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Academic year: 2022

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La Voce

della Comunità La Voce della Comunità

Prefazione alla nuova traduzione delle Costituzioni e Direttorio CRIC

padre Rinaldo, Cric

DOCUMENTI

Carissimi Confratelli,

in occasione dell’Anno Giubilare per i 150 anni della fondazione dei Canonici Regolari dell’Im- macolata Concezione, viene pubblicata la tradu- zione definitiva in italiano dei Testi fondamentali della nostra Comunità: Costituzioni, Direttorio, documenti correlati, preceduti dalla Regola di Sant’Agostino.

Resta formalmente depositato e approvato il te- sto originale in lingua francese. La Congregazio- ne per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica ha peraltro autorizzato il no- stro Consiglio Generale ad approvare la tradu- zione in italiano, così conferendo valore ufficiale agli stessi testi.

Poiché - durante il Capitolo Generale del 2006 - sono stati modificati il capitolo X delle Costi- tuzioni e il Capitolo XI del Direttorio ed è stata, altresì, approvata - durante i lavori del Capito- lo Generale del 2018 - la “Ratio Formationis”

(Cammino di formazione CriC), si è ritenuto utile ristampare i testi tradotti, presentandoli in un’u- nica edizione rivista e corretta.

Benedetto XVI ci ha insegnato che il Sacerdote nella preghiera è “davanti” al Popolo e, contem- poraneamente, “dietro” il Popolo, per guidarlo e accompagnarlo verso il Signore. Potremmo affermare che, allo stesso modo del Sacerdote verso il Popolo, così l’insegnamento e la Regola di Sant’Agostino precede e, all’un tempo, segue la vita di ogni comunità religiosa: precede, per- ché illumina i religiosi lungo le vie del mondo;

segue, perché sorregge e purifica l’anima dei religiosi - e di tutti i fedeli - nei dubbi, nelle difficoltà, nei turbamenti, orientandola, quasi

“spingendola” verso il bene. La Regola dà con-

cretezza all’insegnamento di Sant’Agostino che nonostante le «tribolazioni del mondo» lascia sempre intravvedere le «consolazioni di Dio».

Possiamo intendere in modo autenticamente cristiano le Costituzioni, il Direttorio, i Testi fon- damentali della vita religiosa canonicale proprio se li interpretiamo secondo la Regola di Sant’A- gostino. La Regola va oltre il dettato meramente comportamentale e diventa sinonimo di “ragio- ne”, ossia criterio, chiave, codice di accesso al sensus fidei, che rappresenta la coscienza di essere - prima che per noi stessi - per il Signore e per i fratelli.

L’obbedienza alla Regola non suppone tanto un rapporto di subordinazione, quanto piuttosto de- linea lo spazio di libertà di un incontro: la Ra- gione di Dio e la Ragione degli uomini.

Le norme inscritte nelle Costituzioni e nel Diret- torio, forgiate sulla base della Regola di Sant’A- gostino e arricchite dai Documenti della Chiesa e dal pensiero di dom Gréa, rappresentano per- tanto un “orientamento”, dal Signore e verso il Signore: la professione religiosa è come irradia- zione dall’alto, della nostra vita battesimale, che invita “ad abbracciare una piena comunione di vita. È vivendo tale vita comune che ciascuno di noi è in cammino verso Dio, santificandosi con i propri fratelli” (C.3) - (Can. 573).

La vita religiosa diventa una dimensione pro- priamente esistenziale, realmente umana per- ché saldamente ancorata a Dio. La Regola e le regole che le danno pieno compimento non vanno intese pertanto come discipline imposte dall’esterno, ma al contrario come germogli in- terni, alla Chiesa e al nostro cuore. «In interiore homine habitat veritas», cosicché ben possia-

INSERTO • N. 68 dicembre 2020

La Voce della Comunità I

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INSERTO • N. 68 dicembre 2020 La Voce della Comunità

II

mo rinnovare lo slancio di Sant›Agostino verso Dio poggiandolo sulla «necessità umana» di San Tommaso: «Non crederei se non riconoscessi che è ragionevole credere». La Regola religiosa non riguarda solo i religiosi, accompagna tutti i credenti in Cristo, perché, come Romano Guar- dini ci ha insegnato, è insuperabile la realtà di Dio - «Signore per essenza» - e la realtà dell’uo- mo - «signore per grazia».

Saremo in grado di testimoniare fedeltà e amore per la Regola religiosa - questo in definitiva signi- fica obbedienza - se non permetteremo all’este- riorità di soffocare la nostra interiorità di creature alla ricerca di Dio. La Regola in questo modo non apparirà imposta dall’esterno, ma si imporrà nel- la nostra interiorità senza fatica: «il mio giogo è dolce, il mio carico leggero» (Mt. 11,30)!

Rivolgo il mio ringraziamento non formale ai confratelli che in passato avevano redatto una traduzione in italiano: da quella di padre Andrea Italo Sorsoli, allora Superiore Generale, a quel- la ultima di padre Tarquinio Battisti. Insieme a padre Giorgio Giovannini, delegato dal Consi- glio Generale del 2018 a collaborare all’insie- me delle traduzioni, abbiamo approfondito e confrontato le diverse traduzioni proponendone un’ultima in grado di farsi “sintesi”.

Ogni traduzione è anche interpretazione, ogni esegesi è anche ermeneutica. La Regola scritta resterebbe tuttavia silenziosa, come senza voce, al di fuori della partitura della Sacra Scrittura, della Tradizione della Chiesa, della Preghiera individuale e comunitaria, dell’Adorazione del Signore, che - sole - le conferiscono l’unica ar- monia, quella della musica celeste. La Regola non è in realtà il punto di partenza delle nostre conoscenze e comprensioni umane, ma il pun- to di arrivo della nostra vita, del nostro pensie- ro, della nostra Speranza. Speranza che non è nostra proprietà esclusiva, ma bene comune e quindi inclusivo.

Spero davvero che la piena accessibilità ai te- sti sia stimolo per tutti a rileggere e meditare più frequentemente le nostre Costituzioni e a riscoprire il nostro carisma, per una vita spiri- tuale più profonda vissuta a livello personale e in comunione di spirito, per un servizio alla Chiesa particolare sempre più generoso e in una

testimonianza di vita religiosa, capace ancora di essere attraente per i giovani di oggi e per le sfi- de che il mondo ci presenta. Leggere, meditare ed infine contemplare: il migliore interprete e traduttore della Regola resta colui che ne rende testimonianza lasciando tracce per gli altri lun- go il cammino. Mutuando le parole di Sant’Ago- stino, così come «la vita dei genitori è il libro in cui i bambini leggono», allo stesso modo ciascu- no di noi è chiamato a diventare “libro” di vita vissuta per gli altri.

Preghiamo per non cadere nell’incoerenza e nell’ipocrisia della vita quotidiana. Preghiamo per non limitarci ad essere lettori, traduttori, interpreti delle regole scritte, ma collaboratori, una sorta di co-autori della “regola di vita”. Pre- ghiamo per lasciarci precedere e seguire da Chi solo ci può dare la forza ed il coraggio di essere Suoi testimoni nel mondo.

Preghiamo in solitudine e in comunità, pre- ghiamo sempre, ricordandoci che la preghiera è sempre unità e totalità. Come insegna la testi- monianza di San Pier Damiani nel suo Dominus Vobiscum: «Licet multiplex videatur Ecclesia propter numerositatem gentium, una tamen et simplex est, unius fidei et divinae regenerationis confoederata Mysterio»!

Come comunità religiosa offriamo una preghie- ra di amore, lode e benedizione per i 150 anni di fondazione. Una preghiera che vuole farsi espressione non di uno sguardo volto all’indie- tro, né tantomeno autocelebrativo, ma immagi- ne di orecchi e occhi attenti, in attesa del Si- gnore veniente nel cuore del suo Popolo, che lo celebra nella liturgia del Cielo.

L’offerta di una preghiera vuole significare il ri- conoscimento - sono parole di Papa Francesco - che la preghiera è innanzitutto «dono di Dio», rispetto al quale dobbiamo tutti porci come

«mendicanti»: «Homo mendicus Dei». Ed è pro- prio l’esempio di Agostino a indicarci la rotta:

«Un “grande” Santo che visse a lungo lontano dalla preghiera personale, ma che fu convertito dalla preghiera altrui, quella della madre Santa Monica».

Cari Confratelli, lasciamoci convertire e amare dalla preghiera degli altri; amiamo tutti pregan- do per tutti.

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INSERTO • N. 68 dicembre 2020

La Voce della Comunità III

(PROSEGUE DA P. 7)

I nostri padri ne erano consapevoli e per que- sto non si stupivano nel vedere numerosi cori di chierici e di monaci animare la solitudine del- le chiese, facendovi risuonare ad ogni ora del giorno e della notte la santa salmodia: non rite- nevano così facendo di essere inutili per il mon- do. Gli antichi canoni vietavano di consacrare solennemente un luogo di preghiera senza che vi venisse assicurato un tale perenne servizio, e la gente nella sua laboriosa esistenza si sentiva sostenuta da queste incessanti suppliche della santa Chiesa che per i suoi figli pregava e ve- gliava.

Anche oggi in mezzo a tante disgrazie le vergini consacrate degli antichi Istituti conservano que- ste preziose tradizioni. Il Carmelo rifiorisce in ogni dove e anche altri Istituti non meno gloriosi ne seguono le orme.

La presente traduzione dei testi dell’Ufficio è stata fatta perché queste Spose di Gesù Cristo ne facciano uso. Vi troveranno una santa e utile preparazione al grande mistero che sono state chiamate ad adempiere; ma, sia permesso cre- dere, che sempre più spesso la comprensione di queste cose si propaghi al di fuori dei confini dei chiostri e che le anime devote con crescente avidità si dissetino alle sorgenti della santa litur- gia. Più ampia conoscenza ne avranno, più ne potranno gioire.

Un grande merito per il risveglio di questa de- vozione fondamentale va all’illustre abazia di Solesmes, a causa delle iniziative del suo glorio- so restauratore, se le stesse anime cattoliche si sentono orientate in questo senso, orientamen- to salutare e conforme al desiderio della santa Chiesa, nonché alla tradizione di secoli di fede.

La santa liturgia, infatti, ha tutte le caratteristi- che della Chiesa stessa: antica come gli Aposto- li; una nella sostanza, e, come la tunica del re, non ammette diversità se non negli ornamenti, o se si vuole, nelle perle e ricami che l’abbelli- scono; è universale e è presente in ogni luogo e in ogni tempo; è santa della santità dello Spirito Santo che dall’interno la anima e che, parlando

per mezzo delle sante scritture e della tradizio- ne, costituisce l’intera trama delle sacre parole.

Se nella santa liturgia prendiamo in esame da vicino lo sviluppo di queste parole vi troveremo come tre blocchi, come tre elementi che forma- no l’intera trama.

Questi i tre elementi: la lode, le sante letture, la preghiera.

Con la lode, la Chiesa parla di Dio, delle sue magnificenze, dei suoi benefici. Nelle sante let- ture ascolta Dio che gli parla per mezzo dei santi dottori, con la vita e le opere dei suoi servitori.

Inoltre, con la preghiera la Chiesa parla a Dio perché venga in aiuto degli uomini.

II

La parte preponderante della lode divina è costi- tuita dalla salmodia. I salmi di David, i cantici desunti dai profeti, i tre cantici evangelici sono il contenuto di questa parte dell’Ufficio.

Perché una tale lode sia degna di Dio, lo Spirito Santo ne ha dettato tutto il contenuto. È risuo- nata già molti secoli prima della venuta del Mes- sia e la Chiesa l’ha raccolta dalle labbra doloran- ti dell’antico Israele, per renderla attuale nella gioia della Redenzione pienamente compiuta.

Nell’antichità la salmodia veniva celebrata in di- versi modi.

Responsoriale, quando il salmo, recitato da uno solo, veniva ogni tanto intercalato con un ver- setto a mo’ di ritornello, cantato dall’assemblea.

Attualmente il solo salmo a conservare una tale modalità è il salmo invitatorio nelle veglie della notte. La salmodia antifonale, quella recitata da due cori, è la forma predominante nella Chiesa latina. Questi cori, che come in un santo dialogo si scambiano le note della divina lode, sono sulla terra come una eco dei cori celesti e dei serafini, uditi dal profeta Isaia.

Caratteristica di questo modo di salmodiare:

l’antifona, versetto principale o testo appropriato alla festa del giorno e destinato a dare al salmo una particolare interpretazione. Alla salmodia, come elemento secondario della lode liturgica, si devono aggiungere gli inni ecclesiastici.

Di questi inni il primo in dignità è il Te Deum,

INTRODUZIONE AL BREVIARIO

di Dom Adriano Gréa

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INSERTO • N. 68 dicembre 2020 La Voce della Comunità

IV

nella forma simile ai salmi, con accenti d’amo- re, che viene attribuito a Sant’Ambrogio e Sant’

Agostino.

Gli altri inni ecclesiastici seguono le regole della metrica latina. I più antichi vengono attribuiti a Sant’Ambrogio, e da San Benedetto chiamati

“Ambrosianum”.

Altri sono attribuiti a Sant’Ilario, a Prudenzio, a Sedulio o altri autori più recenti. Questi inni celebrano i misteri e le magnificenze di ogni ora del giorno e della notte, dei giorni della settima- na, come delle feste dell’anno.

III

Le sante letture o “lezioni” proprie dell’Ufficio liturgico sono desunte dalla Sacra Scrittura, da- gli atti dei santi e dalle omelie dei Padri sui Van- geli. L’Ufficio della notte è per lo più formato da tali letture.

Altre, dette “capitoli”, più brevi e desunte dalla Sacra Scrittura, si recitano nelle Ore del giorno.

Le letture terminano con responsi e versetti, in modo da portare l’attenzione sull’argomento fon- damentale dell’insegnamento sacro e così cele- brare con pia melodia i benefici.

I responsi più solenni sono quelli dell’Ufficio della notte, dove le letture hanno un più ampio sviluppo. In altri tempi venivano detti anche al capitolo dei Vespri solenni, usanza conservata nel rito domenicano e in certi riti monastici.

Responsi più corti, chiamati “responsi brevi”, si trovano dopo la lettura breve o capitolo nelle Ore del giorno. Un versetto semplice viene detto ai vespri e alle lodi.

IV

L’orazione o colletta è preghiera essenziale nell’Ufficio liturgico e ne è il coronamento e il compimento. N. S. Gesù Cristo ne ha lasciato alla santa Chiesa la sua formulazione quando ha detto: “Tutto quello che domanderete al Padre nel mio nome…” “Tutto quello che mi doman- derete nel mio nome”. Le collette sono indiriz- zate secondo questa modalità alla persona del Padre o alla persona del Figlio Gesù Cristo; mai vengono rivolte alla persona dello Spirito Santo:

lo Spirito Santo ispira e anima la preghiera della Chiesa; poiché da soli non sappiamo pregare, è

“lo Spirito Santo che intercede per noi con ge- miti inesprimibili”.

La colletta, essendo la preghiera liturgica per ec- cellenza, segue e manifesta la specificità della gerarchia; è recitata dal vescovo o dal prete, che in forza del suo sacerdozio, compendia nella sua preghiera, i voti e le preghiere della Chiesa tutta.

L’assemblea silenziosa interviene al termine di questa solenne preghiera con il misterioso Amen che la conclude. In mancanza del prete, la per- sona che presiede l’assemblea supplisce a que- sta funzione sacerdotale, in forza del sacerdozio regale da tutti i cristiani partecipato con il bat- tesimo, che ci incorpora in Gesù Cristo, unico e sommo sacerdote.

A volte la colletta è preceduta da suppliche dette appropriatamente Preghiere e dagli antichi desi- gnate con il nome di litanie, perché hanno come inizio le invocazioni Kyrie, Christe, eleison, che vanno sotto questa precisa denominazione. Il rito monastico fa uso delle litanie in ogni Ora dell’Ufficio.

Nell’uso comune le preghiere sono riservate agli Uffici meno solenni e in tempo di penitenza, all’invocazione Kyrie eleison o alla litania pro- priamente detta segue la preghiera domenicale o altre suppliche in forma di versetti.

Dopo la colletta, l’Ufficio termina con il congedo all’assemblea così formulato: benediciamo il Si- gnore, con l’acclamazione Deo Gratias.

V

Questi i tre elementi costitutivi che ogni Ufficio liturgico comporta in una santa armonia anche se più o meno sviluppati: la lode o salmodia, le letture, la preghiera o colletta.

Vi sono anche alcuni Uffici più brevi chiamati memorie o suffragi che si aggiungono all’Ufficio principale e che sono considerati secondari. Tali sono le memorie di feste meno solenni non del tutto oscurate dalle solennità dello stesso gior- no, o alcuni di quegli Uffici di devozione quoti- diana detti votivi per analogia alle messe votive riportate nel messale.

Queste memorie o suffragi conservano una mini- ma traccia della composizione liturgica: la salmo- dia rimpiazzata dall’antifona, la lettura dal verset- to, e la colletta invece viene conservata per intero.

In alcune chiese vi sono memorie solenni dove la lettura e la salmodia sono più ampiamente sviluppate.

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INSERTO • N. 68 dicembre 2020

La Voce della Comunità V

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L’Ufficio divino, destinato a consacrare ogni mo- mento della vita umana, abbraccia con il suo mi- sterioso e antico ordinamento la notte e il giorno.

L’Ufficio della notte, con i suoi tre notturni, cor- risponde alle tre veglie che secondo gli antichi ne costituivano la durata. Terminava con le lodi, alle prime luci dell’alba, e che un tempo, per questo motivo, erano separate dai notturni e dal- le veglie con qualche intervallo, soprattutto nelle lunghe notti invernali.

Queste le Ore del giorno: Prima, Terza, Sesta, Nona. Queste Ore, meno solenni sono dette pic- cole Ore, perché la giornata del cristiano deve comprendere il lavoro imposto ad Adamo e alla sua discendenza.

L’Ufficio di Terza, o della terza ora, che, secondo il nostro modo di calcolare, corrisponde alle nove del mattino, ricorda la discesa dello Spirito San- to sugli Apostoli. L’Ufficio di Sesta corrisponde a mezzogiorno; l’Ufficio di Nona, alla terza ora del pomeriggio, consacrata dalla morte del Salvatore Gesù sulla croce.

L’Ufficio di Vespro, più solenne, consacra il fini- re del giorno, come quello di Lodi le prime luci.

Questi due Uffici rappresentano misticamente, nella nuova alleanza, quello che nell’antico tem- pio era il duplice sacrificio del mattino e della sera, e rendono onore alla vittima, di cui que- ste immolazioni ne erano la figura, all’Agnello di Dio, vittima del mattino immolata fin dall’origine del mondo secondo i decreti di Dio, vittima della sera che consuma il suo sacrificio alla fine dei tempi. Con l’Ufficio di compieta si pone termi-

Vorrei con voi sviluppare la riflessione in due semplici punti.

1°. Facciamo l’elogio degli uomini illustri, dei nostri antenati (Sir. 4,1).

Hanno manifestato la gloria e la grandezza di Dio.

È un invito a celebrare la festa dei Santi Ca- nonici, ma nello stesso tempo ci interroga: in

ne al giorno; ultima preghiera della sera, con la quale i cristiani affidano la loro anima stanca per le occupazioni e le fatiche del giorno nelle mani di Dio e a Lui si affidano nel riposo.

VII

Questa la sostanza e la distribuzione della pre- ghiera liturgica, della quale questo libro è desti- nato a facilitarne l’intelligenza e la pratica per le anime sante che, per santa vocazione, hanno l’onore di farne il loro primo dovere, e per i fedeli desiderosi di condividerne le gioie e di racco- glierne i frutti. Una sublime armonia ne regola il tutto e le corde della lira della Chiesa sono pronte a vibrare al soffio dello Spirito Santo. Le sante austerità del chiostro, e quelle che l’amore di Gesù crocifisso ispira ai cristiani, preparano le anime a formare sulla terra questi cori che con- tinuamente si associano agli eterni canti della celeste Gerusalemme.

Ogni santa comunità monastica, come ogni Chiesa sulla terra, ci dice S. Ignazio martire, deve partecipare a questo concerto. La lira del- la Chiesa è pronta e, sotto il soffio dello Spirito Santo, la Sposa canta Gesù Cristo.

Né il giorno, né la notte pongano fine a questo concerto in modo che tutte le contrade della ter- ra a gara ne conoscano la dolcezza.

Dom Adrien GréA,

Superiore Generale Canonici Regolari dell’Immacolata Concezione, Abate di S. Antonio

* * *

Traduzione di padre Tarquinio BaTTisTi, CriC

(Roma 2011)

che modo noi possiamo manifestare la gloria e la grandezza di Dio? Una risposta la possiamo trovare nel salmo 132: Ecco quanto è buono e quanto è soave che i fratelli vivano insieme. In una epoca come la nostra in cui possono preva- lere l›egoismo, l›individualismo, il personalismo noi possiamo ancora oggi testimoniare, come lo hanno fatto i nostri predecessori, santi, che è

OMELIA DELL’ABATE GENERALE DEI LATERANENSI:

DON FRANCO BERGAMIN

(8 novembre 2020)

o

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INSERTO • N. 68 dicembre 2020 La Voce della Comunità

VI

possibile andare oltre a sé stessi, che è possibile gioire nel vivere e condividere insieme la vita. Il tempo del lockdown vissuto nella primavera ci ha dato una mano a riscoprirlo, da quanto ab- biamo potuto comprendere dai nostri confratelli sparsi nelle varie canoniche del mondo.

L’altra risposta la possiamo accogliere dalla pri- me comunità dei credenti che ci hanno testimo- niato di avere avuto un cuore solo e un’anima sola e che tutto era tra loro comune. Vivete una- nimi e abbiate una sola anima e un solo cuore protesi verso Dio (Regola 1,3).

Prosegue poi san Luca: Coloro che hanno vissuto così hanno reso testimonianza al Signore risorto e godevano anche grande simpatia.

Il nostro ritrovarci insieme per celebrare la so- lennità di tutti i Santi Canonici mette in risalto la nostra simpatia per loro e per quello che loro sono stati: testimoni di vita comune, consiglieri per la loro potenza, annunziatori nelle profezie, saggi nel loro insegnamento, ricchi di forza inte- riore e di pace. Hanno saputo unire in perfetta armonia (ci dice il prefazio) la vita comune con la vita pastorale, crescendo nelle virtù, arricchendo la Chiesa di frutti apostolici e segnando a noi una via da percorrere. Per questo prosegue “Giosuè ben Sirach” (180 a.C.) i loro nomi continuano a vivere e la gente continua ad esaltarne le doti e a parlare della loro sapienza. Mi capita di pensare alla mia vita e leggo in essa che il mio essere Canonico è una volontà di Gesù: perché io vi ho scelto (Gv 15, 17). Non è una scelta preferenzia- le perché sono migliore di altri ma è una chiama- ta a realizzare pienamente la mia vita, perché è come se il Signore mi avesse detto: tu la potrai realizzare così. Siamo Canonici perché siamo stati scelti a testimoniare l’amore gli uni per gli altri nello stare insieme, nel vivere insieme. Vi ho scelto per questo. Se noi non crediamo a ciò tra- diamo la nostra vocazione e la fiducia nel Cristo

che ci ha scelti. I Santi Canonici hanno percorso la via della perfetta carità nell’amore ai confra- telli e a Cristo e nella gioia dello stare insieme.

2°. State celebrando, carissimi confratel- li dell’immacolata Concezione, il giubileo per i 150 anni dalla vostra fondazione, (…) che si è appena aperto e che si concluderà il giorno dell’Immacolata del 2021, e che porta con sé un programma intenso, Covid permettendo, di cele- brazioni e di incontri, per poter ricordare, gioire insieme gli uni per gli altri e con gli altri; ma por- ta soprattutto con sé il desiderio di ricostituire il disperso, come dice nella sua lettera P. Rinaldo, superiore generale; di restaurare il rovinato; di sanare il sofferto; e di benedire e santificare.

Il giubileo costituirà un momento per far me- moria della vostra storia, del vostro passato per poter vivere il vostro oggi con fiducia, speranza e gioia.

Vi auguro di riscoprire “la chiamata a gettare le reti - riprendendo le parole di P. Rinaldo -, dispie- gare le vele e prendere il largo per aprirvi a chi vi sta innanzi e vi precede sempre nei pensieri come nelle azioni: il Signore e i fratelli affidati”.

L’augurio che vi faccio è quello che Dio possa colmare il vostro cuore di vera felicità. Il Signore vi renda forti per continuare ad essere segno del suo amore per l’umanità e vi guidi al porto sicuro.

Per concludere.

Ecco quanto è buono e soave che i fratelli vivano insieme... È quello che siamo chiamati a vivere nelle nostre comunità.

Là, nelle comunità, ci sia dato di crescere nell’a- more e sviluppare il Regno di Dio;

là i Santi Canonici hanno realizzato la loro santi- tà e possono darci la loro protezione;

là l’Immacolata Concezione potrà custodirci con il suo materno affetto, ma è soprattutto là che il Signore dona la benedizione e la vita per sem- pre. Amen.

IL VANGELO SECONDO MARCO

Introduzione di Gaetano Cautilli

o

Il Vangelo secondo Marco è il più breve dei tre Si- nottici. Esso, al contempo suggestivo e sconcer- tante, tiene il lettore sospeso dall’inizio alla fine, quando l’identità di Gesù, intrecciandosi col suo destino, viene pienamente rivelata. Non solo per la

brevità, ma anche per le caratteristiche narrative, vivacità del racconto, qualità redazionali e tensioni teologiche, è il vangelo che più facilmente si pre- sta ad una lettura per intero, dall’inizio alla fine, in modo continuo, per comprendere l’intero come

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INSERTO • N. 68 dicembre 2020

La Voce della Comunità VII

un tutto organico e non come una raccolta di brani autonomi. Negli ultimi decenni si è scoperto che il Vangelo secondo Marco si presta bene ad essere declamato da un’unica voce in assemblea piuttosto che letto; si è visto che la semplice declamazione del testo riesce a suscitare negli ascoltatori una for- te emozione, degna di un’opera drammatica di tut- to rispetto, tanto che si è sospettato che sia stato scritto per essere letto come racconto in un’unica seduta.

Suggestivo: il Gesù di Marco è sempre in cammino, sempre “davanti”; è un Gesù che sfugge, miste- riosamente inafferrabile. Quando si crede di averlo conosciuto, di averlo mentalmente afferrato, ci si accorge che Lui è “oltre”, sempre davanti, e che comunque chiama irresistibilmente a seguirlo. Egli è colui che “precede” e fissa il nuovo appuntamen- to: “vi precede in Galilea” (16,7).

Ma anche sconcertante, e non solo relativamente all’identità di Gesù: Messia e Figlio di Dio, para- dossalmente svelata solo sulla croce. A metà del vangelo, quando i discepoli, attraverso Pietro, ar- rivano finalmente a confessare “chi sia” Gesù (8,29), si sentono drasticamente ricondotti al si- lenzio (8,30). Perché? Cosa impedisce di passare dal riconoscimento della messianicità di Gesù (“Tu sei il Cristo”) alla sua proclamazione? La teologia marciana, annunciata narrando fatti (molti dei qua- li arricchiti con particolari inediti) più che riferendo discorsi, è caratterizzata da una tensione fonda- mentale: quella del “segreto messianico”, sembra quasi che Marco voglia prendere le distanze da un annuncio fatto troppo in fretta. Non è sufficiente aver capito chi è Gesù. Solo chi è disposto a per- dere la vita e a seguire il Maestro sulla via della croce è nella condizione giusta per annunciare il vangelo (8,35). Infatti Marco non racconta solo chi è Gesù, è interessato a far vedere anche chi è il vero discepolo.

Circa l’autore, non si rinviene nel vangelo stesso nessun elemento esplicito, nemmeno circa il ragaz- zo che fuggì, nudo, alla cattura da parte di quelli che avevano arrestato Gesù (14,51). Il testo più antico che parla dell’evangelista Marco è un fram- mento di Papia, vescovo di Gerapoli, che (all’inizio del sec. II) dice: “Marco, che era stato interprete di Pietro, scrisse con esattezza, ma non in ordine, tutto quello che ricordava delle parole o delle azio- ni del Signore; non aveva ascoltato né seguito il Signore, ma era stato più tardi al seguito di Pietro”.

Altri autori antichi successivi confermano, all’una- nimità, che la sua fonte fu Pietro e che Marco scris-

se sotto la sua guida.

La tradizione antica ambientava la composizione del vangelo a Roma o comunque in occidente e certamente fuori della Palestina. Altro elemento certo è che Marco scrisse per i cristiani di Roma convertiti da Pietro; a costoro, persone pratiche e provenienti dal paganesimo, cui non interessava la legge dell’Antico Testamento, Pietro con la sua predicazione presentava Gesù come persona viva e concreta, che agisce in modo perfettamente umano e che aveva recentemente compiuto opere e fatti reali, per mostrare che Egli era Figlio di Dio, incar- nato e vissuto tra gli uomini per donare a tutti una salvezza eterna mediante la sua passione e morte, coronata dalla risurrezione e ascensione al cielo.

Con elevata probabilità Marco compose il suo van- gelo dopo la morte degli apostoli Pietro e Paolo, si ritiene tra gli anni 64-70; perciò è cronologica- mente il più antico ed è stato la fonte degli altri due sinottici. Egli ha esercitato, nei primi decenni, un grande influsso: ha introdotto il genere narrativo come strumento al servizio della fede e dell’annun- cio missionario (nelle lettere di Paolo, più antiche, il mistero pasquale era affermato non narrato, e non era preceduto dal racconto della vita pubblica) e ha imposto la denominazione di “vangelo” agli scritti successivi che contenevano la buona noti- zia. Nonostante la sua priorità cronologica, nella Chiesa antica, e poi per molti secoli, il Vangelo se- condo Marco fu poco utilizzato, sia nella liturgia che nella catechesi, e fu poco commentato, forse a motivo della sua povertà di materiali (non ha i racconti dell’infanzia, i grandi discorsi, le beati- tudini, il Padre Nostro, le parabole più lunghe e più didattiche). Il secolo XIX fu quello che riportò in primo piano il Vangelo secondo Marco perché, quale documento più vicino a Gesù, consentiva di ricostruirne la storia e offriva una teologia del tutto peculiare.

Il primo versetto del Vangelo secondo Marco: “Ini- zio del vangelo di Gesù Cristo, Figlio di Dio” costi- tuisce l’intestazione programmatica. È quasi una tesi che l’evangelista si accinge a mostrare e a di- mostrare: Gesù di Nazareth, protagonista del suo libro, è al tempo stesso il Messia, promesso dai profeti e atteso dagli Ebrei; e il Figlio di Dio, in- viato dal Padre, per la salvezza di tutti gli uomini.

In linea con l’intestazione il racconto si suddivide, tematicamente, in due grandi parti: la prima con- duce il lettore ad associarsi alla professione di fede di Pietro (8,29), riconoscendo in Gesù il “Messia”;

mentre la seconda porta al riconoscimento che il

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VIII

Crocifisso è il “Figlio di Dio”, associandosi così alla confessione del centurione romano (15,39). La pri- ma parte è dominata dai temi del Messia e del re- gno di Dio, raccontando il mistero di Gesù svelato, ma incompreso dalle folle e dai Dodici; la seconda parte racconta la via di Gesù verso Gerusalemme, la sua passione, morte e risurrezione.

Dopo l’intestazione, il vangelo prosegue con la predicazione del Precursore (Giovanni Battista), il Battesimo e le tentazioni di Gesù nel deserto.

Dopo l’arresto di Giovanni, Gesù si reca in Galilea predicando il vangelo di Dio. Il tema della sua pre- dicazione viene indicato con una frase densissima:

“Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino;

convertitevi e credete al vangelo” (1,14-15).

“Il tempo è compiuto”. L’eco di queste parole ri- suona nella prima sezione del racconto dove Marco presenta la novità di Gesù, lo stupore che la sua persona suscita tra la gente, lo scontro con i rap- presentanti del giudaismo. Con Gesù si entra nei tempi definitivi e non c’è spazio per il compromes- so né per riserve temporali (i primi chiamati non perdono tempo per congedarsi dai familiari, ma su- bito lasciano tutto.1,18-20).

“Il regno di Dio è vicino”. Questo tema sarà svi- luppato particolarmente nelle parabole del regno (4,1-34).

“Convertitevi e credete al vangelo”. Credere nel senso di affidarsi, significa concretamente cammi- nare dietro Gesù, sulla sua strada (8,34-35).

Gesù dunque annuncia il regno di Dio, proclama la bella notizia che la volontà salvifica di Dio si è fatta vicina e, conseguentemente, invita a convertirsi e a credere al vangelo che Egli annuncia; d’altro canto rende manifesto con le sue opere l’intervento po- tente di Dio a favore del popolo afflitto.

L’interesse primario del racconto marciano verte indubbiamente su Gesù, sulla rivelazione del suo mistero. Fin dall’inizio ci è detto che Egli è il Mes- sia, (“l’Unto”, significato letterale di Christos), il Figlio amato del Padre. L’unzione messianica av- viene nel contesto del Battesimo. In tutto il raccon- to di Marco colpisce la forte tensione dell’incalzare della domanda sull’identità di Gesù e la reticenza nella risposta, a cominciare dal silenzio imposto ai demoni (1,24-25; 3,11-12) e dalla proibizione ai miracolati di dare pubblica notizia delle guari- gioni, fino alla severa ingiunzione ai discepoli di non parlare di lui a nessuno (8,30). Questa ten- sione tra rivelazione e nascondimento costituisce il

“segreto messianico”. Marco sembra preoccupato che l’identità del Maestro possa essere fraintesa e

soffocata da attese troppo umane o teorizzazioni troppo facili. Chi sia Gesù lo rivela la sua vita, il suo concreto cammino storico, fatto di obbedienza al Padre; lo rivela la croce.

Non a caso, lungo il cammino, al centro di tutto il racconto (8,27-9,13), si trovano collegate le tre qualifiche fondamentali della teologia marciana:

Messia, Figlio dell’uomo e Figlio di Dio.

Marco è l’evangelista che ci presenta il Gesù più sconcertante: che agisce in modo perfettamente umano, che mangia, dorme, si irrita, si commuo- ve profondamente, che viene giudicato, anche dai suoi parenti, come un tipo piuttosto strano, che non vuole essere chiamato buono e che non fa al- cun miracolo a Nazareth. Da questa umanità tanto vicina alla nostra traluce, però, il bagliore che noi oggi chiamiamo divinità, ma che per gli apostoli era un problema, un mistero, il segreto di Gesù.

Marco ci presenta Gesù sempre in movimento che predica, opera miracoli, risponde alle critiche, inse- gna, si rivela sempre di più e annuncia la salvezza.

Nel suo cammino entra in rapporto con i demoni (che sono gli esseri che dimostrano di conoscer- lo meglio) e con varie persone tra cui: gli scribi, i farisei, i discepoli (che si trovano in una condizione più privilegiata rispetto agli altri, ma anche per loro si dice che non capiscono) e poi le folle cui Gesù non si rivela mai direttamente, ma ha pietà per tut- ti e ascolta le loro preghiere. Le folle lo seguono sempre più numerose e vanno da Lui per essere guarite e toccarlo; a loro Gesù, più che mostrarsi apertamente, si lascia intuire attraverso le sue ope- re straordinarie. Nelle folle non ci sono né ricchi né potenti; questi sono sempre separati, chiusi nella loro arroganza, nelle loro certezze, nei loro privilegi:

sono “duri di cuore” quindi ciechi spiritualmente.

Gesù ci si presenta come un Maestro non approvato dal “mondo”, anzi in opposizione al “mondo”.

Poniamoci nella sequela di Gesù accompagnando- ci con il Vangelo secondo Marco; immergiamoci in queste folle composte di povera e piccola gente, di miseri, di poveri, di alienati sia dell’avere, che del potere e del sapere. Sediamoci con Lui al banchet- to, godiamo della Sua presenza, affratelliamoci con tutti gli altri invitati che hanno risposto afferma- tivamente, sforziamoci di incontrarlo, facciamoci meravigliare da quello che dice, anche se non com- prendiamo, manteniamo la fiducia (la rivelazione è progressiva), seguiamolo!

Solo colui che crede al vangelo e segue Gesù è aperto alla luce e riceve il dono del mistero del regno di Dio, che è Gesù stesso.

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