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QUADRO SOCIALE DELL’ORAZIONE “PRO CLUENTIO”

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CAPITOLO III

QUADRO SOCIALE DELL’ORAZIONE “PRO CLUENTIO”

Introduzione.

Larino: breve inquadramento storico-geografico.

Larino (Larinum), città nell’attuale basso Molise, collocata nel territorio dei Frentani, popolazione affine “ai Sanniti, stanziati nelle valli inferiori del versante adriatico e confinanti, a sud, con le popolazioni iapigie dell’Apulia”

1

, era un’importante località sia dal punto di vista economico, sia da quello strategico, in quanto, controllando lo sbocco al mare della Valle del Biferno, si trovò a rivestire, fin da epoca antichissima, un ruolo centrale nelle comunicazioni fra la costa adriatica e l’entroterra, specialmente con il Sannio e la Campania.

La comunità di Larino venne poi istituita da Roma come municipium al termine del bellum sociale in seguito alla concessione della cittadinanza romana ai socii italici per gli effetti della lex Iulia del 90 a.C. e della lex Plautia Papiria dell’ 89 a.C., disposizioni legislative che stabilivano rispettivamente, la concessione della cittadinanza agli alleati che non si erano ribellati e l’estensione della medesima a coloro che avessero deposto le armi e ne avessero fatto richiesta entro 60 giorni.

Larino costituisce per gli storici un’importante testimonianza per lo studio delle conseguenze delle guerre civili sul territorio italico e per l’osservazione dei cambiamenti spesso violenti all’interno delle classi dominanti dei Municipia successivamente alla vittoria sillana. Cicerone accennando al collegio quattuorvirale del municipio larinate

2

, ci riporta infatti la notizia della deposizione, per intervento di Silla, dei quattuorviri eletti durante il predominio politico dei mariani e della conseguente sostituzione con quattro magistrati filosillani tra i quali proprio il patrigno di Aulo Cluentio, Oppianico che, appunto, come apprendiamo ancora dall’oratore, si era precedentemente rifugiato presso il campo di Quinto Cecilio

1 G. Giannelli, Trattato di storia romana, Bologna 1983, p. 188 e sgg.

2 Ai municipia istituiti subito dopo la guerra sociale e prima del 49 a.C. era preposto un collegio di quattro magistrati (quattuorviri), di cui due dotati di poteri di giurisdizione (iure dicundo) e due aedilicia potestate. Al vertice dei municipia istituiti dal 49 a.C. in poi, come nelle colonie, troviamo invece una coppia di duumviri.

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Metello Pio dopo la sua precipitosa fuga da Larino. È proprio in seguito alla morte di Oppianico, avvenuta in circostanze misteriose, che Cluentio viene trascinato in tribunale con l’accusa di veneficio ed è costretto ad affrontare il processo, oggetto per l’appunto della nostra orazione

3

.

La Pro Cluentio si configura quindi per gli storici

4

come un documento di grande interesse per l’analisi di questo tumultuoso periodo storico che nella violenta opposizione fra Sillani e Mariani arrivò a dividere su opposti fronti intere comunità municipali italiche e perfino consolidati legami familiari: nel nostro caso il mariano Aurio Melino

5

, appartenente ai notabili di Larino che, dopo la vittoria di Silla, si trovò politicamente in netto contrasto con Oppianico.

Larino: breve inquadramento archeologico.

L’anfiteatro.

L’importanza di Larino nell’antichità, il fatto che fosse in epoca romana un’importante città – la famosa urbs princeps Frentanorum degli antichi – si può evincere anche oggi dalle significative testimonianze archeologiche giunte fino a noi delle quali, almeno dal punto di vista architettonico, certamente la più eloquente è costituita dall’anfiteatro, i cui poderosi resti, risalenti al I secolo d.C., campeggiano

3 Cic., Cluent. 8, 25. Per maggiori approfondimenti: Cfr. M.R. Torelli, Una nuova iscrizione di Silla da Larino, Athenaeum, 51, 1973, pp. 225-354, pp. 342-343; E. Folcando, La tribù dei Cluentii Habiti, in Pro Cluentio di Marco Tullio Cicerone, Atti del Convegno Nazionale (Larino 1992), Larino 1997, pp. 53-55.

4 Sul punto si veda in particolare Keaveney che nel trattare questo periodo di conflitti tra Mariani e Sillani che avevano portato le varie città italiche a schierarsi l’una contro l’altra a sostegno delle opposte fazioni in lotta, riporta proprio le vicende interne del municipio di Larino: “Talché risulta chiaro che, persino in quelle regioni che, grosso modo, si potevano definire filocinnane, vi furono località che abbracciarono la causa sillana. E persino all’interno di molte singole comunità vi furono due partiti. Un fenomeno caratteristico di questo periodo, in cui i due schieramenti fecero disperate pressioni per ottenere l’appoggio degli italici ricorrendo alla corruzione, ad allettamenti e minacce, fu la lotta fra fazioni che dilaniò tante città italiane. A nord e sud della penisola gruppi anti e filosillani si scontrarono violentemente nel tentativo di far aderire le loro comunità a un partito e all’altro. A Larino, nel Sannio, ad esempio, Oppianico che parteggiava per Silla, si scontrò con i propri oppositori e infine fu costretto a rifugiarsi da Metello Pio”: A. Keaveney, Silla, Milano 1985, p.138-139.

5 A proposito di legami familiari è necessario sottolineare che Aurio Melino era in qualche modo imparentato con Oppianico attraverso la suocera di quest’ultimo Dinea. La donna infatti aveva avuto, oltre ad una figlia femmina, Magia, sposa di Oppianico appunto, anche tre figli maschi, Gneo Magio, Numerio Aurio e Marco Aurio, morto in circostanze misteriose. Aurio Melino aveva in seguito accusato pubblicamente Oppianico della morte del giovane Marco Aurio, verosimilmente suo parente, in quanto, almeno secondo l’interpretazione più comune, figlio di un fratello o cugino agnatico. Da qui l’inizio, secondo Cicerone, dei contrasti fra i due personaggi. Tali legami familiari si complicheranno ancora di più quando, dopo la morte di Aurio Melino, Sassia, la vedova di quest’ultimo (peraltro madre di Cluentio, il protagonista della nostra orazione), si risposerà proprio con Oppianico.

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ancora nell’abitato moderno e, precisamente nella zona di Piana S. Leonardo, già cuore dell’antica Larinum.

Questo edificio, notevole per dimensioni, rientra perfettamente nella tipologia nota agli archeologi per questo genere di costruzioni. Per consentire la sua realizzazione era stata addirittura modificata la viabilità dell’antica città romana ed era dotato di ben quattro ingressi, in

I restidell’anfiteatro dell’antica Larinum.

corrispondenza degli assi principali. Di forma ellittica era provvisto di 12 vomitoria per l’accesso alle gradinate. La cavea ripartita nelle tradizionali tre suddivisioni di summa, media e ima, poteva arrivare a

contenere fino a 18.000 spettatori

6

.

I resti dell’anfiteatro dell’antica Larinum. Veduta aerea

I mosaici.

Anche altre importanti vestigia testimoniano la grandezza del municipio nell’antichità. Sono giunti fino a noi infatti notevoli reperti che spaziano dal campo epigrafico a quello scultoreo e musivo. In merito a quest’ultimo settore, è necessario segnalare i mosaici policromi, attualmente conservati nel Palazzo Ducale (sede del Museo Civico della città), risalenti al II-III secolo d.C., di particolare interesse per la pregevole fattura e per la ricchezza e la complessità dei motivi e delle cornici entro i

6 Per maggiori approfondimenti sull’edificio: G. De Benedittis - A. Di Niro, L'anfiteatro di Larinum. Iscrizioni, monete, sepolture, Campobasso 1995; R. Sabelli et alii, L'anfiteatro di Larino. Accertamenti preliminari sulla porta settentrionale (dei gladiatori), in Conoscenze (Rivista annuale della Soprintendenza archeologica per i Beni Ambientali, Architettonici e Storici del Molise), 1985, n. 1.

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quali sono collocati. Degni di nota i mosaici cosiddetti della Lupa (che raffigura appunto la lupa mentre allatta i gemelli Romolo e Remo) e del Leone

7

.

Il materiale epigrafico.

Particolare interesse epigrafico viene rivestito da due iscrizioni rinvenute nel territorio di tale municipio

8

. La prima, che riguarda la costruzione dell’anfiteatro, riveste anche notevole importanza dal punto di vista storico-sociale. Costituita infatti da una dedica ad un certo Capitone, una figura di rango senatoriale, non solo rende possibile far risalire la costruzione di tale edificio all’anno 81 d.C. circa, ma ci porta anche a riflettere sul diffuso fenomeno tipicamente romano dell’evergetismo, in quanto dal testo epigrafico si legge che fu proprio per volontà di questo personaggio che si giunse alla realizzazione di tale opera pubblica

9

.

La seconda iscrizione assume invece una particolare rilevanza dal punto di vista della storia del diritto pubblico romano. Tale documento, inciso su una lastra in bronzo e ritrovato in una zona del territorio larinate denominata Torre Sant’Anna, riporta infatti il testo di un Senatus Consultum datato al 19 d.C.. È superfluo qui addentrarci nelle discussioni degli studiosi in merito alla complessa natura e all’effettivo valore del senatus consultum nel quadro del diritto romano

10

. Basterà in questa sede solo ricordare come tale provvedimento senatorio abbia sempre rappresentato a Roma una delle principali fonti di produzione legislativa, al pari delle leges comiziali o dei plebiscita, sia in età repubblicana, sia in quella imperiale. Il ritrovamento di questo rilevante documento a Larino al pari della presenza delle testimonianze musive ed architettoniche di notevole qualità che abbiamo sopra considerato, costituisce per noi

7 Per un interessante approfondimento sui ritrovamenti musivi a Larino si consulti: Napoleone Stelluti,Mosaici di Larino, Tip. Fabriani, Pescara 1988.

8 Per interessanti studi sul materiale epigrafico ritrovato a Larino si rimanda a: Napoleone Stelluti, Epigrafi di Larino e della bassa Frentania, VOL. I IL REPERTORIO, Editrice Lampo, Campobasso 1997 e dello stesso autore, Epigrafi di Larino e della bassa Frentania, VOL. II APPENDIX - STUDI sul" Senatus Consultum di Larino", Editrice Lampo,Campobasso 1997.

9 Capitone, quindi, il personaggio citato nell’epigrafe di Larino, si inserisce a buon diritto nella lunga teoria di notabili che finanziarono la costruzione di molti edifici pubblici, sparsi in tutto il mondo romano, come gli anfiteatri di Urbisaglia, Cassino, Lucca; ed i coevi edifici teatrali di Amiterno, Aquileia, Parma ecc..

10 Per il testo si veda soprattutto B. Levick, The Senatus Consultum from Larinum, in “JRS” 73 (1983), 97-115; W.D.

Lebeck, in “ZPE” 81 (1990), 37-96 e 85 (1991), 41-70; M. Buonocore, Epigrafia Anfiteatrale del’Occidente Romano- III, Regiones Italiae II-V, Sicilia, Sardinia, Corsica, Roma 1992, 18-26, nr. 2.

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lo specchio della importanza e della ricchezza di questo antico municipio e ci spinge a collocare l’antica Larinum fra le più importanti città dell’Italia centro-meridionale in epoca romana

11

.

Quadro sociale del municipio di Larino.

Nel quadro storico-archeologico, sopra delineato, si inserisce sullo sfondo della Pro Cluentio in tutti i suoi molteplici aspetti, la rappresentazione che Cicerone ci offre della realtà sociale del municipio di Larino, comunità nella quale vivono ed agiscono tutti i personaggi dell’orazione. Di questa realtà l’Arpinate ci offre un quadro assai vivo evidenziando in particolar modo il ruolo politico e sociale dell’aristocrazia municipale alla quale appartengono tutti i protagonisti del discorso dei quali Cicerone ha efficacemente descritto pregi e difetti, attraverso vorticosi intrecci di matrimoni, successioni e testamenti. In sostanza questa orazione costituisce per gli storici una importante testimonianza di quella che doveva essere la vita quotidiana di una comunità tipo della provincia italica nel I secolo a.C.

Un membro dell’aristocrazia larinate, Aulo Cluentio Abito, è il protagonista della nostra orazione che Cicerone difende davanti alla quaestio de sicariis et veneficis dall’accusa di avvelenamento o forse anche di corruzione giudiziaria. Come rilevato nel capitolo precedente dove abbiamo soffermato la nostra attenzione proprio sui legami personali dell’oratore con i membri più eminenti delle aristocrazie municipali, non è un caso che l’Arpinate abbia scelto di prendere le parti di un importante rappresentante di una comunità locale, in quanto Cicerone ritrovava nella realtà municipale le sue origini. Si aggiungeva a questo una precisa valutazione politica, poiché questo tipo di alleanza rappresentava per lui una solida base di appoggio per il prosieguo del cursus honorum del quale toccherà l’apice con il consolato tre anni dopo questa arringa nel 63 a.C.. Un traguardo ambito “raggiunto con singolare

11 Per maggiori approfondimenti sui ritrovamenti archeologici a Larino, E. de Felice, Larinum, Firenze 1994 (Forma Italiae 36). Sono interessanti anche: F. Coarelli-A. La Regina, Abruzzo, Molise, Bari 1984, pp. 300 ss.; A.Di Niro, Larinum, in AA.VV., Sannio. Pentri e Frentani dal VI al I sec. a.C., Atti del Convegno (Roma 1980), Campobasso 1984, pp. 286 ss.; G. De Benedittis, Larinum e la "Daunia settentrionale", Athenaeum n.s. LXV, 3-4, 1987, pp. 516- 521; P.de Tata, Schede, Larino, in S.Capini–A.Di Niro (a cura di), Samnium. Archeologia del Molise, Roma 1991, pp.

290-292.

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facilità, per uno come lui che viene dal ceto medio-alto di provincia (homo novus), e in tempi eccezionalmente brevi per la media dell’epoca”, nota Luca Canali

12

. Un traguardo raggiunto attraverso una carriera costellata di importanti cause quasi tutte a difesa dell’ordine costituito

13

. Anche quella assunta a difesa di Cluentio rientra nella lunga serie di processi (dei quali è disseminata tutta l’attività di Cicerone) che vedono coinvolti personaggi di varia statura, ma tutti comunque, in un modo o nell’altro in grado di favorire la propria “irresistibile ascesa”

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politica

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“scelti accuratamente, come nota R. Syme, fra le cause non disperate o contrastanti con gli interessi dei proprietari e dei finanzieri che lo misero in luce come uomo politico di ricambio del Partito Conservatore, il partito della vecchia nobiltà repubblicana, ma che propugnava appunto – sotto l’ammanto della rivendicazione patriottica dei valori morali della stirpe – quella difesa arrogante degli interessi acquisiti, che Cicerone si era andato tanto volentieri assumendo nelle aule dei tribunali”

16

.

I personaggi principali dell’orazione.

Il Pugliese

17

suddivide i personaggi dell’orazione in due categorie principali: quelli

“legati alla vicenda giudiziaria”, Cicerone stesso, Aulo Cluentio Abito, Oppianico il giovane e l’avvocato Tito Attio di Pesaro e quelli connessi ai “fatti romanzeschi che alla vicenda giudiziaria fornirono la materia”, Sassia e Oppianico padre.

Alto rappresentante della aristocrazia municipale di Larino, Aulo Cluentio Abito, viene descritto dall’oratore, come appartenente ad una famiglia molto stimata di estrazione equestre. Nel tracciare a grandi linee tutta la vita del suo assistito, l’Arpinate intesse anche alcune parole di elogio del padre

18

di questo personaggio:

12 Cicerone, Lettere (Introduzione di Luca Canali e traduzione di Riccardo Scarcia), Rizzoli Editore, 1981, p.15.

13 L. Canali, in Cicerone, Lettere, op. cit., p.15.

14 L. Canali, in Cicerone, Lettere, op. cit., p. 15.

15 Si noti infatti come Cicerone tiene a sottolineare l’appartenenza di Cluentio ad una famiglia di estrazione equestre e l’elevato prestigio sociale di questo personaggio all’interno della comunità di Larino.

16 L. Canali, in Cicerone, Lettere, op.cit., p.16.

17 G. Pugliese, Introduzione, in Marco Tullio Cicerone, L’orazione per Aulo Cluenzio Abito, a cura di G. Pugliese, op.cit., pp. 11 e segg.

18 Aulo Cluentio senior, morto nell’88 a.C. lasciando Cluentio allora appena quindicenne: Cic., Cluent. 5, 11. “Is cum esset mortuus Sulla et Pompeio consulibus, reliquit hunc annos XV natum”. “Quando egli morì, al tempo del consolato

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“A. Cluentius Habitus fuit, pater huiusce, iudices, homo non solum municipii Larinatis, ex quo erat, sed etiam regionis illius et vicinitatis virtute, existimatione, nobilitate facile princeps.”

19

, ma l’attenzione dell’oratore è concentrata soprattutto su Cluentio, descritto come persona di spicco del municipio, certamente appartenente al ceto dirigente di quella comunità

20

.

Gli altri due protagonisti sono l’accusatore di Cluentio, Oppianico il giovane, figlio della presunta vittima e l’avvocato accusatore, Tito Attio, giovane e capace cavaliere di Pisauro

21

. Il giovane professionista sembra essere molto stimato: “adulescens bonus et disertus”

22

lo definisce Cicerone che ne tesse gli elogi, oltre che nella Pro Cluentio, anche nel Brutus

23

.

Sullo sfondo campeggiano sinistri i personaggi di Sassia, madre di Cluentio, figura perversa e crudele, desiderosa di assistere alla condanna del figlio, e di Oppianico, presunta vittima di Cluentio, terzo marito della donna e patrigno dell’accusato.

Quest’uomo, eques romanus al pari di Cluentio benché già morto all’epoca dello svolgimento del processo

24

ne risulta però il vero protagonista, almeno a giudicare dal notevole numero dei paragrafi che Cicerone gli dedica.

Nel 74 a.C. avevano fatto la loro comparsa anche G. Fabricio

25

ed il suo liberto Scamandro, personaggi presunti complici di Oppianico nel tentato avvelenamento ai danni di Cluentio e sempre in quell’anno spicca il personaggio di L. Quinctio, tribuno della plebe, violento e sedizioso difensore di Oppianico nel iudicium Iunianum.

di Silla e Pompeo (Lucio Cornelio Silla e Q.Pompeo Rufo furono consoli nell’88 a.C.), lasciò questo figlio, di allora quindici anni”.

19 Cic., Cluent. 5, 11. “A. Cluenzio Abito, il padre del mio assistito, fu, o giudici, un personaggio eminente per virtù, reputazione e nobiltà non solo nel municipio di Larino, la sua città natale, ma in tutta la regione e nelle vicinanze”.

20 Cic., Cluent. 15, 43: “tamen pro loco, pro antiquitate generis sui (…)” (Tuttavia data la sua posizione sociale, l’antichità della stirpe (…)”.

21 In alcune edizioni si preferisce, invece, la forma Accius. Cfr. F.Münzer, s.v. Accius, RE suppl. I, col.6.

22 Cic., Cluent. 57, 156. Inoltre, Cicerone (Cluent. 57, 84) in un altro passaggio ricorda “Tene hoc, Acci, dicere, tali prudentia, etiam usu atque exercitatione praeditum!”.

23 Cic., Brutus, 271. La prematura morte di Tito Attio è ipotizzata da G. Pugliese, Introduzione, in Marco Tullio Cicerone, L’orazione per Aulo Cluenzio Abito, a cura di G. Pugliese, op.cit., p. 12: ”dato che nel 66 Cicerone aveva potuto qualificarlo “adulescens”.

24 La sua morte era avvenuta infatti nel 72 a.C., mentre il processo con Cluentio si svolge nel 66 a.C..

25 Cic., Cluent. 20-21, 56-59.

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La grandezza letteraria dell’Arpinate si rileva proprio nella descrizione dei vari personaggi dei quali ci fornisce una viva caratterizzazione. Il Narducci sottolinea come l’eloquenza di Cicerone al tempo della Pro Cluentio “ormai si segnalasse per la multiforme varietà e la capacità di intrecciare i vari livelli dello stile: la narrazione piana e semplice, i passaggi di tono veemente e pateticamente elaborato, l’uso dell’ironia e della satira per rilassare di tanto in tanto l’animo dei giudici”

26

. Con molta disinvoltura l’oratore spazia dall’uso del ridondante ed enfatico stile asiano, di cui si serve soprattutto nella descrizione delle figure tragiche e drammatiche, ai toni satirici ed ironici, quasi al limite del ridicolo impiegati nei ritratti di alcuni personaggi, come i fratelli Cepasii, maldestri difensori di Gaio Fabricio.

Tuttavia è con Sassia, certamente uno tra i personaggi più sinistri dell’orazione, che Cicerone tocca le più alte punte di drammaticità: una madre che non esita a volere la rovina del figlio e a strappare, in preda ad una insensata passione, il marito Aurio Melino alla stessa figlia Cluentia per poi sposarlo a sua volta. Una condotta sconsiderata, “un ardimento criminale, irrazionale e caratterizzato da assoluta mancanza di ritegno, che è tipico di molte figure ciceroniane di malvagi”

27

.

Gli studiosi hanno individuato nel ritratto di Sassia “l’uso di clichés presenti alla mente dei giudici, dove i dati della realtà sociale del tempo si intrecciavano con la memoria di personaggi letterari: è ovvio il richiamo a Fedra…, ma sono stati persuasivamente indicati anche confronti con figure di donna note alla tradizione del romanzo ellenistico”

28

. Il vertice della drammaticità viene toccato da Cicerone con la descrizione delle crudeli torture inflitte da Sassia ai suoi schiavi per costringerli a rivelare le presunte colpe di Cluentio

29

e con il racconto del terzo matrimonio della

26 E. Narducci – M. Fucecchi, Cicerone, Difesa di Cluentio, op.cit., p. 17.

27 Cfr. E. Narducci – M. Fucecchi, Cicerone, Difesa di Cluentio, op.cit., p. 21. A questo proposito il Narducci sottolinea come l’espressone “ita flagrare coepit amentia” impiegata per Sassia al § 12, sia un’espressione impiegata per Verre in Verr.II 75”. Sul punto si veda anche lo studio della S. Citroni Marchetti, Lo spazio straniato: percorsi psicologici e percezione del tribunale nelle orazioni di Cicerone « pro Fonteio », « pro Q. Roscio comoedo », « pro Cluentio » (2), MD 1996, 36, pp. 33-71, nel quale viene studiata ed analizzata in particolar modo la figura di Sassia.

28 E. Narducci – M. Fucecchi, Cicerone, Difesa di Cluentio, Milano 2004, p.21 e ancora, per maggiori approfondimenti cfr. S. Citroni Marchetti, Lo spazio straniato: percorsi psicologici e percezione del tribunale nelle orazioni di Cicerone « pro Fonteio », « pro Q. Roscio comoedo », « pro Cluentio » op.cit., p. 38.

29 Cic., Cluent. 63, 177; 64, 181; 65, 182; 66, 187; 67, 191.

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donna proprio con Oppianico, presunta vittima di Cluentio, che lei ha accettato di sposare nonostante l’uomo si fosse reso colpevole

30

della morte del secondo marito Melino

31.

Tragica è anche la cronaca del viaggio di Sassia verso Roma, per assistere al processo dal quale si aspettava la condanna del figlio

32,

viaggio che si svolge sempre di notte nella desolazione e nella solitudine, durante il quale Sassia, con empi riti, “nocturna sacrificia”

33

, cerca di attirare con preghiere agli inferi e formule misteriose, vota et preces

34,

l’ira degli dei sul figlio al solo scopo ottenerne la condanna

35

e che per questo viene costantemente respinta da ogni forma di consorzio umano

36.

Cicerone in definitiva descrive questa figura in un crescendo di pathos, poiché se

“all’inizio del suo discorso (§12) aveva asserito di non voler usare per Sassia altro nome che quello di “madre” – per meglio far risaltare la sua snaturata empietà - , dopo averne delineato la personalità ed elencato i numerosi misfatti nei confronti del

30 Almeno secondo la versione ciceroniana.

31 Cic., Cluent. 9, 26-27:“Primum videte hominis audaciam: Sassiam in matrimonium ducere, Habiti matrem, – illam cuius virum A. Aurium occiderat, – concupivit. Utrum impudentior hic qui postulet an crudelior illa, si nubat, difficile dictu est; sed tamen utriusque humanitatem constantiamque cognoscite. Petit Oppianicus ut sibi Sassia nubat, et id magno opere contendit; illa autem non admiratur audaciam, non impudentiam aspernatur, non denique illam Oppianici domum viri sui sanguine redundantem reformidat” (Prima di tutto considerate la spudoratezza del personaggio. Fu preso dalla brama di sposare Sassia, la madre di Abito, colei di cui aveva fatto uccidere il marito, A. Aurio. È difficile dire se fosse più impudente lui a chiederne la mano, o più crudele lei a sposarlo; comunque sia, apprezzate di entrambi il senso di umanità e la saldezza degli affetti reciproci. Oppianico chiede a Sassia di sposarlo e lo fa con grande insistenza. Quella, da parte sua, non si meraviglia della sfrontatezza, non rigetta l’impudenza, non teme infine quella casa di Oppianico, ancora grondante del sangue di suo marito).

32 Cic., Cluent. 67-68, 192: “Atque his rebus cum instructum accusatorem filio suo Romam misisset, ... postea autem quam appropinquare huius iudicium ei nuntiatum est, confestim huc advolavit, ne aut accusatoribus diligentia aut pecunia testibus deesset, aut ne forte mater hoc sibi optatissimum spectaculum ... amitteret. Iam vero quod iter Romam eius mulieris fuisse existimatis? ... Mulierem quandam Larino adesse, atque illam usque a mari supero Romam proficisci cum magno comitatu et pecunia, quo facilius circumvenire iudicio capitis atque opprimere filium possit “(E così, dopo aver inviato a Roma, munito di queste armi, l’accusatore di suo figlio, ... ma poi quando le fu annunciato che si avvicinava il momento del processo a carico del mio difeso, si precipitò qui di corsa, perché agli accusatori non venisse meno lo zelo, né il denaro ai testimoni, o forse per non perdere, come madre, lo spettacolo ... E il viaggio di quella donna per Roma, poi, come pensate sia stato? ... La donna si precipitava in volo da Larino, partiva addirittura dalla sponda del mare Adriatico alla volta di Roma, scortata da un folto seguito e con un‘ingente quantità di denaro, per poter più facilmente montare contro il figlio un processo per delitto capitale e farlo condannare).

33 Cic., Cluent. 68, 194.

34 Cic., Cluent. 68, 194.

35 Cfr. S.Citroni Marchetti, Lo spazio straniato: percorsi psicologici e percezione del tribunale nelle orazioni di Cicerone « pro Fonteio », « pro Q. Roscio comoedo », « pro Cluentio » (2), op. cit., p. 38.

36 Cic., Cluent. 68, 193: “Nemo erat illorum, paene dicam, quin expiandum illum locum esse arbitraretur, quacumque illa iter fecisset; nemo quin terram ipsam violari, quae mater est omnium, vestigiis consceleratae matris putaret” (Fra quelle persone, arriverei a dire, non c’era nessuno che non pensasse che qualunque luogo ella avesse attraversato nel suo cammino doveva poi essere purificato, nessuno capace di sottrarsi all’idea che la terra stessa, la madre di tutti, veniva profanata dalle orme impresse dalla madre scellerata).

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figlio, può finalmente chiamarla, nella perorazione finale, proprio con l’epiteto che meglio le si addice, di “matrigna”

37

.

“Atque etiam nomina necessitudinum, non solum naturae nomen et iura mutavit,- uxor generi, noverca filii, filiae pelex; eo iam denique adducta est ut sibi praeter formam nihil ad similitudinem hominis reservarit”

38

: Sassia ormai viene dipinta agli occhi dei giudici come una donna che con la sua crudeltà e le sue nefandezze è riuscita addirittura a stravolgere sia le regole dettate dalla Natura, sia le leggi scritte dagli uomini, divenendo pertanto, come conseguenza delle sue azioni malvagie, sposa del genero e rivale in amore della figlia

39

e “matrigna” del figlio, in virtù dell’odio che nutre verso quest’ultimo.

Gli stessi toni tragici e quasi paradossali usati per Sassia li troviamo anche nelle descrizioni di Oppianico, marito della donna e patrigno di Cluentio. Anche qui Cicerone impiega tutta l’enfasi possibile per enumerare, quasi a volerli amplificare, i crimini, reali o presunti, che, secondo la sua versione, sarebbero stati compiuti da quell’uomo.

D’altra parte l’oratore è costretto, per far meglio risaltare l’innocenza del suo cliente, a cercare il più possibile di distruggere la reputazione di questi due personaggi. In questo caso però l’Arpinate parte da una posizione di svantaggio: Oppianico, a differenza di Sassia, all’epoca del processo contro Cluentio è già morto e la colpa della sua morte ricade proprio sul suo cliente accusato di averlo avvelenato. Cicerone si trova quindi obbligato a scandagliare il passato dell’uomo presentandolo come un criminale che si è macchiato dei delitti più efferati

40

come dell’omicidio del precedente marito di Sassia, Melino, approfittando delle proscrizioni sillane.

L’oratore consegue quindi anche l’ulteriore scopo di macchiare la reputazione politica di Oppianico presentandolo come un uomo irrimediabilmente compromesso

37 E. Narducci – M. Fucecchi, Cicerone, Difesa di Cluentio, Milano 2004, op.cit., p. 24.

38 Cic., Cluent. 70, 199. “Anzi, ha addirittura sovvertito i nomi che definiscono i vincoli di parentela, non solo i legami naturali e i connessi rapporti giuridici: lei, moglie del genero, matrigna del figlio, rivale in amore della figlia;

insomma è ormai arrivata al punto di non serbare per sé più alcun tratto di somiglianza con un essere umano, eccezion fatta per l’aspetto esteriore”.

39 La donna appare così come un essere mostruoso che si oppone a tutte le leggi dettate dalla natura: è una madre che, completamente soggiogata dalla passione, viene meno ai suoi sacri doveri. E non è un caso che i termini di amentia, libido, scelus, cupido siano usati molto spesso da Cicerone in riferimento a Sassia.

(11)

con lo spietato regime di Silla. Sempre secondo la versione dell’Arpinate, si sarebbe inoltre reso colpevole della morte del suo stesso fratello oltre che della moglie di quest’ultimo, per giunta in stato interessante. Ma il delitto più crudele compiuto da Oppianico sarebbe stato l’assassinio del proprio figlio

41

: quest’ultima efferatezza avrebbe avuto origine, secondo Cicerone, dall’insano progetto di sposare Sassia, degna compagna del criminale, tra l’altro completamente indifferente di fronte alla morte del precedente marito

42

.

Anzi, Cicerone insinua che sarebbe stata proprio la donna a suggerire al futuro sposo l’uccisione del bambino (frutto di uno dei precedenti matrimoni di Oppianico) come condizione preliminare per la celebrazione delle nozze

43

.

Segue quindi la minuziosa descrizione delle circostanze che hanno portato l’uomo all’uccisione del figlio e di tutti gli espedienti usati per apparire al di sopra di ogni sospetto. L’alibi della falsa partenza a Taranto

44

, la rapidità (subito

45

) e la freddezza con le quali è stato compiuto l’atto criminoso messe in risalto da un sapiente uso di efficaci espressioni a sottolineare la vorticosa successione degli eventi: la repentina morte del figlio - ante noctem mortuus

46

- seguita dal funerale celebrato in fretta e furia – ante quam luceret combustus est

47

- proprio per non lasciare alcuna traccia del delitto. Di contro, sullo sfondo la disperazione della sventurata madre del ragazzo, Papia, mater misera

48

, privata anche del conforto di assistere al funerale del figlio,

40 Un’elencazione di tali delitti la troviamo inCic., Cluent. §§ 10-48.

41 Cic., Cluent. 9, 26-28: “Primum videte hominis audaciam. Sassiam in matrimonium ducere, Habiti matrem, illam cuius virum A.Aurium occiderat, concupivit. Vtrum impudentior hic, qui postulet, an crudelior illa, si nubat, difficile dictu est; sed tamen utriusque humanitatem constantiamque cognoscite. 27 Petit Oppianicus ut sibi Sassia nubat et id magno opere contendit. Illa autem non admiratur audaciam, non impudentiam aspernatur, non denique illam Oppianici domum viri sui sanguine redundantem reformidat, sed quod haberet tris ille filios, idcirco se ab eis nuptiis abhorrere respondit. Oppianicus, qui pecuniam Sassiae concupivisset, domo sibi quaerendum remedium existimavit ad eam moram quae nuptiis adferebatur. Nam cum haberet ex Novia infantem filium, alter autem eius filius Papia natus Teani, quod abest ab Larino XVIII milia passuum, apud matrem educaretur, arcessit subito sine causa puerum Teano, quod facere nisi ludis publicis aut festis diebus antea non solebat. Mater nihil mali misera suspicans mittit. Ille se Tarentum proficisci cum simulasset, eo ipso die puer, cum hora undecima in publico valens visus esset, ante noctem mortuus et postridie ante quam luceret combustus est ”.

42 Le due figure sono poste a confronto da Cicerone in Cic., Cluent. 9, 26 già citato : :“Vtrum impudentior hic, qui postulet, an crudelior illa, si nubat, difficile dictu est; sed tamen utriusque humanitatem constantiamque cognoscite”.

43 Cic., Cluent. 9, 27 “Illa autem non admiratur audacia, non impudentiam, aspernatur (…), sed quod haberet tris ille filios, idcirco se ab eis nuptiis abhorrere respondit”.

44 Cic., Cluent. 9, 27 “Ille se Tarentum proficisci cum simulasset”.

45 Cic., Cluent. 9, 27

46 Cic., Cluent. 9, 27

47 Cic., Cluent. 9, 27

48 Cic., Cluent. 9, 27

(12)

vista la celerità dell’evento. Emergono quindi i tratti principali del carattere di quest’uomo senza scrupoli e senza pudore, volutamente sottolineati più volte da Cicerone nel corso dell’arringa: la sfrontatezza - audacia

49

- e l’impudenza - impudentia

50

- che il personaggio usa per l’esecuzione delle sue azioni scellerate.

Tutte queste notizie, come già abbiamo visto per Sassia, sono riportate da Cicerone con l’intento di screditare la figura di Oppianico di fronte alla giuria in modo da farlo passare agli occhi dei giudici, non vittima di Cluentio, ma, attraverso una abile distorsione degli eventi, addirittura suo persecutore. Emerge quindi, secondo il Narducci un parallelismo nelle descrizioni ciceroniane di Oppianico e di Sassia. Così come la donna, quasi maga perfida e crudele, durante il suo viaggio verso Roma per assistere al processo del figlio Cluentio, del quale si aspetta e desidera la condanna, viene bandita e respinta da ogni forma di consorzio umano, anche Oppianico dopo la condanna all’esilio

51

è costretto ad errare da una città all’altra, senza meta, scacciato e allontanato da tutti: Cum vagus et exul erraret atque undique exclusus Oppianicus

52

, sottolinea efficacemente Cicerone.

Il Narducci nell’osservare che una tale descrizione di Oppianico si riallaccia al topos letterario dell’esule respinto e braccato dai propri simili, dice a questo proposito: “la descrizione dell’avversione e del disgusto universali che accompagnano l’esilio di Oppianico è condotta con tinte talmente cariche da far pensare, più che al semplice profugo, al portatore di una contaminazione religiosa (come già abbiamo visto per Sassia): del resto con una non dissimile terminologia veniva allora trattato il vagabondaggio di Edipo…”

53

.

49 Cic., Cluent. 9, 27.

50 Cic., Cluent. 9, 27

51 Ricordiamo infatti che, in seguito alla condanna subita nel processo - il iudicium Iunianum – intentatogli da Cluentio con l’accusa di avvelenamento nei suoi confronti, Oppianico, per gli effetti della pena dell’esilio – l’interdictio aqua et igni- prevista dalla legge istitutiva della quaestio de sicariis et veneficis, era stato infatti costretto ad abbandonare Larino.

52 Cic., Cluent. 62, 175.”Nel suo vagabondare di esule senza meta e scacciato da ogni luogo”.

53 E. Narducci – M. Fucecchi, Cicerone, Difesa di Cluentio, op.cit., p.28.

(13)

Gli studiosi

54

nell’analizzare la strategia oratoria impiegata da Cicerone sottolineano come gli eventi tragici e destabilizzanti descritti nella Pro Cluentio risultino ad arte inseriti da Cicerone in punti ben precisi del discorso in modo da catturare il più possibile l’attenzione del pubblico. Così la notizia delle sciagurate nozze tra Sassia e il proprio genero Melino, strappato di proposito alla figlia Cluentia, si incunea violentemente, quasi a forza, alla fine di una narratio, almeno fino a quel momento, piana e tranquilla degli eventi, quasi a voler meglio sottolineare l’improvviso e folle gesto della donna

55

. Evento che appare tanto più sconvolgente se collocato nel contesto di una tranquilla cronaca domestica: la serena descrizione iniziale della famiglia di Cluentio osservata prima di tutto attraverso il ritratto del padre di quest’ultimo, stimato e benvoluto presso tutti i suoi concittadini

56

, passando attraverso la narrazione del matrimonio della figlia maggiore, Cluentia

57

con Aurio Melino

58

uomo altrettanto rispettato dalla comunità dei Larinati.

Il Mazzoli

59

, che ha affrontato lo studio dei rapporti fra Quintiliano e la Pro Cluentio, mette in luce come nel libro XI delle Institutiones Oratoriae Quintiliano nel trattare le varie suddivisioni dell’eloquenza si soffermi proprio su tale orazione, ed in particolare sui passi succitati di questa parte della Pro Cluentio, per chiarire il concetto di actio

60

. Ha messo quindi in evidenza gli iniziali toni piani e tranquilli

54 E. Narducci – M. Fucecchi, Cicerone, Difesa di Cluentio, op.cit., p. 20 e segg. Sul punto si veda anche S.Citroni Marchetti, Lo spazio straniato: percorsi psicologici e percezione del tribunale nelle orazioni di Cicerone « pro Fonteio », « pro Q. Roscio comoedo », « pro Cluentio » (2), op. cit., pp. 33-71.

55 Cic., Cluent. 5, 12: “repente est exorta mulieris importunae nefaria libido” dice Cicerone (improvvisamente si levò l’infame libidine di una donna sfacciata).

56 Cic., Cluent. 5, 11. “A. Cluentius Habitus fuit, pater huiusce, iudices, homo non solum municipii Larinatis, ex quo erat, sed etiam regionis illius et vicinitatis virtute, existimatione, nobilitate facile princeps. Is cum esset mortuus Sulla et Pompeio consulibus, reliquit hunc annos XV natum”: A. Cluenzio Abito, il padre del mio assistito, fu, o giudici, un personaggio eminente per virtù, reputazione e nobiltà non solo nel municipio di Larino, la sua città natale, ma in tutta la regione e nelle vicinanze. Quando egli morì, al tempo del consolato di Silla e Pompeo, lasciò questo figlio, di allora quindici anni.

57 Cic., Cluent. 5, 11: “grandem autem et nubilem filiam, quae brevi tempore post patris mortem nupsit A. Aurio Melino, consobrino suo, adulescenti in primis, ut tum habebatur, inter suos et honesto et nobili”: una figlia già grande e in età da marito, che poco dopo la morte del padre sposò A.Aurio Melino, suo cugino, un giovane che all’epoca godeva di un’alta reputazione fra i suoi concittadini per onestà e nobiltà.

58 Per l’identificazione di A. Aurio Melino cfr. Ph. Moreau, Structures de parenté et d'alliance à Larinum d'après le Pro Cluentio, in Les bourgeoisies municipales italiennes aux II et I siècles av. J.C., Centre Jean-Bérard, Institut français de Naples, 7-10 décembre 1981, Naples 1983, pp.99-123.

59 G.Mazzoli, Quintiliano e la Pro Cluentio, RIL, 1996, 130, pp.483-494 e sul punto ancora E. Narducci, Introduzione a Cicerone, op.cit., p. 20 e segg.

60 Ovvero quella parte della retorica che un buon oratore deve padroneggiare per ottenere una efficace presentazione dei discorsi in modo da sottolineare efficacemente i diversi momenti della narrazione mediante l’impiego di una adeguata azione mimica e di una efficace gestualità unita ad una opportuna scelta del tono della voce.

(14)

della narrazione, cercando nel contempo di tratteggiare un ritratto dell’Arpinate durante la perorazione di tale causa. Quintiliano si immagina che Cicerone impieghi in principio dei toni di voce pacati e sereni, paragonabili quasi a quelli di una normale conversazione, vocem sermoni proximam et tantum acriorem, sonum simplicem

61

, e che parimenti si esprima attraverso una gestualità altrettanto pacata per sottolineare l’iniziale serenità della famiglia di Cluentio, narratio magis prolatam manum, amictum recidentem, gestum distinctum

62

, per passare poi ad atteggiamenti e toni della voce più animati e concitati nel momento in cui deve evidenziare, con il folle gesto di Sassia, l’improvvisa rottura dell’equilibrio della narrazione

63

.

Contestualmente Cicerone si era reso conto che “per rilassare di tanto in tanto l’animo dei giudici”

64

e quindi per meglio confonderli e distoglierli dalla causa trattata e dalla sospetta posizione del suo cliente, era necessario fare ricorso anche all’ironia e alla satira, ponendo accanto a figure tragiche e drammatiche anche personaggi capaci di suscitare ilarità. Così particolarmente efficaci e divertenti, quasi al limite del ridicolo, risultano le descrizioni dei fratelli Cepasii, maldestri difensori di Gaio Fabricio, avvocati tanto impreparati quanto presuntuosi, capaci solo di ripetere, nella perorazione delle cause pedissequamente parole e frasi altisonanti prese a prestito dall’arte oratoria, ma in modo vuoto e manierato: “Itaque cum callidissime se dicere putaret et cum illa verba gravissima ex intimo artificio deprompsisset, 'Respicite, iudices, hominum fortunas, respicite dubios variosque casus, respicite C. Fabrici senectutem'--cum hoc 'respicite' ornandae orationis causa saepe dixisset, respexit ipse: at C. Fabricius a subselliis demisso capite discesserat.

Hic iudices ridere, stomachari atque acerbe ferre patronus causam sibi eripi et se cetera de illo loco 'Respicite, iudices,' non posse dicere; nec quicquam propius est

61 Quint. Inst. Orat. XI 3, 162

62 Quint. Inst. Orat. XI 3, 162

63 Quint. Inst. Orat. XI 3, 162: “Narratio magis prolatam manum, amictum recidentem, gestum distinctum, vocem sermoni proximam et tantum acriorem, sonum simplicem frequentissime postulabit - in his dumtaxat: "Q. enim Ligarius, cum esset in Africa nulla belli suspicio", et "A. Cluentius Habitus pater huiusce." Aliud in eadem poscent adfectus, vel concitati: "nubit genero socrus", vel flebiles: "constituitur in foro Laodiceae spectaculum acerbum et miserum toti Asiae provinciae".

64 E. Narducci – M. Fucecchi, Cicerone, Difesa di Cluentio, op.cit., p.17.

(15)

factum quam ut illum persequeretur et collo obtorto ad subsellia reduceret, ut reliqua posset perorare”

65

.

Il Narducci osserva come questo passo sia stato scelto da Quintiliano, proprio “per esemplificare l’effetto distensivo e piacevole che il ridicolo induce nell’animo dei giudici”

66

, basando la sua comicità “sullo svuotamento del patetico oratorio, sul ribaltamento della compassione nel ridicolo: nei processi era consuetudine che l’avvocato difensore… additasse alla commiserazione dei giudici l’imputato in gramaglie e quanti erano intervenuti in suo soccorso: figli pargoletti…genitori malandati dagli anni, e così via; una serie di espedienti teatrali ai quali Cicerone confessava di ricorrere con una certa frequenza”

67

.

Intrecci e legami dell’aristocrazia di Larino

Il quadro della vita quotidiana che emerge dal municipio di Larino, non tanto diverso da quello di una qualsiasi altra città italica nel periodo considerato nell’orazione (II-I secolo a.C), costituisce per gli storici un prezioso riferimento anche per lo studio dei rapporti politico-sociali. Gli studi sull’onomastica delle famiglie aristocratiche della comunità larinate risultano di particolare interesse per la ricostruzione dei legami e delle alleanze familiari di quel municipio

68

.

A Larino vicende familiari di varia natura mettono in relazione fra loro i personaggi del discorso in complicati rapporti di parentela abilmente sfruttati dall’abile avvocato Cicerone per confondere sempre più i giudici con lo scopo di renderli dociles alla sua versione dei fatti, per la verità, in molti punti traballante.

65 Cic., Cluent. 21, 58-59. “Così, convinto come era di parlare con sagacia mirabile, era andato a raccogliere dalla arte più nascosta del suo repertorio espressioni di esemplare solennità come: «Volgete lo sguardo, giudici, alle sorti degli uomini, volgete lo sguardo alle loro incerte e mutevoli vicende, volgete lo sguardo alla vecchiaia di C.Fabrizio»;

tanto che, alla fine, dopo aver più volte ripetuto questo «Volgete lo sguardo» per abbellire il discorso, volse lo sguardo pure lui: ma C.Fabrizio se n’era andato già via dal suo banco a capo chino. E qui i giudici giù a ridere, mentre il difensore si irritava e non digeriva di vedersi strappare la causa dalle mani e di non poter più pronunciare quel suo

«Volgete lo sguardo, giudici»; e non ci mancò niente che si mettesse a inseguirlo e lo riportasse di forza al banco, per poter terminare la sua arringa”.

66 E. Narducci – M. Fucecchi, Cicerone, Difesa di Cluentio, op.cit., p.17.

67 E. Narducci – M. Fucecchi, Cicerone, Difesa di Cluentio, op.cit., p.18. Anche Mazzoli ha affrontato questo aspetto nel suo lavoro sui rapporti fra Quintiliano e la Pro Cluentio in G.Mazzoli, Quintiliano e la Pro Cluentio, RIL, 1996, 130, pp.483-494.

68 Per maggiori approfondimenti: M.R.Torelli, Una nuova iscrizione di Silla da Larino, op.cit., pp.336-354.

(16)

Dall’albero genealogico dei principali membri della casata di Cluentio, possiamo farci un’idea delle intricate relazioni che legavano fra loro molti nuclei familiari dell’aristocrazia Larinate, per lo più appartenenti al potente ordo equester e di conseguenza portavoce dei proprietari e dei finanzieri locali:

Sulla base di questi intrecci interfamiliari che emergono dalla Pro Cluentio e che legano fra loro i notabili della comunità, Moreau

69

ha ricostruito l’ambiente dei cavalieri e dei maggiorenti di Larino nel periodo considerato dall’orazione, ponendo particolare attenzione alle circostanze connesse ai patrimoni dei nuclei familiari in questione studiati soprattutto da un punto di vista dinamico, vale a dire attraverso successioni, eredità, testamenti e, non tralasciando neppure i frequenti fenomeni di falsificazione di tali atti.

Proprio attraverso l’osservazione di queste successioni per lo più testamentarie, è emerso tra gli altri un importante dato: nella redazione di questi atti, i testatori non utilizzavano pienamente la libertà nella scelta dell’erede, peraltro concessa loro dal sistema giuridico, ma spesso erano soliti designare l’erede all’interno dei legami di parentela, che comunque risultavano molto allargati, arrivando a comprendere perfino membri della famiglia frutto di nuovi matrimoni del padre o della madre. Questa

69 Ph.Moreau, Patrimoines et successions à Larinum au I s. av. J.C., RD, LXIV, 1986, pp.169-189.

(17)

consuetudine ha avuto come conseguenza una circolazione assai rapida dei patrimoni e la loro concentrazione nelle mani di pochi individui.

Ruolo dell’aristocrazia di provincia: lotte politiche e classi sociali a Larino.

Il quadro piuttosto nitido che si ricava del ruolo politico dell’aristocrazia di provincia del tempo

70

rende questa orazione particolarmente interessante, oltre che da un punto di vista strettamente giuridico, anche sotto un profilo sociale.

Dall’ esame dei contrasti politici all’interno delle varie fazioni di Larino, il Pugliese ha ricavato la compresenza in tale comunità di almeno due classi sociali contrapposte: quella ai vertici del piccolo municipio alla quale apparterrebbe Cluentio, non a caso difeso da Cicerone, desideroso di guadagnare appoggi politici qualificati, e l’altra, probabilmente in secondo piano rispetto alla prima, alla quale apparterrebbe Oppianico. Da alcuni indizi ricavati da una attenta lettura della Pro Cluentio, il Pugliese ritiene abbastanza plausibile che questo personaggio, pur essendo un cavaliere come Cluentio e quindi, anch’egli in una posizione economicamente e socialmente elevata, non sarebbe appartenuto però al ceto dirigente di Larino. Il fatto che Abito si possa collocare a pieno titolo ai vertici del piccolo municipio troverebbe una conferma nei contrasti che Cicerone ci dice essere sorti fra quest’ultimo e il patrigno in merito alla diatriba sullo status dei cosiddetti Martiales

71

.

Questa vicenda che sfociò in un regolare processo vide da una parte Oppianico apertamente propugnatore della loro libertà e sostenitore della tesi secondo la quale a torto tali uomini erano considerati schiavi, e dall’altra Cluentio che, insistentemente pregato dai Larinati, sostenne la causa della schiavitù dei Martiales, rivestendo per

70 E. Narducci, Criminali di provincia: la pro Cluentio di Cicerone, in Narducci E. (a cura di), Eloquenza e astuzie della persuasione in Cicerone, Atti del V Symposium Ciceronianum Arpinas, Arpino, 7 maggio 2004, Firenze 2005, 42-55.

71 Sorta di schiavi pubblici presenti a Larino, che de iure servivano il dio Marte, ma de facto erano adibiti a schiavi della comunità larinate. Cfr. Cic., Cluent. 15, 43. “Martiales quidam Larini appellabantur, ministri publici Martis atque ei deo veteribus institutis religionibusque Larinatium consecrati; quorum cum satis magnus numerus esset, cumque item, ut in Sicilia permulti Venerii sunt, sic illi Larini in Martis familia numerarentur, repente Oppianicus eos omnes liberos esse civesque Romanos coepit defendere”. Sul punto si veda anche Ph. Moreau, I Martiales di Larinum e le difficoltà d’integrazione nella città romana, in AA.VV., Pro Cluentio di M.T.Cicerone. Atti del Convegno (Larino 1992), Larino 1997, 129-140.

(18)

l’occasione l’incarico ufficiale di rappresentare a Roma

72

, nel processo che seguì, in veste di patronus, l’intero municipio. Il comportamento di quest’ultimo sarebbe stato

“conforme alla mentalità e agli interessi del ceto a cui Cluentio apparteneva; e le preghiere che egli ricevette per sostenerla in giudizio, a parte la innegabile esagerazione di Cicerone in proposito, dovevano pervenire dai benestanti suoi pari”.

73

Di contro la condotta di Oppianico “volta a fare dichiarare liberi i Martiales conferma che egli, se non altro, non era conservatore, e andava, forse in nome di ideali di giustizia, forse per ragioni meno nobili, contro gli interessi della classe dirigente, anche se vi apparteneva dal punto di vista economico”

74

.

Secondo il Pugliese questa vicenda, fonte di aspri contrasti fra i due uomini, sotto una veste di semplice rivalità di natura familiare, ha anche un risvolto sociale; quindi

“evidentemente Cluentio faceva parte dell’”establishment” di Larino e aveva gli interessi e la mentalità dei benestanti che lo costituivano. Infatti l’utilità di quegli schiavi doveva essere risentita soprattutto dalla classe dirigente di quel municipio, sia perché più facilmente e più direttamente essa profittava dei loro servigi, sia, perché risparmiava con essi anche imposte e contributi, che invece avrebbe forse dovuto versare in mancanza di tali servigi”

75

.

L’altro indizio che, secondo Pugliese, rivela che Oppianico, anche se benestante “non apparteneva all’establishment di Larino”, si ricaverebbe anche “dalla disparità di appoggi di cui Cluentio, da una parte, e Sassia, quale vedova di Oppianico, dall’altra, godevano a Larino e nella vicina regione, come Cicerone riferisce verso la fine della sua arringa” ed infine, conclude lo studioso, dal fatto che questo personaggio “sia stato difeso nel “iudicium Iunianum” da un tribuno della plebe, L.

Quinctio, giudicato demagogo da Cicerone, avvalora questa ipotesi sulla posizione

72 Era prescritto che i processi che vertevano sullo stato giuridico delle persone si svolgessero a Roma.

73 G. Pugliese, Introduzione, in Marco Tullio Cicerone, L’orazione per Aulo Cluenzio Abito, a cura di G. Pugliese, op.cit., p.19.

74 G. Pugliese, Introduzione, in Marco Tullio Cicerone, L’orazione per Aulo Cluenzio Abito, a cura di G. Pugliese, op.cit., p.19 e segg.

75 G. Pugliese, Introduzione, in Marco Tullio Cicerone, L’orazione per Aulo Cluenzio Abito, a cura di G. Pugliese, op.cit., p.19.

(19)

politico-sociale di Oppianico”

76

. E tale considerazione può essere la risposta alla domanda retorica di Cicerone al paragrafo 109, nella quale l’Arpinate si chiede per quale motivo, con tanti oratori valenti e di chiara fama presenti a Roma, Oppianico si sia rivolto proprio al tribuno L.Quinctio, nonostante la sua scarsa esperienza forense, dal momento che era giunto all’età di cinquanta anni senza aver mai discusso alcuna causa in un tribunale

77

.

76 G. Pugliese, Introduzione, in Marco Tullio Cicerone, L’orazione per Aulo Cluenzio Abito, a cura di G. Pugliese, op.cit., p.19 e segg.

77 Cic., Cluent. 109

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