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IL DIFFERENZIALE SALARIALE LORDO IN EUROPA pag.5 2

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INDICE

INTRODUZIONE pag.3 1. IL DIFFERENZIALE SALARIALE LORDO IN EUROPA pag.5 2. GENERE, DISCRIMINAZIONE, SEGREGAZIONE pag.11 2.1 Il “genere” e la discriminazione statistica pag.11 2.2 Discriminazione pre-mercato del lavoro pag.14 2.3 La segregazione pag.15 2.4 Discriminazione e segregazione pag.17 3. LA DISCRIMINAZIONE NEL MERCATO DEL LAVORO pag.19 3.1 “Audit studies” pag.19 3.2 La letteratura pag.20 3.2.1 I differenziali compensativi pag.21 3.2.2 La teoria della famiglia di Gary Becker pag.23 3.2.3 La discriminazione “da gusti” pag.27 3.2.4 Il contributo di Arrow pag.31 3.2.5 Le teorie della discriminazione nei mercati non competitivi pag.37 4. METODI DI ANALISI DEL DIFFERENZIALE

SALARIALE pag.41 4.1 Il metodo di Oaxaca pag.45

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4.2 Il problema della selezione pag.53 4.3 Il contributo di Murphy, Juhn e Pierce pag.56 4.3.1 la struttura dei salari in Italia pag.63 4.4 Scomposizione del differenziale salariale e il caso dell'Italia pag.65 4.4.1 L'età ed il differenziale pag.72 4.4.2 L'istruzione ed il differenziale pag.74 4.4.3 Il differenziale salariale tra settori e occupazioni pag.82 5. CONCLUSIONI pag.86 BIBLIOGRAFIA pag.105

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INTRODUZIONE

Questa tesi intende evidenziare l'esistenza di un differenziale salariale di genere nel mercato del lavoro europeo ed intende mostrare quali siano i fenomeni del mercato del lavoro che lo determinano.

Si indaga il fatto che pur a parità di produttività le donne siano sistematicamente meno retribuite degli uomini.

Si indagano i fattori collegati alla produttività quali quelli strettamente riferibili al capitale umano come istruzione ed esperienza e altri fattori quali la segregazione occupazionale, settoriale e per tipologia di contratti e la struttura del salario a livello nazionale, facendo riferimento al caso dell'Italia.

Si ricava infine che una struttura salariale decentrata che allarga il ventaglio retributivo non è condizione favorevole per una diminuzione del differenziale salariale di genere, visto che esso deriva soprattutto da pratiche del mercato del lavoro che destinano alle donne, segregate in occupazioni,settori e contratti tradizionalmente “femminili”, i salari più bassi.

Se quindi non può esistere per legge una discriminazione diretta verso le donne, persiste una discriminazione indiretta cioè esistono atti con effetti discriminatori che relegano le donne in una posizione di svantaggio nel

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mondo del lavoro rispetto agli uomini.

Si descrivono le ipotesi che la letteratura propone per dare una spiegazione ai differenziali salariali e si indagano le teorie della discriminazione salariale di genere in modelli competitivi e non competitivi. Si presenta poi il metodo di Oaxaca che consente di scomporre il differenziale salariale in diverse componenti e quindi riesce ad individuarne le cause. Si presenta poi l'evoluzione del modello che tien conto delle differenze nella struttura dei salari tra diversi paesi.

Con l'ausilio di statistiche descrittive si tenta di dare un'interpretazione alle cause del fenomeno.

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1 IL DIFFERENZIALE SALARIALE LORDO IN EUROPA

La letteratura sul mercato del lavoro femminile ha messo in luce l’esistenza di un differenziale salariale nonché di segregazione occupazionale delle donne.

Il differenziale salariale di genere è un indicatore adottato dalla Comunità Europea per misurare il grado di equità1 tra i generi ed è affiancato dal tasso di occupazione e di disoccupazione femminile per monitorare i progressi della Strategia di Lisbona. E' inoltre indicatore chiave per il monitoraggio della qualità del lavoro2 ed è un indicatore per costruire l'Indice di Sviluppo per genere e l'Indice di Partecipazione delle donne nell'annuale Rapporto sullo Sviluppo Umano3.

Un primo sguardo per avere un'idea del fenomeno dei differenziali salariali di genere è dato dal differenziale salariale medio lordo di genere.4 Per quantificarlo si prendono tutti i salari orari lordi dei lavoratori divisi per genere e si dividono per il numero dei lavoratori appartenenti ai due diversi

1 Viene definita come equa una situazione che assicura a ciascun individuo uguale possibilità, lasciando poi alla libertà individuale di sfruttarla o meno. La necessità di “Equità” può essere definita come “giustizia distributiva”.

2 La qualità del lavoro è misurata dall'Unione europea secondo vari aspetti e tra questi compare l'obiettivo dell'equità tra i generi che viene monitorato dai seguenti indicatori: differenziale salariale, tasso di occupazione , tasso di disoccupazione,indice di segregazione occupazionale e settoriale.

3 Tavola 24 e 25 dello “Human development report 2006”.

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generi.

Se ne tra una percentuale ovviamente facendo (Ŵfm*100).Il differenziale salariale lordo di genere sarà 100-(Ŵfm*100), con Ŵm,f il salario medio maschile o femminile.

Il risultato indica di quanto in media il salario maschile dovrebbe diminuire per essere uguale quello femminile. Sarebbe politicamente più corretto utilizzare come termine di paragone il salario femminile e vedere di quanto esso dovrebbe aumentare per essere uguale a quello maschile.

Tuttavia ogni ricerca usa come termine di paragone il salario maschile.

Nel Rapporto della Commissione Europea sulle Pari Opportunità datato 22.02.2006 si afferma che la differenza nelle retribuzioni tra donne e uomini nei paesi della Comunità Europea rimane inaccettabilmente a livelli alti e non mostra significativi segnali di superamento. In media, nell'Unione Europea , le donne guadagnano il 15% in meno degli uomini per ogni ora lavorata.

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“Differenziale salariale grezzo tra donne e uomini negli stati dell'Unione europea nel 1999 (colonna chiara) e 2004 (colonna scura)

Fonte: Eurostat. Per il Lussemburgo sono stati utilizzati dati amministrativi, per la Francia e Malta sono stati usati dati dell'Indagine sulla forza lavoro. Tutte le altre fonti sono indagini nazionali eccetto che le seguenti:

2004:Statistiche sui redditi e sulle condizioni di vita (EU-SILC) per EL,ES ed IE. I risultati di questa nuova indagine europea sono previsionali e soggetti a futuri miglioramenti e specificazioni.

1999: European community Household panel (ECHP)per - BE, DE, IT, DK, IE, UK, EL, ES, PT, AT, FI.

N.B. EU-25 NB: Le stime sull'EU-25 sono pesate sulla popolazione media dell'ultima ricerca nazionale valida, dove possibile aggiustata per tenere conto delle differenze tra i vari sistemi di rilevamento dei dati.

Eccezioni agli anni di riferimento: 2000 per MT, 2001 per BE e IT, 20002 per SI,2003 per AT,DK,FI e PT.

DK – un cambio nella fonte dei dati dal 2002 si stima abbia incrementato il differenziale salariale di genere di quattro punti percentuali.

DE – Dal 2002 sono stati usati : indagine nazionale sui salari e Indagine socio-economica. Si stima che questo abbia incrementato il differenziale salariale di un punto percentuale.

ES - Dal 2002 sono stati usati dati dalle dichiarazione dei redditi e dall'indagine sulla forza lavoro si stima che questo abbia aumentato il differenziale salariale di tre punti percentuale.

FR - Dal 2003 un cambio nelle fonti dei dati si stima abbia diminuito il differenziale salariale di un punto percentuale.

FI - Un cambio nelle fonti dei dati dal 2002 si stima abbia aumentato il differenziale salariale di quattro punti percentuale.

UK – Un cambio nella fonte dei dati dal 2002 si stima abbia aumentato il differenziale salariale di due punti percentuali.

AT, IE, EL : cambio di fonte dei dati : EU-SILC dal 2003” [European Commission,2006,p.15].

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Una diversa indagine sui dati dell'European Structure of Earning Survey5 (da ora in poi indicato con ESES), che è obbligatoria dal 1999 ma i primi dati disponibili sono del 2002, rivela che nell'Unione Europea allargata a 25 paesi, il differenziale salariale è in media di quasi il 25%. Il differenziale salariale di genere maggiore si riscontra in Inghilterra con il 30% e il minore in Slovenia con l'11%.

“Differenziale salariale grezzo tra donne e uomini negli stati dell'Unione europea, Romania, Bulgaria, Norvegia; anno 2002. Per Malta, Islanda e Liechtenstein i dati non sono disponibili.

Fonte: Eurostat: ESES 2002” [Janneke Plantenga & Chantal Remery 2006, p.12]

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La differenza nei risultati tra l'indagine precedente e questa non è solamente attribuibile al diverso anno studiato (1999-2004 e 2002 per il secondo grafico) ma è riconducibile anche al diverso campione esaminato. I dati dell'ESES infatti non comprendono il settore pubblico che solitamente serve a calmierare il differenziale salariale di genere visto che la maggior parte delle donne lavora nel settore pubblico e in media guadagna più delle donne che lavorano nel settore privato ed in più i dati dell'ESES non comprendono le imprese con meno di 10 dipendenti.

Nonostante la diversità delle fonti che usano campioni e metodologie diverse,fra tutti gli studi effettuati negli ultimi anni,si trovano comunque numerose costanti:

1. il differenziale salariale è più basso se si considera un campione di persone che sono appena entrate nel mercato del lavoro infatti il differenziale salariale tende ad aumentare con l'età;

2. il differenziale salariale è più basso nel settore pubblico;

3.il differenziale salariale è più alto tra i lavoratori sposati mentre è significativamente più basso tra i lavoratori non sposati (si veda il seguente grafico riferito alla situazione italiana)

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Fonte: Ministero del lavoro, Comitato Nazionale di Parità e Pari Opportunità, ITER s.r.l.,2001,pag.20.

Il differenziale salariale orario lordo detto anche “non aggiustato” è misura grossolana ma allo stesso tempo molto indicativa delle iniquità tra i due generi nel mondo del lavoro e laddove si confermi che l'indipendenza economica ha un ruolo fondante nella libertà dell'individuo, si può dire che questo differenziale rispecchi una situazione di iniquità tra i generi anche nella vita sociale e familiare.

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E' una misura grossolana perchè il fatto che le donne guadagnino in media meno degli uomini può derivare da molti fattori. Per fare un esempio, se si suppone che tutte le donne impiegate abbiano soltanto la licenzia media e che invece tutti gli uomini siano laureati, allora l'esistenza del differenziale sarebbe giustificato (rifacendoci alla teoria del capitale umano, un maggior livello di istruzione è indice di una maggiore produttività).

Un altro esempio è che se si assume che le donne che lavorano siano assunte per la maggior parte in lavori "atipici"6, che sono meno retribuiti, allora questo fa in modo che il reddito medio delle donne si abbassi aumentando il differenziale.

E' quindi necessario introdurre alcune definizioni e soprattutto analizzare i molteplici fattori che determinano il differenziale salariale di genere, per vedere se esso è generato da una qualche forma di discriminazione verso le donne all'interno del mercato del lavoro o se è generato da una serie di caratteristiche strutturali diverse nelle due popolazioni.

2 GENERE,DISCRIMINAZIONE,SEGREGAZIONE

2.1 Il “genere” e la discriminazione statistica

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Si parla di differenziale salariale di genere nel caso di differenziale salariale tra due categorie di percettori : il genere maschile e il genere femminile.

Se il sesso è un insieme di caratteri biologici, il genere è un prodotto della cultura umana e il frutto di un persistente rinforzo sociale e culturale dell’identità.

La parola genere,indica la maniera in cui mascolinità e femminilità sono concepite come categorie socialmente costruite. Si può dire che il genere operi come una categoria ordinatrice e organizzatrice delle relazioni sociali7.

Una lettura attenta degli aspetti di genere è applicabile a tutte le branche delle scienze umane, sociali, psicologiche, letterarie, economiche e questi studi sono spesso connessi a studi sulla condizione femminile.

Lo studio dei differenziali salariali di genere è lo studio della differenza tra le retribuzioni percepite da lavoratori di genere maschile e lavoratori di genere femminile.

In una visione sintetica , il salario di ciascuno dipende dalla sua produttività ma il sesso non è una caratteristica produttiva. I differenziali salariali (cioè riferiti alla retribuzione oraria) e i differenziali retributivi (riferiti alla

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retribuzione complessiva per esempio quella annuale) possono in linea generale esser dovuti alle differenze in una serie di fattori strutturali come l’esperienza del lavoratore, la sua istruzione, la sua anzianità, il settore in cui è impiegato e altri.

Quando esiste a carico di alcuni lavoratori un differenziale salariale che non può essere spiegato da alcuno dei suddetti fattori, fattori che tradizionalmente sono legati direttamente o indirettamente alla produttività del lavoratore, si parla di discriminazione salariale cioè discriminazione dei salari in base a caratteristiche come il sesso o la razza.

Altri fattori quindi inficiano la determinazione del salario rendendolo minore per le donne.

Forse il fattore che più influenza il differenziale salariale tra i sessi è proprio la costruzione sociale dei due sessi ovvero il genere ovvero la minor produttività che la cultura comune associa al lavoro delle donne.

Il fatto che alle donne sia associato un diverso grado di produttività è il sunto della teoria della discriminazione statistica avanzata da Phelps (1972) e da Arrow (1973).

Secondo questa teoria si ha discriminazione in base a percezioni di massa, in un contesto di asimmetria informativa. Essendo costoso avere informazioni sui singoli individui, il datore di lavoro si affiderebbe a

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percezioni e nel farlo percepirebbe la produttività media delle lavoratrici minore di quella dei lavoratori maschi.

E' da sottolineare che lo studio dei differenziali salariali di genere non si può limitare all'analisi delle diverse retribuzioni delle due popolazioni all'interno del mercato del lavoro ma deve estendersi all'analisi delle cause e delle conseguenze di prassi (discriminatorie o comunque con effetti discriminatori) presenti all'esterno del mercato del lavoro che hanno esiti all'interno del mercato del lavoro. A questo scopo è indispensabile introdurre alcuni concetti quali la discriminazione pre-mercato del lavoro e la segregazione.

2.2 Discriminazione pre-mercato del lavoro

Le azioni discriminatorie possono essere distinte tra quelle che avvengono all’interno e quelle che avvengono all’esterno del mercato del lavoro.

Quelle che avvengono all’esterno sono quelle pre-mercato del lavoro perché sono quelle che derivano da caratteristiche acquisite dall’individuo prima di entrare nel mercato del lavoro e che rende meno competitivi i discriminati . Le caratteristiche acquisite prima di entrare nel mercato del lavoro fanno riferimento alla scolarità , alla capacità di adattamento al

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lavoro e a tutte le abilità e i talenti ereditati dal background familiare e sociale. Infatti, il processo di acquisizione del capitale umano dipende dalle aspettative sulla remunerazione futura ed è ovvio che se atti discriminatori all’interno del mercato del lavoro riducono il rendimento del capitale umano del gruppo discriminato, i membri di quest’ultimo saranno meno incentivati ad acquisire istruzione; come conseguenza si ritroveranno con salari inferiori , apparentemente in virtù di una minore produttività ma in realtà a causa di pratiche discriminatorie.

2.3 La segregazione

Si ha segregazione quando si osserva una sistematica sovra- rappresentazione femminile (o di un particolare gruppo etnico) in particolari settori. La segregazione di genere significa che le donne sono concentrate in determinati segmenti del mercato del lavoro : nei lavori con bassa qualifica,nei servizi, nel settore pubblico, nei lavori atipici ed in particolare nei lavori part-time.

“Le donne infatti non si distribuiscono in modo uniforme nei settori di attività, nelle professioni e nei mestieri ma si concentrano prevalentemente in poche occupazioni spesso legate a stereotipi sociali e ricalcati sui ruoli

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tradizionali del lavoro domestico e di cura (insegnanti, segretarie, impiegate, parrucchiere, infermiere, commesse, assistenti sociali, cassiere, dietiste, ecc…).

Questi lavori sono caratterizzai da retribuzioni poco elevate , bassa qualificazione e scarse prospettive di carriera , ma sono più compatibili di altri con la gestione delle responsabilità familiari (vicini al luogo di residenza, con orari flessibili, con incarichi di routine che non richiedono trasferimenti e straordinari ecc…)” [Rosti, 2006,p93].

La letteratura economica distingue due forme di segregazione:

una segregazione orizzontale riferita alla concentrazione dell’occupazione femminile in un ristretto numero di settori e professioni,una segregazione verticale riferita alla concentrazione femminile ai livelli più bassi della scala gerarchica nell’ambito di una stessa occupazione.

La presenza di segregazione orizzontale evidenzia l’esistenza di stereotipi sociali legati al genere che ostacolano la flessibilità del mercato del lavoro ; la presenza di segregazione verticale evidenzia l’esistenza di un soffitto di cristallo che ostacola il percorso di carriera delle donne e le esclude dalle posizioni apicali.

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2.4 Discriminazione e segregazione

I fenomeni di discriminazione e di segregazione sono quindi tra loro intimamente collegati laddove si riconosce che un individuo investirà in capitale umano in proporzione all’utilità attesa dell’investimento. Si avrà quindi un minor investimento in capitale umano da parte delle donne e conseguentemente una maggiore possibilità che le donne trovino un lavoro meno retribuito perchè a livelli gerarchici più bassi o in settori considerati

“femminili” e caratterizzati da una minore retribuzione.

Sempre su questo punto si assottiglia ovviamente la distinzione tra discriminazione pre-mercato del lavoro e nel mercato del lavoro laddove si riconosce che la sistematica minor retribuzione delle donne porti loro ad investire in misura minore in capitale umano.

Da questo punto di vista la segregazione occupazionale può essere considerata come causa e conseguenza dei differenziali salariali di genere:

causa laddove modifica la quantità di investimento in capitale umano e conseguenza laddove l'esistenza dei differenziali salariali determinano la percezione di una utilità attesa minore per l’investimento in capitale umano.

In maniera sintetica si può dire che l’offerta di lavoro è determinata dal sistema di incentivi cioè dai prezzi e quindi è distorta dai differenziali

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salariali.

Vedremo in seguito come in realtà anche un maggiore investimento in istruzione da parte delle donne sia “inquinato” dal fatto che le donne compiano “scelte scolastiche segreganti” .

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3 LA DISCRIMINAZIONE NEL MERCATO DEL LAVORO

3.1 “Audit studies”

I “gender audits studies” sono metodologie empiriche per vedere se esiste discriminazione in un mercato.

L'idea di partenza è che soggetti simili in ogni caratteristica ma diversi nella caratteristica che si suppone possa essere origine di discriminazione, si presentino come partecipanti in uno stesso mercato per vedere i diversi esiti e stabilire quindi se esita o meno discriminazione.

Goldin e Rouse in “Orchestratin impartiality:the impact of "blind"

auditions of female musicians” del 1997 hanno condotto uno di questi studi analizzando le assunzioni delle orchestre sinfoniche americane. Hanno rilevato che compiendo audizioni al buio è incrementato il numero delle donne assunte. Usando audizioni al buio infatti le probabilità che una donna superasse il primo livello di audizione aumentava del 50% rispetto al caso di audizioni non “blindate” ed aumentava ancora di più al secondo livello di audizioni. L'uso delle audizioni “al buio” può spiegare tra il 30% e il 50%

dell'aumento della presenza femminile tra le nuove assunzioni nelle orchestre sinfoniche in America dal 1970 al 1996.

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Un altro esempio è lo studio svolto da Neumark “Sex Discrimination in Restaurant Hiring: An Audit Study” del 1996, nel quale un campione di studenti e studentesse sono stati mandati a cercare lavoro nel settore della ristorazione: i maschi hanno ottenuto offerte da ristoranti di alto livello, le donne da ristoranti a buon mercato.

3.2 La letteratura

Per analizzare il fenomeno dei differenziali salariali è utile dare uno sguardo alla letteratura che ne dà molteplici interpretazioni rifacendosi al concetto di discriminazione nel mercato del lavoro . Per definizione la discriminazione nel mercato del lavoro è il diseguale trattamento salariale di persone con stesse caratteristiche produttive.

La teoria economica sui differenziali salariali si può dividere in tre grandi blocchi:

una teoria che spiega i discriminali salariali senza far ricorso alla discriminazione(teoria dei differenziali compensativi);

una teoria della discriminazione nei modelli competitivi (discriminazione da gusti di Becker) ;

una teoria della discriminazione in modelli non competitivi

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(discriminazione statistica, teoria dei mercati segmentati).

3.2.1 I differenziali compensativi

Nel modello di mercato perfettamente concorrenziale si presume che i datori di lavoro e i lavoratori siano price-taker e quindi che non possano influenzare rispettivamente il prezzo di vendita dei prodotti e il prezzo di vendita del lavoro ovvero il salario.

Ogni lavoratore è pagato in base alla sua produttività marginale che è uguale al costo marginale per l’impresa e nel caso in cui si verifichino dei differenziali retributivi questi sono generati dall’eterogeneità dei lavoratori che differiscono nelle preferenze o nelle caratteristiche.

Quindi se si verificano dei differenziali retributivi si dicono differenziali compensativi cioè che “risarciscono” il lavoratore per caratteristiche del posto di lavoro come magari la pericolosità o la lontananza oppure perché richiedono un maggior livello di istruzione.

Sembra quindi che il differenziale sorga nel raggiungimento dell’equilibrio tra domanda e offerta di lavoro tramite la formazione di differenziali compensativi.

“La differenza non è quindi discriminazione ma scelta degli individui

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conforme alle rispettive preferenze.” [Luca Flabbi, 2001, p. 393]

Già Adam Smith ne “La Ricchezza delle nazioni” elencava cinque circostanze in grado di determinare i differenziali salariali (compensativi):

1. "i salari di lavoro variano a seconda che l'impiego sia facile o difficile,pulito o sporco,onorevole o disonorevole;

2. i salari di lavoro variano con la facilità e poca spesa e con la difficoltà e molta spesa d'imparare il mestiere;

3. i salari di lavoro variano nelle differenti professioni, variano con la costanza o incostanza dell'impiego;

4. i salari di lavoro variano secondo la necessità di riporre maggiore o minore fiducia negli operai;

5. i salari di lavoro variano nelle differenti professioni, variano secondo la probabilità o l'improbabilità dei medesimi”.[Adam Smith, 1776,capitolo 10, parte I]

Spiegare i differenziali salariali di genere secondo questa teoria è come sotto intendere che le donne siano per esempio meno propense ad accettare un lavoro lontano da casa e, se anche fosse vero, bisogna analizzarne il perchè.

Riguardo alle “preferenze” delle donne che generano differenziali salariali , alcuni studiosi spiegano che il differenziale salariale di genere possa

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derivare, almeno in parte , dal fatto che le donne si sposino solitamente con uomini più grandi. Questo diminuirebbe la flessibilità delle donne nel mercato del lavoro e giustificherebbe il differenziale salariale [Elul,Silva Reus,Volij,1998].

3.2.2 La Teoria economica della famiglia di Gary Becker

Se, come sopra ricordato, una differenza nelle preferenze può riguardare le caratteristiche del lavoro svolto, un secondo ordine di differenze può essere considerato quello che fa allocare il tempo tra attività sul mercato e attività in famiglia a seconda del genere.

In questa maniera si considerano le donne diverse dagli uomini per alcune caratteristiche sistematiche che ne influenzano le preferenze e si considerano queste preferenze le uniche responsabili di un differenziale salariale.

La Teoria della famiglia di Becker fa proprio questo.

L’attività economica femminile, domestica ed extra-domestica, contribuisce in maniera cruciale alla produzione, alla riproduzione, al benessere collettivo. E’ infatti noto che nei paesi più poveri del mondo, laddove si

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registra una maggior ricchezza nelle mani delle donne, si registra anche un maggior livello di benessere collettivo.

Nonostante la grande importanza dell’attività femminile nella produzione del benessere, la definizione classica di lavoro produttivo ha escluso dall’analisi economica il lavoro di riproduzione e di cura tipico dell’attività femminile. Il lavoro di riproduzione e di cura è stato introdotto nell'analisi economica con la Teoria della famiglia, la “new household economics” di G.Becker che può essere considerata come una risposta antifemminista che Becker, inserito nella teoria neoclassica, dava ai risultati dell’economia del mercato del lavoro femminile

Come argomenta Elisabetta Addis [1996], negli anni '70, studi economici del mercato del lavoro femminile e della discriminazione razziale nel mercato del lavoro condotti all’interno della tradizione marginalista posero gli economisti di fronte a due alternative: gli studi del mercato del lavoro femminile evidenziarono che il salario non risultava essere uguale alla produttività marginale del lavoro ma più’ grande o più’ piccola a seconda che uno stesso lavoro fosse svolto da un uomo o da una donna, da un bianco o da un nero quindi o si rinunciava al modello neoclassico e si iniziava a descrivere la realtà usando altri modelli oppure si continuava a seguire il modello neoclassico e ad aggiungervi politiche pubbliche interventiste per

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riportare i mercati a quello che per un economica neoclassico è un uso ottimale delle risorse.

“A questo punto sopravviene l’elaborazione di Gary Becker e dell’Economia della famiglia ,che costituisce un modello in grado di mostrare come diversi esiti di uomini e donne sul mercato del lavoro e la diversa divisione del lavoro domestico sono frutto di una scelta data dalle preferenze e dalle dotazioni e non richiedono interventi correttivi.

Modellando esplicitamente l’uso del tempo, Becker riesce a riaffermare la tradizionale accoppiata marginalismo-non interventismo . E allo stesso tempo riafferma la piena adeguatezza del modello neoclassico a descrivere anche i mercati del lavoro. Riduce quindi un’importante smagliatura che rischiava di crearsi tra le due componenti dell’impianto neoclassico e vale al suo autore un Premio Nobel. Per ottenere questo risultato , per la prima volta il lavoro di cura viene reso visibile ed entra a far parte del discorso dell’Economia” [Addis 1996, p.39]

“Se una visione preanalitica potente impedisce di considerare gli esiti delle donne sul mercato del lavoro come imperfezioni del mercato che debbono essere corrette da politiche adeguate, allora bisogna andare a scavare sul tema dell’individuo e andare ad esaminare cosa effettivamente possa significare che uomini e donne sono individui uguali nello scambio

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familiare e modellare esplicitamente la possibilità che essi siano differenti , non nei meccanismi fondamentali (tutti gli individui hanno una funzione di utilità e la massimizzano) ma per lo meno nelle dotazioni iniziali e nei gusti.

questa è la strada scelta da Becker”. [Addis, 1997, p. 49]

Modelli di economia della famiglia a questo proposito sviluppano l’idea di un vantaggio comparato che le donne avrebbero nel lavoro in famiglia.

Becker spiega che i rendimenti crescenti che derivano dal capitale umano specializzato sono una “forza potente” per la creazione della decisione di lavoro , nella allocazione del tempo e negli investimenti di capitale umano tra mariti e mogli. Poiché il lavoro domestico e la cura dei figli richiedono maggiore intensità di “effort” del tempo libero e delle altre attività non lavorative,le donne sposate spenderanno una minor quantità di “effort” per ciascuna ora di lavoro del mercato rispetto agli uomini sposati che lavorano per lo stesso numero di ore. Pertanto, le donne sposate hanno salari orari più bassi degli uomini sposati con lo stesso capitale umano, ed economizzano l'”effort” erogato sul mercato del lavoro scegliendo quelle occupazioni che ne richiedono di meno. I salari femminili sono dunque negativamente condizionati dalle responsabilità domestiche anche quando le donne partecipano alla forza lavoro per lo stesso numero di ore degli uomini , perchè diventano stanche , devono stare a casa a curare i figli malati o per

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badare ad altre emergenze , e sono meno disponibili agli straordinari o ad accettare quei lavori che richiedono di viaggiare molto”.[Becker,”Human capital, effort and the sexual division of labor”, 1985 p.44; citato in Rosti,1996, p.97]

3.2.3 La discriminazione da gusti

Esistono modelli che fanno riferimento al modello standard della concorrenza perfetta ma esplicitamente indagano l’emergere di pratiche discriminatorie.

Se prima si parlava della situazione dal lato dell'offerta ora si para di discriminazione dal lato della domanda.

Nuovamente si deve far riferimento ad un modello di Gary Becker, quello della discriminazione da gusti che conserva le ipotesi di mercato neoclassiche ma si affida alle preferenze degli agenti del mercato del lavoro (datori di lavoro, lavoratori, consumatori) per spiegare la presenza di discriminazione.

La teoria neoclassica dell’allocazione delle risorse stabilisce che la remunerazione di ciascun fattore di produzione è pari alla sua produttività marginale , sempre che valgano le assunzioni standard del modello

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neoclassico.

Un’impresa in questa situazione assumerà lavoratori (o ogni altro fattore di produzione) fino al punto in cui il valore dell’ultima unità di lavoro impiegato eguagli il costo marginale di tale unità, cioè il salario monetario e gli altri costi del lavoro. C’è discriminazione dunque quando alcuni lavoratori sono pagati più’ o meno della loro produttività marginale.

“C’ è quindi discriminazione economica quando il fenomeno discriminatorio è tale da influenzare la struttura dei prezzi, in questo caso i salari e l’allocazione delle risorse, in questo caso i lavoratori”. [Flabbi, 2001,pag.382]

Il lavoro considerato seminale in questo campo è “The economics of discrimination”, pubblicato per la prima volta nel 1957 da Gary Becker.

Becker introduce il termine di discriminazione da gusti riferendosi alle differenze nelle preferenze che possono essere dichiaratamente razziste o sessiste dei datori di lavoro, dei lavoratori o della clientela.

Becker ipotizza l’esistenza di due popolazioni W e B, la popolazione W dotata di alta intensità di capitale e la popolazione B dotata di alta intensità di lavoro. Il prodotto marginale e quindi il salario è maggiore in W. Queste due popolazioni compiono scambi fino a raggiungere l’equilibrio fino quando il prodotto marginale del capitale eguaglierà il prodotto marginale

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del lavoro. Becker definisce discriminazione quel meccanismo che non fa raggiungere questo equilibrio. Questo meccanismo è derivato dalla preferenza degli individui della popolazione W che sono disposti a pagare un prezzo per soddisfare questa loro preferenza che non è alto che una cd.

discriminazione da gusti.

Quindi il datore di lavoro che ha preferenze discriminatorie sostiene un costo “psichico” che abbasserà il profitto. Il datore di lavoro si comporterà come se i costi di assunzione siano dati non dal salario ma dal salario moltiplicato per il coefficiente di discriminazione “d” che misura l'entità del pregiudizio.

Becker ipotizza la possibilità di pratiche discriminatorie non solo da parte dei datori di lavori ma anche da parte dei lavoratori e da parte dei consumatori.

I consumatori sarebbero disposti a pagare per lo stesso bene un prezzo p – d in luogo del prezzo di mercato p, quando il bene e’ comprato da un venditore appartenente al gruppo discriminato, con p prezzo di mercato del bene e d valore della discriminazione.

La donna discriminata a contatto con il pubblico sarà quindi meno produttiva in termini di ricavi e pertanto otterrà un salario inferiore. Per esempio nel caso di una venditrice di automobili: l’acquirente medio

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probabilmente ha scarsa fiducia nella competenza motoristica delle donne.

Oppure,alcuni lavoratori potrebbero avere preferenze sessiste e richiedere un salario W+d per lavorare a fianco del gruppo discriminato,con W salario e d valore della discriminazione.

La discriminazione risulta essere in contrasto con la massimizzazione del profitto ed è quindi destinata a scomparire nel lungo periodo viso che è sufficiente che esista un unico datore di lavoro che non discrimini affinché gli altri smettano di discriminare per non essere espulsi dal mercato.

Nel caso di discriminazione dei datori di lavoro, il datore che discrimina potrebbe assumere solo uomini, il consumatore che discrimina potrebbe per indurre i datori di lavoro ad assumere donne per lavori che non hanno contatto con il pubblico, i lavoratori che discriminano saranno divisi in categorie separate quindi si potrebbe arrivare all'eliminazione dei differenziali salariali ma all'aumento della segregazione occupazionale.

Ma,nel lungo periodo, anche in presenza di un solo datore di lavoro non discriminante, le forze concorrenziali tenderebbero all'eliminazione della discriminazione.

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3.2.3 Il contributo di Arrow

Il modello neoclassico della discriminazione è stato reintrodotto da Arrow nel 1973. Nel modello di Arrow non ci sono due popolazioni con diverse preferenze e diverse dotazioni di capitale e lavoro ma due gruppi di individui ( U uomini e D donne) con caratteristiche che li rendono perfetti sostituti. Avranno cioè stesse caratteristiche rispetto alla produttività ma diverse caratteristiche rispetto a variabili non indicative della produttività quali il sesso. Si assume che esistano un gran numero di imprese uguali che producono lo stesso prodotto con la stessa combinazione di fattori, abbiano cioè la stessa tecnologia, espressa dalla funzione di produzione e assumano i lavoratori e vendano il prodotto in mercati perfettamente competitivi dove vige competizione completa.

Si attuerà discriminazione quando alcuni degli agenti economici avranno una valutazione negativa di una caratteristica della popolazione D non associata alla produttività ovvero una positiva valutazione di una caratteristica della popolazione U e quando, sottolinea Arrow, “tali agenti sono non solo disposi ma anche in grado di pagare per poter agire secondo tale valutazione.” [Addis,pagina 66]

“Supponiamo che il datore di lavoro massimizzi non i profitti ma una

(32)

funzione di “utilità” U(p,D,U) dove p è il profitto,D il numero delle donne assunte e U il numero degli uomini assunti.

Assumiamo per semplicità che vi sia un solo tipo di prodotto Y che dipende dal numero di lavoratori impiegato.

Y= ƒ(D+U).

Standardizzando per Y che funge da unità di conto, avremo che p=ƒ(U+D) – a U – b D (1)

dove a e b sono rispettivamente i salari di U e di D, considerati dai datori di lavoro come dati.

Il datore di lavoro eguaglia la produttività marginale di ciascun lavoratore al costo e cioè, se assumiamo che abbia un'attitudine negativa verso l'assumere lavoratrici , il costo per l'imprenditore sarà uguale al salario b più il coefficiente di discriminazione d.

Il coefficiente di discriminazione corrisponde dunque al saggio marginale di sostituzione tra profitto e lavoratrici , col segno negativo.

L'utilità marginale del lavoro delle donne è negativa e il coefficiente d sarà positivo.

MPD = b+d (2) Dall'analisi microeconomica sappiamo inoltre che :

d = - MRp.

(33)

dove MRp è il saggio marginale di sostituzione dei profitti per il lavoro delle donne.

In equilibrio , il coefficiente di discriminazione delle donne è il negativo di tale saggio. Esso ci indica cioè a quanto profitto il datore di lavoro dovrà rinunciare per indulgere nella discriminazione antifemminile: tanto più quanto più è grande la sua avversione ad assumere donne. Si può definire simmetricamente una preferenza per assumere lavoratori misurata da un coefficiente h e avremo che

MPU = a - h. (3)

Ma se i lavoratori hanno la stessa produttività e sono quindi intercambiabili nel processo di produzione, è necessario che MPD = MPU = MP

e ne seguirà quindi che a – h = b + d (4) cioè che a - b = h + d > 0.

In equilibrio quindi il salario maschile a sarà superiore a quello femminile b, tanto di più' quanto più elevata sarà la frequenza ad assumere uomini h e l'attitudine negativa verso le donne d. Se tutte le imprese avessero la stessa funzione di utilità , allora tutte assumerebbero lavoratrici e lavoratori nelle stesse proporzioni , presumibilmente pari in media alla presenza di lavoratrici e lavoratori nel mercato del lavoro cioè al tasso di partecipazione alla forza lavoro. Il tasso di disoccupazione sarebbe il

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medesimo in media per maschi e femminine. L'effetto della discriminazione in questo caso è puramente distributivo: le lavoratrici sono remunerate meno del loro prodotto marginale, i lavoratori sono remunerati più del loro prodotto marginale. L'allocazione del lavoro è efficiente e non vi è alcun effetto sui profitti. Un'ipotesi plausibile è infatti che il livello di soddisfazione dell'imprenditore dipenda dal numero di donne e uomini che assume e dal coefficiente di discriminazione e si mantenga costante per diverse dimensioni di impresa in maniera tale che

hD – dD = 0 (5) Ricordando che MPD = MPU = MP avremo allora che p= ƒ(L) – (MP)L + hU - dD,

dove L = U + D è la forza lavoro totale assunta.

In assenza di discriminazione i profitti sarebbero P= ƒ(L) - (MP)L

e quindi la differenza fra i profitti in presenza e in assenza di discriminazione è pari a

p – P = hU - dD

ed è nulla in virtù della (5). Non vi è differenza tra i profitti in presenza e in assenza di discriminazione.

Ma se cambiamo l'assunzione che le imprese abbiano la stessa funzione di

(35)

“utilità” e assumiamo invece che ci siano imprese meno avverse all'assunzione di donne e imprese più avverse all'assunzione di donne , per quanto riguarda i profitti la situazione cambia.

Avremo infatti che le equazioni (4) e (5) valgono ancora per ciascuna impresa ma alcune imprese avranno un coefficiente di discriminazione maggiore e altre minore e quindi avranno un saggio marginale di sostituzione del profitto per il numero delle lavoratrici più o meno negativo, a seconda della proporzione di donne occupate, D/U.

Dalle equazioni (4) e (5) abbiamo che d=U(a-b)/(D+U)

h=-D(a-b)/D+U) ovvero D/L=h/(a-b)

U/L=d/(a-b)

Quando d>0, se vi sono lavoratrici assunte il loro salario sarà inferiore a quello maschile cioè a>b come prima. Tuttavia osserveremo l'esistenza di imprese con diverse proporzioni di lavoratori e lavoratrici a seconda del loro coefficiente di discriminazione. Le imprese in cui d è minore assumeranno un maggior numero di donne. Comincia così ad apparire un meccanismo di “segregazione”: le donne e gli uomini si concentrano ciascuno in determinate imprese. Ma vi è di più. Le equazioni (2) e (3) sono

(36)

anch'esse ancora valide e di conseguenza la produttività marginale del lavoro e quindi il salario è maggiore nelle imprese che discriminano e assumono solo uomini. Ciò significa , secondo i principi della teoria dell'impresa, che quanto meno l'impresa discrimina tanto più potrà espandere le proprie dimensioni. Ciò è anche intuitivo : la discriminazione ha un costo per l'imprenditore che vuol indulgere nella preferenza di assumere solo uomini , funziona come una tassa sulla sua impresa, sposta la sua domanda di lavoro sulla componente della forza lavoro più costosa e quindi diminuisce la sua scala di operazioni. Se allora la produttività marginale del lavoro non è più la stessa da impresa a impresa ne segue che la produzione non avviene più in condizioni di efficienza : le imprese con una maggiore MPL sono relativamente inefficienti e, nel lungo periodo, verranno espulse dal mercato.

Infatti queste imprese avranno , a parità di scala, minori profitti.

L'obiettivo della massimizzazione del profitto lavora nella direzione di un abbassamento del coefficiente di discriminazione. Se le lavoratrici e i lavoratori sono effettivamente della stessa produttività e finché hanno salari differenti , la massimizzazione del profitto richiederà che si assumano un maggior numero di lavoratrici e vi sarà un incentivo , per il datore di lavoro, a superare la diffidenza , assumere lavoratrici, e ridurre il proprio

(37)

coefficiente d.

Questo effetto si basa sul fatto che , a causa dell'esistenza del coefficiente d, i salari delle donne sono più bassi.

Se invece , in persistenza di discriminazione e cioè di d positivo,si portasse per legge o per contratto collettivo il salario femminile ad un livello più alto fino a raggiungere eventualmente quello maschile , allora la presenza del coefficiente di discriminazione renderebbe relativamente più costoso assumere donne. Si avrebbe eccesso di offerta femminile cioè disoccupazione ed eccesso di domanda di lavoro maschile. La teoria neoclassica della discriminazione è quindi uno strumento capace di rendere conto sia della discriminazione salariale tra lavoratori e lavoratrici della stessa produttività sia della presenza di segregazione ,sia del possibile differenziale di disoccupazione tra i sessi ma poco capace di spiegare il persistere della discriminazione nel tempo, sotto l'ipotesi della produttività omogenea di lavoratori e lavoratrici” [Addis, 1996, pp. 67-70] .

3.2.4 Teorie della discriminazione nei mercati non competitivi

Se il mercato non è competitivo significa che il salario non è più uguale alla produttività marginale ma come spiega Claudia Goldin , “il pacchetto

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salario diventa un'invenzione del management per monitorare , supervisionare,selezionare,incoraggiare,attrarre i lavoratori” [Goldin 1990,p.90]

In questo contesto di mercato non competitivo o meglio di mercato del lavoro non competitivo, nasce l'elaborazione dei mercati duali di Doringer e Piore.

Doringer e Piore mettono in discussione l'adeguatezza del modello neoclassico che presuppone la libera concorrenza e la flessibilità cioè la possibilità per i lavoratori di passare da un lavoro all'altro o da un settore all'altro senza eccessive frizioni o punti di rottura e rappresentano il mercato del lavoro come segmentato e duale prescindendo al riferimento dalle produttività marginali.

Secondo questa teoria esisterebbero due mercati del lavoro interni, uno forte, caratterizzato da lavoratori sicuri e ben retribuiti e uno debole. Le imprese hanno interesse a mantenere questa dualità per la necessità di flessibilità della produzione a fronte dell'andamento ciclico dell'economia e alla conseguente necessità di assorbire “shocks” improvvisi. La discriminazione è una barriera che permette l'impermeabilità dei mercati.

All'interno di questa teoria le donne appartengono al mercato debole a causa di motivazioni sociologiche e culturali e questi spiegherebbe l'esistenza di

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differenziali salariali tra donne e uomini.

Inoltre,secondo alcuni studi,data la segmentazione del mercato del lavoro, le donne apparterrebbero al settore debole perchè la retribuzione della donna appare complementare alla retribuzione del marito in base al target economico che la famiglia si è data e per questo accetterà anche retribuzioni inferiori.

Altri studi spiegano che la discriminazione è funzionale agli interessi del datore di lavoro: il datore di lavoro vuole controllare i lavoratori in modo che lavorino, vuole estrarre la maggior quantità di lavoro possibile. I lavoratori esulano meglio questo controllo se sono uniti quindi il datore di lavoro userà la discriminazione per rendere meno uniti i lavoratori. Il genere può essere una categoria con la quale discriminare.

Una teoria della discriminazione è anche la “Teoria dei privilegi handicappanti” elaborata da Elisabetta Addis. Questa teoria spiega che interventi legislativi a favore delle donne spesso pongono le donne in situazione di svantaggio nel mercato del lavoro. Questi privilegi handicappanti corrispondono per esempio ai congedi di maternità (il datore di lavoro preferisce chi non ne dovrà prendere), alla deduzione fiscale per il coniuge a carico (disincentiva la partecipazione alla forza lavoro) , gli assegni familiari al coniuge che non lavora,il pensionamento obbligatorio

(40)

anticipato per le donne ( disincentiva ad assumere donne “anziane”).

Questa condizione di svantaggio ha come conseguenza che “le donne che vogliono lavorare” dovranno “accontentarsi” di salari minori.

Claudia Goldin infine nel 2002 propone una nuova interpretazione della discriminazione salariale tra donne e uomini.

Goldin considera la discriminazione come conseguenza del desiderio degli uomini di mantenere il prestigio del loro stato occupazionale , in un contesto di asimmetria informativa e in questo modo Goldin riesce a dare una spiegazione dei differenziali salariali e della segregazione occupazionale.

Il prestigio di una occupazione , secondo questa teoria, potrebbe essere inquinato dall'ingresso di un individuo che proviene da un gruppo la cui produttività è giudicata in base alla media del gruppo e non in base ai meriti individuali. Per questo gli uomini occupati in “eletti lavori da uomini”

saranno ostili all'ingresso di donne nelle loro occupazioni anche se quest'ultime fossero particolarmente adatte e preparate.

Se infatti la una donna entrasse nelle occupazioni dove sono presenti solo maschi questo sarebbe visto come un segnale che il prestigio dell'occupazione è cambiato ovvero che uno shock tecnologico possa avere abbassato il livello di caratteristiche minime per entrare in quella

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occupazione.

4 METODI DI ANALISI DEL DIFFERENZIALE SALARIALE

Per vedere se i differenziali salariali sono dovuti a discriminazione nel mercato del lavoro ovvero a trattamento diseguale di persone con stesse caratteristiche produttive bisogna identificare e misurare le caratteristiche produttive delle due categorie di percettori.

Tradizionalmente le differenze nei salari sono spiegate da differenze nelle caratteristiche individuali. All'interno della teoria del capitale umano infatti il differenziale salariale di genere è analizzato in termini di differenze tra generi circa le caratteristiche indicanti produttività sul mercato del lavoro, quali livello di istruzione ed esperienza.

Data la divisione del lavoro in base al sesso analizzata dalla Teoria della famiglia, le donne sarebbero meno propense ad investire in quei campi dell'educazione maggiormente legati al mercato del lavoro perchè si aspettano una più corta e discontinua permanenza su tale mercato. In questo caso quindi una minore continuità e quantità di esperienza e un minor investimento in istruzione ridurrà la loro produttività e questo si trasformerà in minor salario.

(42)

Tuttavia per riuscire a comparare “like with like” , è importante

“aggiustare” il differenziale salariale cioè analizzare quali sono le componenti e le motivazioni che generano i differenziali salariali,considerando, oltre alle normali caratteristiche del capitale umano quali istruzioni ed esperienza, altre caratteristiche come per esempio differenze nelle caratteristiche dl lavoro quali quelle riguardanti l'occupazione,il settore, l'inquadramento, la dimensione dell'impresa.

La parte di differenziale che non si riesce spiegare secondo queste caratteristiche ricade nella discriminazione e/o dovuta all'incompletezza a della variabili considerate.

Il metodo più crudo per indagare l'estensione della discriminazione è quello di aggiungere una variabile “dummy” nel modello standard di regressione del salario.

La variabile “dummy” catturerà l'effetto della variabile sesso, date scontate tutte le altre caratteristiche.

Un metodo molto utile è invece quello di Oaxaca del 1973 che scompone i differenziali salariali in una parte spiegata e in una parte non spiegata scomponendo il differenziale secondo molti fattori che influenzano il salario.

Il maggior problema con questo metolo risulta essere che la parte non

(43)

spiegata , più che discriminazione può essere definita come livello della nostra ignoranza.

Oltre alle differenze nelle caratteristiche individuali del capitale umano, oltre alle differenze nelle caratteristiche del lavoro, il differenziale salariale può essere collegato alla struttura dei salari.

Questa considerazione è stata esplicitata a partire dai lavori di Murphy,Juhn e Pierce [1991] che partono dalla considerazione che la struttura dei salari è conseguente all'offerta e alla domanda di lavoro, alla tecnologia (imprese ad alto livello tecnologico pagano alti salari per lavoratori altamente specializzati) ma anche dalla regolazione degli stipendi ad opera delle istituzioni.

Un sistema di regolazione degli stipendi centralizzato8 tende a ridurre le differenze nei salari tra le imprese e nelle imprese e potenzialmente potrebbe ridurre il differenziale salariale di genere.

In più, poiché la distribuzione dei salari femminili è più bassa di quella maschile, un aumento del salario minimo potrebbe avere un effetto positivo sul differenziale salariale di genere.

Considerando la dispersione dello stipendio , la decomposizione di Murphy,Juhn e Pierce non è più basata sul salario medio ma sulla

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dispersione dei lavoratori all'interno della struttura salariale.

Applicando la scomposizione di Murphy,Juhn e Pierce nelle analisi comparative tra paesi è possibile distinguere la parte di differenziale dovuta a fattori specifici del genere e invece quale parte è attribuibile all'effetto delle diverse caratteristiche del mercato del lavoro di un paese rispetto ad un altro. In particolare è possibile analizzare l'impatto della struttura dei salari sul differenziale salariale di genere.

In linea con la crescente importanza data all'assetto istituzionale del salario nella determinazione del differenziale salariale di genere , è l'approccio

“mainstreaming” attuato dalla Comunità Europea. L'approccio

“mainstreaming” infatti tende a considerare gli effetti sull'equità di genere di ogni più disparata politica. L'importanza dell'approccio “mainstreaming”

è che allarga il campo di “riguardo” verso le donne in tutti i campi delle politiche considerando sia le iniquità nel mercato del lavoro sia il contesto sociale e istituzionale in cui le donne agiscono e cercando di dare una protezione totale della sfera femminile.

Nel caso dei differenziali salariali di genere infatti si deve notare che la struttura dei salari non è semplicemente il risultato della produttività del

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lavoratore ma è influenzata dalle norme sociali, dalle strategie manageriali e organizzative. Il ruolo delle norme sociali è il fulcro delle teorie femministe che spiegano come il lavoro delle donne sia sottovalutato e da questo nasca il differenziale salariale.

Quindi il differenziale salariale di genere non può esser spiegato solo da differenze di genere nel capitale umano, segregazione occupazionale o discriminazione diretta da parte di datori di lavoro ma anche considerando la sottovalutazione del lavoro delle donne nelle occupazioni e nei settori femminili.

4.1 Il metodo di Oaxaca

Per quanto riguarda l'analisi dei differenziali salariali, le statistiche descrittive risultano imprecise perchè possono nascondere alcuni effetti determinati dalla composizione della forza lavoro .

Sono state quindi avanzate tecniche econometriche per poter cercare di considerare e misurare tutti fattori in gioco. Il differenziale salariale lordo, presentato all'inizio della tesi, quindi risulta una misura grezza che non può spiegarci da cosa essa stessa derivi.

Le tradizionali analisi condotte sui differenziali salariali di genere

(46)

“aggiustano” questa misura. Tutti gli individui infatti differiscono in alcune caratteristiche importanti per la determinazione del salario, come la quantità di esperienza acquisita o che si presume acquisiranno,livello di istruzione e competenze, settore di occupazione e tipo di lavoro.

Esiste un metodo per “aggiustare” il differenziale salariale lordo e scomporlo in una parte dovuta alle differenze medie nelle caratteristiche individuali (comprendendo quelle del capitale umano e quelle dell'occupazione o del settore in cui l'individuo lavora) che si registrano tra uomini e donne e una parte che non corrisponde a queste differenze e che la letteratura associa a discriminazione.

La ricerca econometrica ha sviluppato un insieme di tecniche mediante le quali è possibile, pur con alcuni limiti, misurare come queste caratteristiche influenzano i differenziali salariali. Si può’ misurare di quanto, ogni anno aggiuntivo di esperienza lavorativa, o ogni titolo di studio acquisito ecc, contribuiscono alla crescita del salario medio.

Si può’ anche controllare se questa resa è uguale per uomini e donne oppure inferiore per le donne.

Nelle decomposizioni via regressione si assume quindi che il salario di ciascun lavoratore dipenda dall’insieme delle caratteristiche e tra le caratteristiche si aggiunge il sesso. Vengono quindi stimati statisticamente

(47)

dei coefficienti, che rappresentano in media il contributo di ciascuna caratteristica alla formazione del salario. Il coefficiente stimato sulla variabile sesso femminile è la differenza di salario dovuta esclusivamente al sesso.

Dalla prima tabella si può osservare che essere femmina determina un salario inferiore del 25,5%.

Stima OLS sul salario giornaliero, anno 1992-2002

(48)

Dummy incluse: CCNL applicato, settore di attività, anno indagine.

** p<0,05 *p<0,1” [Battistoni Lea (a cura di),2005, pag.100]

Per controllare se la resa di ogni caratteristica è uguale per uomini e donne, si utilizza il metodo di Oaxaca.

La metodologia classica è stata introdotta da Oaxaca nel 1973 è stata ampliata nel corso del tempo per meglio interpretare la realtà. Si tratta di una tecnica statistica per vedere se e quanto gruppi con caratteristiche comparabili sono remunerati diversamente.

Il metodo stima il rendimento, il prezzo, di alcune caratteristiche come l'educazione o l'esperienza nel mercato del lavoro per i due gruppi, siano bianchi o neri, siano donne o uomini. Fatto questo valuta quanto dovrebbe ricevere il gruppo discriminato in assenza di discriminazione ovvero remunera le caratteristiche delle donne con i coefficienti degli uomini.

La funzione di guadagno ci indica quali sono le determinati del reddito da lavoro percepito dagli individui :

Log Ŵ = ßX+v cioè il logaritmo del reddito medio (Ŵ) dipende linearmente (a meno di un errore in media uguale a v) da una serie di caratteristiche individuali indicate genericamente con il vettore X e queste caratteristiche9 individuali hanno un prezzo di mercato , una remunerazione

9 Il vettore X dovrebbe contenere tutte le caratteristiche individuali. In realtà, a causa delle banche dati disponibili una gran parte della determinazione dei salari è imputabile a fattori che non sono considerati nelle banche dati o che comunque sono difficilmente misurabili come le

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identificata dal coefficiente β.

Si considerano i lavoratori divisi in base al genere e ,scritte le funzioni di guadagno per i due gruppi, il differenziale medio sarà:

logŴm-logŴf= ßmXmfXf.

con m = uomo e f= donna. Questo indica che il differenziale è funzione delle caratteristiche medie pesate per i rispettivi coefficienti.

I coefficienti stimati ß sono una stima del rendimento di quella specifica caratteristica produttiva in termini di retribuzione conseguita. Quindi ßfXf

indica il vettore delle caratteristiche delle donne moltiplicata per il loro rendimento sul mercato del lavoro.

Aggiungendo e sottraendo uno stesso termine (βmXf) all'equazione avremo : logŴm - logŴf= ßmXm+ βmXf – ßfXf - βmXf

logŴm - logŴf = ßm (Xm-Xf) + (ßmf) Xf

Così facendo si divide il differenziale salariale totale in due componenti: la prima rappresenta la differenza tra le caratteristiche medie dei due sottogruppi per i coefficienti stimati sul gruppo di riferimento mentre la seconda rappresenta la differenza tra i coefficienti stimati pesata per le caratteristiche media del gruppo svantaggiato.

La letteratura spiega che la prima parte sia la parte di differenziale spiegata

(50)

perché riconducibile a caratteristiche produttive, mentre la seconda parte è considerata come la parte di discriminazione vera e propria.

Quindi si divide il differenziale salariale in una parte spiegata dovuta alle differenze nelle caratteristiche osservate detta “ effetto dotazione” e in una parte non spiegata dovuta al diverso rendimento che quelle stesse caratteristiche assumono a seconda del genere, detta “effetto remunerazione”.

In pratica questa metodologia riconosce l'esistenza di una discriminazione retributiva quando le donne percepiscono una retribuzione inferiore rispetto a quella che percepirebbero se fossero uomini, a parità di caratteristiche e stima tale discriminazione a partire dalle equazioni del salario per donne e uomini separatamente.

La maggior parte delle ricerche assume come ß di riferimento quello maschile cioè associa il coefficiente di remunerazione maschile a quello di non discriminazione

E ' scontato ricordare che Oaxaca parte dai presupposti della teoria del capitale umano di Becker per dire che il salario dipende dai fattori produttivi quali per esempio la scolarità raggiunta dall'individuo e il valore delle caratteristiche è usato come approssimazione della produttività marginale dell'individuo. Questo rientra nella visione neoclassica che

(51)

appunto faceva equivalere il salario alla produttività marginale dell'individuo.

Ebbene questo risulta essere limitativo vista la funzione sociale e la funzione di supporto/potere che il salario dà al manager e che rende il salario appunto non il frutto di remunerazione di caratteristiche produttive ma il frutto di contratti.

Rimane comunque un metodo molto usato nell'analisi del differenziale salariale e permette di mettere in luce i vari aspetti che lo determinano.

In particolare, tornando alla tabella precedente , essa mostra nelle ultime 4 colonne , il peso delle caratteristiche del vettore X per gli uomini e per le donne e i relativi coefficienti di remunerazione.

L'analisi comparata mostra poche differenze se non nel rendimento dell'età.

Se per un uomo il rendimento dell'età è dello 0,980, per la donna è dello 0,538. quindi se si decide che si può approssimare il grado di esperienza con l'età, si può dire che le donne sono sistematicamente remunerate di meno per il grado di esperienza

Tuttavia in un quadro generale, si può anche dire che le caratteristiche del capitale umano, indagate dal metodo di Oaxaca, non spiegano molto riguardo alle cause del differenziale salariali visto che esse generano

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differenziale salariale solo in piccola parte. Rimane molto più alto, quasi inquietante, il livello di differenza generato dai diversi rendimenti di queste caratteristiche e quindi rimane molto più alto il livello di differenziale non spiegato. Si guardi al seguente grafico;

“Scomposizione del differenziale salariale. (In chiaro la parte di differenziale spiegato e in scuro la parte di differenziale non spiegata)

[...]Fonte : European Community Household Panel(ECHP)” [OECD,2002,p.102]

Tuttavia,Altonji e Blank [1999] trovano che solo il 27% del differenziale salariale è spiegato dalla differenza totale nelle caratteristiche quali personali quali grado di istruzione ed esperienza.

Per ogni caratteristica il seguente grafico mostra la scomposizione in parte spiegata e parte non spiegata. In totale queste caratteristiche arrivano a

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spiegare solo il 16% del differenziale salariale di genere totale.

“Contributo dei diversi fattori sul differenziale salariale dell'Unione Europea

[...]Fonte: ECHP 1995-1998.” [European Commission(SEC(2003) 937),2003.p.16]

4.2 Il problema della selezione

Una importante critica fatta al modello di Oaxaca proviene da Heckman nel 1979.

Egli propone una correzione partendo dalla considerazione che il livello di

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In molti Stati infatti , l'offerta di lavoro combinata con le più disparate politiche di "welfare" possono fare in modo che soprattuto le donne con meno capitale umano, scelgano di non partecipare al mercato del lavoro.

Se si osserva infatti che se le caratteristiche delle donne che non partecipano al mercato del lavoro sono significativamente diverse da quelle che vi partecipano e se a parità di tali caratteristiche gli uomini sono invece attivi , allora la distribuzione dei salari femminili è distorta dalla diversa partecipazione al mercato del lavoro e non è confrontabile con quella maschile.

Si tratta del cosiddetto effetto auto-selezione che per le donne gioca un ruolo molto importante nella decisione di partecipazione al mercato del lavoro.

Heckman spiega quindi che per evitare questa distorsione delle stime bisogna operare una correzione. La correzione proposta si avvale dell'uso di variabili demografiche della famiglia e dell'analisi dei fattori di

"welfare", che possono influenzare la decisione di partecipazione, per determinare una probabilità di occupazione per gli uomini e per le donne.

In questo modo si riesce ad aggiungere alle regressioni di stima, delle informazioni prima non osservate relative alla decisione o all'esito di partecipazione al mercato del lavoro.

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Alcune ricerche a tale proposito fanno notare come nei paesi mediterranei quali l'Italia, il differenziale salariale sia minore rispetto agli altri paesi perchè sono poche le donne che entrano a far parte della forza lavoro e quelle che ci entrano sono quelle più istruite e quindi che tendono ad avere un salario maggiore. Questo è appunto l'effetto selezione che fa diminuire i differenziale salariale di genere.

In Italia infatti non sono molte le donne disoccupate,sono molte di più le donne inattive.

L'Italia infatti ha un basso differenziale salariale di genere ed un basso tasso di occupazione rispetto alla media dei paesi europei.

Questo rispecchia ,in parte,le enormi differenze nei sistemi di “welfare” tra i paesi nordici e l'Italia infatti, laddove i sistemi di “welfare” riescono ad

”aiutare” le donne nel ruolo di cura che la società riconosce loro,esse sono più propense ad entrare nel mercato del lavoro. Rispecchia inoltre i diversi sistemi di tassazione del mercato del lavoro che modificando gli incentivi ad entrare o meno nel mercato del lavoro. E' scontato dire che i sistemi di tassazione o i sistemi di “supporto alle famiglie” come la disponibilità di asili nido modificano i comportamenti soprattutto delle donne.

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Il differenziale salariale (in ordinata) e il tasso di occupazione delle donne (in ascissa) , persone tra i 24 e il 60 anni.

“[...]fonte: European Community Household Panel (ECHP)” [OECD,2002,P.100]

Come si vede dal grafico i paesi dove il differenziale salariale è più basso, è più basso anche il tasso di occupazione ovvero tasso di occupazione e differenziale salariale sono correlati positivamente e da qui l'importanza della correzione di Heckman.

4.3 Il contributo di Murphy, Juhn e Pierce

La più importante “evoluzione “ del modello di Oaxaca è quella di Juhn- Murphy-Pierce [1991].

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