INDICE
1. INTRODUZIONE 1
2. STRUTTURA DELLA BCHE 3
2.1 Differenze strutturali tra AChE e BChE 3
2.2 Varianti della BChE 4
2.3 Il tetramero della BChE 8
3. IL RUOLO DELLA BCHE NELLA DETOSSIFICAZIONE DEGLI
ORGANOFOSFORICI (OP) 10
3.1 Inibizione delle colinesterasi (ChE) da parte degli organofosforici 11
3.2 Riattivazione della BChE 12
3.3 BChE impiegata per il trattamento dell’avvelenamento da
organofosforici 14
3.3.1 Bioscavengers stechiometrici 15
3.3.2 Bioscavengers pseudocatalitici 16
3.3.3 Bioscavengers catalitici 17
3.3.4 Applicazioni e prospettive della hBChE ricombinante 19
4. RUOLO DELLA BCHE NELL’ABUSO DI DROGHE 21
5. CORRELAZIONI TRA MORBO DI ALZHEIMER E BCHE 26 5.1 Correlazioni tra BChE e morbo di Alzheimer 26 5.2 Diversi tipi di inibitori della BChE 29
5.2.1 Ibridazione molecolare 29
5.2.2 Inibitori della BChE basati sui carbammati 38 5.2.3 Inibitori selettivi della BChE ottenuti tramite screening
virtuale 41
5.2.4 Inibitori selettivi della BChE ottenuti per analogia
strutturale 45
5.2.5 Prodotti naturali con attività inibitoria sulla BChE 52
6. RUOLO DELLA BCHE NELL’OBESITA’ 53
6.1 Correlazioni tra BChE e obesità 53
6.2 BChE e grelina 54
6.3 Morbo di Alzheimer e regolazione della massa corporea 58
Obiettivo della tesi
62Parte sperimentale chimica
70Parte sperimentale biologica
80Bibliografia
821. | INTRODUZIONE
La butirrilcolinesterasi (BChE), nota anche come colinesterasi sierica, colinesterasi plasmatica o pseudocolinesterasi, è stata oggetto di studio soprattutto nel corso degli ultimi decenni.[1] È una α-glicoproteina con emivita biologica di circa 12 giorni (nell’uomo);[2]
può essere presente in differenti tessuti centrali e periferici, come cervello, cute, plasma e tessuto muscolare degli arti inferiori.[3] Alcuni studi hanno evidenziato che la BChE potrebbe non avere funzioni fisiologiche, al contrario dell’acetilcolinesterasi (AChE) che ha un ruolo di primaria importanza nella neurotrasmissione grazie alla sua capacità di idrolizzare l’acetilcolina, sintetizzata e rilasciata dai neuroni per trasmettere gli impulsi nervosi.[4] Anche se la BChE condivide alcune analogie strutturali con l’AChE, questi enzimi presentano differenze per quanto riguarda la specificità di substrato e la capacità di idrolizzare l’acetilcolina. Infatti, quest’ultima viene idrolizzata molto più lentamente dalla BChE rispetto alla AChE. Il ruolo secondario nell’idrolisi dell’acetilcolina ha portato a considerare la BChE come un enzima sostitutivo, svolgendo questa funzione in carenza o assenza di AChE.[5] Pertanto, dal momento che la BChE non ha dimostrato alcun ruolo fondamentale a livello fisiologico, non è stata studiata in modo dettagliato quanto l’AChE.
Nonostante ciò, dal momento in cui Broomfield et al.[1] dimostrarono nel 1991 l’azione neuroprotettiva della BChE contro diversi agenti neurotossici, quest’ultima ha suscitato una notevole attenzione da parte dei ricercatori. È stato confermato in diverse specie animali che il pretrattamento con la BChE esercita un effetto protettivo contro la tossicità causata dagli agenti nervini, conferendo a tale enzima utilità in campo militare e agricolo, dal momento che è in grado di contrastare l’azione tossica di diverse armi chimiche e di pesticidi organofosforici (OP). Il pretrattamento con 200 mg di BChE umana (hBChE) è in grado di proteggere un individuo di 70 kg da agenti organofosforici (OP) somministrati in dose doppia rispetto alla dose letale media (LD50).[6] Ad ulteriore conferma la dose letale
media inalata (ILD50) da porcellini d’India, pretrattati con hBChE 90 minuti prima dell’esposizione, si innalza di circa 1.26-5.32 volte rispetto alle condizioni normali.[7] La BChE è anche in grado di idrolizzare la cocaina e alcuni suoi analoghi (CocH) mostrando una elevata capacità idrolitica suggerendo un possibile notevole valore terapeutico nel trattamento della dipendenza indotta da questa sostanza. In effetti grandi quantità di BChE naturale esogena proteggono roditori e scimmie dalla tossicità esercitata dalla cocaina quando questa viene somministrata in dose letale.[8] Oltre all’enzima naturale, sono state ottenute mutazioni della BChE che presentano un’incrementata velocità di idrolisi della cocaina, allo scopo di ridurre la quantità di enzima richiesta per la somministrazione clinica. Nonostante ciò, le tecniche in grado di aumentare l’emivita biologica di forme ricombinanti di BChE sono ancora in fase di studio. Inoltre, la BChE ha suscitato molta attenzione sia grazie alla sua versatilità come bersaglio farmacologico, sia come strumento da utilizzare in studi sui meccanismi delle patologie neurodegenerative. A supporto di questo interesse è stato recentemente notato che l’attività della BChE si innalza nel cervello dei pazienti affetti da Alzheimer (AD) in stadio avanzato, mentre, al contrario, i livelli di AChE diminuiscono drasticamente.[2] Perciò, la BChE può essere considerata un bersaglio biologico che può essere sfruttato per aumentare i livelli di acetilcolina e dunque per aumentare le capacità cognitive dei pazienti affetti da morbo di Alzheimer in fase avanzata. Oltre a ciò, la co-localizzazione della BChE e delle placche di β-amiloide (Aβ) ha dimostrato la possibile relazione tra BChE e decomposizione della β-amiloide.[9] Da questo punto di vista, sono stati scoperti e successivamente valorizzati un grande numero di inibitori della BChE. In aggiunta a quanto detto, recentemente è stato anche studiato il ruolo della BChE nella regolazione del metabolismo dei grassi e nella modulazione dei comportamenti emotivi grazie alla sua capacità di idrolizzare la grelina. I topi BChE- knockout (BChE-KO) sono predisposti a raggiungere stati di obesità quando vengono sottoposti a una dieta ricca di grassi; l’espressione periferica della BChE può far tornare i
topi obesi ad una massa corporea normale.[10] I ricercatori hanno collegato questo fenomeno con il livello decrescente di grelina. Infine i comportamenti aggressivi dei topi BChE-knockout possono essere attenuati aumentando le concentrazioni plasmatiche di BChE.[11] In ogni caso non risulta ancora chiaro come la BChE possa influenzare il metabolismo dei grassi e i comportamenti emotivi in soggetti sani. Per quanto detto si può concludere che la BChE è un bersaglio biologico importante, strettamente correlato a diverse gravi condizioni patologiche. Considerando il fatto che i soggetti BChE nullizigoti sono sani per un lungo periodo di tempo, tale enzima può essere considerato un target estremamente sicuro per lo sviluppo clinico. Per tali motivi è utile trattare le caratteristiche strutturali della BChE e le sue possibili varianti specialmente facendo riferimento all’impatto fisiologico. E’ importante anche sottolineare la correlazione tra BChE e diverse problematiche sanitarie, come l’avvelenamento da pesticidi organofosforici (OP), la dipendenza dalla cocaina, il morbo di Alzheimer (AD) e il metabolismo dei grassi, che possono giustificare future strategie terapeutiche basate su questo enzima.
2. | STRUTTURA DELLA BCHE
2.1 | Differenze strutturali tra AChE e BChE
La struttura della BChE è molto simile a quella dell’AChE, dal momento che presenta una sequenza amminoacidica omologa per circa il 65%.[12] Entrambi i siti attivi, composti da una triade catalitica, una tasca di legame per la colina e una seconda tasca di legame per il residuo acilico, sono nascosti nel fondo di una scanalatura profonda circa 20 Å.[13] La triade catalitica della hBChE è costituita da tre residui conservati: Ser198, His438, Glu325, mentre nell’AChE umana (hAChE) sono sostituiti da Ser203, His447, Glu334.[14] La principale differenza tra questi due enzimi a livello molecolare è la tasca di legame per il residuo acilico, uno dei domini nella scanalatura responsabile del posizionamento del residuo acilico del substrato durante la reazione d’idrolisi.[15] I residui Tyr124, Phe297 e
Tyr338 nella tasca di legame per il residuo acilico della hAChE sono sostituiti da Gln119, Val288 e Ala328 nella hBChE, dotando quest’ultima di un ulteriore volume disponibile di circa 300 Å (Figura 1).[16] Grazie alla tasca di legame più larga, la BChE diventa accessibile a diversi substrati piuttosto ingombranti come butirriltiocolina ioduro, succinilcolina, cocaina e grelina.[15]
Figura 1 (A) Amminoacidi che rivestono la gola del sito attivo della hBChE (in rosa, ID PDB: 1P0I) e della hAChE (in bianco, ID PDB: 4EY7) incluse la tasca di legame acilico (Q119, V288, A328 per hBChE; Y124, F297, Y338 per hAChE. (B) superficie del sito attivo di hAChE. (C) superficie del sito attivo di hBChE. [Tratto da S. Xing et al., Med Res rev, 2020, 1-44]
2.2 | Varianti della BChE
Il gene umano BCHE (per la butirrilcolinesterasi), presente sul cromosoma 3q26.1, contiene tre esoni codificanti e occupa approssimativamente 64 kb del nostro genoma.[17]
Negli anni ’50 è stato riportato che alcuni individui potevano essere soggetti ad apnea prolungata e persino a morte dopo iniezione di succinilcolina, idrolizzata dalla BChE in 3-
5 minuti in condizioni normali.[18] Questo fenomeno ha portato ad evidenziare che alcuni soggetti potrebbero essere portatori di alcune forme ereditarie di BChE che non sono in grado di idrolizzare la succinilcolina; questa particolarità è stata poi definita come “BChE deficiency”.[18] Nella maggior parte dei casi non è fatale, ma può essere comunque
correlata con diversi problemi sanitari. Attualmente sono state documentate quasi 70 mutazioni naturali della hBChE e un individuo può essere portatore di più varianti.[17] La maggioranza delle mutazioni sono dannose per l’attività dell’enzima, sia per compromissione delle funzioni catalitiche che per livelli plasmatici inferiori,[19] mentre solo alcune mutazioni forniscono effetti favorevoli.[1] Il deficit ereditario di BChE mostra un meccanismo di ereditarietà autosomica recessiva.[17] È stato stimato che circa il 24%
della popolazione umana è portatrice di almeno una variante allelica del gene BCHE.[20]
La maggior parte delle forme varianti della BChE sono state riscontrate solo in una piccola percentuale della popolazione umana, mentre due di queste varianti, la variante K (c.1699G>A, p. Ala539Tyr, rs1803274, K) [21] e la variante atipica (c.293A>G, p.
Asp70Gly, rs1799807, A) sono relativamente comuni. [17]
La mutazione puntiforme della variante K avviene nel dominio di tetramerizzazione C- terminale dell’enzima,[22] fenomeno che porta ad una riduzione del 33% della concentrazione di BChE nel plasma [23] e a una diminuzione del 30% dell’attività idrolitica.[24] Comunque, recenti studi affermano che la variante K potrebbe non essere responsabile da sola della riduzione dell’attività della BChE, ma sarebbe necessaria anche la variante 5ʹ-‐UTR-‐116.[25,26] La variante K ha una frequenza del 1-4% negli individui omozigoti e del 20% nella popolazione caucasica.[17] Inoltre la variante K ha una elevata tendenza a formare strutture a β-foglietti, il che potrebbe collegarla alla formazione dell’amiloide. [27]
Anche se ancora oggetto di dibattito, alcuni studi hanno riportato la relazione tra la variante K e il morbo di Alzheimer, il cui principale aspetto patologico è la β-amiloide.
Perry et al.[28] hanno dimostrato il suo effetto protettivo ipotizzando che il declino cognitivo dei pazienti affetti da demenza, moderata o severa, possa essere attenuato in soggetti portatori della variante K. Altri Autori hanno considerato la variante K come un fattore dannoso per i pazienti affetti da AD perché, in confronto alla forma wild type (WT), risulta meno efficace nell’attenuare la formazione delle placche di β-amiloide in vitro.[25]
Tuttavia De Beaumont et al.[29] hanno evidenziato che l’età d’insorgenza dell’AD è significativamente ridotta in soggetti con la variante K. Podoly et al. hanno attribuito questi risultati controversi alle ambigue proprietà biochimiche della variante K, che possiede specifiche caratteristiche strutturali che portano ad una riduzione dell’attività enzimatica;
inoltre, aumentati livelli di acetilcolina potrebbero anche influenzare gli effetti della BChE nell’attenuare la formazione delle fibrille di amiloide fino a considerare la variante K come un fattore di rischio per l’Alzheimer. [30] Oltre a quanto detto, considerando il ruolo della variante 5ʹ-‐UTR-‐116, Furtado-Alle et al.[26] hanno proposto che questi risultati contrastanti potrebbero essere correlati a uno squilibrio tra la variante K e la variante 5ʹ-‐UTR-116A.
Un’altra variante comune della BChE è la variante atipica, chiamata variante A, che presenta una frequenza del 4% nella popolazione caucasica.[17] Gli inibitori della BChE con carica positiva sono meno efficienti nell’inibire la variante A. Per esempio, l’agente nervino VX, carico positivamente, inibisce la variante A con una velocità 21 volte minore rispetto alla forma Wild Type. A conferma di ciò la succinilcolina, che presenta due cariche positive, inibisce la variante A 100 volte più lentamente.[22] La bassa velocità di idrolisi della variante A è stata considerata come una delle cause per cui alcuni soggetti potrebbero manifestare un’apnea prolungata dopo la somministrazione clinica di succinilcolina.
Alcune mutazioni puntiformi potrebbero portare alla totale perdita dell’attività della BChE o a sue concentrazioni molto basse nel plasma; queste ultime sono state definite come
varianti “silenti”. La maggioranza delle varianti documentate della BChE sono
“silenti”.[22] Diversi tipi di mutazioni puntiformi, come le mutazioni frameshift e splice junction, l’inserimento di codoni di stop e le mutazioni missenso, portano a differenti
forme di varianti “silenti”. I primi tre tipi di mutazione sopra citati portano ad una mancata espressione della BChE e il quarto genera una BChE priva di attività. E’ importante sottolineare il fatto che soggetti con BChE silente omozigote possono condurre una vita sana fino a età avanzata, purchè non siano trattati con succinilcolina o vengano a contatto con OP, dal momento che i bassi livelli di affinità di legame tipici delle varianti “silenti”
potrebbero indurre un accumulo tossico;[31] per esempio, individui che presentano una mutazione sulla Ser198, responsabile di una forma di BChE “silente”, non mostrano capacità idrolitica dopo esposizione ad agenti organofosforici.[22] È interessante notare come questi polimorfismi di singoli nucleotidi nelle varianti “silenti” siano talvolta molto distanti dal sito catalitico attivo (CAS), anche se portano comunque ad una inattività dell’enzima. Basandosi su esperimenti di dinamica molecolare (MD) e sull’analisi cinetica enzimatica, Delacour et al. hanno scoperto che, in un particolare tipo di BChE “silente”, una catena di eventi intramolecolari porta alla distruzione della triade catalitica, rompendo il legame tra His438 e Ser198 nel sito catalitico. Sebbene questa spiegazione possa non essere appropriata per alcuni studi, potrebbe comunque offrire una visione innovativa per studi futuri.[17]
La maggior parte delle varianti diminuiscono l’attività, anche se alcune sono associate ad una aumentata attività a livello plasmatico. Per esempio, l’attività plasmatica della BChE in individui portatori delle varianti Cynthiana,[32] Johannesburg,[33] e C5+[34] comporta un’attività potenziata da una a tre volte rispetto alla forma Wild Type. Nonostante ciò, non è del tutto chiaro dove sia la mutazione puntiforme e se l’induzione di un’attività più elevata sia legata ad incremento dei livelli di espressione o a una minore velocità di clearance.
2.3 | Il tetramero della BChE
Esistono diverse forme di BChE nei mammiferi, tra le quali ci sono i monomeri G1, G1- ALB, il dimero G2, e il tetramero G4.[23] Più del 95% della BChE nativa esiste come tetramero altamente glicosilato solubile nel plasma, la forma più stabile dell’enzima.[35]
L’emivita biologica del tetramero della BChE naturale nei topi è di circa 46 ore, nell’uomo invece potrebbe essere più elevata, fino a 12 giorni.[36] Il tempo di permanenza del monomero della BChE nel plasma di topo è breve, nell’ordine dei minuti.[37] La breve emivita biologica del monomero e del dimero della BChE ne limita l’importanza dal punto di vista terapeutico. La BChE nativa necessita di essere purificata dal plasma umano tramite una procedura costosa, mentre le forme di BChE ricombinante (rBChE) offrono una buona alternativa. Sfortunatamente, le principali forme di rBChE estratte dalle cellule di ovaio di criceto cinese (CHO) risultano essere solo monomeri e dimeri; queste sono propense a oligomerizzare in forme tetrameriche non biologiche, eliminate facilmente in vivo.[37] La rBChE espressa nelle piante e nel latte di capra possiede una breve emivita
biologica e scarsa efficienza dal punto di vista clinico.[38] In generale, le tecniche per incrementare l’emivita biologica della rBChE sono ancora in fase di studio.[36,39,40]
Lo spettro di massa di agglomerati della hBChE ha rivelato che la tetramerizzazione dell’enzima potrebbe essere correlata alla presenza di peptidi ricchi di prolina.[41] Duysen et al.[35] hanno segnalato che, in vitro, l’espressione della rBChE in presenza di peptidi ricchi di prolina incrementa la percentuale di tetrameri, evidenziando che questi peptidi potrebbero essere in grado di prolungarne l’emivita biologica. La provenienza di questi peptidi ha suscitato molta attenzione. Studi iniziali hanno indicato che il 70% di questi peptidi ricchi di prolina presenti nei tetrameri della BChE naturale provengono dalla lamellipodina, codificata dal gene RAPH 1, mentre altre venti proteine sono possibile origine del restante 30%.[41] Studi successivi hanno confermato che questi peptidi ricchi di prolina, isolati dai tetrameri della BChE naturale, non provengono dai classici peptidi
con organizzazione tetramerica PRIMA e CoIQ, di solito impiegati per stabilizzare l’AChE.[42,43]
Figura 2 Vista dal basso (A) e laterale (B) del tetramero della hBChE (ID PDB: 6I2T). Il peptide ricco di prolina è colorato in giallo e avvolto con quattro domini WAT (tetramerizzazione anfifilica del triptofano). [Tratto da S. Xing et al., Med Res rev, 2020, 1-44]
La struttura precisa del tetramero della BChE potrebbe essere d’aiuto per capire le ragioni della lunga emivita del tetramero e per sviluppare metodiche che possano, eventualmente, incrementare la proporzione del tetramero delle rBChE. Basandosi sull’omologia tra AChE e BChE, nel 2009, Pan et al.[44] hanno costruito un modello del tetramero della BChE complessato con peptidi ricchi di prolina, basandosi sulla struttura cristallina dei tetrameri di AChE, con l’intenzione di spiegare la stabilità del tetramero della BChE naturale. In accordo con questo modello, il tetramero di BChE è costituito da quattro monomeri e la maggior parte di questi giace su un piano, lasciando le quattro eliche dei domini di tetramerizzazione carbossi-terminale con residui di triptofano (WAT), che presentano
caratteristiche anfifiliche, a formare una superelica esposta al solvente, che si avvolge attorno ai peptidi ricchi di prolina nella sua parte centrale. Alcuni residui idrofobici localizzati nella zona carbossi-terminale sarebbero responsabili delle interazioni chiave tra il dominio di tetramerizzazione e i peptidi ricchi di prolina. Nel 2018, Leung et al.[45]
hanno determinato la struttura della BChE nativa tetramerica altamente glicosilata, purificata dal plasma umano mediante microscopia crioelettronica (Figura 2). Essi dimostrarono che il tetramero della BChE era un dimero di dimeri sfalsato e non planare, con quattro eliche WAT formanti una superelica che si avvolge intorno a una porzione centrale di poliprolina II (PDB ID: 6I2T), derivata dalla lamellipodina. Inoltre, osservarono che, differentemente da quanto ottenuto dal modello computazionale, il dominio di tetramerizzazione della BChE naturale risultava schermato nelle porzioni principali, spiegando così la relativa stabilità del tetramero di BChE.
Nei prossimi capitoli verrà evidenziata la crescente importanza della butirrilcolinesterasi nelle ricerche in campo tossicologico e farmacologico, in particolare, ma non solo, per il morbo di Alzheimer, diffusa patologia neurodegenerativa, e verranno riportati alcuni esempi di progettazione e sintesi di inibitori dell’enzima.
3. | IL RUOLO DELLA BCHE NELLA DETOSSIFICAZIONE DEGLI ORGANOFOSFORICI (OP)
Nel 1936 è stato sintetizzato il tabun (GA), primo pesticida organofosforico.[46] I ricercatori scoprirono che il GA non era efficace sui parassiti ma mostrava effetti letali sull’uomo. Per questo motivo, è stato sviluppato come arma chimica, e nei decenni successivi, molti altri OP, come sarin (GB) e soman (GD) sono stati sintetizzati e conservati da alcuni paesi come armi molto pericolose.[16] Successivamente, sono stati scoperti diversi pesticidi organofosforici molto efficaci, che però rappresentano un grave
rischio per gli agricoltori. A conferma di ciò, è stato stimato che i pesticidi OP causano circa tre milioni di casi di avvelenamento all’anno, con una incidenza di 220.000 decessi.[47]
3.1 | Inibizione delle colinesterasi (ChE) da parte degli organofosforici (OP)
Nel 1943, Richard Kuhn ha dimostrato che la tossicità acuta degli OP era causata da una rapida fosforilazione della AChE, con conseguente accumulo di acetilcolina nelle terminazioni sinaptiche e sovrastimolazione dei recettori colinergici e crisi colinergica indotta.[48,49] Gli effetti clinici dell’intossicazione da OP includono aumentata motilità gastrointestinale, nausea, ansia e confusione mentale.[47]
Il processo che porta all’inibizione delle ChE da parte degli OP può essere diviso in due fasi (Figura 3).[50]
Figura 3 Inibizione della BChE da parte di un agente nervino, riattivazione da parte dell'ossima e invecchiamento a derivato non riattivabile. Gli organofosforici sono colorati in blu e i riattivatori in rosso. [Tratto da S. Xing et al., Med Res rev, 2020, 1-44]
Il primo, descritto come “inibizione”, consiste nella fosforilazione del gruppo ossidrilico della serina posizionata nel sito catalitico delle ChE. Il secondo, descritto come
“invecchiamento”, consiste invece in una O-dealchilazione del centro fosforilato. Questa
O-dealchilazione porta alla formazione di un residuo serinico anionico e, successivamente, a un forte legame a idrogeno con l’istidina adiacente, che stabilizza il centro anionico fosforilato.[51] La velocità del processo di invecchiamento dell’enzima è associata con il tipo di OP e può variare da minuti a diverse ore.[52] E’ interessante notare che la BChE è capace di legare diversi OP con un’efficacia persino più elevata della AChE.[53] Inoltre, è stato scoperto che il processo di invecchiamento è più veloce nella BChE rispetto alla AChE.[16]
3.2 | Riattivazione della BChE
Nel 1951 Wilson fu il primo a descrivere il concetto di riattivazione, evidenziando che la struttura di un’ossima poteva essere sviluppata come punto di partenza per ottenere riattivatori delle ChE.[54] Nei decenni successivi è stata scoperta una ampia varietà di antidoti a struttura ossimica. Il meccanismo di riattivazione si basa su un attacco svolto dall’ossima nucleofila sul centro fosforico (Figura 3).[16] Il legame covalente P-O(Ser) viene scisso durante l’attacco e, in seguito, può essere recuperata l’attività idrolitica dell’enzima. Nonostante ciò, è bene evidenziare che, nel momento in cui gli enzimi vanno incontro al processo di invecchiamento, ripristinare l’attività idrolitica è praticamente impossibile.[55] Sebbene nel 2018, Franjesevic et al.[16] hanno mostrato la possibilità di rigenerare, ma non di riattivare, l’AChE con successo, non è stata mai riportata la possibilità di una efficace rigenerazione della BChE.
Nonostante negli ultimi anni sia stata sviluppata una serie di riattivatori a struttura ossimica, la maggior parte di questi è stata studiata per interagire con l’AChE, mentre solo alcuni di questi derivati sono stati progettati per riattivare la BChE inibita dagli OP. I composti 2-PAM e HI-6 sono due riattivatori dell’AChE ampiamente utilizzati in laboratorio, ma non sono efficaci nel riattivare la BChE fosforilata.[56] Inoltre, per la capacità di riattivare la BChE inibita dal paraoxone sono state testate più di venti ossime,
ma nessuna ha fornito risultati incoraggianti.[57] Alcuni ricercatori hanno sostituito il paraoxone con altri tipi di OP, ma i risultati sono rimasti comunque deludenti.[58] In tempi recenti, seguendo un crescente interesse verso la scoperta di efficaci bioscavengers pseudocatalitici, alcuni studi hanno riportato una serie di riattivatori a struttura ossimica che hanno come bersaglio la BChE inibita da organofosforici.
Figura 4. Riattivatori con gruppo ossimico (colorato in rosso)
Nel 2016, Renou et al.[59] hanno progettato e sintetizzato il composto 1 (Figura 4) concepito come riattivatore della BChE, strutturalmente simile al donepezil. Rispetto alla riattivazione della BChE inibita da VX, il composto 1 ha mostrato di produrre una riattivazione enzimatica, rispettivamente, 5 e 11 volte più efficace rispetto alla pralidossima e al derivato HI-6. Zorbaz et al.[60] hanno riportato il composto 2 (Figura 4) come valido riattivatore della BChE con la capacità di rigenerare il 100% dell’attività della BChE inibita dal sarin in 10 minuti; questo composto ha mostrato anche effetti ad ampio spettro sulla BChE inibita da ciclosarin, VX e tabun. Nel 2020, Maček Hrvat et al.[61]
hanno scoperto il composto 3 (Figura 4), contenente la struttura della feniltetraidroisochinolina, come valido riattivatore della BChE. La velocità di riattivazione
O
O
N
OH N
OH
1
Cl N
Cl HO N
N
O NH2
Br Br
2
N O
O N
N N
N
NOH
PF8
N N
OH
N
N OH
Br Br
3
4
enzimatica di questo composto è, rispettivamente, 100 e 6 volte superiore rispetto a 2-PAM e a 6-HI; inoltre, questo composto ripristina in 10 minuti circa l’80% dell’attività della BChE (inibizione da ciclosarin). Nello stesso anno, Malinak et al.[62] hanno progettato e sintetizzato una serie di riattivatori delle ChE a struttura isochinolinica, tra i quali il composto 4 (Figura 4) ha dimostrato capacità maggiori dell’obidossima nel riattivare la BChE inibita da sarin, VX e paraoxone.
3.3 | BChE impiegata per il trattamento dell’avvelenamento da organofosforici È ampiamente consolidato che, comportandosi come bioscavenger, la BChE gioca un ruolo importante nel trattamento profilattico e successivo all’esposizione a composti organofosforici. Il concetto di bioscavenger è stato particolarmente approfondito negli anni
’80.[63] Questi enzimi sono utilizzati per proteggere le ChE dagli OP, sequestrando gli organofosforici a livello plasmatico, prima che si leghino all’enzima e inibiscano la triade catalitica delle ChE.[46] Un bioscavenger efficace dovrebbe neutralizzare gli OP abbastanza rapidamente in modo da prevenire la penetrazione di questi ultimi dentro i tessuti e gli organi ed evitare che esercitino effetti nocivi a livello fisiologico.[63] Inoltre, affinché garantiscano una totale sicurezza, i bioscavengers non dovrebbero assolutamente indurre effetti iatrogeni.[64] Considerando i meccanismi d’azione, i bioscavengers possono essere suddivisi in tre classi: bioscavengers stechiometrici, pseudocatalitici e catalitici. La BChE e le sue numerose varianti sono state sviluppate in tutte e tre le classi. Inoltre, la BChE è stata considerata come il più promettente dei bioscavenger,[49] grazie alla sua sicurezza, all’elevata efficacia della reazione con un ampio spettro di OP e alla sua lunga emivita. In realtà, la BChE naturale presente nel plasma umano svolge un fisiologico ruolo di difesa contro basse dosi di OP. Nonostante ciò, non è abbastanza potente per affrontare condizioni estreme, come l’avvelenamento da armi chimiche o da alte dosi di pesticidi organofosforici.[6]
3.3.1 | Bioscavengers stechiometrici
I bioscavengers stechiometrici sono specifici enzimi che si possono legare irreversibilmente agli OP in rapporto 1:1 o 1:2 nel plasma.[47] Una quantità di 200 mg di hBChE è in grado di proteggere un individuo (70 kg) da una dose di soman 2 volte superiore alla DL50.[6] Ci sono numerosi vantaggi nell’utilizzo della hBChE come bioscavenger stechiometrico. Innanzitutto, la principale fonte di hBChE è il plasma
umano; inoltre, diversi studi hanno confermato che la somministrazione ripetuta di hBChE non causa nessun tipo di risposta immunitaria.[65,66] In secondo luogo, la somministrazione di una dose eccessiva di hBChE non è nociva.[67,68] Ciò è stato confermato dal fatto che le performance comportamentali di svariati animali, come topi, ratti e porcellini d’India, non vengono alterate dalla somministrazione di un’alta dose di hBChE.[69-72] Infine, le affinità di legame della hBChE per numerosi OP sono significativamente elevate; ciò rende più semplice bloccare l’azione degli OP nel plasma prima che raggiungano l’AChE.[16] Molti studi eseguiti su modelli animali confermano i significativi effetti della hBChE nella profilassi e nel trattamento successivo all’avvelenamento da OP. Allon et al.,[7] inizialmente, hanno riportato che la IDL50 nei porcellini d’India, trattati 90 minuti prima con hBChE, si innalzava di circa 1.26-5.32 volte. Anche il trattamento con hBChE successivo all’intossicazione risulta efficace. In aggiunta a questi risultati, David et al. hanno dimostrato che i porcellini d’India sottoposti a una dose di VX due volte superiore alla DL50, assorbita per via percutanea, combinata con una somministrazione di hBChE 60 minuti dopo, portava a risultati strabilianti: il tasso di sopravvivenza degli animali si aggirava intorno al 90%, senza necessità di praticare altre terapie standard (atropina + ossima + diazepam).[73] Tuttavia, scoprirono successivamente che, quando la hBChE viene somministrata dopo l’insorgenza di chiari segni d’intossicazione, 5 animali testati su 6 giungevano alla morte in 7-30 ore. [74]
Gli Autori hanno attribuito questo fenomeno all’eccessiva quantità di OP nel plasma e nei tessuti e negli organi bersaglio, che ha provocato l’inefficacia della hBChE come agente di sequestro degli OP nel plasma. Nonostante ciò, negli esperimenti successivi, è stato osservato che, nelle stesse condizioni, la somministrazione di hBChE naturale insieme alla terapia standard (atropina + ossima + diazepam) aumentava il tasso di sopravvivenza al 100%.[75] La ragione potrebbe consistere nell’effetto sinergico (tra hBChE e terapia standard), il che significa che la terapia standard attenua velocemente le crisi colinergiche, mentre la BChE nel plasma blocca il composto VX nel torrente sanguigno. Gli effetti protettivi e la sicurezza della BChE sono stati confermati anche da numerosi studi su primati. Ad esempio macachi Rhesus, trattati con BChE, risultavano protetti da dosi di GD e di GB pari, rispettivamente, a due volte e una volta la DL50.[76,77] Nel 2019, Myers[78]
ha dimostrato come non si osservi alcun cambiamento comportamentale dei macachi, dopo che questi venivano trattati con un’elevata dose endovenosa di hBChE. Analogamente, riguardo alla presenza del complesso proteico tra BChE e OP, non sono stati osservati effetti collaterali riguardanti l’attività dell’AChE circolante, gli organi interni o il comportamento.[79] Oltre a ciò, gli studi di farmacocinetica di fase 1 e di fase 2 e gli studi di sicurezza nell’uomo sono già stati completati.[49]
Sebbene sia sicura ed efficace, non può essere ignorato il fatto che la hBChE derivante dal plasma, utilizzata come bioscavenger stechiometrico, richieda somministrazioni di grandi quantità di enzima, il che la rende economicamente svantaggiosa.
3.3.2 | Bioscavengers pseudocatalitici
Un chiaro svantaggio dei bioscavengers stechiometrici risiede nel fatto che, una volta che l’enzima è fosforilato, non è più in grado di svolgere la sua funzione. È molto interessante la possibilità di riciclare la hBChE fosforilata e trasformarla in una forma funzionante grazie all’ausilio di un’ossima, che svolge il ruolo di riattivatore.[80] Gli enzimi
accompagnati da riattivatori chimici potrebbero dare luogo a numerosi cicli di legame e idrolisi, il che significa che, una volta che gli enzimi sono inibiti, le ossime li riattivano rilasciando forme non tossiche di OP.[80] Se le velocità di riattivazione ed inibizione fossero paragonabili, l’enzima e il riattivatore potrebbero agire come efficaci bioscavengers pseudocatalitici. Nel 2020, Zhang et al.[81] hanno unito la BChE e
un’ossima (rapporto 1:1) tramite un polimero con l’intento di incrementare localmente la concentrazione di riattivatore. Il coniugato costituito da BChE-polimero-ossima, risultava insensibile all’azione inibitrice degli OP aumentando così il tempo di efficacia dell’enzima.
Anche se la riattivazione enzimatica causata dall’ossima può essere d’aiuto alla BChE fosforilata per generare una sorta di turnover, il principale problema consiste nel fatto che la velocità di riattivazione dell’enzima è troppo bassa per potere essere considerata farmacologicamente interessante e di uso pratico.[57] Il processo idrolitico degli organofosforici più veloce ed efficace svolto tramite ossima è comunque dalle 2 alle 3 volte più lento rispetto alla velocità richiesta per l’uso clinico.[80] Inoltre, considerando il fatto che i riattivatori e gli enzimi devono essere co-somministrati, i loro profili farmacocinetici dovrebbero essere compatibili, il che incrementa ulteriormente le difficoltà di applicazione.[63]
3.3.3 | Bioscavengers catalitici
A differenza dei bioscavengers pseudocatalitici, quelli catalitici sono enzimi in grado di degradare gli OP con un’elevata velocità di turnover, dando luogo a ripetuti cicli di legame e idrolisi consentendo una efficace detossificazione dagli OP.[80] Se somministrati in basse dosi hanno mostrato un’attività migliore rispetto a quelli stechiometrici.[80] A tal riguardo sono in fase di studio alcuni enzimi umani, come la paraossonasi-1 plasmatica e la prolidasi epatica. Anche le varianti della hBChE hanno un loro ruolo.[38] Per circa trent’anni sono stati fatti molti tentativi per convertire la BChE in un’idrolasi degli OP
(OPasi). Nel 1995, il primo tentativo fu quello di convertire l’His117 in Gly117, dando origine ad una variante che in un certo modo mostra la proprietà di auto-riattivazione.[82]
La sua capacità di resistere all’inibizione causata da VX e da sarin risultava essere, rispettivamente, 7900 e 1000 volte più elevata rispetto alla hBChE naturale. Inoltre, questa variante esprime una velocità di defosforilazione 2000 e 100 volte più elevata dopo inibizione, rispettivamente, da VX e da sarin. Nel 2015, Kulakova et al.[83] hanno costruito un modello supponendo che il residuo di His117 protonata potesse aiutare ad abbassare le barriere energetiche e a stabilizzare l’intermedio (Figura 5).
Figura 5. Possibile meccanismo del processo di riattivazione della BChE-G117H.
Composto organo fosforico colorato in blu, molecola di H2O in rosso. [Tratto da S. Xing et al., Med Res rev, 2020, 1-44]
I topi transgenici che esprimono il gene huBChe-G117H possono sopravvivere a una dose di ecotiopato pari alla sua DL50, ma gli Autori non attribuiscono questo evento alla neutralizzazione dell’ecotiopato, quanto alla capacità di tale enzima di essere inibito più lentamente, di rigenerarsi più velocemente e infine di rimpiazzare il ruolo delle ChE. [84]
Nonostante ciò, il tasso di auto-riattivazione rimane comunque troppo basso per un possibile utilizzo in un trattamento farmacologico; infine, la variante dell’enzima non resisteva al processo d’invecchiamento.[47]
Negli anni successivi, sono state scoperte più di 60 mutazioni. Sebbene parte di esse possa essere identificato come OPasi, nessuna ha mostrato una capacità di auto-riattivazione migliore della BChe-G117H.[46] Nel 2019, Grigorenko et al.[85] hanno scoperto una doppia mutazione della hBChE, N322E\E325G, che presentava una nuova triade catalitica.
La hBChE con mutazione N322E\E325G espressa dalle cellule Eexpi293 ha evidenziato la capacità di auto-riattivazione ma i parametri e le costanti (riguardanti il processo di auto- riattivazione) dell’enzima non sono stati definiti poichè queste cellule potrebbero secernere tetrameri di BChE endogeni e numerosi enzimi in grado di reagire con gli organofosfati.
E’ importante notare che la BChE di altre specie animali ha ispirato particolarmente i ricercatori negli ultimi anni. Nel 2019, McGarry et al.[86] hanno segnalato che la BChE suina può auto-riattivarsi dopo essere stata inibita dal sarin. Successivamente hanno introdotto quattro varianti non immunogeniche nella struttura della hBChE per mimare la struttura dell’enzima suino, arrivando in questo modo alla variante hBChE (Y282N\G283H\T284M\P285L).[87] Tutte queste mutazioni sono localizzate vicino alla tasca di legame per il residuo acilico. Questa variante ha mostrato una elevata capacità di auto-riattivazione, ulteriormente incrementata dopo somministrazione del riattivatore 2PAM-CI.
3.3.4 | Applicazioni e prospettive della hBChE ricombinante
La hBChE è un efficace bioscavenger stechiometrico, ma l’elevata dose richiesta in terapia ne impedisce la sua applicazione pratica. In aggiunta a ciò, la hBChE viene purificata da plasma umano, ma la disponibilità di quest’ultimo dipende dalla quantità di plasma umano processato che è significativamente insufficiente.[49] Considerando il rilevante ruolo terapeutico della BChE, è necessario concentrarsi sulla produzione su larga scala di hBChE ricombinante.
Riguardo a ciò sono stati fatti molti sforzi negli ultimi 20 anni.[88] Al giorno d’oggi i sistemi utilizzabili per la produzione su larga scala ed economicamente sostenibili si limitano ad animali e piante transgenici come capra, tabacco, riso e mais.[36,40,89-91]
Inizialmente sembrava che il latte di capra transgenico potesse essere il più promettente dei sistemi produttivi ma lo sviluppo di quest’ultimo venne interrotto a causa di problemi
legati a scarsa lattazione.[92,93] In seguito, è stata riportata una stabile e transitoria espressione di hBChE ricombinante nel tabacco e nel riso.[40,89] Nel 2017, Egelkrout et al.[90] hanno messo a punto un metodo a basso costo che permette di esprimere la hBChE ricombinante servendosi del mais. E’ importante segnalare che la BChE proveniente da fonti vegetali contiene la maggior parte dell’enzima in forma tetramerica.[94]
Oltre alla produzione su larga scala in vitro, la hBChE ricombinante può essere prodotta anche in vivo grazie al trasferimento genico.[95] Chilukuri et al.[96] sono riusciti ad esprimere con successo elevati livelli di hBChE ricombinante nei topi utilizzando adenovirus di tipo 5. Successivamente, Parikh et al.[97] hanno dimostrato che la presenza del gene della hBChE ricombinante garantisce ai topi una elevata protezione contro VX (dosi 5 volte superiori alla DL50) e contro l’ecotiopato (dosi 30 volte superiori alla DL50).
Tuttavia, la sicurezza per i pazienti ai vettori virali deve essere adeguatamente valutata prima che il metodo passi dal laboratorio ai trial clinici.[95]
Una delle più importanti caratteristiche di un bioscavenger è la sua emivita biologica.[98]
La hBChE ricombinante viene eliminata in vivo, mostrando un’emivita di 18 ore, molto più bassa rispetto a quella della hBChE naturale (46 ore). Sono state impiegate una serie di metodiche che puntando ad aumentare il peso molecolare, vengono utilizzate per aumentare l’emivita biologica della hBChE ricombinante,[98] come l’oligomerizzazione, la PEGilazione e la polisialilazione.
L’oligomerizzazione potrebbe aumentare l’emivita della hBChE ricombinante innalzando la quantità di tetrameri.[99] Nel 2019, Cai et al.[100] hanno unito due molecole di BChE monomerica producendo un dimero stabile, attraverso l’introduzione di 48 mutazioni nella hBChE naturale. Questa strategia ha aumentato la stabilità degli enzimi, senza influenzarne l’attività. Anche l’unione della BChE all’albumina risulta valida per aumentare l’emivita biologica.
Huang et al.[99] hanno utilizzato un linker (Gly)6-‐Ser per collegare l’albumina sierica umana (HSA) e la hBChE ricombinante ottenendo un aumento sia dell’attività della hBChE ricombinante sia dell’emivita biologica del complesso con l’albumina.
La PEGilazione è stata effettuata e studiata in diversi lavori per migliorare il profilo farmacocinetico delle proteine bersaglio e per diminuirne l’immunogenicità. Grazie alla PEGilazione il tempo di circolazione medio dei tetrameri di hBChE ricombinante può essere aumentato da 10,3 a 36,2 ore.[101] In aggiunta a ciò, anche l’emivita biologica della rBChE di origine vegetale può essere incrementata nello stesso modo.[88] Anche la hBChE ricombinante modificata con la polisialilazione presenta un tempo di circolazione medio sei volte superiore, senza perdere l’attività contro gli organofosforici.[98,102] In generale le rBChE, considerate come un’alternativa alla BChE naturale, sono una promettente strategia, anche se presentano alcune carenze, come la bassa produzione e la scarsa emivita biologica. I tentativi precedentemente citati anche se non sono stati sufficienti per portare le rBChE all’utilizzo clinico, hanno posto ottime basi per futuri studi.
4. | RUOLO DELLA BCHE NELL’ABUSO DI DROGHE
L’abuso di droghe è un problema di salute pubblica presente in tutto il mondo, con gravi conseguenze in ambito medico, economico e sociale.[103] Negli Stati Uniti d’America, la cocaina è una droga di cui si fa ampio abuso, seconda solamente alla marijuana.[104]
Questa sostanza può causare una serie di problemi cardiovascolari, come infarto miocardico, insufficienza cardiaca, aritmie, dissecazione aortica ed endocarditi.[105] Il trattamento farmacologico con la cocaina, in certi soggetti, induce un’eccitazione diffusa del sistema nervoso centrale (SNC) e inibisce i recettori neuronali presinaptici, responsabili della ricaptazione di alcuni neurotrasmettitori come adrenalina, noradrenalina, serotonina e
dopamina, portando ad una continua attivazione dei neuroni postsinaptici.[106] In particolare, la cocaina può indurre dipendenza provocando un elevato rilascio di dopamina.[107] La dipendenza da droghe è un disturbo cronicamente recidivante, caratterizzato da un incontrollato comportamento che conduce alla ricerca ossessiva della sostanza e che porta a sintomi molto gravi.[108] Le uniche due strategie per trattare la dipendenza da cocaina sono la terapia cognitiva comportamentale e la gestione contingente dei sintomi, anche se entrambe queste terapie hanno mostrato un’efficacia molto limitata.[109,110] La terapia farmacologica per trattare l’abuso di droghe può basarsi sia su aspetti farmacocinetici che farmacodinamici,[111] anche se la prima è risultata non molto efficace, a causa del fatto che è praticamente impossibile bloccare gli effetti farmacologici della cocaina e mantenere le normali funzioni del SNC.[112] Queste difficoltà hanno condotto allo sviluppo di enzimi capaci di metabolizzare la cocaina,[113] in grado di eliminarla dal sistema circolatorio e impedire i suoi effetti stimolanti sui centri nervosi di ricompensa. Le vie di metabolizzazione della cocaina sono illustrate nella Figura 6.[114]
Figura 6. Tre vie di metabolizzazione della cocaina
N
O O
O O
N
O O
OH
O + OH
BChE
Estere metilico della ecgonina
Acido benzoico Cocaina
N-Demetilasi
HN O O
O Norcocaina O
BChE
HN
O O
OH
O + OH
Estere metilico
della norecgonina Acido benzoico N
O HO
OH +
Benzoilecgonina Metanolo CH3OH Carbossiesterasi
epatica
Nel 1997, per la prima volta fu dimostrata l’idrolisi della cocaina da parte della BChE.[1]
Oggi si pensa che questo sia uno dei principali enzimi responsabili dell’idrolisi della cocaina ad acido benzoico ed estere metilico dell’ecgonina, entrambi metaboliti non tossici (Figura 6).[106] In effetti grandi quantità di BChE naturale sono in grado di proteggere roditori e scimmie dagli effetti nocivi della cocaina, anche quando viene somministrata in dose letale.[8] Nonostante ciò, l’applicazione clinica della BChE per la disintossicazione dalla cocaina è stata interrotta a causa delle sue scarse proprietà farmacocinetiche (kcat = 4.1 min−1,KM = 4.5 μM).[113]
Comparate alla forma naturale, alcune varianti dell’enzima hanno mostrato un’elevata efficienza di idrolisi della cocaina, a tal punto da essere successivamente definite come CocH (cocaina idrolasi). Zheng et al.[115] hanno progettato ed espresso due hBChE mutate, chiamate CocH1 (A199S/S287G/A328W/Y332G)[116] e CocH3 (A199S/F227A/S287G/A328W/ Y332G),[117] grazie a particolari tecniche computazionali e protocolli basati sull’idrolisi della cocaina da parte della BChE. Rispetto alla BChE naturale, l’efficienza di idrolisi di questi due enzimi è aumentata, rispettivamente, di 1000 e 2020 volte. Questi enzimi hanno inoltre mostrato, in modelli animali in vivo, una eccellente capacità antagonista nei confronti della cocaina. Per esempio, i roditori trattati con CocH3 possono sopravvivere a una dose letale di cocaina (180 mg/kg, LD100), senza sviluppare sintomi quali convulsioni o crisi epilettiche.[117]
Inoltre, CocH1 e CocH3 hanno mostrato un’eccellente capacità di idrolizzare in vivo alcuni metaboliti tossici della cocaina, come cocaetilene, norcocaina e benzoilecgonina.[118-120]
Invece la capacità di CocH1 e CocH3 di idrolizzare l’acetilcolina diminuisce. Quindi, la trasmissione colinergica a livello periferico non dovrebbe essere influenzata, così come già avviene a livello cerebrale, a causa della loro scarsa capacità di attraversare la barriera emato-encefalica (BBB).[121,122] Analogamente ad altre rBChE, anche CocH1 e CocH3
hanno il difetto di una emivita biologica breve. Per risolvere questo problema sono stati intrapresi diversi studi.
Nel 2015, Chen et al.[115] hanno unito l’estremità carbossi-terminale della CocH3 con l’estremità ammino-terminale del frammento cristallizabile (Fc) per ottenere l’enzima CocH3-Fc. Fc è una regione dell’immunoglobulina umana IgG1, uno dei più comuni anticorpi presenti nel sistema circolatorio.[115] La CocH3-Fc può legarsi al recettore del Fc in ambiente acido e poi essere rilasciata nel torrente sanguigno. Questo ha portato ad un aumento dell’emivita: 3-6 giorni nei ratti e 12-23 giorni nell’uomo.
Purtroppo il collegamento tra questi due frammenti porta ad una diminuzione dell’attività verso la cocaina (circa 30% rispetto alla CocH3 originaria), probabilmente a causa del fatto che il frammento Fc impedisce l’ingresso della cocaina all’interno del sito catalitico.[123]
Perciò, nel 2019, essi introdussero un linker, (PAPAP)2, tra i due frammenti, ripristinando con successo l’attività catalitica verso la cocaina.[123] In un secondo tempo modificarono il frammento Fc all’estremità ammino-terminale della CocH3 generando una nuova fusione enzimatica, Fc-‐(PAPAP)2-‐CocH3, espressa in quantità 21 volte superiore rispetto all’enzima originario nelle cellule di ovaio di criceto cinese (CHO).
Anche CocH1 è stata modificata per allungarne l’emivita biologica. Brimijoin et al.[122]
hanno unito la CocH1 alla sua estremità carbossi-terminale con la HSA, ottenendo la CocH-Albu, chiamata anche TV-1380. Questo metodo ha incrementato in modo efficace l’emivita della CocH1 a 2-3 giorni, senza far perdere all’enzima l’attività anti-cocaina.
L’enzima TV-1380 riduce gli effetti nocivi della cocaina ed, inoltre, nei ratti, blocca il comportamento di continua ricerca della droga cocaina-indotto.[124] Nel 2015, l’industria farmaceutica Teva Ltd. ha condotto, durante i test clinici di fase 1, uno studio placebo in doppio cieco.[108,125] In questo studio, i consumatori di cocaina a scopo ricreativo venivano trattati prima con una singola dose e poi con multiple somministrazioni di TV- 1380 a dosaggio 50, 100 o 300 mg. Come risultato di questo studio, i livelli plasmatici di
cocaina mostravano una significativa riduzione in maniera dose-dipendente. In accordo con i risultati di questo studio, TV-1380 è stato considerato sicuro e ben tollerato.
Nonostante i buoni risultati, negli studi clinici di fase 2 condotti nel 2016, TV-1380 non è riuscito a soddisfare determinati requisiti, tra cui la monosomministrazione settimanale, a causa della bassa emivita.[126] Successivamente, Cai et al.[113] hanno modificato TV- 1380 spostando l’HSA dall’estremità carbossi-terminale a quella ammino-terminale della CocH1, generando l’enzima HSA-CocH1; in seguito, collegarono un linker alle due porzioni per evitare la diminuzione dell’attività enzimatica. Questa modificazione ha prolungato con successo l’emivita della CocH1 da 8 a 18 ore.
Risulta ovvio che uno degli svantaggi della terapia della dipendenza basata sugli enzimi è la richiesta del rilascio sostenuto dell’enzima. Considerando la bassa produzione di rBChE, questa strategia farmacologica è indubbiamente molto costosa. Perciò, alcuni studi hanno proposto il trasferimento del gene CocH come metodo alternativo per trattare la dipendenza da cocaina, il che potrebbe risultare non troppo costoso e potrebbe offrire una protezione a lunga durata dalle crisi di astinenza. Per esempio, dopo essere state trattate con dosi elevate di vettore virale associato ad adenovirus (AAV) o altri vettori adenovirali, nei quali viene inserita la CocH, le cellule epatiche nei roditori testati hanno espresso elevati livelli di CocH e la velocità di idrolisi della cocaina risultava accelerata di 1.000.000 di volte, proteggendo i roditori dalla morte, anche quando trattati con una dose letale.[127-129] Quindi, il trasferimento genico può mantenere concentrazioni efficaci di CocH nel plasma per un lungo periodo. I roditori trattati con i vettori trasportanti la BChE hanno mostrato una aumentata capacità di idrolizzare la cocaina per diversi mesi e, talvolta, fino a due anni.[130] Oltre a quanto detto, la terapia genica può eliminare la sensazione di ricompensa indotta dalla cocaina e ridurne l’impatto comportamentale in sei mesi, oltre a diminuire la autosomministrazione di cocaina nei ratti.[131-133] In aggiunta, Murthy et al.[130] hanno provato la stabilità e sicurezza dei vettori virali e dimostrato che
un’elevata espressione della CocH potrebbe non essere nociva per le funzioni motorie e cognitive nei topi. Nel 2020, Chen et al.[134] hanno condotto degli studi sulle “Buone Norme di Preparazione” sugli AAV8 e in nessuno di questi hanno riscontrato effetti avversi legati ai vettori virali. Sulla base di queste recenti scoperte, hanno ottenuto l’approvazione della Food and Drug Administration (FDA) per utilizzare gli AAV8 come nuovi farmaci sperimentali.
In generale si può affermare che, sebbene lo scarso periodo di permanenza rimanga comunque il principale problema da risolvere, la terapia della dipendenza da cocaina basata sulle varianti mutate della BChE sembra essere un approccio promettente e incoraggiante, tanto che alcune di queste forme sono sulla buona strada per l’applicazione a livello clinico.
5. | CORRELAZIONI TRA MORBO DI ALZHEIMER E BCHE
Il morbo di Alzheimer (AD) è una patologia neurodegenerativa legata all’età; i suoi sintomi più comuni sono la perdita di memoria e l’indebolimento cognitivo.[135] Come evidenziato dal World Alzheimer Report del 2019, ci sono più di 50 milioni di persone che soffrono di demenza e ci si aspetta un incremento fino a 152 milioni di malati nel 2050.[136] Nonostante siano stati fatti grandi progressi nella comprensione della patogenesi dell’AD dal primo caso diagnosticato nel 1907,[137] purtroppo non esistono ancora dei veri e propri farmaci che siano in grado di curare la malattia. Sebbene alcuni farmaci possano aumentare le funzioni mnemoniche e cognitive, non riescono comunque a modificare il decorso della patologia.[137]
5.1 | Correlazioni tra BChE e morbo di Alzheimer
Una delle ipotesi che descrive in modo più chiaro lo sviluppo dell’AD è quella colinergica.[138] Il 75% dei farmaci approvati dalla Food and Drug Administration (FDA)
per trattare l’AD sono stati sviluppati basandosi su questa ipotesi: tra i più importanti ricordiamo due inibitori selettivi della AChE, donepezil e galantamina, e un inibitore non selettivo delle ChE, la rivastigmina.[138] Secondo tale ipotesi, il diminuito livello di acetilcolina è il prerequisito per il declino cognitivo, mentre il ripristino dei suoi livelli porta ad un beneficio nello stato cognitivo del paziente affetto da AD.[139] Normalmente, l’acetilcolina (Ach) viene idrolizzata dalla AChE. Il ruolo secondario nell’idrolisi della acetilcolina porta la BChE ad essere un enzima gregario, che risulta importante solo in assenza della AChE.[5] Sebbene presentino numerose complicanze fisiologiche, come la perdita di fertilità e convulsioni, i topi AChE-knockout possono sopravvivere fino a età adulta, inoltre in questi animali la BChE può svolgere la funzione di idrolisi dell’Ach.[140]
Quindi, considerando il ruolo fondamentale della AChE nell’idrolisi della acetilcolina, l’inibizione dell’AChE allo scopo di aumentare i livelli di acetilcolina risulta essenziale dal punto di vista terapeutico per il morbo di Alzheimer. Nonostante ciò, sebbene sia stata confermata una lieve efficacia degli inibitori selettivi della AChE sui pazienti affetti da AD moderato, questi farmaci non sono sufficientemente efficaci per trattare i soggetti con Alzheimer avanzato.[138] Questo è dovuto al fatto che, nel cervello dei pazienti con AD avanzato, i livelli di AChE diminuiscono del 55-67%, mentre i livelli di BChE aumentano del 120%;[141,142] ciò significa che potrebbe non essere sufficiente inibire la sola AChE per ripristinare i livelli di acetilcolina. Inoltre, viene considerato rilevante il fatto che l’attività della BChE risulti significativamente elevata nell’ippocampo dei pazienti affetti da AD, poiché questa è una regione del cervello strettamente legata alle funzioni cognitive.[139] In aggiunta, considerando il problema degli effetti collaterali, inibire la BChE sembra essere una strategia persino migliore. Gli effetti avversi degli inibitori della AChE, come crampi agli arti inferiori o disturbi gastrointestinali, sono spesso derivanti da un’indesiderata inibizione enzimatica a livello periferico.[135] Per i soggetti che soffrono di patologie riguardanti la conduzione dell’impulso cardiaco è fortemente sconsigliato
l’utilizzo di inibitori della AChE, essendoci il serio rischio di aritmie bradicardiche.[135]
Al contrario, l’inibizione della BChE potrebbe non condurre a effetti collaterali significativi. La sicurezza della BChE è stata confermata dal fatto che i topi BChE- knockout possono condurre una vita normale e riprodursi,[143] avvenimento che si è osservato anche in soggetti con BChE “silente”.[31] Recenti studi hanno rivelato la stretta correlazione tra BChE e Aβ (β-amiloide), la principale caratteristica patologica dell’AD. In accordo con l’ipotesi della β-amiloide, la proteina precursore dell’amiloide (APP) viene scissa consecutivamente dalle β- e γ-secretasi, portando alla formazione della struttura peptidica finale tossica: Aβ1–40/42.[144] Nonostante alcuni meccanismi, come la microglia, siano considerati indispensabili per la clearance extraneuronale delle placche di Aβ, lo squilibrio tra la produzione di Aβ e la sua eliminazione dal sistema nervoso centrale porta alla formazione irreversibile delle placche di Aβ e, successivamente, allo sviluppo della patologia.[145] È stato dimostrato che le proprietà della BChE, come la sua attività catalitica, il pH ottimale (di massima stabilità) e la sensibilità agli inibitori delle ChE, sono notevolmente influenzate dalla presenza della Aβ.[25] Nonostante quanto appena detto, non è ancora chiaro se la BChE promuova o rallenti la formazione delle placche di Aβ. Da una parte, è stato evidenziato che la hBChE e il peptide sintetico 41 derivato dall’estremità carbossi-terminale della BChE sono inversamente correlati alla presenza di Aβ solubile, il che significa che sono in grado di ritardare l’inizio della formazione delle placche e diminuire la velocità di formazione delle fibrille di Aβ in vitro.[146] Dall’altra, un certo numero di studi ha sottolineato diversi effetti nocivi della BChE in caso di AD. La localizzazione istochimica della BChE ha dimostrato che la deposizione della BChE nelle placche senili presenta un chiaro parallelismo con la successiva aggregazione della β- amiloide; ciò significa che la BChE potrebbe interpretare un ruolo di primaria importanza nella formazione e maturazione delle placche di Aβ.[9] Altri studi hanno mostrato risultati coerenti con questa ipotesi. Per esempio, alcuni studi fatti su sezioni cerebrali di pazienti
dementi e non dementi hanno evidenziato come la BChE possa partecipare alla trasformazione della Aβ benigna nella sua forma maligna.[147] I topi BChE-knockout sono ottimi strumenti per studiare questo enzima. I ricercatori hanno osservato che nel cervello dei topi BChE-knockout la deposizione di placche di Aβ fibrillare diminuiva, suggerendo che tale enzima potesse promuovere la formazione patologica della β- amiloide.[25] Inoltre, le funzioni cognitive dei topi BChE-knockout non sono alterate dall’iniezione di Aβ25-35 neurotossica, mentre i topi Wild Type (WT) hanno mostrato, dopo tale iniezione, una diminuita capacità cognitiva.[148] Basandosi su queste considerazioni, l’inibizione della BChE al posto della AChE sembra poter essere una via terapeutica più promettente ed efficace per i pazienti con AD avanzato, con la possibilità di non causare effetti collaterali significativi. Per moltissimo tempo i ricercatori si sono concentrati principalmente sullo sviluppo di inibitori della AChE per trattare l’Alzheimer. Nonostante ciò, sono stati scoperti alcuni ligandi selettivi per la BChE; molti di tali composti sono stati scoperti fortuitamente durante la ricerca di inibitori selettivi della AChE. Negli ultimi anni, anche grazie alle conoscenze riguardanti la struttura della BChE, la progettazione di suoi inibitori ha suscitato un crescente interesse a livello mondiale.[138]
5.2. | Diversi tipi di inibitori della BChE
Per arrivare alla scoperta di inibitori selettivi per la BChE sono state seguite diverse strategie di chimica farmaceutica, tra cui l’ibridazione molecolare, il drug design basato sui carbammati, lo screening virtuale, il drug design basato su analoghi e l’estrazione da fonti naturali.
5.2.1 | Ibridazione molecolare
L’ibridazione molecolare è uno strumento particolarmente utile nella progettazione di farmaci. Consiste nell’unione di porzioni farmacofore di diversi composti attivi in un’unica
struttura molecolare.[149] Uno dei vantaggi dell’ibridazione molecolare è dato dal fatto che le molecole target possono avere le proprietà desiderate, grazie alla possibilità di scegliere quali specifiche porzioni farmacofore unire.[149] Questo metodo può aumentare l’affinità del ligando per il proprio recettore e può essere usato nella progettazione di farmaci direzionati verso diversi target (multitarget-direct ligands) (MTDL). Il morbo di Alzheimer è una patologia multifattoriale, ciò significa che farmaci che agiscono su un unico bersaglio potrebbero non essere sufficientemente efficaci per ripristinare il danno cognitivo. Quindi lo sviluppo di MTDL potrebbe essere più idoneo ed efficace per il trattamento di questa patologia. Di seguito sono elencati alcuni inibitori selettivi della BChE sviluppati negli ultimi anni, ottenuti mediante ibridazione molecolare.
La tacrina (Figura 7) è stato il primo inibitore delle ChE approvato dalla FDA nel 1993, ma dal 2003 non è più utilizzata in clinica a causa della sua marcata epatotossicità.[150]
Figura 7. Inibitori ibridi selettivi per BChE. Il nucleo della tacrina è colorato in rosso
N NH2
NH
O OH
NH2
Tacrina L-Triptofano N
HN O
HN
O NH2
NH
7
hAChE IC50 = 12.8 µM hBChE IC50 = 0.09 µM N
N S O
N NN Cl
COOH
6
N HN N
O N
N N
Br 5
hAChE IC50 = 12 µM hBChE IC50 = 0.52 µM
N N N
O
OEt
8
N NH
N N
N O O
9
hAChE pIC50 = 7.1 hBChE pIC50 = 8.7
Nonostante ciò, la porzione triciclica della tacrina è rimasta un farmacoforo largamente utilizzato nella ricerca di inibitori ibridi della BChE, grazie alla sua eccellente attività inibitoria verso le ChE, alla struttura relativamente semplice e al basso peso molecolare, caratteristiche che le permottono di agire come ligando ad elevata efficacia.[151] In seguito a diverse modificazioni strutturali, alcuni suoi derivati risultano ben tollerati, mantenendo elevata attività inibitoria verso le ChE.[151] Nel 2019, Chalupova et al. hanno segnalato un serie di derivati della tacrina combinata con L-triptofano (Figura 7)[150], un amminoacido essenziale, precursore di un neurotrasmettitore fondamentale nell’uomo: la 5-HT (5-idrossitriptamina o serotonina). La scelta di questo amminoacido è stata suggerita dal fatto che una elevata assunzione di triptofano con la dieta sembra possa ridurre la deposizione di Aβ nell’ippocampo di topi transgenici affetti da AD. [152]
Il composto 5 (Figura 7) ha mostrato un’ottima attività inibitoria verso la hBChE con un valore di IC50 0.52 µM e una selettività di 23 volte verso la hBChE. Grazie al frammento di L-triptofano, il composto 5 inibisce l’autoaggregazione della Aβ1–42 con percentuali del 47% alla concentrazione 50 µM. In seguito, AlFadly et al.[153] hanno sostituito l’amminogruppo della tacrina con un gruppo idrazinico, combinandolo con un nucleo legante il sito di legame periferico per ottenere inibitori duali delle ChE con doppio sito di legame. Successivamente hanno inserito il nucleo 1,2,3-triazolico, frammento chiave del composto 6 (Figura 7), che risulta inibitore sia della cicloossigenasi 2 (COX-2) sia della 15-lipoossigenasi (15-LOX), con lo scopo di incrementarne lo spettro di inibizione enzimatica.
Il composto 7 (Figura 7) inibisce la hAChE (acetilcolinesterasi umana) con un valore di IC50 12.8 µM e la hBChE con un valore di IC50 0.09 µM, fornendo un indice di selettività (SI = IC50 AChE/IC50 BChE) di 138. Il composto 7 (COX-‐1 IC50 = 13.9 µM, COX-‐2 IC50 = 0.041 µM) ha mostrato elevata selettività verso la COX-2, rispetto a COX-1, oltre ad essere un buon inibitore di 15-LOX (15-‐LOX IC50 = 4.32 µM). Mediante il saggio di