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REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

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Tribunale di Verona – Sentenza 6.6.2014 (Composizione monocratica – Giudice LANNI)

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

IL TRIBUNALE CIVILE E PENALE DI VERONA SEZIONE I

nella persona del dott. Pier Paolo Lanni ha pronunciato la seguente S E N T E N Z A

ESPOSIZIONE DEI MOTIVI DELLA DECISIONE

In via pregiudiziale si precisa che la presente sentenza viene redatta secondo la schema contenutistico delineato dagli artt. 132 e 118 disp. att.

c.p.c., come modificati dalla legge n. 69/09 (e quindi con omissione dello svolgimento del processo ed espressione succinta delle ragioni di fatto e diritto della decisione).

Con atto di citazione notificato il 1.03.2008, la A. C. S.r.l., deducendo che il proprio dipendente A. D. V., adibito all’istallazione e alla manutenzione del software C. presso il cliente S. L., dopo essersi dimesso nel gennaio 2007, era passato alle dipendenze di una società concorrente, la S. S.r.l., e al servizio di quest’ultima, aveva denigrato l’attrice ed aveva cercato di sviare il cliente S. L., con lo sfruttamento di informazioni, riservate ed acquisite durante il periodo di lavoro alle dipendenze dell’attrice ed anche successivamente (attraverso un meccanismo automatico di ricezione del messaggi relativi ai

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problemi di funzionamento del software presso la S. L., attivato durante il periodo di lavoro alle dipendenze dell’attrice e non disattivato dopo l’interruzione di tale rapporto), ha convenuto in giudizio A. D. V. e la S. S.r.l.

ed ha proposto nei loro confronti una domanda di inibitoria degli atti di concorrenza sleale e una domanda di condanna generica al risarcimento dei danni.

Costituitosi in giudizio, con comparsa di costituzione e risposta depositata il 13.06.2008, il convenuto D. V. ha contestato nel merito la sussistenza delle condotte sleali affermate dall’attrice, anche sotto il profilo della mancanza di un rapporto di concorrenzialità con la società convenuta, ed ha chiesto, in via riconvenzionale, la condanna della stessa attrice a risarcire al convenuto i danni patiti in conseguenza dell’azione promossa, in quanto lesiva della sua dignità professionale.

Si è, altresì, costituita in giudizio la convenuta S. S.r.l., con comparsa depositata il 12/6/08, ed ha contestato la domanda dell’attrice, negando sia gli atti di concorrenza sleale che la sussistenza di un rapporto di concorrenza, ed anzi ha formulato una domanda riconvenzionale di condanna al risarcimento dei danni ex art. 96 c.p.c.

Orbene, ai fini della decisione va premesso che l’applicabilità dell’art.

2598 c.c., invocato dall’attrice, presuppone il requisito soggettivo del cosiddetto "rapporto di concorrenzialità" tra l’imprenditore cui viene attribuita la condotta sleale e l’imprenditore che la subisce, senza che, tuttavia, la configurabilità dell'illecito concorrenziale sia da escludere quando l'atto lesivo venga compiuto da un soggetto (il cosiddetto “terzo

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interposto”), il quale agisca per conto di un concorrente del danneggiato, o comunque in collegamento con lo stesso, dovendo, in tal caso, ritenersi il terzo responsabile in solido con l'imprenditore che abbia accettato, si sia avvalso o comunque giovato della sua condotta (v. sul punto, da ultimo, Cass. n. 9117/12).

Sempre in via di premessa va precisato che il rapporto di concorrenzialità tra due imprenditori richiede il contemporaneo esercizio di una medesima attività industriale o commerciale in un ambito territoriale anche solo potenzialmente comune, e quindi la comunanza di clientela, la quale non è data dall’identità soggettiva degli acquirenti dei prodotti, bensì dall'insieme dei consumatori che sentono il medesimo bisogno di mercato e, pertanto, si rivolgono a tutti i prodotti che sono in grado di soddisfare quel bisogno. In particolare, la sussistenza del presupposto soggettivo in questione va verificata anche in una prospettiva solo potenziale, dovendosi accertare se l'attività di cui si tratta, considerata nella sua naturale dinamicità, consenta di configurare, quale esito di mercato fisiologico e prevedibile, sul piano temporale e geografico, e quindi su quello merceologico, l'offerta dei medesimi prodotti ovvero di prodotti affini e succedanei rispetto a quelli offerti dal soggetto che lamenta la concorrenza sleale (v., in questi termini e da ultimo, Cass. n. 17144/09).

Nella fattispecie è ravvisabile un rapporto di concorrenzialità tra l’attrice e la società convenuta, sia pure nell’accezione potenziale appena delineata, posto che entrambe le società si occupano di elaborazione dati e personalizzazione di softwares ed in particolare del programma C.. Esse

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commerciano, dunque, il medesimo prodotto che, per sua stessa natura, può essere utilizzato da clienti appartenenti ai più diversi settori. In altri termini, le parti operano rivolgendosi allo stesso mercato potenziale, anche se, al momento della proposizione della domanda, l’attrice si era concentrata sulla vendita del programma ad un unico cliente, una società di leasing, mentre la convenuta si era indirizzata verso la vendita prevalente del programma nel settore calzaturiero, alimentare e mobiliere).

Ciò posto, può procedersi all’accertamento delle due condotte di concorrenza sleale attribuite ai convenuti (sfruttamento illecito di informazioni riservate, con tentativo di sviamento sleale del cliente S. L., e diffusione di notizie ed apprezzamenti sulla condotta professionale e la qualità dei prodotti forniti da A., tali da determinarne il discredito).

Con riferimento alla prima condotta, astrattamente riconducibile alla previsione contenuta nell’art. 2598, n. 3 c.c., va premesso che si condivide il principio, ormai consolidatosi nell’elaborazione giurisprudenziale, secondo cui rientra tra gli atti di concorrenza sleale per violazione dei principi di correttezza professionale il comportamento diretto ad acquisire, con mezzi subdoli, notizie che l'impresa concorrente non abbia messo, né ritenga di mettere, a disposizione del pubblico. In particolare, rientra in questa nozione di concorrenza sleale, cosiddetta “parassitaria”, la condotta dell’imprenditore che, tramite l’assunzione di lavoratori alle dipendenze di un impresa concorrente, acquisisca di notizie riservate di quest’ultima, così da risparmiare sul costo dell'investimento in ricerca ed in esperienza ed alterando significativamente la correttezza della competizione, e ciò a

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prescindere dall'accertamento dell'eventuale presenza sul mercato di prodotti ottenuti sfruttando tali notizie (v, da ultimo , Cass. 1100/14).

Ovviamente, l’accertamento della configurabilità di questo tipo di concorrenza sleale deve essere effettuato prendendo in considerazione le peculiarità del settore commerciale in cui operano le imprese concorrenti ed avendo riguardo alle caratteristiche delle conoscenze acquisite attraverso gli ex-dipendenti, che devono essere specifiche, non divulgate dall’impresa che le abbia acquisite e non facilmente acquisibili dell’impresa concorrente (se non attraverso il ricorso ad appositi investimenti).

Nel caso di specie, tenuto conto dei dati pacifici tra le parti, delle produzioni documentali e delle deposizioni testimoniali (tra cui acquista particolare rilievo quella di A. N., all’epoca dei fatti dipendente della S. L.), può giudicarsi la prova delle seguenti circostanze di fatto: A. D. V., durante il periodo di lavoro alle dipendenze dell’attrice, ha sviluppato il software C.

presso la S. L., cliente dell’attrice; in questo modo ha acquisito la conoscenza delle esigenze di tale cliente e delle problematiche emerse nella gestione applicativa del software presso di essa; questa conoscenza è stata agevolata dalla predisposizione di un meccanismo di invio automatico, al suo indirizzo di posta elettronica personale, di messaggi di segnalazione degli errori emersi nell’elaborazione quotidiana dei dati presso la suddetta cliente; questo meccanismo di invio automatico dei reports del software ha continuato ad operare anche dopo la cessazione del rapporto di lavoro con l’attrice, quanto meno fino al dicembre 2007; A. D. V. ha chiesto l’interruzione di questo invio solo con comunicazioni dirette alla

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cliente, senza mai rivolgersi all’attrice, e, in occasione di alcune esse (in particolare con la e-mail del 24/10/07, prodotto come documento n. 3 del fascicolo dello stesso convenuto, e con la e-mail del 6/12/07, prodotta come documento n. 3 del fascicolo dell’attrice), prendendo spunto dai reports relativi agli errori ricevuti, ha proposto alla cliente stessa un contratto

con la nuova datrice di lavoro, la S. S.r.l., per la manutenzione del programma e la soluzione delle problematiche emerse, giungendo a qualificare come non “decorose” le procedure di funzionamento del programma installato dall’attrice (in questi termini, nella e-mail del 6/12/07);

la S. L. non ha accettato la proposta del convenuto, ma ha preferito rinunciare per motivi autonomi all’uso del programma CRM.

Tenuto conto di tali circostanze di fatto, appare evidente come A. D. V.

abbia utilizzato informazioni relative al funzionamento del software presso la S. L., appartenenti solo all’attrice e dalla stessa non divulgate, per cercare di sviare il cliente dall’attrice verso il suo nuovo datore di lavoro.

Questa condotta è senza dubbio riconducibile alla nozione di concorrenza sleale “parassitaria” su delineata, a prescindere dal rilievo che la società contattata non abbia aderito alla proposta del convenuto (preferendo interrompere l’uso del programma C.), essendo sufficiente, ai fini della configurabilità della condotta prevista dall’art. 2598 n. 3 c.c., la sua potenzialità lesiva, ovvero l’idoneità a creare un pericolo di un danno per l’imprenditore che la subisca (Cass. 3039/2005).

Con riferimento, poi, alla seconda condotta contestata ai convenuti, va premesso che la fattispecie prevista dall’art. 2598 n. 2 c.c. è ravvisabile

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ogniqualvolta siano diffusi nei confronti di più persone notizie ed apprezzamenti sull'attività imprenditoriale altrui in modo idoneo a determinarne il discredito, a prescindere dalla veridicità delle circostanze di fatto eventualmente rappresentate.

Nel caso di specie A. D. V., con la e-mail del 6/12/07, indirizzata a più dipendenti con ruoli dirigenziali della S. L., ad un dipendente e al legale rappresentante della S., ha espresso un apprezzamento sulle “procedure”

del programma gestite dall’attrice, evidentemente dispregiativo per l’attività di quest’ultima (le procedure sono infatti qualificate “non decorose”).

Tale condotta rientra senza dubbio nella fattispecie di concorrenza sleale su delineata, evidenziando che la trasmissione della e-mail offensiva a più dipendenti di una rilevante società per azioni operante nel settore creditizio, per di più con ruoli apicali, è idonea ad assicurare la diffusione della denigrazione nel settore di mercato in cui la società stessa opera.

Pertanto, entrambe le condotte di concorrenza sleale dedotte dall’attrice devono ritenersi sussistenti.

Più precisamente, la responsabilità di tali condotte va attribuita non solo al loro autore materiale, ma anche al datore di lavoro di quest’ultimo, la S.

S., sia perché l’attività del primo è direttamente riferibile al secondo nella misura in cui persegua un suo interesse sia perché, nel caso di specie, tale attività è stata di fatto accettata dalla società (tanto che il suo legale rappresentante era tra i destinatari della citata e-mail del 6/12/07).

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In forza di tali considerazioni deve essere accolta la domanda di inibitoria proposta dall’attrice, ai sensi dell’art. 2599 c.c., con la precisazione che è irrilevante, a questo fine, la cessazione della condotta di concorrenza sleale da parte dei convenuti, dopo le contestazioni dell’attrice, in quanto l’ordine di inibitoria è finalizzato ad impedire la ripetizione di condotte sleali per il futuro e quindi non richiede necessariamente che il comportamento illecito sia in atto (v. Cass. 6226/13).

Deve essere altresì accolta la domanda di condanna generica al risarcimento dei danni, proposta dall’attrice ai sensi dell’art. 2600 c.c., posto che alle condotte su indicate è ricollegabile una potenzialità dannosa in concreto, quanto meno con riferimento alla reputazione commerciale dell’attrice (sulla cui rilevanza in caso di condotte di concorrenza sleale, v., da ultimo Cass. n. 18082/13), restando irrilevante in questa prospettiva la circostanza che la S. L., come riferito dal testimone Nencini, abbia deciso di interrompere i rapporti con la parte inerenti la fornitura del software per motivi autonomi e non dipendenti dall’intervento del convenuto A. D. V..

L’accoglimento delle domande dell’attrice comporta il rigetto delle domande riconvenzionali dei convenuti (in quanto formulate proprio sul presupposto dell’infondatezza dell’azione attorea).

Le spese di lite seguono la soccombenza e vanno quindi poste a carico della convenuta nella misura liquidata in dispositivo (secondo i parametri di cui al DM n. 140/12).

P.Q.M.

definitivamente pronunciando:

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1) accoglie le domande dell’attrice e quindi condanna A. D. V. e S. S.r.l., in solido: a) ad astenersi dalla prosecuzione delle condotte di concorrenza sleale indicate nella parte motiva; b) a risarcire alla A. S.r.l. i danni subiti in conseguenza di tali condotte, da liquidarsi in separato giudizio;

2) rigetta le domande dei convenuti;

3) condanna A. D. V. e S. S.r.l., in solido, a rimborsare alla A. S.r.l. le spese di lite, che liquida in complessivi € 7000, di cui € 400 per spese, oltre Iva, se dovuta, e CPA.

Verona, 6/6/13

IL GIUDICE dott. Pier Paolo Lanni

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