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CONCLUSIONI
Data l’evidenza preclinica dell’azione neurotossica e potenzialmente depressogena degli oligomeri solubili di Aβ, ulteriori ricerche sono necessarie per comprendere il ruolo del sistema della Aβ nella fisiopatologia dei disturbi dell’umore.
Nel caso in cui i risultati di questo studio venissero replicati su campioni più ampi e da ulteriori ricerche venisse confermato il ruolo dei peptidi Aβ plasmatici come potenziali indicatori di tossicità neuronale e di rischio di deterioramento cognitivo potrebbe essere utile, soprattutto nei pazienti con elevata ricorrenza di malattia, associare alla valutazione neuropsicologica il dosaggio dei livelli plasmatici di Aβ42.
Non esistono studi analoghi al nostro in cui i peptidi Aβ, valutati nell'ambito dei disturbi dell'umore, vengano messi in relazione alla risposta al trattamento; sarebbero pertanto auspicabili indagini ulteriori a riguardo, anche ai fini di un orientamento terapeutico e prognostico più accurato.
Sarebbe interessante inoltre effettuare un follow-up del nostro gruppo di pazienti, al fine di valutare eventuali variazioni dei peptidi Aβ e l'evoluzione clinica sia relativamente alla patologia affettiva che all'eventuale insorgenza di una sindrome demenziale conclamata.
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Queste informazioni ci consentirebbero di supportare o meno l'ipotesi neurodegenerativa della depressione “amiloide associata”, in grado di conferire resistenza ai trattamenti e rischio di declino cognitivo.
Gli studi su Aβ e disturbi dell'umore potrebbero chiarire il ruolo dei peptidi Aβ plasmatici come potenziali indicatori di tossicità neuronale e di rischio di deterioramento cognitivo e potrebbero essere utili al fine di prevenire la compromissione delle funzioni cognitive e il suo non trascurabile impatto sulla vita.