• Non ci sono risultati.

1. Introduzione all’implantologia orale

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "1. Introduzione all’implantologia orale "

Copied!
14
0
0

Testo completo

(1)

1. Introduzione all’implantologia orale

L’implantologia osteointegrata nasce come terapia per la cura delle edentulie, ovvero la mancanza di denti. Questa tecnica chirurgica permette una soluzione definitiva alla mancanza di denti sia parziale che delle monoedentulie.

Tale procedimento si è sviluppato particolarmente tramite la scoperta della spiccata osteointegrazione del titanio, osservata intorno alla metà degli anni sessanta dal professor Per-Ingvar Brånemark.

Già dalla metà del secolo scorso, molti medici hanno provato ad utilizzare varie tecniche e diversi materiali. Dagli anni '70 gli studi del Prof Brånemark hanno dimostrato come il titanio sia un materiale perfettamente biocompatibile ed integrabile, in grado di divenire un tutt'uno con l'osso. Da qui è nata la definizione di osteointegrazione.

Attualmente inserire un impianto, non significa fare un buco nell'osso per inserirci qualcosa, ma creare un'armonia tra un corpo estraneo (l'impianto) ed un osso vitale sano.(Definizione di osteointegrazione secondo Branemark e Albrektson 1975).

Nel corso di questi anni la ricerca si è interessata moltissimo al problema e si è così passati da una fase pionieristica ed artigianale, dove contavano soprattutto le opinioni personali, ad una scientifica con ricerche sempre più attente e precise che hanno elevato questa branca al ruolo di scienza, studiata e documentata.

Figura 1- es. di osteointegrazione: Cellula di osso attaccata al Titanio

1

(2)

Attualmente possiamo dire che l'utilizzo delle tecniche implantari, può restituire una dentatura funzionalmente naturale nel rispetto dell'estetica e senza particolari limiti di durata nel tempo. Infatti attualmente il follow up di questo metodo è di circa 35 anni [Responsabile Dott.Claudio Cevenini - Implantologia e Implanto Protesi].

L’obbiettivo dell’odontoiatria moderna è fornire al paziente un’estetica facciale, una corretta funzione, un comfort ed estetica orale adeguati, la capacità di parlare senza interferenze e, in altre parole, uno stato di salute in generale, indipendentemente dall’atrofia, patologia o trauma del sistema stomatognatico esistenti.

La continua ricerca sui piani di trattamento, i disegni degli impianti, i materiali e le tecniche hanno portato a far sì che la prevedibilità del risultato nella riabilitazione di molte situazioni cliniche complesse, sia oggi una realtà.

Il numero di impianti dentali negli Stati Uniti è quadruplicato tra il 1983 ed il 1987. È ulteriormente aumentato del 73% fra il 1986 ed il 1990. Nello stesso periodo il numero dei dentisti praticanti l’implantologia, è aumentato di dieci volte. Questi valori continuano ad aumentare fino ai giorni nostri, dove il 90% degli specialisti oggi monta regolarmente impianti e più del 65% dei dentisti generici hanno usato gli impianti per la costruzione di protesi sia fisse che mobili [Carl E. Misch - L’odontoiatria implantare contemporanea].

1.1 Sistema impianto protesico

Un impianto singolo è generalmente costituito da tre componenti: impianto endosseo,

Corona dentaria

Mucosa

Moncone

Impianto endosseo

Osso

Figura 2 - schema di un tipico sistema implanto-protesico singolo

2

(3)

moncone, corona dentaria.

• Impianto endosseo: è la parte del sistema implantare che va a solidarizzare con l’osso; le geometrie di impianto, realizzate nel corso degli anni, sono molteplici

¾ impianti conici non filettati, completamente o parzialmente ricoperti di materiale poroso;

¾ impianti cilindrici cavi non filettati;

¾ aghi;

¾ lamine;

¾ impianti cilindrici filettati con diversi tipi di filetto;

¾ impianti cilindrici con filettatura parziale;

¾ impianti conici, o con porzione conica, filettati;

La superficie dell’impianto può ricevere diversi tipi di trattamento superficiale volti a migliorare l’osteointegrazione:

¾ rivestimento di idrossiapatite;

¾ trattamento di plasma spray;

¾ sabbiatura;

¾ rivestimenti porosi quali microsfere o fibre in titanio.

La scelta del supporto implantare oggi tende sempre più ad essere orientata verso l’utilizzo di impianti a vite piena e superficie rugosa.

La lunghezza varia da 7 mm a 20 mm e il diametro da 3.25 mm a 6 mm, in funzione della morfologia e dell’inclinazione della cresta ossea edentula.

Il materiale maggiormente utilizzato è il titanio puro di grado II, che presenta il miglior compromesso tra proprietà meccaniche e osteointegrative, sebbene il progredire degli studi sul trattamento superficiale e sull’osteointegrazione porti verso l’utilizzo di materiali più resistenti.

Infatti, negli ultimi tempi la tendenza è quella di utilizzare titanio puro di grado III o IV e anche lega Ti-6Al-4V, materiali che offrono proprietà meccaniche migliori.

• Corona dentaria: rappresenta il manufatto protesico che va a sostituire la parte esterna del dente naturale, le tipologie principali sono

¾ protesi ad avvitamento occlusale;

¾ protesi ad avvitamento linguale;

¾ protesi cementate.

I materiali utilizzati per le viti sono l’oro o il titanio legato: la lega di titanio maggiormente impiegata, anche per quanto riguarda il moncone, è la Ti-6Al-4V.

3

(4)

La corona dentaria è costruita con i comuni materiali usati in odontotecnica: cementi, resine acriliche, ceramiche.

• Moncone: fa da collegamento tra l’impianto e la corona dentaria, può essere costituito da un unico pezzo oppure essere dotato di un collare transmucoso separato: la geometria dipende dalla posizione in cui è stato inserito l’impianto, dalle modalità di costruzione e di collegamento della corona dentaria e, soprattutto, dal tipo di connessione con l’impianto.

Quest’ultimo aspetto rappresenta il tema principale del presente lavoro per cui verranno passate in rassegna in seguito in maniera approfondita, le principali configurazioni proposte dalle case produttrici.

1.2 Valutazione dentale: fattori di sollecitazione

Il successo clinico e la longevità degli impianti endossei sono legati in grande parte alla salute della regione crestale ossea circostante e alla salute dei tessuti soffici. Il riassorbimento precoce dell’osso attorno all’impianto raramente è associato a una retrazione corrispondente dei tessuti soffici: le tasche periimplantari possono già essere presenti. I batteri che si trovano nel solco periimplantare sono simili a quelli che si trovano attorno ai denti naturali. Una popolazione anaerobica si sviluppa grazie alla diminuzione della tensione di ossigeno e spesso è predominante nelle tasche gengivali maggiori di 5mm. I batteri anaerobici sono stati associati con la perdita ossea e la diminuzione della salute parodontale e periimplantare. Inoltre, l’igiene orale quotidiana e nella regione crestale è compromessa, una volta che la tasca è maggiore di 4mm. Ne consegue che è prudente diminuire la perdita ossea precoce nella cresta per mantenere una situazione locale favorevole per la salute periimplantare. Sia la perdita precoce dell’osso che il fallimento precoce degli impianti si osservano più spesso nell’osso di qualità inferiore rispetto all’osso più denso.

Il precoce riassorbimento crestale osseo, è stato osservato attorno alla porzione trans- mucosa degli impianti dentali per decenni. È quantitativamente variabile e diminuisce drasticamente dopo il primo anno. Questo fenomeno, negli impianti a lama completi di moncone, fu descritto come escavazione.

Il riassorbimento osseo iniziale attorno ad un impianto assume una forma a V o ad U, descritto come Saucerizzazione o avvallamento. Le ultime ipotesi sulle cause del

4

(5)

riassorbimento osseo precoce prendono in esame diverse ipotesi: l’insulto al periostio durante l’intervento, nella preparazione dell’osteotomia, invasione batterica e fattori di tensione. È quindi importante determinare i fattori eziologici primari che portano al riassorbimento osseo crestale attorno agli impianti e al precoce fallimento implantare, per impedire che si realizzino e per consentire una lunga salute implantare.

1.2.1 Ipotesi dei fattori di sollecitazione

Gli impianti sono fabbricati tipicamente con titanio o con sue leghe, ed il titanio è circa 5 volte più rigido dell’osso corticale.

Figura 3 - Il modulo di elasticità, o rigidità del titanio, è di 5-10 volte superiore che nell'osso. La non corrispondenza dei biomateriali può comportare il rischio di movimento fra i due. Può inoltre causare una maggior quantità di stress crestale, quando sia presente un’interfaccia diretta osso-impianto

5

(6)

Mettendo due corpi con differenti caratteristiche meccaniche, quali ad esempio un diverso modulo di Young, a contatto diretto, senza altri corpi o ostacoli fra i due e caricando uno dei due con una forza applicata in un punto qualsiasi, in questo punto, dove i due corpi sviluppano un contatto maggiore, si osserverà un incremento della sollecitazione. Le linee di forza che vanno a determinare il profilo della sollecitazione sono maggiormente concentrate nella zona di maggiore sollecitazione. Un fenomeno simile si osserva negli studi fotoelastici e di analisi agli elementi finiti (FEA) quando un impianto è inserito in un simulatore osseo e, quindi, viene caricato. La forma del riassorbimento crestale che si osserva clinicamente è direttamente comparabile a quella che si ottiene alla FEA. Le sollecitazioni che si sviluppano a livello crestale, quando passano certi limiti fisiologici, possono causare microfratture all’osso o tensioni nelle zone di sovraccarico patologico e quindi riassorbimento. Questa concentrazione di sollecitazione può anche impedire l’afflusso di sangue alla regione. La diminuzione del flusso sanguigno può seguire al riassorbimento osseo e far precipitare le condizioni per lo sviluppo di flora batterica anaerobica.

L’osso è meno denso e più debole al momento della scopertura di quanto non sia un anno dopo. L’organizzazione microscopica dell’osso cambia durante il primo anno.

L’osso di riparazione è quello che per primo si forma attorno ad un impianto. L’osso lamellare si forma diversi mesi dopo che l’osso di riparazione ha rimpiazzato la zona devitalizzata attorno all’impianto. L’osso di riparazione non è organizzato ed è più debole dell’osso lamellare che presenta una struttura ben organizzata e adatta a sopportare carichi.

Se all’impianto vengono applicate forze funzionali, l’osso è in grado di rispondere alle sollecitazioni e migliorare la propria densità e resistenza.

1.2.2 Le forze

Una volta determinato il tipo di protesi, dovrebbero essere valutati i tipi di carico, in

quanto a direzione e modulo, potenziali che saranno applicati alla protesi e dovrebbero

essere, questi, considerati con cura nella stesura del piano di trattamento. Si deve anche

tener conto di altri fattori che possono generare delle ulteriori forze che si vanno ad

aggiungere a quelle già presenti normalmente. Questi carichi addizionali influiscono

sull’interfaccia crestale osso-impianto e sulla stabilità delle connessioni protesiche. Le

6

(7)

forze che si generano all’interno dell’apparato stomatognatico (la bocca) e che quindi possono andare a gravare su denti o impianti sono principalmente dovute a:

¾ Parafunzione: sono tutte quelle funzioni involontarie che compie l’apparato stomatognatico, quali digrignamento dei denti, serrare la bocca in modo statico ma non necessariamente in posizione occlusale;

¾ La posizione del moncone nell’arcata;

¾ La dinamica della masticazione;

¾ La natura degli antagonisti, se il dente a contatto con il nostro impianto o dente è un altro impianto o un altro dente;

¾ La direzione delle forze di carico;

¾ Il rapporto corona-corpo implantare;

Figura 4 - forze corrispondenti al carico masticatorio

I grafici seguenti riportano la frequenza relativa dei carichi e la storia di carico misurati in un esperimento condotto su nove pazienti [T.R. Mornerburg]

7

(8)

In relazione alle ridotte dimensioni degli impianti dentali i picchi massimi di carico sono molto elevati, così come la variabilità sul singolo dente durante la masticazione.

La progettazione, sia rispetto ai carichi statici, sia ai carichi affaticanti, dei componenti protesici riveste quindi un ruolo fondamentale riguardo al successo dell’impianto.

1.2.3 Forze di masticazione normale

Le massime forze naturalmente applicate ai denti, e quindi anche agli impianti, si sviluppano durante la masticazione. Tali forze sono essenzialmente perpendicolari al piano occlusale

1

nelle regioni posteriori, sono di breve durata, e si realizzano in momenti limitati durante la giornata, variando da 24.5N a 215N per i denti naturali. La durata di applicazione delle forze di masticazione ai denti è di circa nove minuti al giorno. La muscolatura periorale e la lingua esercitano sui denti e/o impianti una

1 Si definisce piano occlusale il piano individuato dagli assi clinici: asse mesiodistale (asse orizzontale che attraversa la bocca da destra a sinistra) e l’asse vestibolo linguale (asse che attraversa la bocca parallelo alla direzione di moto principale della lingua, verso i denti incisivi)

8

(9)

pressione più costante, anche se più leggera consistente in una forza di direzione orizzontale. Queste forze, durante la deglutizione, raggiungono picchi variabili tra i 20670Pa e i 34450Pa. Pertanto le forze occlusali sui denti sono inferiori a 206700Pa, e vengono applicate per meno di 30 min. durante la normale deglutizione e masticazione.

Studi più recenti indicano che le forze masticatorie verticali massime sui denti o impianti possono variare da 221N a 2698N. L’ampiezza di tali forze è molto simile sia sul lato masticatori che sul lato opposto.

9

(10)

1.2.4 Carichi applicati agli impianti dentali

Gli impianti dentali sono soggetti a carichi occlusali, forze dirette verticalmente rispetto al dente, quando vengono messi in funzione. Tali carichi possono variare significativamente in grandezza, frequenza e durata, in relazione alle parafunzioni

2

del paziente. I carichi meccanici “passivi”

3

possono anche essere applicati agli impianti dentali durante la fase di guarigione a causa della flessione mandibolare, del contatto con la vite di copertura del primo stadio, e/o con l’estensione trans mucosa della seconda fase.

Le forze periorali

4

della lingua e della muscolatura orale possono generare carichi orizzontali lievi, ma frequenti sui monconi. Tali carichi possono assumere valore maggiore se associati a parafunzioni o a spinta linguale. Infine, l’applicazione di protesi non passive

5

ai corpi degli impianti può risultare in carichi meccanici applicati sul moncone, anche in assenza di carichi occlusali.

Ci sono così tante variabili nel trattamento con impianti che diventa quasi impossibile paragonare una filosofia di trattamento con un’altra. Tuttavia, i concetti di base della meccanica possono essere utilizzati per fornire gli strumenti per una buona descrizione e comprensione di questi carichi fisiologici ( e non fisiologici). Due approcci differenti possono portare allo stesso risultato a breve termine; tuttavia, un approccio biomeccanico può ancora determinare quale trattamento comporta più rischi a lungo termine.

2 Sono tutte quelle funzioni involontarie che compie l’apparato stomatognatico, quali digrignamento dei denti, serrare la bocca in modo statico ma non necessariamente in posizione occlusale.

3 Sono carichi equilibrati la cui risultante totale è nulla.

4 Sono forze che la lingua, durante la deglutizione, scarica sui denti con cui viene in contatto e possono raggiungere 1Kg/pollice2.

5 Sono protesi equilibrate, montate in modo da avere una risultante nulla all’interno della bocca.

10

(11)

1.3 Biomeccanica clinica negli impianti dentali

1.3.1 Forze

Le grandezze tipiche di forza masticatoria massima mostrate dagli adulti sono influenzate da età, sesso, grado di edentulismo, localizzazione e parafunzione.

Figura 5 – Forza occlusale massima

Figura 6 - Le forze hanno componenti secondo gli assi clinici: mesio-distale, vestibololinguare ed occlusoapicale

11

(12)

Una forza applicata ad un impianto dentale è raramente diretta assolutamente in direzione longitudinale lungo un singolo asse. Infatti, esistono tre assi clinici di carico dominanti in implantologia dentale: medio distale, vestibololinguale e occlusoapicale.

Un contatto occlusale singolo è caratterizzato più comunemente da una forza occlusale non verticale, ma inclinata di qualche grado con componenti dirette lungo gli altri assi.

Per esempio, se viene usato uno schema occlusale su una protesi implantare che comporti l’amplificazione della componente diretta lungo l’asse vestibololinguale (carico laterale), l’impianto è ad estremo rischio per fallimento da fatica. Scomporre queste forze lungo le tre direzioni del sistema di riferimento della bocca ci permette di capire meglio dove e come vanno ad agire e ci permettono di migliorare la longevità dell’impianto.

1.3.2 Componenti di forza

L’occlusione serve come determinante primaria nello stabilire la direzione della forza che è applicata su un determinato impianto o su i denti stessi. La posizione dei contatti occlusali

6

sulla protesi influenza direttamente il tipo di componenti di forza distribuiti attraverso il sistema implantare. Quindi a seconda di come entrano in contatto si può avere un diverso orientamento della forza applicata sull’impianto. Consideriamo l’esempio di un impianto dentale soggetto a precontatto

7

durante l’occlusione.

Scomponendo la forza di contatto nelle direzioni secondo il sistema di riferimento della bocca, si osserva un’ampia componente laterale potenzialmente dannosa. Un aggiustamento occlusale massivo, per eliminare il precontatto, con occlusione protetta per l’impianto, sarà in grado di minimizzare lo sviluppo di queste componenti di carico pericolose.

Anche i monconi angolati sono soggetti allo sviluppo di pericolose componenti di forza trasversali sotto carichi occlusali nella direzione del moncone angolato. Gli impianti dovrebbero essere posizionati chirurgicamente per fornire l’applicazione di un carico meccanico lungo l’asse del corpo implantare, per la massima estensione possibile. I monconi angolati sono utilizzati per migliorare l’estetica o la via di inserimento di una protesi, non per determinare la direzione del carico.

6 Contatto fra un dente della mascella con il corrispondente della mandibola.

7 Un dente tocca il suo corrispondente prima degli altri

12

(13)

1.4 Infiltrazione batterica

L’interfaccia tra l’impianto e la mucosa gengivale gioca un ruolo importante nella longevità della restaurazione dentale basata su impianti endossei.

Molti studi sono stati effettuati riguardo l’interazione tra la superficie implantare e i tessuti orali che la circondano e, in genere, supportano la conclusione che la risposta dell’ambiente orale umano è favorevole.

L’interfaccia impianto-mucosa è stata studiata per determinare le sue caratteristiche anatomiche e la sua risposta a lungo termine, specialmente nei confronti dell’attacco batterico.

Specificatamente, molti autori suggeriscono che, quando osservati attorno agli impianti, i segni di una infiammazione della mucosa spesso possono indicare un evidente, imminente o progressivo riassorbimento osseo e, di conseguenza, una perdita di integrazione di un impianto precedentemente osteointegrato.

Pertanto, quella che viene denominata “peri-implantite” è indicata come causa di perdita ossea e la placca batterica è ritenuta il fattore primario del suo sviluppo e nel conseguente fallimento dell’impianto orale.

Questo problema può essere favorito o causato dall’inevitabile infiltrazione batterica che si verifica all’interfaccia dei componenti implantari, pertanto, dal punto di vista ingegneristico, rivestono un ruolo fondamentale le tolleranze di forma e dimensione, che determinano l’ampiezza della luce di passaggio disponibile per l’ingresso della flora batterica.

Le attuali tecnologie costruttive, che possono essere utilizzate con un costo sostenibile, realizzano tolleranze di lavorazione che sono comunque maggiori delle normali dimensioni di un organismo batterico orale (0.1 – 1.5 micron).

Acquista quindi importanza l’aspetto geometrico, che può favorire o meno l’infiltrazione sia per motivi puramente geometrici, sia per la relativa distribuzione dei carichi che si viene a generare e la conseguente deformazione elastica, che può provocare l’allontanamento delle superfici a contatto.

Risulta evidente come una favorevole distribuzione dei carichi tra i componenti implantari possa essere utile non solo per evitare concentrazione di tensioni rischiose per l’integrità strutturale, ma anche per ridurre l’effetto di serbatoio microbico dovuto all’infiltrazione batterica, che può indirettamente causare il fallimento implantare per motivi biomeccanici.

13

(14)

14 1.5 Obbiettivo

Il presente lavoro si prefigge lo scopo di analizzare i problemi meccanici riguardanti la connessione tra l’impianto endosseo e l’osso stesso, in particolare verranno studiati 3 tipi differenti di impianto endosseo, e relazionati con diversi tipi di densità ossea. I tre tipi di impianto endosseo differiscono l’uno dall’altro per forma esterna, tipo di filetto e trattamento superficiale ricevuto.

In relazione ai risultati ottenuti si cercherà di dettare una regola che permetterà la scelta di uno o l’altro tipo di impianto, a seconda del tipo di densità ossea presente nel paziente, tenuto conto anche dei carichi masticatori e dell’angolo con cui tali impianti sono inseriti nell’osso.

Lo studio verrà effettuato tramite modellazione CAD tridimensionale e analisi agli elementi

finiti.

Riferimenti

Documenti correlati

Tubazioni in acciaio zincato senza saldatura filettate UNI 8863 serie leggera, complete di raccorderia, pezzi speciali, giunzioni con raccordi filettati o con raccordi scanalati

Il sistema di regolazione previsto consente la gestione locale, in ogni ambiente d’installazione, mediante sonde di temperatura interfacciate con il sistema di

In mancanza di tutti i denti dell’arcata superiore e/o inferiore e se si utilizza una dentiera completa rimovibile, un restauro dell’intera arcata supportato da impianto

Il piano rilegge questa composizione urbana valorizzando il tessuto novecentesco in relazione al suo ruolo di ingresso al centro storico e alla presenza della Certosa, e

Procedura e scadenze per la selezione delle strategie di sviluppo locale I riferimenti sono contenuti nelle informazioni specifiche della misura. Giustificazione della selezione,

CCKP Configurazione a doppia sezione ventilante con aria di rinnovo e recupero termodinamico THOR CCK Configurazione a doppia sezione ventilante per ricircolo, aria di rinnovo

L'impianto di climatizzazione dei locali principali dell’ unità immobiliare, dell’edificio in oggetto, dovrà essere essenzialmente costituito da n°1 unità motocondensante esterna

Federico De Marzo Arch.. Andrea