allo stato di dipendenza. Per cui se su 650 detenuti il 50 per cento ha problemi di tossicodipend enza, di conseguenza il disagio è estremamente diffuso. Solo nel primo semestre del 2018 ci sono state 1915 visite psichiatriche. Di questo numero chiaramente non tutte poi hanno determinato la presa in carico, però ci sono state tante valutazioni speciali stiche. La presenza di un numero così massiccio di detenuti portatori di disagio psichico, unitamente anche agli eventi critici che ci sono stati e a disposizioni superiori, ivi compreso anche il protocollo nazionale per la prevenzione delle condotte suicidarie, ci ha portato a modificare il nostro modo di aggancio della persona. Ci siamo resi conto che mentre nel momento dell’ingresso in carcere eravamo tutti pronti, perché avevamo delle procedure formali, cioè un protocollo sull’accoglienza che è stato steso con l’azienda ospedaliera prima San Gerardo nel 2010, na volta esaurito il momento dell’aggancio e quindi dell’accoglienza della persona detenuta, il dopo, cioè durante la carcerazione comunque venivano garantiti gli interventi nei confronti della persona problematica, ma non vi era poi il momento della condivisione da parte di ciascun operatore intervenuto e soprattutto non c’era la formalità della procedura.

Chi segnala e cosa si fa in occasione di un evento? Abbiamo lavorato e abbiamo steso un protocollo locale per la prevenzione. Oltre alla formalizzazione di questa procedura, abbiamo anche implementato diversi interventi e iniziative atte proprio a gestire il disagio psichico del detenuto. Una di queste azioni è stata l’attivazione del centro diurn o, grazie al bando regionale, che adesso per noi il progetto è in scadenza al 30 novembre. Il centro diurno è gestito da operatori specializzati che prevedono delle attività, dei laboratori durante la settimana, per cui c’è una modalità di aggancio del det enuto, una condivisione delle informazioni con gli psichiatri e con l’equipe di salute mentale, e soprattutto da lì poi partono le segnalazioni ai servizi esterni. Tutto nasce all’interno, dicevo, ma se rimane all’interno è meno che nulla, nel senso che è una persona che comunque tornerà sul

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territorio. Per cui dobbiamo poi decidere noi tutti, con il territorio e i servizi esterni, come deve tornare sull’esterno.

Negli ultimi tempi, ragionando su quello che abbiamo fatto e quello che si potrebbe fare con i referenti dell’ASST, si è ipotizzata – e devo dire che il progetto già sarebbe pronto – la realizzazione di un’unità di psichiatria forense; cioè prevedere un ambulatorio che faccia un po’ il punto centrale di raccordo di tutte le azioni, che devono esser e stimolate e deve raccogliere il monitoraggio di quello che si è stimolato. Ovviamente è un servizio che deve essere previsto all’interno dell’ASST, ma è necessario il riconoscimento formale da parte di Regione Lombardia, ed è questa la mia richiesta in s ostanza. Ovviamente prevede un’implementazione del personale, con arricchimento non solo di qualche specialista psichiatra in più ma anche di operatori dedicati come infermieri ad hoc, piuttosto che assistente sociale ad hoc. Ma semmai si inizia a gettare il seme di un’iniziativa e di una buona prassi, che coinvolga il territorio, mai secondo me ci si abituerà all’idea che il detenuto; 1) in questo caso è un paziente; 2) è una persona che tornerà poi sullo stesso territorio. Per cui agganciamolo all’interno dato che i servizi ci sono; stimoliamo ulteriormente i servizi; agganciamo anche la famiglia; lavoriamo in collaborazione e in contatto costante con l’autorità giudiziaria, tra cui anche lo stesso Tribunale per i minori; facciamo rete intorno al detenuto.

Io mi fermo. Grazie.

Presidente Gian Antonio GIRELLI

Grazie a lei per l’illustrazione molto esaustiva e puntuale.

Dottor Siciliano, prego. Parliamo ora di San Vittore.

Dottor SICILIANO

Io vi darei solo due dati, che spero non siano numerici, ma servono un po’ ad inquadrare il contesto. Abbiamo una presenza media di circa 1050, 1100 persone a fronte di una capienza di 700 posti. Il tasso percentuale di sovraffollamento non è altissimo, ma nella nostra differenza ci sono stanze a 14, 15 posti con un solo bagno. Quindi siccome è un problema di metratura formalmente va bene, ma in realtà il problema è molto più grosso . Da gennaio ad ottobre sono entrate 3003 persone, quindi siamo sostanzialmente ad una media di 300 persone al mese, per circa 12 ingressi al g iorno, quasi tutti provenienti dalla libertà, con un 38,6 per cento di italiani e un 46,4 per cento di stranieri.

Qualche dato sul titolo di studio. Il 34 per cento licenza elementare, il 54 per cento licenza media inferiore, solo l’1,90 per cento i laureati presenti in questo anno. Penso che sia uno spaccato estremamente importante.

Area di provenienza: il 35 per cento Africa, di cui l’80 per cento dall’area magrebina; il 43 per cento Europa; il 10 per cento Europa extra CEE.

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Nel 43 per cento dell’Europa ovviamente ci sono anche gli italiani, che sono circa l’80 per cento del 43 per cento.

Reati. Prevalentemente il patrimonio con offesa alla persona; stupefacenti circa il 30 per cento; pochi i reati di omicidio, per fortuna, solo il 3 per cento. Stanno a umentando i reati di violazione degli obblighi di assistenza familiare, 5,13 per cento, quindi abbiamo tanta gente che è in carcere per violazione degli obblighi. Minima la percentuale delle persone detenute per violazione della normativa dell’immigrazione.

Fasce di età. Il 46 per cento tra i 26 e i 40 anni; il 22 per cento tra i 41 e i 50. Il problema sono il 20 per cento sotto i 25 anni, anche perché questa che quella dei giovani adulti è la categoria assolutamente più difficile, è unita al tasso di scol arizzazione bassissima ed è un’estrema difficoltà nel rispetto di ogni forma di regola. Secondo me è il settore su cui dobbiamo, nei prossimi anni, concentrare fortemente l’attenzione anche perché la prossima riforma– ormai ufficializzata – che poi porta a 18 anni il termine per entrare nel carcere per adulti, quando prima si arrivava a 25, aumenterà fortemente la criticità di questo problema.

Donne. Il dato è leggermente diverso, per questo ve lo differenzio. Abbiamo una presenza media di 85, di cui il 44 per cento italiane e il 56 per cento straniere, quasi tutte provenienti dalla libertà. Il titolo di studio è leggermente più alto, perché abbiamo un 45 per cento di licenza media inferiore, ma anche qui abbiamo un 18 per cento di assoluta mancanza di scolarizzazione. Area di provenienza tendenzialmente europea, sono pochissime le africane. Reati. Quasi tutti reati contro il patrimonio.

Penso che il dato numerico, al di là del fatto che abbiamo messo su una serie di numeri, ci dà uno spaccato assolutamente fotografico di quella che da una parte è la realtà di San Vittore, anche perché è inevitabile che quando ti entrano 10, 15, 20 e anche 30 persone al giorno il problema è il numero e il posto letto. Ma è anche uno spaccato del contesto esterno territoriale, perché noi in realtà prendiamo esattamente tutto quello che quotidianamente la città di Milano produce in termini di devianza. Paradossalmente quello che siamo in grado di fare e che stiamo provando a fare, è quello di organizzarci per fare uno screening in qualche modo, che non è solo sanitario, perché è estremamente importante in quanto per tanti detenuti l’ingresso in carcere forse è la prima occasione per fare una mappatura completa, dal punto di vista sanitario, e capire chi abbiamo in questo momento sul territorio. Persone che in Italia non avevano mai visto un medico e hanno bisogno di entrare in carcere per... anche con problemi di malattie infettive e tutto il resto.

Il dato ci porta comunque alla necessità di gestire assolutamente le persone, cioè il problema e la grande sfida in questo momento di San Vittore è passare dalla logica del numero e del posto letto, alla logica della persona. Se una persona – perché questo è il dato che non vi ho detto – a San Vittore non sta più di 60 giorni, il rischio è che si aspetti che passino 60 giorni senza che succeda nulla. Mentre quei 60 giorni, che sono i primi 60 giorni di carcerazione, sono forse il momento cardine in cui si può cominciare ad orientare, a capire chi c’hai a orientare e in qualche modo a dare delle regole, dare una serie di stimoli e se è possibile a orientare poi i detenuti in qualche modo del territorio, quelli su cui si può investire perché ti danno margine, sulle vicine case di reclusione

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perché in qualche modo noi nell’ambito del circuito metropolitano siamo il serbatoio originario di Bollate e di Opera. Il discorso è che anziché mandare dei numeri, il grande sforzo è provare a mandare persone che hanno già avuto nei primi due mesi un forte inquadramento, con un orientamento verso una realtà piuttosto che l’altra e con la prima definizione di un percorso. Le assicuro che è una sfida complicatissima, perché l’emergenza dei numeri, del continuo turnover e il fatto che materialmente il problema possa essere il posto dove hai persone che non parlano la stessa lingua, che non si capiscono, che non fanno, non rende facilissimo un approccio di questo tipo.

I problemi. La struttura è una struttura vecchia, anche se ci si sta mettendo mano e stiamo cercando di migliorare e di ristrutturare tutto ciò che è possibile. Abbiamo ancora due padiglioni chiusi, direi per fortuna, ma penso che ormai i tempi siano maturi per ristrutturarli; questo vorrà dire altri 400 posti probabilmente a San Vittore. Abbiamo due piani di un padiglione che a brevissimo saranno riaperti. Il secondo problema è il tempo.

La collega prima ha parlato delle nuove modalità di vigilanza dinamica, al di là di quello è chiaro che tenere delle persone in carcere tutta la giornata se non gli si fa fare qualcosa, è un problema. Abbiamo la certezza di aumentare la recidiva, quindi è un approccio di tipo diverso lungi dall’essere in qualche modo spinto da chissà quale cosa. È veramente l’unico strumento su cui investire, perché queste persone poi le restituiamo comunque fuori.

Allora o ci abbiamo lavorato nell’unico periodo in cui ci possiamo lavorare, perché stanno comunque in una struttura contenitiva, o diventa veramente difficile e abbiamo la garanzia di un forte incremento dei tempi di recidiva.

Noi non possiamo far gran ché, perché non abbiamo grandissimi spazi, non abbiamo spazi molto belli, però stiamo cercando di investire molto sulla formazione scolastica e sulla formazione professionale, anche sfruttando tutto il discorso doti pur con tutte le difficoltà che ci sono, perché per una casa circondariale non è facilissimo accedere al meccanismo delle doti. Stiamo cercando di sfruttarle il più possibile, perché chiaramente dobbiamo dare stimoli, un minimo di competenze e di professionalità, dobbiamo in qualche modo agganciare per quanto possibile i talenti, cercare di svilupparli, orientarli e nel frattempo dargli un minimo di regole. Vi assicuro che la cosa che manca di più, soprattutto in quei contesti, è il rispetto delle regole essenziali di convivenza. Quindi da questo punto d i vista, il carcere può essere un’occasione molto importante in tal senso.

Abbiamo la necessità di migliorare la qualità del servizio e su questo stiamo lavorando, perché anche qui la logica dei 60 giorni fa sì che l’importante è che non succeda niente.

Ritengo che noi in questo momento siamo un baluardo dello Stato, perché la persona ha a che fare con noi nel momento in cui viene in carcere, e più riusciamo ad alzare il livello dei servizi e a offrire un servizio serio – e qualche volta vi assicuro che è difficile – più siamo in grado di pretendere dall’altra parte il rispetto delle regole. Uno Stato forte, io continuo a dire, è quello che è in grado di essere modello e non di doversi giustificare per quello che non dà.

Abbiamo un grossissimo problema di mediazione, nel senso che l’elevatissimo numero di stranieri rende difficile la comunicazione, anche quella semplicemente verbale, perché non ci si capisce e c’è tanta gente che non parla una parola di italiano, ma neanche delle altre

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lingue conosciute. C’è probabilmente da fare un investimento molto grosso in termini di mediazione, culturale e linguistica. Culturale perché non è facile e non basta dire “Le nostre regole sono queste”, in qualche modo bisogna mediare e trovare degli strumenti che consentono di far capire il significato delle nostre regole, ma soprattutto consentono a noi di capire dei comportamenti che per noi sono assolutamente incomprensibili. Dico banalmente che la motivazione più frequente del gesto autolesivo da parte del detenuto, è la richiesta di lavoro: “O mi fai lavorare o mi impicco. O mi fai lavorare o mi taglio”. È chiaro che c’è qualcosa che non va dal punto di vista culturale, anche perché il rischio è che chi non lo fa non lavora. Anche qui c’è un investimento molto grosso non so lo sulla mediazione, su cui io ritengo che bisogna in prospettiva fare un investimento anche come istituzione, perché noi quest’anno facendo la cresta sui nostri fondi siamo riusciti ad istituirci un servizio all’interno, però è chiaro che non basta. In un contesto come San Vittore, la mediazione insieme al servizio sanitario, dovrebbero essere i primi presidi su cui insistere.

Ultima problematica per quanto riguarda l’aspetto detenuti, è il discorso della sanità. Ho già detto che è l’unica occasione in cui riusciamo a fare probabilmente una mappatura e uno screening serio, per cui è importante tenere alti i livelli dell’assistenza sanitaria, che io ritengo nel complesso siano abbastanza positivi. È chiaro che anche qui l’approccio deve essere diverso, deve essere di una medicina concreta e non di una medicina difensiva, questo lo dico come critica, ma troppo spesso anche perché il carcere è il posto dov’è molto facile che l’avvocato ti denunci se qualcosa non è andata bene. Allora il rischio è che si innalzi il livello delle prestazioni richieste, semplicemente perché vogliamo essere tutti a posto. La medicina è un discorso di cultura, e mi piacerebbe che questo discorso passasse in un contesto complessivo anche all’interno del carcere.

È chiaro e non si può pensare che un’azienda ospedaliera ti possa assicurare tutte le branche specialistiche all’interno di un istituto, ma è anche vero che tutto ciò che non è assicurato è ricorso ai servizi territoriali. Questo vuol dire gente che si muo ve sul territorio, scorte che si muovono, costi, problemi di sicurezza, disagi per l’utenza che sta nelle strutture. Anche qui stiamo riuscendo a trovare accordi, anche in modo informale qualche volta, ma che ci consentono di avere canali diversi, che non vuol dire saltare le code o altro ma nel momento in cui uno, due o cinque detenuti sono in una corsia d’ospedale o in un pronto soccorso, tu hai la necessità di garantire anche la giusta separazione rispetto alle persone normali che si trovano in quel mome nto lì.

Grossissimo problema della psichiatria, non solo perché è aumentata tantissimo la situazione di disagio oltre che quella di patologia, ma paradossalmente c’è tantissima gente con problemi di ritardo mentale altissimo. Il poliabuso di sostanze stup efacenti ha in qualche modo definitivamente complicato la situazione, però vi assicuro che c’è una quantità elevatissima di persone all’interno del carcere con problemi seri.

Questo comporta che anche l’approccio psichiatrico – non si può psichiatrizzare il mondo – deve essere non quello dello psichiatra e quello della terapia, ma di un servizio un po’

più complesso che presuppone il ricorso a figure sicuramente diverse. Si parlava prima delle varie figure anche sociosanitarie, delle altre figure che posson o intervenire nella

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gestione del soggetto psichiatrico. Da questo punto di vista forse siamo rimasti un po’ tutti ancorati a meccanismi tradizionali, che oggi dovrebbero essere superati.

Un problema strettamente correlato è quello delle REMS. Noi abbiamo, per la mancanza di posti letto nelle REMS, comprese quelle della Lombardia, persone in carcere che non hanno titolo per stare in carcere, che tratteniamo semplicemente perché non possiamo metterle da nessuna parte, con il grosso paradosso che tu tieni dete nute delle persone che non hanno un titolo di detenzione. Non so quale sia la soluzione a questo problema, capisco che i posti REMS siano limitati, però da una parte sta aumentando il problema psichiatrico e di disagio all’interno degli istituti, dall’altr a non ci sono le strutture territoriali in grado di prenderle.

Infine c’è il grosso problema delle dimissioni. Perché se c’è una buona rete, quanto meno con i servizi lombardi, per la segnalazione e la presa in carico dei servizi territoriali dei detenuti lombardi, c’è il grosso problema degli stranieri. Questi ultimi sono soprattutto privi di permesso di soggiorno, e vi assicuro che negli stranieri il tasso non solo di marginalità ma di disagio e di patologia psichiatrica sta aumentando a dismisura. Non c’ è un sistema che consenta la presa in carico comunitaria o di altro tipo, perché c’è questo benedetto problema di chi paga la retta. Il problema è che se io un detenuto psichiatrico, privo di permesso di soggiorno, lo devo scarcerare perché ha finito la su a pena, ed è un problema per la collettività, se io lo metto per strada sto creando un problema. Se io, come siamo costretti a fare, chiedo la cortesia all’ospedale e lo ricovero in ospedale in psichiatria, che lo tiene lì fino a quando non arriva la REMS piuttosto che qualche altra cosa, abbiamo dei posti letto in ospedale bloccati per anni. Io vi chiedo scusa, ma il problema è estremamente serio e va affrontato, anche perché non sono tantissimi ma ci sono. Il problema della psichiatria con la mancanza del permesso di soggiorno, o della residenza sul territorio, o della persona senza riferimenti, ci può essere. Forse bisogna anche qui trovare un canale che ci consente di capire che qualcuno questa persona la deve gestire. Siamo al paradosso che il carcere sta gestendo persone che non sono detenute, non perché non sia possibile gestirle fuori ma perché la burocrazia del sistema rende estremamente difficile capire come fare. Paradossalmente in un caso del genere dovrei chiedere alla Prefettura il rilascio di un permesso di soggiorno di tipo umanitario, che può consentire e che può fare. Vi rendete conto però che bisogna mettere in piedi talmente tante figure, talmente tante istituzioni, che intanto il tempo passa e la persona rimane o in ospedale, senza motivo perché a sua volta l’ospedale correttamente non lo dimette, in quanto non ha dove mettere una persona così libera sul territorio, o in carcere.

Ultima considerazione rispetto al personale. Chiaramente lavorare in queste condizioni non è facile e stiamo facendo un gran lavoro, come tutti gli istituti, per cercare di migliorare le condizioni perché l’ambiente sia pulito, bello, ordinato, rilassante perché ci possano essere tutta una serie di iniziative. È un po’ lo specchio di quello che fai; già vivi in un posto tendenzialmente brutto e pieno di sofferenze, se non fai cura all’ambiente e a tutta una serie di cose, rendi veramente molto difficile il lavoro anche degli operatori. Il nostro problema è che a differenza di realtà come Monza, Bollate o Opera, dove comunque ci sono delle caserme e degli alloggi per il personale sostanzialmente dignitosi, a San Vittore non è così. A San Vittore vi assicuro che il personale a volte è in condizioni molto

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peggiori di quelle cui sono ospitati i detenuti, e non penso sia b ello. Lo si fa e lo si consente, anche assumendosi grandi responsabilità, semplicemente perché queste persone fanno grande fatica a Milano a sistemarsi. La maggior parte di loro preferisce mantenere la famiglia giù; il problema è che mantieni la famiglia giù, poi la moglie rimane incinta, fa il figlio e non se ne viene più su, e hai queste famiglie che vivono a distanza.

Questo è quello che io chiedo; dovremmo provare invece a ragionare, se è possibile, sulle politiche che incentivino. Nell’ultimo anno sono arrivati in Lombardia tantissimi giovani ragazzi che sono venuti dalle nuove assunzioni. Dobbiamo fare in modo che questi si stabilizzino qui, che le famiglie le mettano qui. Prevedere dei meccanismi di edilizia agevolata, cioè un qualcosa che in qualche modo aiuti, perché noi non abbiamo formalmente l’obbligo e in qualche modo lo facciamo. È chiaro che non c’è nessun obbligo neanche da parte degli altri, però la presenza di forze di Polizia qualificate sul territorio penso che alla fine faccia in qualche modo comodo a tutti, ma soprattutto è un atto dovuto e doveroso di rispetto nei confronti di chi comunque fa un lavoro difficilissimo.

Mi aggancio al discorso di prima. Lo sportello psicologico, rispetto al quale c’è una delibera dello scorso anno del Consiglio regionale, è una cosa estremamente importante perché in qualche modo al personale bisogna dare la possibilità non solo di metabolizzare e gestire gli eventi critici che quotidianamente ci sono, ma anche forse di avere condizioni esterne che non possono essere quelle del datore di lavoro, che in qualche modo può fare, perché inevitabilmente il rapporto è viziato e condizionato. Delle occasioni e degli strumenti, che consentano in qualche modo di mantenere un equilibrio. Penso che possa fermarmi qui. Sono a disposizione per le domande.

Presidente Gian Antonio GIRELLI

Ringraziamo anche il dottor Siciliano. Cominciamo con le domande. Prego, Consigliere Fumagalli.

Consigliere Marco FUMAGALLI

Grazie, Presidente. Innanzitutto i complimenti alla dottoressa per le slide. Una domanda: i dati sul sovraffollamento effettivamente sono assolutamente drammatici e mi sembra che siano addirittura i più alti che abbiamo in Italia. Non ho visto però dei dati relativamente al personale di Polizia Penitenziaria, e se ci sono eventualmente delle carenze.

Sono entrato in contatto con i sindacati, che mi facevano notare che ci sono delle problematiche sia nella struttura carceraria, di infiltrazioni d’acqua e quant’altro, sia presso la ex caserma che c’è a Monza dove alloggiano, in cui anche qui ci sono delle problematiche di infiltrazioni o comunque la struttura necessita di una ristrutturazione.

Volevo capire se queste istanze che erano state formulate dai sindacati di Polizia Penitenziaria, hanno trovato qualche riscontro.

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Sempre in tema di ristrutturazione, volevo chiedere al Direttore di San Vittore che cosa osta alla ristrutturazione dei padiglioni di cui accennava, se occorre intervenire presso il Ministero, se mancano i soldi, i progetti o quant’altro. Grazie.

Presidente Gian Antonio GIRELLI

Benissimo. Consigliere Pizzul e poi Bocci, prego.

Consigliere Fabio PIZZUL

Grazie al Presidente per la parola e ai Direttori, per l’illustrazione della situazione dei due istituti. Tre domande su Monza. Qualche tempo fa, se non ricordo male, c’era una collaborazione anche con il comune per uno sportello anagrafico o qualcosa all’interno.

Com’è andata evolvendo questa situazione?

Sottolineava poi la dottoressa Pitaniello il fatto che il centro diurno è collegato al bando regionale su novembre. Vuol dire che con la scadenza a novembre c’è il rischio di chiudere tutto? C’è una possibilità che continuiate, anche finiti i finanziamenti o che altro?

Terza questione. Lo accennava quando parlava degli interventi del centro diurno, e non solo, sulle casistiche autolesionistiche. C’è stato un periodo in cui effettivamente erano stati riportati parecchi casi. La situazione è andata migliorando con l’attivazione del centro diurno e quali possibilità ci sono ulteriori di intervento?

Su San Vittore, invece, al dottor Siciliano. Ha parlato in maniera molto precisa delle tematiche di carattere sanitario. Lì avete un centro clinico in particolare a San Vittore; ci sono delle problematiche legate in particolare al centro clinico da segnalare? Visto c he è un qualche cosa che in effetti è di competenza diretta, per quanto riguarda la Regione.

Seconda questione. Sottolineava il discorso dell’impiego del tempo da gestire e citava formazione scolastica e professionale. Su questo c’è qualche azione, che com e Regione si può mettere in campo per magari facilitare e agevolare? Si citava il discorso della difficoltà ad accedere alle doti per una circondariale, magari anche capire se c’è qualche altra modalità con cui si può in qualche maniera agevolare questo ne cessario presidio anche del tempo.

Ultima questione. Si tende sempre di più ad aprire il carcere nei confronti della città, con molte iniziative partecipate, apprezzate o quant’altro. Su questo fronte c’è magari qualche necessità di intervento per favorire la possibilità di fruizione da parte della cittadinanza?

Dico una banalità; l’ultima volta che eravamo venuti, c’era stata qualche problematica relativamente all’amplificazione nella Rotonda. Se magari su cose di questo tipo è possibile anche che ci si attivi in qualche maniera, non solo per interventi strutturali che richiedono il coinvolgimento del Ministero o quant’altro, ma magari cose anche più puntuale che però potrebbero dare un impulso interessante.

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Presidente Gian Antonio GIRELLI Consigliere Bocci.

Consigliere Paola BOCCI

Volevo fare due domande a entrambi, ma soprattutto alla dottoressa. Volevo sapere se nella vostra struttura detentiva c’è un’attenzione particolare sanitaria alle donne, perché sia a San Vittore che a Bollate c’è un servizio volontario di ginecologia ostetricia, fatto anche con una rete di ostetrici e ginecologi, che secondo me ha anche portato ad una consapevolezza di tutta una serie di problematiche di malattia, ma anche di consapevolezza del proprio corpo delle donne. Siccome è stata un po’ generica sulla salute all’interno del carcere, volevo capire.

Al dottor Siciliano volevo chiedere se c’è ancora all’interno di San Vittore, perché questa cosa è nata a Genova e poi è stata fatta sia a San Vittore che a Bollate, quest a esperienza.

L’altra domanda invece riguarda le doti lavoro. Le difficoltà che si incontrano quindi mi sembrano più di tipo, mi passi il termine, burocratico che non della disponibilità di aziende esterne con cui poter fare delle convenzioni e dei protoc olli. È reale questa cosa?

Grazie.

Presidente Gian Antonio GIRELLI Consigliere Bastoni, prego.

Consigliere Massimiliano BASTONI

Grazie. Io mi concentro su San Vittore, che è un po’ la situazione che conosco e sono venuto anche a fare qualche visita. L’accenno che ha fatto il Direttore mi sembra molto puntuale, soprattutto sulla situazione degli alloggi degli agenti di Polizia Penitenziaria.

Tempo fa mi ricordo che c’erano degli alloggi che effettivamente erano particolarmente fatiscenti. Mi riferisco però a qualche anno fa, quindi adesso non so com’è la situazione.

Mi ricordo che vi era proprio un problema di struttura fondamentale, diciamo che in alcuni casi gli alloggi erano messi peggio delle celle. Vorrei sapere com’è la situazione attuale, se sono stati fatti degli interventi negli ultimi anni, magari rifacendomi anche un po’

all’appello che diceva poco fa Pizzul. Mi ricordo che sempre inerente al benessere del personale, vi erano anche delle richieste che magari potrebbero sembrare banali. Ad esempio ricordo che una su tutte era quella di una palestra, dove poi so che ci fu qualche intervento da parte di qualche sponsor privato che diede una mano, però poi si fermò lì e non si fece poi molto di più. Ecco, qual è un po’ la situazione.

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Presidente Gian Antonio GIRELLI Consigliere Galizzi, prego.

Consigliere Alex GALIZZI

Grazie innanzitutto per essere qua e scusate il ritardo. Volevo unirmi anch’io alla richiesta di Massimiliano, mi ha anticipato, e volevo fare un altro ragionamento invece a voce alta.

Mi ha fatto specie la dichiarazione del dottore, dove diceva che i carcerati entrano e dicono “Mi fai lavorare oppure mi impicco” questa frase è gravissima secondo me per più logiche. Quello che purtroppo si vede è che tanti entrano in carcere, escono e rien trano quasi volentieri, perché ormai è diventato per tanti quasi un periodo in albergo temporaneo. Dire “Fammi lavorare” significa che è un modo per far passare il tempo e per sentire meno la pena, presumo. Dico che bisognerà fare dei ragionamenti perché è giusto, sono degli esseri umani, sono giuste le cure ed è giusto tutto, però è giusto che arriviamo anche ad educarli e a fare uscire delle persone migliori per il futuro. Si parla tanto che dobbiamo curarli perché sono tossicodipendenti, sì lo sono ma sp esso e volentieri sono spacciatori che rovinano altre persone e altri giovani. Quindi secondo me bisogna trovare anche dei metodi per essere anche probabilmente un po’ più concreti. Come mi ha detto l’altra volta Pizzul riguardo una dichiarazione simile ch e avevo fatto, non è forse la sede, però dei ragionamenti dobbiamo farli in quanto è un problema reale, che viviamo quotidianamente. Grazie.

Presidente Gian Antonio GIRELLI Vi ridò la parola per rispondere.

Dottoressa PITANIELLO

Vado per ordine. Dati numerici del personale. Diciamo che ultimamente è arrivato del personale molto giovane e una parte del personale un po’ più anziano, che era distaccato da tempo immemore, è stato trasferito. Per cui alla fine siamo abbastanza in pari, però almeno abbiamo definito. Abbiamo in totale circa 300 unità di personale di Polizia Penitenziaria, nei vari ruoli; agenti e assistenti, ispettori e sovrintendenti e poi ci sono i funzionari. Grande carenza per il ruolo degli ispettori, che sono poi i quadri intermedi e sono coloro che, nell’organizzazione di unità operativa, sono a capo del gruppo di Polizia Penitenziaria, che fanno da tramite tra gruppo di personale assegnato a quella unità operativa, agenti e assistenti, comandante e direttore. Quindi hanno un ruolo fondamentale.

Rispetto ancora ai numeri è diffusa in Regione e assolutamente Monza è alla stessa stregua, una gravissima carenza di contabili. Nella pianta organica, già ridotta per intervento legislativo recente, Monza dovrebbe avere un funzionario contabile l aureato e quattro contabili, che sono i ragionieri. Di fatto noi abbiamo un funzionario AO, un

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funzionario contabile e un contabile in part-time. Per cui l’organizzazione dell’area contabile, devo dire anche un po’ contestata dai sindacati, ma diversamente non può essere fatto, si basa sulla presenza di unità di Polizia Penitenziaria, che svolgono compiti che non sono assolutamente istituzionali; fanno tutt’altro rispetto a quello che dovrebbero fare per legge, ma diversamente non può essere.

Rispetto agli educatori invece stiamo abbastanza bene, nel senso che è vero che da un lato sono arrivati tre nuovi educatori, però uno è stato distaccato in un’altra sede della Regione. Diciamo che rispetto a prima la situazione è migliorata.

Riguardo alle caserme, perché Monza ha due strutture; una annessa direttamente all’istituto che è estremamente fatiscente in quanto infiltrazioni di acqua, per lavori che sono stati fatti a metà negli anni precedenti, sono arrivati e arrivano fino a piano terra, per cui dal terzo piano arrivano fino a piano terra. L’altra struttura bellissima, che è al centro di Monza, che è la caserma Pastrengo, che consta di più fabbricati. Uno di questi è inagibile per problemi economici, perché ha un problema legato al riscaldamento. Devo dire però che a differenza del collega di San Vittore, abbiamo come alloggi destinati alle famiglie 17 appartamenti, tra le due strutture. L’amministrazione ha investito e ha mandato in gara un bando, per ristrutturare del tutto e completamente la caserma annes sa a via San Quirico all’istituto. Per cui inizieranno poi i lavori e ci sarà il totale rifacimento non solo del manto di copertura, ma anche sui tre piani di cui consta. Per cui diciamo che andremo sicuramente a migliorare, da questo punto di vista.

Assolutamente presente l’anagrafe del comune. Una volta al mese devo dire che il funzionario, che adesso è andato in pensione, estremamente disponibile, sarà a breve sostituita. Quest’ultima accorreva nel momento in cui c’era una chiamata. I rapporti con il comune sono estremamente collaborativi. Abbiamo anche il patronato INCA, a prescindere dal comune, e abbiamo anche AFOL all’interno.

Relativamente al centro diurno, quest’ultima è una delle azioni previste dal bando del 2016. Il progetto scade il 30 novembre, l’amministrazione centrale proprio perché ha ben inteso qual è la problematica della gestione dei detenuti con disagi e/o psichiatrici, ha assegnato ad alcune strutture –tra cui anche Monza – alcuni fondi per una prosecuzione, devo dire solo temporanea nel senso che il centro diurno continuerà fino a metà marzo.

Qui chiedo. So che ci sarà un nuovo bando con i fondi sociali, che si è detto – questo è quello che poi è arrivato in periferia – sarà la prosecuzione del bando con il progetto biennale che, ripeto, per alcuni istituti è scaduto e per noi scade il 30 novembre. Questo bando prevede la prosecuzione testualmente delle stesse azioni. Ovviamente quel bando a noi è stato estremamente utile non solo per il centro diurno, ma anche per gli agenti di rete, per fare quel lavoro di rete che non possono fare gli operatori assunti. La mediazione culturale – e qui mi riaggancio al dottor Siciliano – è fondamentale, perché ci sono detenuti che non parlano una parola in italiano, quindi non solo nella comunicazione diretta con il personale o con l’educatore, ma anche con il medico è un problema.

Sono quindi quelle azioni che, se di nuovo previste nel nuovo bando, non dico che sono una valvola di sfogo ma molto di più, ci aiutano realmente. In concreto a fronte dell’emergenza, si cerca il detenuto che più o meno riesce a capire le parole russe

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piuttosto che cinesi, però è chiaro che non è solo una questione di traduzione del bisogno immediato, è anche una questione di conoscenza un po’ più approfondita. In passato abbiamo fatto anche dei corsi di formazione rivolti al personale, che si presentavano come corsi di lingue, ma che invece approfondivano proprio gli elementi base di quella cultura e di quelle tradizioni, dando anche insegnamenti di alcune frasi tipo; cioè i primi bisogni al momento dell’ingresso della persona straniera. È una realtà, per cui forse dovremmo – e mi associo al collega – prevedere qualche strumento un po’ più sistemico e che non sia di emergenza, ma mettere a sistema qualcosa.

Gesti di autolesionismo. Innanzitutto secondo me bisogna fare una distinzione. Gesto di autolesionismo; 1) perché viene dallo straniero, che ha proprio come modalità di manifestare un disagio quello di autolesionarsi, di infliggersi un dolore fisico, un male; 2) perché è una forma di manifestazione di protesta, il collega dice per il lavoro e io dico anche per le sigarette, per il tabacco, perché non hanno soldi, perché hanno bisogno di questa modalità per esprimere comunque un disagio. Non è un profondo disagio di volontà autosoppressiva, ma è una manifestazione di disagio che in quanto tale deve comunque essere affrontata e gestita. Molto spesso sono sempre gli stessi detenuti che si autolesionano e la maggior parte delle volte – il 99 per cento – sono detenuti con problematiche di tossicodipendenza. Quando il dottor Siciliano dice “ritardati” io dico assolutamente sì, cioè sono detenuti che proprio non riescono a ragionare, sono completamente annullati con il cervello.

Dottor SICILIANO

Questa è una cosa che noi stiamo registrando negli ultimi anni, che sta aumentando a dismisura. Prima dicevo che quei numeri – chiedo scusa alla collega se interrompo – rispetto a San Vittore, sono uno spaccato di quello che noi stiamo prendendo dal territorio.

Poi dirò quello che devo dire anch’io su quella domanda, ma secondo me anche il carcere in qualche modo deve gestire quello che ti arriva. Dieci o venti anni fa non c’era questa utenza, quindi dobbiamo tener conto di una serie di problemi che stanno venendo sul territorio, che poi inevitabilmente comportano un aumento. C’è tantissima gente, fra questi fra virgolette con problemi di ritardo, che sta dentro per resistenza a pubblico ufficiale.

Dottoressa PITANIELLO Sì, sì confermo.

Dottor SICILIANO

Vuol dire che è uno che non capisce quella regola lì dentro. Fuori giustamente lo ferma il poliziotto o il carabiniere, ci litiga e quello finisce in carcere. Il problema è prima, non se lo deve trovare il carabiniere, il poliziotto o il poliziotto penitenziario, è un problema di

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fondo perché in questo momento noi stiamo registrando sul territorio problemi nuovi che poi ci troviamo in carcere.

Dottoressa PITANIELLO

Rispetto al discorso delle donne. Il reparto femminile è chiuso oramai da un paio di anni, però fino a quando è stato attivo avevamo delle convenzioni e avevamo dei buoni rapporti, anche per quanto riguarda l’assistenza specialistica rispetto alle donne. Il territorio di Monza è sempre stato molto sensibile, sentono molto l’aspetto femminile e anche femminista, mi viene da dire.

Ultima considerazione sul discorso della DUL e poi lascio la parola al collega. La Dote Unica Lavoro è stato uno strumento buono, ma abbastanza limitato; nel senso che se facciamo riferimento alla dote di formazione, che poi obbliga l’amministrazione che procede alla assunzione del 50 per cento dei detenuti formati, è chiaro che poi noi dobbiamo fare i conti con i nostri fondi da destinare al pagamento delle retribuzioni, le cosiddette mercedi. Da un lato sicuramente sono state adeguate come tabelle, perché stiamo parlando di retribuzioni che risalivano a 30 anni fa, aumentando il livello di retribuzione di circa l’80 per cento. Dall’altro però non ha corrisposto un incremento dei soldi. Per cui questo è lo strumento, oltre al fatto che è estremamente difficolto so poi rispondere a tutti i presupposti; età, fine pena, disoccupato e inserimento nel portale, questo a detta degli enti formativi a cui poi abbiamo fatto riferimento.

Credo di avere concluso le domande.

Presidente Gian Antonio GIRELLI Grazie. Prego, dottor Siciliano.

Dottor SICILIANO

Le domande sono tante, quindi cercherò di essere veloce.

Non era una mia domanda, però mi riaggancio al discorso del centro diurno, perché poi da direttore di Opera, prendendo spunto da un’esperienza che era nata a San Vittore, che era stata gestita tramite l’azienda ospedaliera del Fatebenefratelli, quindi non come progetto, fummo proprio noi a sperimentare l’apertura del centro diurno nell’ambito del discorso legge 8, per far fronte ad un servizio che probabilmente dovrebbe e potrebbe essere un servizio sanitario. Il servizio sanitario non può essere lo psichia tra che viene, ma è il complesso degli interventi che deve consistere in tutti quegli interventi che mi consentono di fare tutta una serie di cose, con l’ottica tipica di chi sta gestendo problematiche psichiatriche. Quindi in qualche modo in diversi istit uti, grazie alla disponibilità che abbiamo potuto avere sul vostro bando, ci siamo inventat i questo strumento che però io

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