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È possibile non avere coscienza della propria umanità? *

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È possibile non avere coscienza della propria umanità? *

Il concetto di umanità per la coscienza tetica. Il caso Schneider attraverso l’analisi di Maurice Merleau-Ponty

Vale ria P rospe ri

Abstract

Attraversando la riflessione di Maurice Merleau-Ponty sul caso patologico Sch- neider, ho tentato, sommariamente, di trarre delle conclusioni in relazione alla possibilità che un individuo possa essere incapace di avere coscienza tetica1del proprio essere al mondo come essere umano. Ogni uomo ritenuto non patolo- gico è in grado di passare, sinteticamente2e immediatamente, da una riflessione soggettiva – personale,3 ad una oggettiva – impersonale,4sulla propria esisten- za. È a partire da questa capacità che un essere umano si può dire dotato di coscienza tetica. Quest’attività di sintesi avviene sia in modo passivo,5non

*Articolo pubblicato sul sito codices.eu il 4 giugno 2021.

1Cfr. Merleau-Ponty, M. (2003), Fenomenologia della percezione, trad. it. di Bonomi, A., Il Saggiatore, Milano, p. 87: “[. . . ] una coscienza non-tetica” è “una coscienza che non possiede la piena determinazione dei suoi oggetti”, è “una logica vissuta che non rende conto di se stessa”.

2Per comprendere in che senso l’autore usa la parola “sintetico” e derivati cfr. ivi, p. 18:

“[. . .] un’analisi noetica [. . .] fa riposare il mondo sull’attività sintetica del soggetto”. “Noetica”:

che riguarda il punto di vista del soggetto conoscitivo [νόησις].

3I termini “personale” e “impersonale” sono intesi dall’autore in senso complementare, per comprendere l’uso di “personale” si vedano le seguenti citazioni: ivi, p. 132: il personale è il

“mondo umano che ciascuno di noi si è fatto”; ivi, p. 233: “[. . .] l’esistenza personale è la ripresa e la manifestazione di un dato essere in situazione”. Cfr. ibidem: “Io posso si assentarmi dal mondo umano e abbandonare l’esistenza personale”.

4Per comprendere l’uso di “impersonale” si veda nota 3. Diversamente dal “personale”, l’“impersonale” è quella dimensione inerente alla profondità dell’esistenza, che permette di percepirsi nel tempo (ivi, p. 131; 132).

5Il termine “sintesi” con accezione passiva è usato dall’autore nel senso che segue. Cfr. ivi, p. 545: “Una sintesi passiva è contraddittoria se la sintesi è composizione, e se la passività consiste nel ricevere una molteplicità anziché comporla. Parlando di sintesi passiva, si voleva dire che il molteplice è penetrato da noi e che, ciononostante, non siamo noi a effettuarne la sintesi”.

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ancora descrivibile (pre-categoriale), che attivo, descrivibile tramite il linguaggio concettuale (categoriale6). Per il fatto che si danno contemporaneamente que- ste due modalità di percezione,7 il soggetto riesce a comprendere in maniera simbolica8la realtà e, di conseguenza, dimostra di avere una coscienza tetica.

Sarà, dunque, nell’interesse di questo elaborato tentare di rispondere al quesito iniziale, attraverso un’analisi delle conseguenze che la patologia ha avuto sul malato nell’ambito della capacità simbolica.

Premessa

Il caso patologico preso in esame si rifà al soldato ventitreenne Johann Schnei- der che il 4 giugno 1915 fu ferito dalla scheggia di una mina, in conseguenza della quale riportò una lesione occipitale. Svegliatosi dopo quattro giorni di stato vegetativo, mostrò segni di labilità emotiva, bradicardia, mal di testa e difficoltà a stare in piedi e a camminare. Tra le difficoltà riscontrate più significative si riportano: riduzione dell’abilità di memorizzazione di numeri ascoltati; affaticamento precoce della vista nella lettura. La condizione pa- tologica del soldato fu esaminata all’interno del dipartimento di neurologia dell’ospedale militare di Francoforte (Germania). Qui si occuparono della sua riabilitazione, il direttore della struttura, lo psichiatra Kurt Goldstein, assieme al collega Adhémar Gelb: i due elaborarono, così, il cosiddetto “Caso Schn.”.9

Introduzione

L’analisi della condizione patologica del paziente Schneider, condotta dagli psichiatri Gelb e Goldstein, ha concluso che il paziente manifestasse generi-

6Per il senso in cui viene usato il termine “categoriale” si veda ivi, p. 183: “[. . .] la nostra critica della funzione categoriale condurrebbe solo a rivelare, dietro all’uso empirico della categoria, un uso trascendentale senza il quale il primo è incomprensibile”.

7La “percezione” è per l’autore la modalità prioritaria tramite cui l’individuo fa esperienza conoscitiva (attiva e passiva) nel tempo della propria esistenza. Cfr. ivi, p. 184: “[. . .] ogni percezione si situa immediatamente in rapporto a mille coordinate virtuali”.

8Il mondo dischiude un senso e un significato profondo dell’esistenza, che l’individuo coglie simbolicamente attraverso la percezione corporea. Cfr. ivi, p. 316: “[. . .] diciamo che il corpo, in quanto ha dei «comportamenti» è quello strano oggetto che utilizza le sue proprie parti come simbolica generale del mondo e attraverso il quale, perciò, noi possiamo «frequentare» questo mondo, «comprenderlo» e trovargli un significato”.

9Per approfondimenti si veda: Goldenberg, G. (2003), Goldstein and Gelb’s Case Schn.: a Classic Case in Neuropsychology?, in Classic Cases in Neuropsychology, Volume II, Code, C., Joannette, Y., Lecours, A. R. et al (eds), Psychology Press, London, pp. 281-298.

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camente una “cecità psichica”.10Maurice Merleau-Ponty affronta nuovamente un’indagine su questo caso patologico, con l’intento di mostrare che il sog- getto conoscente non è la coscienza/mente di per sé, ma la totalità del corpo intelligente in quanto vivente e senziente. Nel tentativo di superare il dualismo analitico11percettivo mente/corpo, di matrice cartesiana, il filosofo mostra che la coscienza, di per sé, non solo non è disincarnata, ma nemmeno è prioritaria.

Essa si origina nella relazione tensionale, che àncora il corpo vivente al mondo.

Il corpo vivo,12come corpo proprio, è quindi prioritario: in qualità di incarna- zione vitale senziente, esso dischiude la propria coscienza nel relazionarsi con il mondo. Il sentire del corpo non è eccedente rispetto al percepire, bensì è il nodo fondante di quei “rapporti”13 magici14 che scaturiscono dalla suddetta relazione:

Il rapporto della cosa percepita con la percezione o dell’intenzione con i gesti che la realizzano è, nella coscienza ingenua, un rappor- to magico; ma anche così rimarrebbe necessario comprendere la coscienza magica come essa stessa si comprende – non ricostruirla a partire dalle categorie ulteriori [. . . ] L’ego, come centro dal quale irradiano le sue intenzioni, il corpo che le sostiene, gli esseri e le cose cui si rivolgono non sono confusi fra loro: sono soltanto tre settori di un unico campo.15

Attraverso lo studio di questo caso, Merleau-Ponty vuole criticare in generale l’atteggiamento di tutte quelle scienze, sia psicologiche che filosofiche, perché

10Merlau-Ponty, M. (2003), p. 156. Con riferimento alle opere: Gelb, A., Goldstein, K.

(1923), Psychologische Analysen hirnpathologischer Fälle, Leipzig; Goldstein, K. (1923), Über die Ab- hängigkeit der Bewegungen von optischen Vorgängen, «Monatsschrift für Psychiatrie und Neurologie», Bd. LIV, Heft 1, pp. 141-153.

11Il dualismo cartesiano ha, nell’ottica dell’autore, un “atteggiamento analitico”, in quanto di “un insieme come cosa” si adopera per “discernervi somiglianze o contiguità” (cfr. Merleau- Ponty [2003: 50]). Il filosofo riabilita il cogito cartesiano “parlato” con un “Cogito tacito”, che sospende l’atteggiamento analitico e sprofonda nella profondità silenziosa dell’esistenza impersonale (cfr. ivi, p. 515).

12La nozione di “corpo vivo” o “corpo vivente” è centrale nel pensiero dell’autore. Si veda ivi, p. 124: “Posso comprendere la funzione del corpo vivente solo compiendola io stesso e nella misura in cui sono un corpo che si leva verso il mondo”.

13Si veda n. 23.

14Il termine “magico” è strettamente connesso con tutto ciò che nel mondo viene colto come simbolico dall’individuo. Si veda ivi, p. 135: “[. . .] il soggetto manda in frantumi il mondo oggettivo che gli sbarra la strada e cerca una soddisfazione simbolica in atti magici”.

15Cfr. Merleau-Ponty, Maurice (1970), La struttura del comportamento, traduzione di Neri, G.

D. Bompiani, Milano, p. 305.

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tendono a ridurre la complessità totale dell’essere umano ad un ‘partificabile’

assetto categorico. In questo modo, esse perdono completamente il contatto con la profonda unità originaria dell’essere al mondo del corpo vivo. La condizione del soggetto patologico Schneider, secondo il filosofo, deve essere indagata da un punto di vista olistico, che faccia capo a una semantica unitaria, non ‘partificata’ né ‘partificabile’:

Questi autori [Gelb e Goldstein] trovano, in un ferito di guerra (Schneider), turbe che interessano nello stesso tempo la percezio- ne, il riconoscimento e i ricordi visivi, - la spazialità dei dati tattili e il riconoscimento tattile, - la mobilità e infine la memoria, l’intel- ligenza e il linguaggio. Le concezioni classiche autorizzerebbero a diagnosticare contemporaneamente nel malato una cecità psi- chica, una astereognosia e turbe dell’intelligenza [. . . ] Ora sembra impossibile derivare queste deficienze da una.16

L’analisi di Merleau-Ponty pone in luce che, in conseguenza alla lesione, il malato in questione sembra aver perso la potenzialità inesauribile restituita dal contatto sintetico tra la dimensione personale e impersonale. Dunque, nel contesto in cui si ritiene che un uomo, in generale, si percepisca come identico ad un essere umano (in senso non meramente biologico) a partire da una dimensione virtuale, dispensatrice di senso esistenziale, si pone il seguente interrogativo: Schneider ha coscienza tetica della propria esistenza come essere umano? A mio avviso, seppur non con immediata chiarezza, si può dedurre che la consapevolezza di Schneider, riguardo al proprio essere al mondo come essere umano, costituisce niente di più che un dato esperienziale residuo, disponibile solo in forma appiattita categoriale, attingibile nel sapere già sedimentato17del proprio corpo abituale.18In questo senso si può sostenere che il malato, presentando una dinamicità motoria compromessa, mostra di aver perso anche la pienezza della propria esistenza: emerge, così, la priorità del piano della corporeità vivente sul piano della mera coscienza.

16Ivi, p. 199.

17Cfr. Merleau-Ponty (2003), p. 185: “[. . .] c’è un «mondo dei pensieri», cioè una sedimenta- zione delle nostre operazioni mentali, che ci permette di contare sui nostri concetti e sui nostri giudizi acquisiti come su cose che sono là e si danno globalmente, senza che in ogni momento abbiamo bisogno di rifarne la sintesi”.

18Cfr. ivi, p. 131: “[. . . ] il nostro corpo comporta come due strati distinti, quello del corpo abituale e quello del corpo attuale. Nel primo figurano i gesti propri del maneggiare”.

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L’esplorazione motoria come contatto profondo tra corporeità vivente e mondo

Il corpo vivo è recettivo agli stimoli sensibili. La sensazione è una modalità di esistenza fisica percepita, attraverso l’esperienza, come portatrice di un signifi- cato vitale. Nel fare esperienza percettiva, il corpo vivo abita il mondo, ovvero dischiude un campo virtuale, a partire dalla dimensione spazio-temporale pre- sente a cui è ancorato. Il motivo del contatto19 tra il corpo vivo e il mondo è la tensione vitale fra essi: in qualità di elementi appartenenti ad una totalità materiale originariamente unica. Il corpo vivo si immerge nell’oscurità del mondo per afferrarne il senso, ovvero stabilisce una relazione intenzionale con ciò che appare come altro da sé al fine di disvelarne l’indeterminatezza. La sensibilità apre il corpo vivo ad una riflessione20passiva e recettiva sull’alterità, mediante la quale esso, per così dire, si mette tacitamente (si veda nota 10) in ascolto di quel mondo, precedente alle sovrastrutture categoriche. L’essere umano vivente entra così in contatto con quella dimensione di senso origi- naria (priva di pregiudizi21 categoriali) della propria relazione con il mondo, attivando una riflessione che dischiude, come sopra accennato, la coscienza.

Abitare il mondo significa, in un certo senso, vivere metaforicamente, ovvero mantenere sempre aperta un’ambiguità costitutiva dell’esperienza. Il sogget- to disvela l’oggetto ‘intenzionandolo’ sul piano attuale (messo in evidenza, in maniera fungente22): come una figura emergente da uno sfondo inattua- le (non in evidenza). Secondo il filosofo, l’ambiguità, tra determinatezza e indeterminatezza, dell’unità figura-sfondo può essere colta solo attraverso in-

19Il “contatto” è sempre inteso nella seguente accezione, cfr. ivi, p. 385: “Il contatto assoluto di me con me, l’identità dell’essere e dell’apparire non possono essere posti, ma soltanto vissuti al di qua di ogni affermazione”.

20Il concetto di “riflessione” è per l’autore in continuo uscire da sé e rientrare in sé, stimolato dall’incontro con il mondo, sul piano dell’esistenza. Cfr. ivi, p. 428: “È la riflessione a oggettivare, i punti di vista o le prospettive, nella percezione io inerisco, attraverso il mio punto di vista, al mondo intero, e non conosco nemmeno i limiti del mio campo visivo. È solo una variazione impercettibile, un certo «mosso» dell’apparenza a farci sospettare la diversità dei punti di vista”.

21In particolare, l’autore fa riferimento al “pregiudizio del mondo” che prende le mosse dal considerare verità ciò che si vede con i propri occhi”. Cfr. ivi, p. 37-38.

22Il termine “fungente” fa riferimento ad una modalità intenzionale dell’azione. Cfr. ivi, p. 27: “[. . . ] l’intenzionalità fungente [. . . ] costituisce l’unità naturale e ante-predicativa del mondo e della nostra vita che appare nei nostri desideri, nelle nostre valutazioni, nel nostro paesaggio più chiaramente [. . . ] nella conoscenza oggettiva [. . . ] fornisce il testo di cui le nostre conoscenze cercano di essere la traduzione in linguaggio esatto”.

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tenzionalità fungenti (si veda nota 20), operanti in modo recettivo, attraverso sintesi passive (si veda nota 5) pre-categoriali. Al riguardo, si può dunque ipo- tizzare che se il corpo vivo mancasse di un’intenzionalità motoria23fungente e passiva, sarebbe incapace di ricevere il significato profondo originario pre- categoriale dell’esistente, sarebbe quindi anche impossibilitato ad attribuire significato categoriale in maniera spontanea alle situazioni esperite quotidia- namente. Verrebbe, quindi, meno la possibilità del corpo vivo di strutturare un campo di esperienza percettiva per fissare i concetti significanti in maniera stabile; si romperebbero quei “rapporti”, detti “magici”, “fra la mia decisione e il mio corpo”, costitutivi della vitalità del movimento.24Il contatto profondo sincretico tra corporeità vivente e mondo viene ad essere nell’esplorazione motoria: non è istantaneo o ‘partificabile’, ma è intrecciato, viscerale, affet- tivo e si manifesta nell’esplorazione motoria sotto forma di sensazioni, che Merleau-Ponty definisce “doppie”,25 chiasmatiche, sempre reversibili, che af- fèttano il corpo nella percezione di sé, contemporaneamente come soggetto e oggetto. È dunque attraverso la motilità che il corpo vivo accede alla dina- micità originaria dell’essere al mondo. Il soggetto conoscitivo fa esperienza della propria esistenza attraverso il contatto riflessivo, osservando se stesso intrattenere una relazione col mondo. Il contatto riflessivo avviene contempo- raneamente dall’interno e dall’esterno, in maniera personale – priva di mistero, ed impersonale – in forma anonima.26 L’impersonale determina i margini del personale ed è prioritario per comprendere e centrare la propria esistenza. In questa sintesi riflessiva chiasmatica, il soggetto senziente (corpo vivo) parla con il soggetto che pensa (corpo vivo) e viceversa: così si rompe il silenzio

23I concetti di “intenzionalità motoria” e “progetto motorio” sono strettamente connessi.

Cfr. ivi, p. 165: “[. . .] noi siamo invitati a riconoscere, tra il movimento come processo in terza persona e il pensiero come rappresentazione del movimento, un’anticipazione o un’appren- sione del risultato assicurata dal corpo stesso come potenza motrice, un «progetto motorio»

[Bewegungsentwurf ], una «intenzionalità motoria»”.

24Cfr. ivi, p. 146: “Io muovo gli oggetti esterni per mezzo del mio proprio corpo che li prende in un luogo per condurli in un altro. Ma questo corpo, io lo muovo direttamente, non lo trovo in un punto dello spazio oggettivo per portarlo in un altro, non ho bisogno di cercarlo, è già con me - non ho bisogno di condurlo verso il termine del movimento, giacché gli è presente sin dall’inizio ed è esso stesso che vi si getta. Nel movimento, i rapporti fra la mia decisione e il mio corpo sono rapporti magici.”

25Le “sensazioni doppie” sono quelle che il corpo vivo prova percependosi. Cfr. ivi, p. 144:

“Parlando di «sensazioni doppie», si voleva proprio dire che nel passaggio da una funzione all’altra, io posso riconoscere la mano toccata come la medesima che tra poco sarà toccante [. . . ] Il corpo sorprende se stesso dall’esterno in atto di esercitare una funzione di conoscenza, tenta di toccarsi toccando, abbozza «una specie di riflessione»”.

26L’“intelligenza” può essere intesa come avente una “funzione anonima” o in maniera opposta capace di compiere una “operazione categoriale”. Cfr. ivi, p. 190.

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originario del mondo materiale e si stabilisce un dialogo tra l’essere e il non essere dell’esistente.

Il corpo vivo percepisce i fenomeni nel loro emergere dall’orizzonte di indeter- minatezza a partire da questa dimensione originaria anonima, in virtù della quale ha accesso ad un sapere latente potenzialmente inesauribile, sempre nuovamente passibile di riattualizzazione. Tuttavia, per costruire un sape- re proprio del mondo, il soggetto conoscitivo necessita di porsi in modalità attenzionale: in questo modo, dalla sotterranea pre-categorialità dell’esperien- za, egli può portare alla luce gli oggetti entro stratificazioni categoriali di significato. Perdere il contatto col pre-categoriale vuol dire, quindi, perdere il contatto con l’esistenza in senso profondo, esautorando la potenzialità creati- va dell’orientarsi nel mondo; se ciò accadesse, infatti, il soggetto rimarrebbe imprigionato in una modalità meccanica di orientamento categoriale.

Intenzionalità motoria: il problema della perdita dell’esperienza globale

Il corpo vivo esplora il mondo muovendosi nello spazio dell’apparire delle cose che si stagliano intimamente sul piano dei sensi. Il movimento emerge dall’oscurità, si attualizza, proiettando in maniera immediata un alone, attra- verso il quale vengono alla luce i margini delle sue possibilità di esistenza.

Entro questi margini spaziali il corpo vivo si orienta in modo senso-dinamico da un punto di vista prospettico – determinato dal proprio essere materiale carnale, secondo i contenuti dell’esperienza associati e coordinati in schemi corporei. Questi ultimi si attualizzano in situazioni spazio-temporali confor- mate come unità di figura, che emerge attualmente, e sfondo, che è immerso inattualmente. Lo sfondo costituisce il contesto di svolgimento dell’azione, dunque sostiene il movimento donandogli senso situazionale prospettico: “È la prospettiva che fa sì che il percepito possegga in sé una ricchezza nascosta e inesauribile, che si presenti come una ‘cosa’”.27

La tensione tra soggetto e oggetto si dà in questa unità di figura-sfondo, sot- to forma di protensione del primo verso il secondo, in una intenzionalità di motoria funzionale all’orientamento nel mondo. Per orientarsi dinamicamente

27Merleau-Ponty (1970), p. 300.

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nel mondo è dunque necessario essere in grado di proiettare28 uno sfondo a sostegno delle azioni volontarie o involontarie: ciò significa essere capaci di avere un progetto motorio (si veda nota 21), che permetta all’intenzionalità motoria di cogliere l’oggetto in una dimensione di senso. Saper costruire uno sfondo comporta avere un approccio spontaneamente polimorfo al mondo in modo tale da avere una presa sulla globalità29della propria esistenza. Il corpo vivo deve essere abile nel riconvertire e riattualizzare le esperienze vissute, ritensive (del proprio passato) e protensive (del proprio futuro), in funzione dell’intenzionalità motoria progettata. La riflessione sulla propria esistenza vi- tale globale viene messa in circolo a partire dal corpo vitale abituale e prosegue mettendo in contatto la riflessione del e sul corpo soggettivo ed impersonale.

Si può, infatti, sostenere che la perdita dell’esperienza globale comporterebbe l’inafferrabilità percettiva della temporalità come presente, quindi anche della propria esistenza in senso profondo. Schneider dimostra di non riuscire più ad intenzionare lo sfondo delle esperienze passate, perché ogni volta che compie un’azione lo fa in maniera macchinosa, non suscettibile di reversibilità; si può perciò concludere che egli ha perso anche la presa sulla propria esistenza nella sua globalità.

Il ruolo dell’intenzionalità motoria e rappresentazionale all’interno del progetto motorio

Si è spiegato che il corpo vivo compie movimenti sempre all’interno di si- tuazioni delineate da complessi unitari di figure e sfondi. Si è chiarito come questa prensione del corpo sui complessi figura-sfondo avvenga in maniera fungente. Per procedere nell’analisi, si distinguono due tipologie di movimen- ti: uno, motorio, in cui lo sfondo è già dato come immanente al mondo in cui si staglia; l’altro, rappresentativo, in cui, invece, tale sfondo necessita di essere concettualmente costruito. Il corpo vivo intenziona quando manifesta nella proiezione, implicita o esplicita, uno sfondo funzionale al compimento delle azioni. L’intenzionalità motoria è funzionale alla attività di prensione ed è caratteristica della dimensione potenziale, virtuale, dell’agire: restituisce l’ancoramento dell’oggetto ad uno spazio motorio localizzato e ad un ambien- te conoscitivo, aperto e creativo, in cui esso è situato; inerisce all’esigenza

28Il verbo “proiettare” è usato dall’autore nel senso in cui il muoversi in un mondo comporta l’essere sempre protesi verso un futuro in cui si tende a proiettare l’esperienza passata. Si veda anche Merleau-Ponty (2003), p. 202.

29Cfr. ivi, p. 305: “[. . .] visione globale, nella quale il nostro sguardo si presta a tutto lo spettacolo e si lascia penetrare da esso”.

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di orientarsi nello spazio e permette l’attivazione immediata di un progetto motorio - quindi di cogliere la propria esistenza in senso globale. L’intenzio- nalità rappresentazionale è funzionale all’attività descrittiva, espositiva ed è caratteristica della dimensione concreta dell’agire: si riferisce a dati oggettuali concettualizzabili all’interno di un sistema riproduttivo attraverso manipola- zione, associazione, rappresentazione. Merleau-Ponty denota che il soggetto normale può manifestare entrambe le intenzionalità in maniera completa, men- tre il malato in questione ha difficoltà a farle funzionare nella loro reversibilità:

egli, infatti, risulta de-potenziato30 nell’azione per quanto riguarda la sfaccet- tatura creativa.

Secondo l’analisi del filosofo, ogni progetto motorio ha a che fare con il sapere sedimentato implicito del corpo abituale, che fa riferimento ad un sistema acquisito di significati sia motori puntuali (concreti), che schematici unitari (astratti). I primi sono movimenti di prensione, sorretti da sfondi già dati nel mondo, che permettono un rimettersi in situazione del corpo proprio at- traverso progetti motori nuovi in maniera spontanea e creativa. I secondi sono, diversamente, movimenti dimostrativi, sono sorretti da sfondi virtuali, sprigionati dalla potenzialità agentiva originaria del corpo proprio, che neces- sitano l’accesso al sapere latente inattuale, per essere proiettati attualmente.

È attingendo alla complessità, attuale e inattuale, dell’esistenza globale del- l’individuo, che il corpo vivo riesce a fissare un progetto motorio virtuale di orientamento. I movimenti di tipo astratto31 hanno una profonda funzione simbolica (si veda nota 8) perché, per essere posti in atto, necessitano di in- trattenere un dialogo dinamico con la dimensione originaria. La dimensione virtuale apre alla pre-comprensione dell’essere al mondo, al primordiale32 che impregna di un senso33il sensibile:

Il movimento astratto scava una zona di riflessione e di soggetti- vità all’interno del mondo pieno nel quale si svolgeva il movimen- to concreto, sovrappone allo spazio fisico uno spazio virtuale o umano.34

Per una soggettività che intrattiene un dialogo con il mondo, mantenendosi in contatto con la dimensione originaria pre-linguistica, ogni unità di figura-

30Privo di contatto progettuale con la dimensione virtuale, della propria esistenza.

31Cfr. ivi, p. 171.

32Per il significato del termine “primordiale” si veda ivi, p. 143: “[. . .] campo di presenza primordiale, di un dominio percettivo sui quali il mio corpo ha potere”.

33Cfr. ivi, p. 499: “[. . . ] un senso che non è possibile fissare in modo assoluto”.

34Ivi, p. 166.

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sfondo può essere attualizzata come simbolo, per così dire, secondo la sua funzionalità semantica situazionale. La capacità simbolica si forma nel fare esperienza percettiva del complesso figura-sfondo come una totalità unica e integrata. L’individuo che è in grado di percepirsi in maniera simbolica, sia da un punto di vista personale, che impersonale, dimostra di avere una coscienza tetica di sé in quanto essere vivente umano.

In relazione al caso Schneider emerge, dunque, che egli mostra effettiva defi- cienza nell’attività intenzionale, relativa alla costruzione di uno sfondo, attra- verso i movimenti astratti e concreti. Il malato riesce a compiere, rispettiva- mente: i movimenti astratti in una modalità di esistenza meramente attuale, la quale gli permette di costruire sfondi in maniera macchinosa – priva di spontaneità, attraverso movimenti preparatori; i movimenti concreti in una modalità di esistenza unicamente inattuale – come retaggio del corpo abituale.

Egli è capace di svolgere movimenti solo sulla base di progetti motori sedimen- tati, che non sono più a disposizione per lui come suscettibili di reversibilità creativa. Nello sfondo virtuale, tutta l’esperienza inattuale è a disposizione come un inesauribile sapere latente, che può essere riafferrata creativamente per rielaborare il proprio sapere in generale, in funzione del presente. Se privato dello sfondo virtuale, il corpo vivo perde la dimensione di possibilità creativa delle proprie azioni, rimane imprigionato nello spazio concreto. In questo caso, mancando di sintesi senso-dinamica, la capacità dell’individuo di agire nel mondo risulterebbe meramente limitata a specifiche funzionalità tecniche. È in virtù della dimensione virtuale che il corpo vivo come soggetto coscienziale può percepirsi libero: essere liberi vuol dire mettersi in situazione creativamente senza schemi-preimpostati. La condizione patologica di Schnei- der comporta la mancanza di pre-comprensione del proprio essere al mondo, i progetti motori e le intenzionalità motorie non gli si presentano mai come una totalità unica.

Conclusione

In relazione all’interrogativo sull’effettiva consapevolezza di Schneider del proprio essere al mondo come essere umano, si possono esplicitare alcune considerazioni. In conseguenza alla lesione, il malato ha perso la presa sul- la pienezza del proprio essere al mondo in qualità di corpo vivente: il suo corpo non è più in grado di adattarsi alle situazioni in cui un soggetto sano opererebbe in maniera intenzionalmente spontanea. La comprensione del-

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l’unità figura-sfondo, che si fa portatrice di senso per l’azione, può avvenire, per Schneider, solo parzialmente ed in condizioni artificiose, attraverso in- tenzionalità rappresentazionale. Il malato si orienta nel mondo in maniera non integrata: abituale ed inattuale o schiacciata ed attuale. Egli dimostra di aver perso di contatto virtuale tra le due modalità di riflessione esistenziale – impersonale e personale. Alla luce di ciò, si può concludere che Schneider sia depotenziato nella libertà creativa situazionale, propria dell’agire del corpo vivo. Da punto di vista motorio, il malato, da una parte, risulta incapace di portare a compimento un’attività articolata,35dall’altra, è capace di compiere un’attività pratica che era abituato a compiere in precedenza alla lesione.36 Di conseguenza, risulta evidente che egli ha perso l’onnicomprensività della capacità simbolica: percepisce ed interpreta la propria esperienza in maniera solo ‘partificata’,37 non unita in un orizzonte semantico inesauribile.

Si può concludere che in Schneider la perdita della disponibilità dell’orizzon- te virtuale ha svuotato il movimento vitale, comportando un distaccamento dall’affettività profonda che lega corpo vivo e mondo, nell’esistenza, come presenza presente. Questo individuo ha perso coscienza tetica dell’esistenza globale e con essa anche la consapevolezza profonda del proprio essere al mondo come essere umano, in senso globale e universale.

La vita cosciente [. . . ] proietta attorno a noi il nostro passato, il nostro avvenire, il nostro ambiente umano, la nostra situazione fisica, la nostra situazione ideologica, la nostra situazione morale, o meglio che fa sì che noi siamo situati sotto tutti questi rapporti.38

35Cfr. ivi, p. 121: “Il soggetto non può parlare correttamente se non rispondendo agli stimoli di una situazione concreta, mentre in tutti gli altri casi deve preparare in anticipo le sue frasi. Per recitare le parole di una canzone è costretto ad assumere l’atteggiamento del cantante. Non può suddividere una frase appena pronunciata nelle parole componenti [. . . ] Non è in grado né di compitare le lettere di una parola che pure riesce a pronunciare bene nel suo insieme, né di scriverle separatamente, mentre possiede la parola come complesso motore automatico”.

36Merleau-Ponty (2003), p. 157: “Il suo mestiere consiste nel fabbricare portafogli e il rendimento del suo lavoro raggiunge i tre quarti del rendimento di un operaio normale. Pur senza movimenti preparatori, egli può eseguire questi movimenti «concreti» su comando”.

37Il malato riconosce un oggetto da certe caratteristiche, ad esempio un dado dai puntini neri presenti su tutte le facce, e ad esempio non riconosce un “brutto cerchio in un cerchio disegnato male”. Cfr. Merleau-Ponty (1970), p. 121. Si veda anche ivi, p. 207: “Il malato di Gelb e Goldstein, che non ha più l’intuizione die numeri, non comprende più le analogie, non percepisce più gli insiemi simultanei, tradisce una debolezza, una mancanza di densità e di ampiezza vitali, di cui le turbe cognitive rappresentano soltanto l’espressione secondaria”.

38Merleau-Ponty (2003), p. 191.

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Bibliografia

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